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Autore: Notalovestory    22/05/2014    0 recensioni
Non si accorse dei passi leggeri di qualcun'altro avvicinarglisi da dietro.
Non si accorse di quando quel qualcuno compì un elegante giro dietro a lui, per poi arrivargli alle spalle.
Non sentì il freddo quando una bocca congelata gli si poggiò sensualmente sul collo.
Non sentì mai nulla, tranne il dolore che gli provocò la sua discesa negli Inferi.
Genere: Sovrannaturale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Quello è l'unico Sole che tu vedrai in avvenire,
ma un millennio di notti sarà tuo per vedere la luce come nessun mortale l'ha mai vista,
per rapirla dalle stelle lontane come se fossi Prometeo,
un'illuminazione senza fine dalla quale comprendere tutte le cose.
"
 

Le sue lunghe ciglia tremarono, mentre prendeva lentamente possesso delle sue facoltà motorie. 
Sentiva il calore del sole abbattersi sul suo viso, e sulle palpebre socchiuse. Quando le spalancò, un'ondata di luce la travolse, facendola sentire strana, puntò i palmi delle mani a terra e indietreggiò, fino a sentire la superficie dura di qualcosa, contro la schiena. Si raddrizzò. Ora che il sole non le batteva più sugli occhi verdi,  la ragazza si sentì subito meglio. 
Si guardò intorno. Era appoggiata ad un albero, le mani che aveva appoggiato a terra erano sporche. Si diede un'occhiata veloce ai vestiti. Il lungo pullover grigio aveva uno squarcio lungo tutta la manica, e le lasciava scoperto il braccio. Le calze scure erano completamente strappate e sfibrate, gli ugg neri ai piedi, fradici. Intorno a lei si estendeva quella che doveva essere una foresta e, qualche metro più in là, a giudicare dai rumori, doveva esserci una strada. Puntò di nuovo una delle mani esili a terra, e un'altra sul tronco sbeccato di un abete, per farsi da perno e mettersi in piedi. Quando si alzò barcollò appena, sentendosi mancare. Fu lì che percepì lo strano pizzicore poco più in alto della base del collo, si sfiorò la ferita con l'indice e il medio, ritraendoli immediatamente. Ma che diavolo...
Il collo aveva un leggero rigonfiamento sul punto che aveva sfiorato con la punta dell'idice, e le faceva male. Come se avesse sbattuto da qualche parte e le fosse venuto un grosso livido. Ma, a quanto ricordava lei, non aveva mai sbattuto alla base del collo. E, solitamente, la gente non aveva lividi lì.
Improvvisamente, spalancò gli occhi e si perquisì il busto, alla ricerca di qualcosa. Il suo telefono. 
Un doloroso flash le attraversò la mente, che, in quel momento, stava lavorando febbrilmente per capire dove fosse e perché si trovasse lì.
Ricordò gli occhi della sua amica, gonfi, arrossati, le pupille ingrandite che quasi facevano scomparire l'iride, la sua voce più alta di qualche ottava, mentre le urlava contro che non poteva essere aiutata. Quando aveva tentato di tirarle una bottiglia spezzata. 
Si ricordò di essere uscita senza il suo cappotto, il freddo che le pungeva le guance e le mani nude. Il naso freddo, e la schiena percorsa da brividi. La rabbia che le montava dentro e la portava a calciare la lattina schiacciata al centro della strada. Una luce lampeggiante e una macchina che le sfrecciava accanto, quasi facendola cadere. Ricordava la musica altissima.
Il silenzio mortale che aveva seguito tutto ciò. Aveva velocizzato il passo, stringendosi nelle spalle, tentando di ripararsi dal freddo. L'improvviso eco di un ramo che si spezzava sotto il passo di qualcuno che non era lei. 
Si ricordò di aver corso, corso finché poteva. Fino a che una mano fredda le si era posata sul braccio. Era riuscita a sentire il freddo. L'altra mano dell'assalitore, era scesa alla vita e l'aveva tirata a sé. 
Ricordava di aver iniziato a tremare, e a pregare. Ricordava di aver sentito la stessa mano che le si era poggiata sul braccio che le spostava i capelli biondi dall'orecchio, e ricordava la frase, pronunciata come un sospiro, dalla voce suadente del ragazzo.
«Non sentirai nulla...» 
Cadde in ginocchio e portò la mano sopra al collo. Le punte delle dita erano sporche di sangue. Si alzò e andò verso la strada. 


«Un corpo è stato trovato nella riserva forestale di Seattle, fonti affermano che sia la ragazza scomparsa da più di due mesi...» Rachel Styles, con il cuore in gola e le lacrime agli occhi, spense con un sonoro click del telecomando il televisore. Era stata colpa sua, le aveva urlato contro, le aveva detto di andarsene, le aveva detto che non voleva più vederla. E tutto perché Grace, la sua migliore amica, le aveva offerto il proprio aiuto. Attaccato all'attaccapanni di legno c'era ancora il suo giaccone, intriso del suo profumo di vaniglia. Si alzò, bianca come un cencio, e salì lentamente le scale, fino ad arrivare in camera sua. Il ciondolo cavo a forma di cuore era appoggiato sopra ad un quaderno. Lo prese fra le dita lunghe e sottili e ci giocherellò per qualche secondo. 
Lo guardò a lungo. Un piccolo ago era infilato al centro, tanto per avere la certezza che rimanesse chiuso. L'argento brillava come una stella alla luce della luna, che quella sera era piena. Decise che era il momento.
Aprì il cuore, trattenendo una mano sotto, per impedire che cadesse qualcosa. Anche la polverina bianca sembrava brillare alla luce lunare. Rachel la guardò, come rapita.
«Mi dispiace, Grace... scusami»


«Allora bambolina, eccoti i tuoi orari» una donna che masticava un chewingum rosa fece scorrere un foglio caldo di stampa sulla superficie di legno liscio della segreteria. La ragazza lo accolse fra le mani, beandosi del piacevole calore che emanava al momento, anche se non sentendolo del tutto. La cinquantenne la fissò per qualche secondo.
«Ce la fai da sola? Hai bisogno di qualcuno che ti accompagni?» la ragazza sbuffò, irritata. No, non aveva bisogno d'aiuto.
«No, grazie» si voltò, sistemandosi gli occhiali scuri sul naso e si avviò verso il corridoio. Quasi completamente deserto a causa del suono della campanella, segno che le lezioni dovevano incominciare. Due ragazze che stavano probabilmente correndo verso la loro classe le andarono addosso. La guardarono per qualche secondo, mentre le giravano attorno per continuare per la loro strada. Quando aveva capito cosa era diventata, aveva capito che, per lei, a Seattle, non c'era più spazio. Ora era a Forks, nel suo nuovo liceo, a frequentare il suo quarto anno. Di certo non sarebbe stato come gli anni precedenti, quando era la ragazza più popolare della scuola. Ora era solo una diciassettenne sola a cercare di nascondere la sua vera natura. Si odiava, ora. Odiava se stessa, odiava quello che era diventata, e odiava chi l'aveva fatta diventare così. Ovviamente, i lati positivi erano molti. Pelle perfetta, vista nettamente migliore, come tutti gli altri sensi, perfettamente sviluppati, camminata aggraziata, riflessi di un gatto. Di lati negativi ce n'erano due, ed erano la cosa peggiore. Grace non sapeva di cosa nutrirsi. Certo, era ormai risaputo in tutto il mondo che il cibo favorito dalle creature come lei era il sangue. Il problema era che serie televisive e libri fantasy non avevano mai accennato a come procurarselo, nella vita reale, senza dover far male a nessuno. 
Quello che Grace mangiava, in quei giorni, era solamente carne praticamente cruda, al sangue. Ma l'adrenalina che le iniettava nel corpo spariva dopo qualche ora, infatti era sicura di avere quelle disgustose vene scure in rilievo attorno agli occhi di colore rosso acceso. 
Mentre camminava il mobile in vetro accanto al muro attirò la sua attenzione. Si bloccò, e lo guardò da dietro gli spessi occhiali da sole neri come la pece. Foto di cheerleaders. Un gruppo di cheerleaders. Sorrise impercettibilmente. 
Era da quando era bambina che amava guardare le ragazze più grandi che si allenavano a fare la piramide nei telefilm in tv, e dai dieci anni in poi anche lei aveva iniziato a far parte di un gruppo. Anche nel suo ex liceo, essere capo-cheerleader era dura, ed era consapevole del fatto che alla maggiorparte delle ragazze presenti in quella squadra non avevano perso tempo a rimpiangerla perché sapeva, anche meglio di loro, che non vedevano l'ora di toglierla di mezzo. 
«Ah, la squadra delle cheerleader» qualcuno sospirò vicino a lei, facendola sobbalzare mettendo una mano sul cuore, che, però, non batteva. Sospirò, ma non si voltò dalla parte da cui proveniva la voce, come incantata dalle divise bianche e rosse che le ragazze indossano nelle diverse foto. Guardò di lato con la coda dell'occhio per un secondo, era un ragazzo, qualche centimetro più alto di lei, con un alta cresta di capelli corvini. Gli occhi erano di un marrone brillante che, illuminato dalle basse luci a neon, sembravano fatti di oro liquido e scuro. Dentro avevano delle piccole sfumature più chiare, e più scure. La pelle era perfetta, neanche un punto nero, o accenni di acne che, solitamente, agli adolescenti maschi sui diciassette o diciotto anni facevano capolino sul viso. E Grace non lo sapeva solo perché stava facendo supposizioni, ma perché la sua vista le permetteva di vedere tutto mille volte meglio. Si voltò di nuovo, e si ricordò solo dopo qualche secondo che il ragazzo aveva parlato, prima di comparirle vicino. 
«Scusa, come hai detto?» quando fece scivolare via lo sguardo dalla vetrina e dalle foto, e si voltò verso di lui notò con grande stupore che era sola. Lui se ne era andato come era venuto, e lei non se ne era accorta, di nuovo.

«E allora... un, due, tre, quattro! Mary-Kate, ti sei svegliata stamattina o hai intenzione di dormire ai piedi della piramide quando dovremo esibirci alla partita?» Rayne Whitley pestò il piede destro a terra, scocciata. Quella mattina nessuna delle ragazze le prestava attenzione, sembravano tutte addormentate. 
Lasciò perdere la squadra, lanciando i pon-pon rossi e bianchi a terra, e aguzzò l'udito. Sentiva dei passi, provenire dal corridoio, era sicura di dirigessero verso la palestra. Dopo pochi secondi si rese conto di aver fatto i conti esatti. Una ragazza, non particolarmente alta, ma con un bel fisico slanciato con degli occhiali da sole sugli occhi aveva attraversato la porta e ora si guardava intorno.
Sentì uno strano odore nell'aria, non cattivo, ma particolarmente piacevole, e non riuscì a non alzare appena gli angoli della bocca carnosa, quel giorno tinta di viola. Una vampira. Ed era giovane, trasformata da poco.
Solo i vampiri giovani avevano quello strano odore dolce, simile a zucchero. E solo loro simili, o altre creature sovrannaturali, erano capaci di sentirlo. Rayne mosse qualche passo avanti, continuando a sorridere. Era una sciocca, quella ragazza, si vedeva lontano un miglio che non mangiava qualcosa degno di essere chiamato cibo da un po'. Ma non poteva darle torto per gli occhiali. Bella trovata. Ora la ragazza la stava guardando, ma non aveva ancora capito. Rayne cercò di non farsi sfuggire una risatina. Non ci riuscivano mai, i vampiri giovani, a capire chi fosse cosa. Imparavano a farlo dopo mesi, o addirittura anni.
«Ciao» la sua voce risuonò, dolce, per la palestra. 
«Ciao - rispose Rayne, mentre il resto del gruppo abbandonava gli esercizi e fissava il proprio sguardo sulla ragazza che ora stava avanzando verso di loro - Posso esserti utile?»
La bionda guardò in giro, e le ragazze alle spalle di Rayne, e sorrise «Capo cheerleader?»
«Capo cheerleader» confermò l'ispanica, poi un'idea le balenò in mente. Decise di vedere di che pasta era fatta la ragazza, sorrise in segno di sfida e ripetè la domanda che le aveva formulato qualche minuto prima.
«Come posso esserti utile?»


Liam arrivò in mensa tutto trafelato, la solita massa di capelli castano chiaro era leggermente scompigliata. Scostò le ciocche che gli erano scivolate sulla fronte, e le rimise a posto. Sbuffò, notando la notevole fila che si era formata. 
Quel giorno non sarebbe di sicuro riuscito a prendere il burrito vegetariano, come al solito. Picchiettò la punta della converse bianca a terra, mentre infilava le mani nelle tasche dei soliti jeans scuri. La solita giacca marrone sopra la solita maglietta a maniche corte bianca. 
La vita di Liam Payne era di una tale monotonia. Come lo era anche Mystic Falls, d'altronde, la pioggia era compagna d'avventure, da quelle parti e i pallidi e smorti colori della scuola non aiutavano a dare quel tocco d'allegria che la vita di ogni alunno necessitava. Scosse la testa, lasciando che qualche riccio gli scivolasse in avanti. La fila stava scorrendo, e abbastanza velocemente. Mentre faceva un passo avanti, uno strane odore, che somigliava allo zucchero bruciato lo fece distrarre da qualsiasi cose stesse pensando in quel momento.
Capì da dove proveniva. Una ragazza, più bassa di qualche centimetro di Candice Morgan, alta un metro e settanta cinque, che le camminava accanto e parlava. Era bionda, gli occhi erano coperti da un paio di spessi occhiali scuri. Aveva una carnagione molto chiara, non pallida, ma sembrava una... bambola. Si, sembrava fatta di porcellana. Aveva mani fine, piccole, dai movimenti aggraziati. Le unghie erano laccate di rosso scuro. Indossava un paio di collant, neri, ballerine marroni con delle borchie, e un maglioncino bianco, con i polsini marroni. I capelli erano sciolti e le arrivavano fino alla vita, acconciati in delicati boccoli color miele. Anche se non poteva vederle gli occhi, pensò che fosse bellissima. 
Solo quando le rozze mani della donna della mensa gli si abbatterono davanti al viso, l'immagine di quella ragazza sparì dalla sua mente. Le disse quello che voleva, benché non fosse rimasto granché, prese il suo vassoio e si avviò ai tavoli. Da una parte, vicino alla colonna vide Zayn Malik, il suo migliore amico, che agitava l'avambraccio tatuato per attirare la sua attenzione. Mentre camminava verso di lui, qualcuno si scontrò contro il suo petto. Di nuovo, quel profumo di zucchero bruciato. Abbassò lo sguardo. 
La testa della ragazza bionda era andata a cozzare contro la sua clavicola, lei aveva sorriso appena e aveva abbassato la testa, lasciandolo passare. Notò appena Candice, scuotere la testa scocciata, che gli faceva un cenno di scuse.
«Grace! Vuoi stare attenta?» Liam riuscì ad udire la sua voce squillante, mentre correva alle calcagne dell'amica.
Grace...

«Hey, Terra chiama Liam - Zayn si spostò dalla panca al tavolo con un gesto abile e schioccò le dita davanti al viso del mezzo riccio - Ci sei?»
Liam annuì distrattamente, mentre sorseggiava in modo pensieroso la sua Pepsi. L'insalata mista era ancora intatta, mentre la mela era in un lato del vassoio, morsa una sola volta. Non era la prima volta che Liam si comportava in modo strano. Lo aveva visto comportarsi in modo strano, in svariate situazioni. Zayn guardò l'amico che annuì di nuovo, come se non stesse veramente ascoltando.
«Senti, amico...» Cominciò Zayn. Ma Liam si alzò, spostando la sedia. Aveva le sopracciglia corrugate, un'espressione che, se in un altro contesto, lo avrebbe fatto ridere. Ma ora sapeva che stava pensando a qualcosa, e voleva sapere a cosa.
«Vado a prendere dei tovaglioli» disse, prima di andarsene e lasciarlo solo al tavolo, le gambe stese in avanti. Tovaglioli?, pensò Zayn, sul serio? 
Un gruppo di ragazze lo distraette passandogli vicino, fece loro un occhiolino e le sentì ridacchiare lusingate mentre se ne andavano. Secondo Zayn, era sempre bello fare quell'effetto alle ragazze.
Uno strano profumo di zucchero gli pervase le narici. Di nuovo quell'odore. Capì. Si guardò intorno, per capire da dove provenisse. La ragazza bionda che aveva visto poche ore prima, davanti alla vetrina dei premi, seduta al tavolo delle cheerleaders, che sorrideva divertita, con i soliti occhiali da sole sugli occhi. Coraggiosa, pensò, non è da tutti presentarsi in una scuola pubblica, piena di umani e carne, e sangue fresco.
Una piccola vampira appena trasformata accerchiata da ragazze con vene pulsanti, e gli occhiali da sole per coprire gli occhi sicuramente rossi.
Zayn si leccò le labbra, leggermente secche. Scoccò di nuovo uno sguardo al tavolo delle cheerleaders. Sorrise.
«Beccata»

Rayne aveva detto a Grace di pranzare al tavolo con loro, visto che non conosceva nessuno, a scuola, ma non le aveva ancora permesso un provino. Voleva vedere come si sarebbe comportata, voleva provocarla e vedere la sua reazione. Voleva conoscere com'era davvero la piccola vampira Grace Bennett, e sarebbe successo di lì a poco. Schioccò le dita esili e le lanciò una uniforme della sua taglia fra le braccia.
«Provala. Poi torna qui e facci vedere cosa sai fare»
Quando Grace fece di nuovo il suo ingresso con indosso l'uniforme vide Rayne appollaiata sulle ringhiere della platea.
«Allora? Iniziamo?» Grace cercò di ricordare tutte le coreografie che aveva provato con le altre, quando era capo cheerleaders dei Lions. Non si sentiva stanca, poteva ballare ed allenarsi senza versare una goccia di sudore. Non si era tolta gli occhiali. Ballò per quasi un'ora, sotto lo sguardo con un guizzo divertito nell'espressione impassibile della capo cheerleaders. Rayne la guardò per altri cinque minuti poi saltò giù dagli spalti, atterrando aggraziatamente come un gatto, e si avvicinò a Grace. Le sorrise, poggiandole una mano sulla spalla.
«Ci penseremo su, vero ragazze? - le altre annuirono prontamente, Rayne infine voltò la testa vesto la ragazza bionda che era vicino a lei, dopo averle rivolto uno strano cenno con la testa - Candice?»
«Sicuro» Candice sorrise a Grace, e lei annuì a tutte.
«Vado a farmi una doccia» concluse poi, avviandosi verso gli spogliatoi.

Anche se non era mai stata una fan delle docce pubbliche, l'acqua fredda le aveva disteso i nervi tesi, e sentire il profumo di vaniglia dei capelli appena lavati era sempre piacevole. Dopo essersi rivestita, si piegò sulla panchina a sistemare il borsone. Un colpo di tosse la fece voltare, e gli occhiali che aveva poggiati sulla fronte le cadettero sugli occhi, per sua fortuna. Candice e Rayne erano appoggiate agli armadietti. La prima le stava sorridendo, mentre Rayne si stava ammirando cautamente le unghie curate.
«Allora, mia cara quattrocchi, ti piace la scuola?» chiese Candice, sorridendo, e arricciandosi una ciocca di capelli chiari al dito. Rayne sbuffò teatralmente, e alzò gli occhi al cielo, poi guardò Grace sorridendo.
«Senti bimba, non penso di volere incompetenti nella mia squadra» Grace spalancò gli occhi, sorpresa. Rayne le era sembrata così gentile.
«Come scusa?»
«Oh, oltre ad essere cieca sei anche sorda? Che brutta vita» il sorriso di Rayne ora era terribilmente meschino. La risatina sarcastica di Grace risuonò più simile ad un basso ringhio.
«Non ti scaldare, bambolina»
«Non... non provocarmi, d'accordo?» Grace sentiva gli occhi bruciare, e le gengive le facevano male. I canini stavano per spuntare fuori. Sospirò e agguantò lo zaino, ma, quando fece per andare verso la porta Candice le sbarrò la strada, sempre sorridendole. 
«Non vai da nessuna parte» disse, passandosi la lingua sugli incisivi. 
«Che c'è, vuoi scappare?» continuò Rayne.
«Lasciatemi passare - ripetè Grace, piazzandosi davanti a loro. Sorrise loro, molto sarcasticamente - per favore» 
Rayne le diede una spinta leggera ed iniziò a ridere. Questo le ricordò la serata a casa di Rachel, e si accorse che i canini erano già spuntati quando le punsero il labbro inferiore. Si ritrovò a ringhiare contro di loro, e alzò gli occhiali sulla testa, liberando le iridi rosse dalla loro prigionia.
«Oh, bambina, ti sembra questo il modo di presentarsi agli adulti?» Rayne e Candice le stavano sorridendo con due bei canini appuntiti che sfioravano le loro labbra tinte rispettivamente di viola e rosa. Rayne rise ancora, e la prese sotto braccio.
«Andiamo, principessa, hai ancora molte cose da imparare»
Principessa, principessa... principessa.
  
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