- Mad Tea Party -
ATTO SECONDO, SCENA SECONDA
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I Cinque Petali della Rosa
Giunti che furono davanti alle porte
dell’ancora chiusa e modesta sala prove che avevano affittato, Manabu Satou guardò Gackt Camui. Pareva insospettabilmente
tranquillo, strano per uno che aveva passato una notte intera a gorgheggiare
tenendolo inesorabilmente sveglio e scazzato a
battergli il tempo e a correggerlo le – non troppo numerose, lo ammetteva –
volte in cui sbagliava attacco o tono.
D’altra parte Mana non voleva minimamente che Satoru imitasse quel Tetsu di cui
s’era tanto gioiosamente liberato. E che senso avrebbe avuto silurare
quell’incapace altrimenti?
Tamburellò per terra con un piedino candido
attrezzato di scarpotta nera coi lacci. Gli altri non
erano ancora arrivati. E dire che s’era tanto raccomandato di essere puntuali!
Tamburellò ancora, spostando il peso sull’altra gamba.
Camui pareva non avere un problema al mondo,
osservava l’esterno della sala prove come se non avesse mai visto un muro e
ogni tanto posava gli occhietti nocciola e luminosi su un cielo percorso da
qualche nube grigiognola che s’andava espandendo
promettendo pioggia per le ore successive.
E lui, lui era nervoso?
No, non c’era manco motivo di porsela una
domanda del genere.
Mana era preparato a raddrizzare qualsiasi,
sottolineava qualsiasi evenienza
anche solo vagamente storta.
Solo una non aveva messo in conto.
Camui lo guardò finalmente, con un leggiadro sorriso che avrebbe fatto
impallidire pure Buddha e…
« Sei nervoso? »
Ecco, in quel momento
spezzò col piede un ramo e la sola risposta che s’udì fu il crack che fece.
« Assolutamente no », aggiunse poi.
Per fortuna sua e del mondo intero, Gackt parve
aver capito l’antifona e non gli chiese più niente ammutolendo di botto. Ebbe
quasi paura di averlo offeso. Quasi.
Ancora una volta si chiese dov’erano quegli
altri tre scemi che mancavano all’appello. Se si lavorava si lavorava, e
bisognava essere puntuali, ma niente, loro proprio sembravano non volerlo
capire quel dettaglio insignificante che poi tanto inessenziale per lui non
era.
Poi vide Camui
sbracciarsi da lontano a salutare qualcuno, e gli venne in mente che le uniche
persone che conosceva erano quelle che lui gli aveva presentato. Si girò, e in
effetti stavano arrivando gli altri tre… no, quattro scemi.
« Sacchaaaaaaan! »
Inarcò un sopracciglio largamente lavorato di
pinzetta. Certamente Takeshi sapeva sempre come farsi
riconoscere anche a qualche chilometro di distanza. Però mancava alquanto di
classe.
Anche il malcapitato Satoru
pareva essere del suo stesso avviso, perché come vide o meglio sentì il tornado
umano Taka-chan pararsi sulla sua strada fece un
dietro front fenomenale e si diede a correre in mezzo alla via, inseguito di
gran carriera dalla massa di capelli cespugliosi corredata di sorriso.
« Ma dai! Non ci vediamo da tanto! Non sei
contento di rivedermi? »
« No! Appiccicoso come sei, meno ti vedo e
meglio sto! »
Mana osservò con una certa perplessità il
povero Takeshi fermarsi di botto nell’udire quelle
parole un pelo avvilenti. Lo osservò con altrettanta esitazione voltarsi verso
di lui con gli occhi larghi e guardarlo. Takeshi lo guardava. Come un cane speranzoso che
fissa il padrone.
E capì che avrebbe fatto meglio ad alzare i
tacchi pure lui.
« Mana-chaaaaaaaan! »
S’irrigidì all’istante.
« Che vuoi. »
Non era una richiesta, era una minaccia.
Cosparsa di abbondantissima inquietudine e di qualche brivido gelido lungo la
schiena.
« Satoru è cattivooo! »
Quel ragazzo aveva il quoziente intellettivo di
un’insalata riccia.
Ciò non tolse che quando se lo vide schizzare
nella sua direzione col passo marziale di uno struzzo in piena savana gli venne
in mente che era meglio filare.
E filò.
Si buttò a correre dietro alla schiena di Camui zompettando ogni dieci
passi per vedere dove cavolo stava quella cimice umana di un ragazzo e tirando
spinte in avanti per far smuovere Gackt a cui le risate stavano facendo perdere
la verve.
Girarono, lui girò.
Rigirarono e lui girò.
Scivolarono a zigzag fra Yu-ki
e Kami e quello poveracci li travolse.
Non fece neppure in tempo a compatirli, perché
andò a schiantarsi di piatto contro l’ampia schiena del suo nuovo vocalist e nemmeno
se ne rese conto.
Ma perché s’era fermato, quell’idiota? Se lo
chiese mentre si massaggiava il naso.
E furono inutili gli improperi che aveva in
mezzo alla bocca, perché vennero soffocati dal calorosissimo abbraccio
dell’insalata riccia, che gli balzò alle spalle braccandolo come un cacciatore
e se lo spupazzò un po’ contro ogni suo più infimo
desiderio.
Poi rimase fermo così, con le braccia avvolte a
strozzo attorno al suo collo.
« Mi lasci? »
« No. »
Strano ma vero la sua fortuna fu Camui, che stava parlando con un tizio che s’era affacciato
dalla porta chiusa della sala prove.
« Avevamo prenotato una stanza », stava dicendo
Gackt « A nome Satou. »
E il tizio li fece entrare.
E fu solo una delle tante meschine ed
improponibili figure di merda che avrebbero collezionato nel corso degli anni.
« Si può sapere chi l’ha portato qui? »
Additò Taka-chan, che
aveva tirato fuori dallo zaino una birra e se la stava sbevazzando senza
problemi alla facciaccia sua.
Tutti, alias Kami, Yu-ki e Közi, alzarono lenti lenti le spalle come a dire che non ne sapevano niente. A
lui non importò. Si sistemò tranquillo a braccia conserte, osservandoli con una
faccia beata che per loro significava un’unica parola: guai.
Stavano già iniziando a sudare freddo, quando
la fonte delle loro sventure – alias Takeshi – si
fece stoicamente avanti per salvare loro il culo.
« E dai Mana-chan,
non essere arrabbiato. Ho saputo da Közi che facevate
le prove e ho deciso io di unirmi al gruppo di mia spontanea volontà. Voglio
assistere al debutto di Sacchan! »
C’era un che di inestricabilmente genuino
nell’essere spudoratamente fetente di quel ragazzo, e Manabu
non riuscì a ribattergli niente di convincente. Alla fine, era quasi contento
di vederlo.
Per cui si limitò a un sospiro e a una
minaccia.
« D’accordo, se proprio ci tieni puoi restare
qui a guardare. Ma bada bene di non fare casino o ti faccio fuori a calci. »
« Non sono così stupido da essere colpito da un
tuo calcio. »
Ah, era pure velenoso il tipo.
« Mi stai sfidando? »
« Non oserei mai, Mana-sama.
»
Sbuffò un poco. Non era il caso di stare ancora
a discutere con l’insalata riccia, non avevano abbastanza tempo da perdere per
godersela.
« Facciamo così, tu ora ti siedi lì buono in un
angolo e stai zitto e tranquillo, afferrato il concetto? »
Takeshi annuì e si raggomitolò zitto e chiotto in un
angolo fra una cassa e un tamburo. Una buona posizione per finire sordi.
Decise di ignorarlo, tanto la cosa interessante
era che non facesse troppo casino – il che forse da uno come Taka era aspettarsi un po’ troppo.
Lì vicino c’erano Közi
e Kami che ancora erano piegati in due dalle risate
per via della scenetta di poco prima, la quale sarebbe probabilmente parsa
comica anche a lui se solo non ci fosse stato dentro in prima persona… Yu-ki invece stava più prosaicamente accordando il basso, e
Manabu lo adorò per quella dimostrazione di maturità
che visto il generale andazzo aveva dell’incredibile.
« Bene, ragazzi. Vogliamo cominciare? »
Quello lo disse dopo aver metodicamente
sistemato gli amplificatori e le chitarre, tirato fuori un buon numero di
plettri di scorta ed essersi asciugato il sudore delle mani sui pantaloni.
Perché – e quella era cosa da ricordare sempre
– Mana non era nervoso. Mana non era mai nervoso, dal suo viso non sarebbe
trasparsa una ruga di nervosismo manco a pagarla però in compenso gli stavano
sudando copiosamente le mani.
Era la loro prima prova con la loro formazione.
Doveva andare bene, tassativamente.
« Satoru, ti dispiace
se prima facciamo una prova noi con la musica? »
L’aveva chiamato per nome.
« No, fate pure. »
Senza più fiatare si misero tutti ai loro
posti, con Gackt che diligentemente li osservava come uno scolaretto attento.
Probabilmente voleva vedere fino in fondo il guaio umano in cui era andato a
cacciarsi.
Attese che Kami
battesse il tempo.
Lui lo fece, come al solito con il solito
sorrisetto gioioso a ravvivargli la mascella pronunciata.
Attese, attese, attese. Gli sembrò di non
poterne più di fare quello.
Mosse nervosamente le dita corte e tozze sulla
tastiera – perché per quella canzone all’inizio gli toccava suonare quella – e
prese un grosso e profondo respiro.
Attaccò.
Ci mise davvero il cuore in quelle prime note,
ce lo mise tutto ma proprio tutto.
Solo che poi il suo orecchio raffinato captò
qualcosa che proprio non avrebbe dovuto sentire ma neanche di sfuggita.
Captò un errore nell’attacco di Közi.
« Che stai combinando? »
Quel poveraccio di un altro ragazzo non fece in
tempo nemmeno a guardarlo stranito.
« Che vuol dire “che sto combinando”? »
« Hai attaccato troppo presto! »
« Davvero? Io non me ne sono accorto! »
« Mi stai dando del sordo, Koji?
»
E ancora una volta fu il loro angelo custode Ukyo Kamimura a rivelarsi una
manna dal cielo.
« Dai ragazzi, non litigate. È da tanto che non
proviamo assieme, certi errori possono capitare no? »
Nessuno dei due gli rispose, si scambiarono
soltanto una lunga occhiata a metà tra l’umanamente scazzato
e il genuinamente perplesso. Poi, evidentemente, dovettero risolvere che il
batterista aveva ragione e difatti si rimisero al lavoro sui propri strumenti
senza controbattere.
Ciò non tolse che prima di riuscire a suonare
una canzone in maniera decente dovettero ricominciarla da capo almeno cinque
volte. Erano messi davvero tanto male? Dannazione, avendo continuato ad
esercitarsi per conto suo, Manabu non se ne era reso
minimamente conto. Andando avanti così, ricominciare sarebbe stata più dura del
previsto. Dovevano mettersi sotto, non c’era altro da fare.
« Dalla prossima settimana, si viene qui a
provare almeno tre giorni su sette! »
« Tre giorni?
»
Mana si guardò attorno, scuotendo appena le
lunghe chiome nere con una leggera punta di stizza e asciugandosi col dorso
della mano la fronte appena un po' sudata. Era stato, incredibile ma vero, il
bassista Yu-ki a lasciarsi sfuggire
quell’affermazione a mezzo sconvolta. Avrebbe giurato che sarebbe stato Közi a metterci bocca, tanto per cambiare. Oh, comunque il
suo commento non avrebbe tardato a farsi vivo.
« Ti ricordo, caro capo, che noi poveracci
dobbiamo anche lavorare. »
Eccolo lì infatti. E a pensarci bene non aveva
tutti i torti, lui pure a forza di fare il nullafacente avrebbe finito per
prosciugare tutto il denaro che aveva da parte.
« Devo ricordarvi, ragazzi, che io ho scommesso
tutto sulla nostra band? Sono il nostro produttore, non ve lo dimenticate, e
non accetterei mai un’eventuale perdita. Saremo i migliori in futuro, mi avete
sentito? La miglior band di tutto il Giappone! »
Tanto più che avevano trovato anche il loro
pezzo da novanta… guardò Satoru Okabe
con la coda dell’occhio. Se ne stava seduto vicino a Takeshi,
entrambi stranamente senza aprir bocca.
« Camui. »
Lo chiamò, e quello gli lanciò uno sguardo
interrogativo con quei grandi occhi color nocciola che aveva.
« Tocca a te. Te la ricordi Seraph, voglio sperare. »
Il cantante non accennava a muoversi, e toccò a
Takeshi svegliarlo con una pacca sulla spalla degna
di un cinghiale.
« Avanti Sacchan!
Voglio vedere di cosa sei capace! »
“Sacchan” allora
sorrise e si tirò su, rispondendo nel contempo a Manabu.
« Sì, l’ho imparata. Però per scrupolo ho
portato i fogli con me… non ti voglio far perdere tempo. »
« Bravo ragazzo. »
Già, era proprio bravo. Glielo dimostrò non
appena s’attaccò all’asta del microfono e cominciò a cantare. Da parte sua, non
poté far altro che confermare il giudizio che s’era già fatto da tempo. Era in
gamba, con buone capacità vocali che senz’altro sarebbero andate solo
migliorando col passare degli anni. E in più anche in quanto a presenza scenica
prometteva bene. Già, decisamente un buon investimento, restava solo da vedere
che frutti avrebbe dato una volta sistemato su un palco vero e proprio, Takeshi gliene aveva parlato bene, poiché l’aveva visto un
paio di volte esibirsi col suo gruppo a Kyoto. E lui
era ben certo che i Malice Mizer
a questo altro gruppo non avessero proprio niente da invidiare.
Uno dopo l’altro provarono tutti i brani del
repertorio di Tetsu, e lui fu ben felice di notare
che quel ragazzo in così poco tempo era riuscito ad interiorizzarli tutti
quanti. Certo c’erano ancora delle imprecisioni e parecchio lavoro da fare, ma
poco importava. L’avrebbe fatto lavorare come uno schiavo in modo che fosse
stato pronto a ricominciare con le serate entro l’autunno. E avrebbe anche
trovato il tempo per comporre nuovi brani. Ce l’avrebbe fatta di sicuro, senza
problemi. Anzi, ce l’avrebbero fatta tutti e cinque assieme.
Uscirono tutti e sei sfiniti dalla sala prove
che era ormai sera.
« Stiamo fuori a mangiare? Che ne dite? »
propose Yu-ki.
Acconsentirono tutti, tanto non avevano di
meglio da fare per quel giorno. C’era solo il solito, piccolo problemino…
« Io ho voglia di okonomiyaki.
»
« Io di pesce. »
« Io di pizza. »
« Carne. »
« Ramen. »
Ah, ma perché sempre in quel modo doveva
finire? Tutte le sante volte che si ritrovavano tutti assieme non sapevano dove
andarsene a mangiare e finivano per starsene in cerchio in mezzo alla strada a
guardarsi interrogativamente come cani attorno a un
osso.
« Tu che dici, Satoru?
»
Era stato Kami a
interpellarlo, perché quel ragazzo aveva pensato bene di tenersi fuori dalla
disputa. Meglio non mettersi contro i Malice Mizer quando avevano fame, in effetti…
« A me va bene tutto. »
« E dai, che ti costa scegliere? Ci sarà pure
qualcosa che ti va, no? »
« Fermi tutti! »
Ullallà, Taka-chan aveva
deciso di mettersi in moto a quanto pareva, e aveva stroncato ogni discussione
sul nascere.
« Ora si va a cercare il primo locale che
troviamo e mangiamo lì, ok? »
Ebbene sì, dovette ammettere che quando ci si
metteva l’insalata riccia aveva mordente. Si ravviò le folte ciocche di capelli
corvini legandole con un elasticone blu che aveva
portato con sé e si mise a camminare di buon passo dietro al suo amico,
invitando gli altri a seguirlo con un cenno del capo.
« Andiamo, su. Non è proprio ora di metterci a
litigare per certe idiozie. »
Perché sì, era proprio un’idiozia. Ma
quell’idiozia era stata solo un modo per scaricare la tensione di prima, alle
prove, ed era stata per buona parte colpa sua e lo sapeva.
Ma che ci poteva fare se aveva un carattere
troppo intransigente? Di certo non gli interessava cambiarlo.
Si immisero nella via principale, e camminando camminando raggiunsero proprio un ristorantino
italiano – con sua grande gioia, ma riuscì a contenerla dietro l’impassibilità
di una faccia da schiaffi da manuale.
« Stasera pizza », disse.
Eh sì, avevano proprio mangiato la pizza. Il
problema era che non s’erano fermati certo lì!
Dopo essere usciti dal ristorante s’erano
fermati in un locale apparentemente di intima conoscenza di Yu-ki
e s’erano messi a bere sakè fino a non poterne più.
Il tempo non avrebbe saputo proprio quantificarlo, ma se n’erano andati dal
locale a notte fonda. Quello se lo ricordava, e lui era uno degli conciati
meglio. Strano ma vero, anche Kami e Takeshi s’erano dati una regolata – forse prevedendo di
dover trascinare a casa gli altri tre poi…
In quel momento lui, Takeshi
e Gackt Camui stavano faticosamente salendo le scale
del palazzo dove abitava, diretti al suo appartamento.
La questione era solo una… il succitato Gackt Camui non si reggeva in piedi, e Mana e Takeshi
erano altrettanto sulla buona strada nel rotolare giù dalla rampa. Sbandando
uno da una parte e uno dall’altra riuscivano a tenersi dritti in qualche modo,
ma tirare su quel bisonte muscoloso di un Camui non
era cosa esattamente facile, non tanto per Taka
quanto per Mana, che di muscoli aveva in generale sempre un tantino difettato,
anche se la forza non gli mancava.
Avrebbe dovuto metterlo a dieta. Sì sì, finché fosse rimasto a casa sua, avrebbe sottostato ai
suoi ordini!
Riuscirono, ansanti e barcollanti, a
raggiungere la porta di casa. Lui ci mise un po’ ad infilare la chiave nella
serratura, e la prima cosa che fece quando arrivarono fu schiantare se stesso
sul divano e Camui sul pavimento.
Quello stava praticamente dormendo, figurarsi!
« Ce l’hai un anti-sbronza? »
Takeshi glielo stava domandando con tutta la scioglievolezza che la sua voce petulante riusciva a tenere
in condizioni non normali.
« Ho mal di testaaa…
e la panciaaa… »
Ah, domandò a tutti gli dèi del cielo che
facessero tacere l’insalata riccia molto a lungo, perché pure lui quanto a mal
di testa non scherzava. Fortuna che di analgesici ne aveva a tonnellate, perché
poteva pure non sembrare ma era uno che se c’era da darsi alle pazze gioie
alcoliche non rifiutava mai.
Sospirò e andò in cucina a prendere la medicina
per Taka-chan e un tè caldo per sé – non stava ancora
così male da dover ricorrere ai farmaci – e quando tornò vide che lo stronzetto
s’era appollaiato sul divano al posto suo.
« Alzati! »
« No. »
« Alzatiii! »
Lo fece alzare di forza, tirandolo su seduto
dopo avergli agguantato con una mano il capoccione riccio, e si sedette accanto
a lui.
« Tieni. »
Gli porse la medicina e un bicchier d’acqua per
mandarla giù.
Quello obbedì senza fiatare, ed entrambi
fissarono come ipnotizzati Satoru Okabe
che ronfava beato e tranquillo sul pavimento sotto di loro, e che si sarebbe
svegliato il giorno dopo ridotto a uno straccio.
« Meglio che dormi qui anche tu stanotte, Takeshi. Puoi apparecchiarti qui in salotto se vuoi, ma
prima dammi una mano a trascinare questo energumeno in camera. »
Takeshi fece tanto d’occhi, evidentemente non era
abituato a essere chiamato per nome dal Despota Supremo Mana-chan.
« Come mai tutta questa gentilezza? »
« Non fare complimenti, tanto lo so che sei un
genio dell’adattamento. »
Aveva eluso la sua domanda, e quello doveva
essersene anche accorto, perché gli sorrise molto stupidamente.
Fortunatamente non gli chiese altro,
evitandogli un fastidiosissimo terzo grado, e lo aiutò senza storie a tirare
quell’altro sul suo futon in camera.
Una volta lì, Mana lo rispedì in salotto e lo
lasciò a dormire sul suo amato divano candido.
Lui dal canto suo guardò Gackt Camui, e neppure si svestì.
Tanto, quella notte non avrebbe dormito
affatto.
- continua -
N.d.A.
Un lieve ritardo nell’aggiornamento, dovuto agli esami e a ragioni di forza
maggiore… leggi un temporale che mi ha messo fuori uso il modem… spero di
poterlo mettere online a breve, e spero anche che vi
piaccia. Io intanto, più scrivo e più mi domando dove vogliono arrivare questi
ragazzi. Boh… tanto vale andare avanti e far parlare
loro, credo! Buona lettura a tutti!
Vitani