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Autore: ergo    19/05/2014    1 recensioni
Conosceva a memoria quella stanza, i mobili, i colori ed anche le ombre. Sapeva esattamente a che ora sarebbe arrivata la colazione, il pranzo e la cena. Insomma sapeva tutto di tutto; per questo si sentiva bene in quei venti metri quadrati.
La conoscenza da sicurezza.
Genere: Generale, Science-fiction, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I


Rubich Koiland era una delle sue esperienze migliori, da quasi undici anni era sotto la sua tutela. All’inizio non credeva arrivare a dei risultati così soddisfacenti,  ma velocemente  si rese conto che tra le centinaia di bambini selezionati, aveva avuto la fortuna di sceglierla. Perchè la scelta era stata totalmente casuale, aveva preso quella bambina solamente a causa di quei grandi occhi blu che gli avevano rammentato sua moglie, ormai defunta.

Quella bambina era sì dotata di una particolare inteliggenza, ma non si chiedeva perchè fosse chiusa in quella stanza da così tanti anni, quella vita le sembrava semplicemente normale.
Per lei non c’era un oltre, il mondo finiva lì, definito da quei quattro muri bianchi.

Aveva spesso avuto tentazione di dirle tutta la verità, trovava questo progetto inumano, ma non era una sua decisione, gli ordini venivano dall’alto; troppo in alto anche per un uomo influente come lui. Cercava dunque di tenerle compagnia almeno quindici ore al giorno, col passare degli anni erano diventati “amici”, le aveva insegnato a leggere e scrivere con l’aiuto di un computer e di qualche libro; aveva imparato a conoscerla, sapeva che la musica classica era per Rubich un innocente piacere.  Trovava le emozioni della vita da lei mai vissuta, nella potenza delle complicate partizioni dei grandi compositori dei secoli passati; se avesse uno strumento, sarebbe sicuramente capace d’ interpretare ,nel quanto le sue capacità glielo renderebbero possibile, una parte della quinta sinfonia di Bethoveen. Conosceva bene la sua storia, e provava una segreta ammirazione per lui che anche sordo continuò a comporre utilizzando semplicemente la sua memoria; il noto artista divenne infatti molto velocemente il suo idolo.

Rubich non si chiedeva dove si trovavano i suoi genitori,
Rubich non sapeva cosa fossero dei “genitori”...
Rubich conosceva solo la voce, la voce che le teneva compagnia ogni giorno da ormai dieci anni,
Rubich conosceva la sua voce, e se ne fidava cecamente.

Lui restava dietro quel sottile muro bianco, guardando Rubich sfogliare un libro confezionato apposta per lei; Rubich non doveva conoscere il mondo esterno, per lei tutte quelle persone di cui leggeva la storia, accuratamente modificata da numerosi scienziati e storici, erano elementi astratti.
Pensava ci fosse stata una stanzina bianca per ognuno di loro, una voce per ognuno di loro; non si chiedeva dove fossero finiti ora, non c’era la loro data di morte scritta su quelle pagine, perchè Rubich non conosceva la morte, non pensava ci fosse una fine.
Rubich non conosceva la definizione della parola fine, nessuno gliela aveva insegnata, non c’era scritta sul suo vocabolario; quel vocabolario dove erano scritte solo le parole che lei doveva conoscere.
Rubich viveva in un mondo fatto apposta per lei, un mondo composto da qualche metro quadrato, non c’era la definizione della parola “libertà” nel suo vocabolario.

A Rubich andava bene tutto questo, perchè era il suo mondo. Lo conosceva a memoria e non poteva immaginarsene uno diverso; non poteva immaginare che fuori da quel sottile muro bianco si trovassero miliardi di persone similari a lei e altrettanto terreno, non sapeva neanche che un giorno sarebbe morta, non sapeva la sua età, il suo nome e le sue origini.
Ma Rubich non si chiedeva quali fossero, semplicemente perchè non ne sapeva l’esistenza; per lei un nome non era niente, la parola nome non la aveva mai sentita nominare e nessuno aveva l’intenzione di dirgliela. Tanto non ne avrebbe mai avuto bisogno.

Rubich era un animale in gabbia.

Ma Thomas si era stancato di mentirle, di trattarla come una cavia.
Quel giorno arrivò davanti al sottile muro bianco che lo separava da lei, attivò il microfono e infranse la prima regola del proggetto n.567880, mettendo così in pericolo la sua brillante carriera, la sua vita e la riuscita dell’esperienza. Ma non gliene importava niente, lui voleva soltanto farla uscire da lì, mostrarle il mondo che tutti volevano nascondergli.

“Buongiorno Rubich”.





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