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Autore: Sheep01    22/05/2014    2 recensioni
Si concentrò sulla schiena solida del fratello. L’unica cosa concreta a dargli un senso di stabilità e calore.
Barney era tutto per lui. Fratello, amico, consigliere, padre e madre assieme. Lui che del padre ricordava solo la voce tonante e l’alito che sapeva di alcool e il peso delle sue percosse. Che della madre ricordava solo il profumo dei suoi capelli e i singhiozzi spezzati, umiliati, nella notte. Il fratello era stato il pilastro della sua vita, l’unico esempio da seguire. Protettore e cavaliere dall’armatura scintillante. Ed ora il suo salvatore.
[A Tribute to Clint Barton]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 14

 

[Bow & Arrows]


Un colpo solo.” Io non ci credo più tanto a questa storia del colpo solo, Mike.” “Tu devi contare su un colpo solo, hai soltanto un colpo, il cervo non ha il fucile, deve essere preso con un colpo solo. Altrimenti non è leale.”

(Il Cacciatore)

 

*

 

Non vorrei proprio la figura di quello che si dimentica degli amici.
Non vorrei sembrare un ingrato.

Insomma, ci sono casi in cui ti devi macchiare di puro feticismo, per arrivare a concepire un tributo chiaro e autentico ai veri protagonisti della storia della tua vita.

Coulson mi capirebbe. Dopotutto lui parla quotidianamente con (e non di...) la sua collezione vintage di... oggetti e statuine, di dubbio gusto e natura. Ma ehi, ognuno ha il diritto e il sacrosanto dovere di occuparsi di ciò che lo fa sentire meglio. Sapete, quelle cose che snebbiano la mente, che ti aiutano a staccare la spina.

O nel mio caso, aiutano a riattivare la corrente.

Non importa quanto tempo tu ci dedichi o meno, importa come ti fa sentire nel momento in cui, questi oggetti, li hai sottomano.

E quindi... facendola breve, la scorsa settimana, ho comprato un bunker.

Un garage?

Una cantinetta.

Insomma lo davano via a un prezzo stracciato nello stabile in cui vivo, per cui mi sono detto: Clint, è arrivato il momento di investire un po' dei tuoi soldi. Quasi non hai vizi! Non vorrai dire che tutto quello che hai risparmiato lo vuoi tenere per il giorno del tuo funerale?

Tanto pagherà lo SHIELD, no? (e poi insomma chi se ne frega, quando uno è morto è morto, qualcuno pagherà).

Un posto carino. Spazioso. Completamente vuoto.

L'ho agghindato, secondo gusto personale: qualche attrezzo di tortura, un palo, manette, un letto a baldacchino con le lenzuola di seta...

Ci avete creduto? Ma per chi diavolo mi avete preso? Non che non sia adeguatamente maniaco, quando la situazione lo richiede, ma non avrei mai cuore di impegnarmi in uno sbattimento simile solo per mettere in piedi un boudoir sadomaso di dubbio gusto.

Ci ho allestito un poligono di tiro. Niente di troppo impegnativo. Una rastrelliera per archi e frecce, un paio di bersagli (nuovissimi, lucidissimi), una vecchia radio per dare un po' di ritmo alle lunghe sessione di allenamenti.

Un adeguato rivestimento per insonorizzare la zona. Un piccolo frigorifero per le... esigenze. E un telefono. Perché non si sa mai. Dovesse capitare che Nick Fury abbia un'urgente incombenza da sottopormi ed io sia morto sfinito dopo una notte a scagliar dardi.

Improbabile, ma...

Vi sembra adeguato?

Sì, lo so che anche allo SHIELD Central hanno un poligono di tutto rispetto. Sicuramente più dotato e impegnativo di questo buco, ma... volevo qualcosa che fosse solo mio.

E non mi dispiace mai troppo potermi dedicare a quello che mi piace fare, senza, per una volta tanto, rendere conto a nessuno.

Sono le tre del pomeriggio. Di domenica. Ho appena finito il caffè. Magari ci scappa qualche tiro.

 

 

*

 

Una nevicata come non se ne vedeva da anni.

Una lunga scia di sangue a definire involontariamente il percorso. Notte buia senza stelle e una galleria di alberi gravidi di neve a fargli da santuario.

Quieti fruscii di ghiaccio che si scioglieva o di piccoli animali notturni e, a fargli compagnia tangibile solo arco e frecce.

Si era scavato una conca accanto a una grossa conifera dal tronco massiccio. Se fosse riuscito a sopravvivere alla notte, avrebbe avuto qualcosa di valido da raccontare il prossimo sabato sera al pub.

Aveva perso tutto. Una rocambolesca fuga, un salto che aveva fatto precipitare in una crepa tutto ciò che aveva con sé.

Il piano di recupero era stato stabilito il giorno prima, ma non era sicuro di aver seguito le coordinate dopo aver perso mappa e GPS.

I suoi inseguitori, dopotutto, non gli avevano lasciato scelta.

Il campo ormai lontano, i compagni di missione dispersi da qualche parte, come lui. Separarsi aveva avuto la priorità.

La gamba gli pulsava dolorosamente.

Lo avevano colpito. All'inizio era stata come una stilettata momentanea. Aveva però continuato a correre, finché non si era guadagnato una discreta distanza per ritenersi al sicuro. L'obbiettivo principale, adesso, era di estrarre quella dannata pallottola e assicurarsi che non avesse fatto più danni del previsto.

Si levò la giacca per avere più agilità di movimento e sollevata con cautela la gamba dei pantaloni aveva scoperto il polpaccio.

La stronza era ancora lì. Conficcata nella carne tenera. Niente di così preoccupante, constatò, ma faceva un male del diavolo.

Attirò a sé la faretra, l'unica fedele compagna rimasta.

Ne estrasse una freccia, una delle più appuntite. La punta brillò nella tiepida luce della luna, nel riflesso della candida neve.

Inspirò a fondo e cominciò le operazioni.

Ci volle pazienza e una buona dose di sopportazione. La pallottola sembrava felice di stare al suo posto, ma alla fine era saltata fuori, con una cospicua perdita di sangue. Clint non si era preoccupato di lanciare improperi più o meno gentili ai danni dei suoi carnefici.

Sfilò la cinghia della faretra e la legò saldamente appena sopra la ferita, sperando di frenare l'emorragia, prima che il danno diventasse irreversibile.

Si infilò di nuovo la giacca, si strinse nelle braccia, cercando di contenere più calore possibile.

E attese.

Sarebbe stata una lunga... notte.

 

*

 

Aveva inseguito il bastardo per tutto il giorno e questo ancora si permetteva di sfuggirgli.

Era agile, veloce, la freccia narcotizzante che gli aveva scagliato contro sembrava avergli fatto acqua.

Lo SHIELD aveva ragione nel dire che era un caso di quelli che andavano trattati con estrema cautela. Ma l'ordine era di non uccidere. Di prenderlo vivo.

Facile a dirsi.

Meno a farsi. Se avesse potuto raggiungerlo con una freccia di quelle serie, avrebbe portato a termine il suo obiettivo da ore.

Quando poi l'inseguimento aveva raggiunto un livello superiore (in tutti i sensi) fra i tetti dei palazzi, la questione aveva cominciato a diventare piuttosto personale. Si stava prendendo gioco di lui. E Clint sfortunatamente amava la competizione.

Lo vide raggiungere il parapetto. Troppa la distanza fra un palazzo e un altro. Lo avrebbe raggiunto, raggiunto e braccato, in qualsiasi modo.

L'uomo non aveva fatto una piega alla questione. Dopo un solo attimo di esitazione si era lanciato, nel vuoto.

Ma qualcosa disse a Clint che doveva aver fatto male i suoi calcoli perché gli sembrò che il salto non fosse abbastanza lungo. Lo vide precipitare dopo un patetico tentativo di agganciare il tetto con le mani ad artiglio.

“Merda!” aveva imprecato, prima di scagliarsi letteralmente verso il parapetto.

Fu tutto velocissimo. Clint vide l'uomo che precipitava: pronostico di morte imminente.

Modificò l'assetto high-tech delle sue frecce e con rapidità e precisione ne aveva scagliata una: “Tre, due, uno...”

La freccia esplose letteralmente, appena agganciato l'obiettivo, ingabbiandolo in una rete extra resistente. A pochi secondi dall'impatto si era aperto un paracadute che ne aveva addolcito l'atterraggio.

Preso.

Adesso toccava a lui scendere.

Si affidò di nuovo alla sua faretra.

 

*

 

“Devi solo...” si avvicinò a Natasha e agganciò il suo braccio. Guadagnandosi uno sguardo ostile “Chetati, non voglio amputarti, sto solo cercando di metterti nella posizione giusta.”

“Sono già nella posizione giusta.”

“Per nulla.”

“Ho imitato la tua.”

“Imitare non significa sapere cosa stai facendo.”

Lei finalmente gli permise di aiutarla.

Le si portò alla spalle, le sistemò le braccia e la mano sull'arco.

“La freccia deve stare in questo modo.” le aveva posizionato il dardo affinché il colpo divenisse preciso ed efficace.

“Allinea le braccia, come se l'arco sia un prolungamento del tuo corpo. Tira verso di te la corda, calibra i flettenti.”

La sentì irrigidirsi e allentò la presa.

“Concentrati sul bersaglio. Prenditi tutto il tempo. E' uno sport che richiede pazienza.”

Scoccò la prima freccia senza che lui avesse dato alcuna direttiva a riguardo. Aveva centrato il bersaglio ma piuttosto lontano dal centro.

“Cosa stavo dicendo riguardo la pazienza?”

“Un'arma che richiede pazienza mi rallenta e basta.”

“Perché ragioni secondo le tue regole. Un arciere agisce secondo le proprie. Un solo colpo preciso ti risparmia un sacco di fatica.”

Lei di nuovo lo guardò con sguardo obliquo.

“Non ci credi?”

“Continuo a pensare che mi rallenterebbe. Calibrare, prendere la mira. Un calcio in bocca e la storia è finita.”

Le prese l'arco dalle mani.

“Facciamo così.” Clint recuperò tre frecce in contemporanea. Lei si limitò a guardarlo perplessa.

“Corri verso il bersaglio. Prima che tu possa raggiungerlo e strapparlo letteralmente dalla parete, io avrò fatto centro tre volte.”

“Il bersaglio sta fermo, è facile così.”

Clint pigiò un tasto dalla pulsantiera accanto al pannello di comando della struttura.

Il bersaglio cominciò a muoversi a destra e a sinistra.

“Meglio?”

Natasha si strinse nelle spalle.

“Al tre?”

“Al tre.”

“Uno... due... tre!

Natasha scattò verso il bersaglio.

Clint incoccò le tre frecce in contemporanea. Inspirò, espirò, irrigidì la schiena, allineò le braccia.

Tic. Tac. Tic. Tac.

Tic.

Swish.

Toc.

Triplo centro.

Natasha afferrava il bersaglio mobile l'attimo successivo.

“Dai!”

La sentì dire.

“Centro?”

“Esibizionista. E con questo cosa volevi dimostrare?”

“Niente, che tu hai il fiatone... ed io no.”

“Non ho il fiatone.” negò riavvicinandolo con il bersaglio strappato, fra le mani. Le frecce ancora agganciate al pannello sulla parete.

“Le tue tette mi dicono il contrario.”

“Cos... ?”

Il pugno nello stomaco se lo era meritato.

 

*

 

Le esaminò tutte, una per una. Con una precisione e concentrazione tale che Coulson per un attimo ebbe l'idea di uscire a prendersi un caffè.

“Sei sicuro che il direttore Fury abbia fatto ordinare per me tutti questi prototipi?” domandò Clint, portando ad altezza di sguardo una freccia a forma di ampolla.

“Chi altri usa arco e frecce allo SHIELD?”

“Già bè... magari un fanatico.”

“Tu sei un fanatico.”

“Io sono un praticante, è diverso. Tu... sei un fanatico.”

“Scusa?”

“Oh, la freccia boomerang!”

“Barton!”

Clint ne prese un'altra, ignorando l'indignazione del collega.

“Ringrazia il direttore Fury da parte mia.”

“Già fatto.”

“E ricordami di ringraziare te più tardi. Cena e partita di baseball o serata romantica?”

“Scusa?”

“Un arsenale di frecce. Giusto il giorno del mio compleanno. Andiamo... Fury non ha nemmeno il tempo di andare al cesso, figuriamoci ricordarsi e assecondare le mie richieste.”

Coulson non rispose e sistemò una freccia andata fuori parallelo con le altre, sapientemente sistemate in fila sul tavolo del suo ufficio.

“Se mi prometti che non ci proverai subito dopo la cena... scelgo la prima opzione.”

“Sarò un cavaliere.”

“Bene. Però non sono un fanatico.”

“Eccome se lo sei!”

“Barton!”

“Dai! Una freccia sonica!”

 

*

 

 

Caro Clint,

ma si iniziano ancora così le lettere? Sono anni che non scrivo una lettera. O forse non ne ho mai scritte. Pensavo si potesse sposare bene con il fatto che il pacchetto che troverai in allegato è vintage al pari dei mezzi utilizzati per farti arrivare la missiva.

Insomma, tutto questo è solo per farmi perdonare il fatto che non potrò essere lì per il tuo compleanno. Lavoro... sai. Certo che lo sai.

Non sono nemmeno sicuro sarai a casa quando verranno a portarti il mio regalo.

Nessun salamelecco.

Buon Compleanno.

 

Barney Barton

 

 

Erano almeno cinque minuti buoni che Clint si rigirava fra le mani il suo vecchio arco. Il suo primo arco. Un arco che lo riportava indietro di anni, a vecchie, agrodolci memorie adolescenziali. Quello che usava per gli allenamenti, consunto sull’impugnatura, che aveva abbandonato per quello nuovo, scintillante, il giorno in cui aveva preso ad esibirsi. Non sapeva nemmeno che Barney se lo fosse portato dietro.

Era ancora in ottimo stato. Barney doveva essersene preso cura in modo maniacale.

Lucky osservava la scena perplesso, scodinzolando.

“Che dici, lo appendiamo in salotto? E' un cimelio storico, sai?”

Il cane abbaiò, al solito, una volta sola.

“Già. Lo penso anche io. Barney non sbaglia un colpo.”

Clint recuperò martello e chiodi.

Proprio sopra il divano.

Faceva la sua porca figura.

 

*

 

Inspiro, espiro. Irrigidisco la schiena, allineo le braccia, prendo la mira, rilasso la mano.

Swisssh.

Toc.

Centro.

 

___

 

N.d.A: Lossò. Arco e frecce non sono persone. Però non potevo non dedicare un capitolo a ciò che più di ogni altra cosa caratterizza un arciere. Nello specifico il protagonista della storia.

Al solito, ringrazio sempre tutti coloro che si fermano a leggere questa storia. E a chi, ogni tanto, dedica un po’ del suo tempo per lasciarmi una recensione. Che, insomma, fa sempre piacere, soprattutto per sapere che ne pensate di questi miei… sproloqui…

E poi sempre grazie alla beta (sì, sempre tu) che con il suo entusiasmo e i suoi consigli mi da una gran spinta a continuare a scrivere, anche quando l’ispirazione fa brutti scherzi. Perché ultimamente ne ha fatti parecchi… ma sono già al ventesimo capitolo, per cui per un po’ avrò ancora di che condividere. Quindi grazie Sere! *pugni sul cuore* I heart you.

E a tutti gli altri: alla prossima.

  
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