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Autore: Miss Y    22/05/2014    4 recensioni
Si accese una sigaretta e sollevò lo sguardo. «E’ così,» proseguì, «non posso fare nulla per cambiarlo. Non ho radici, non ho una famiglia. Sono un’estranea. Con il soldi del completo che indossa ora,» indicò l’abbigliamento dello psichiatra con un cenno della testa associato ad un movimento delle dita con cui teneva la sigaretta, «sarei più ricca di quanto non lo sia mai stata in vita mia. E poi probabilmente spenderei ogni centesimo in birra e libri usati.» la sua risata era rauca, amara. «Ho vissuto un migliaio di vite senza mai veramente vivere la mia. Sono stanca di tutto questo.» lasciò che il silenzio s’insinuasse nel vuoto che lasciarono le sue parole. Tirò su con il naso ed abbassò gli occhi per nascondere l’ombra che le scuriva lo sguardo. Lui non rispose, e dopo qualche secondo di pausa lei sorrise meccanicamente. «Le ho già chiesto se vuole una birra?»
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hannibal Lecter, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La pioggia si abbatteva su Baltimora come un triste funerale. Lunghe ombre drappeggiavano i palazzi del centro storico, una sfilata di mute facciate lacrimose. I vicoli, attorcigliati come viscere intorno al centro, erano deserti.
Le stelle di una notte calata troppo presto  riverberavano di luce bianca sull’asfalto fradicio.

Le finestre dello studio psichiatrico del dottor Hannibal Lecter piangevano acqua da diverse ore quando il dottore abbassò lo sguardo sull’orologio da polso un attimo prima di alzarsi dalla scrivania e tagliare la stanza in direzione della porta.
Con la tranquillità di chi non è aspettato a casa per cena prese il cappotto dall’appendiabiti e lo indossò mentre usciva.

Si fermò appena davanti all’uscio ad incrociare lo sguardo di una ragazza seduta nella sala d’attesa.
Vestita di scuro, quasi si confondeva con le ombre che danzavano sulle pareti al ritmo della pioggia scrosciante. I suoi occhi baluginarono per un istante quando sollevò lo sguardo su di lui. Il cappuccio della felpa le nascondeva metà viso, il tessuto era fradicio. Si alzò rapidamente, spostando lo zaino nero dalle proprie ginocchia alla sedia accanto a sé—lo psichiatra seguì con lo sguardo il movimento—e gli si avvicinò di qualche passo, cauta e sinuosa come un felino notturno.

«Lei è il dottor Lecter,  vero?» domandò a mezza voce. Il forte accento britannico sporcava la rotondità delle consonanti e accentuava la durezza delle vocali.
«Ci conosciamo?» fu la risposta secca. La sua inflessione germanica, pur adattata alla cadenza locale, si mescolò al suono della voce di lei, non ancora del tutto estinto dal silenzio.
Il roboare di un tuono ruppe l’ombrosa quiete scandita dal ticchettare melodico della pioggia sui vetri.
«Non ancora. Mi chiamo Sarah… Weber. Mi hanno dato il suo nome per un consulto.» la ragazza tirò su con il naso, senza staccare gli occhi da lui. Gli anfibi che aveva ai piedi erano ancora fradici di pioggia, non doveva aver aspettato molto.

Lui la studiò per un breve istante, aspettandosi che lei distogliesse lo sguardo.
Al contrario la ragazza continuò ad osservarlo, incurante di ciò che il buonsenso e l’educazione avrebbero dovuto suggerirle.
Era molto giovane. Poteva avere una ventina d’anni, al massimo qualcuno di più—il trucco nero intorno agli occhi la invecchiava di molto, facendola sembrare una venticinquenne.

«E’ piuttosto tardi per un consulto,» disse infine, calibrando le parole, «ti suggerirei di tornare la prossima settimana. Preferirei se fissassi un appuntamento.»
Passò lo sguardo su di lei per sondare la sua reazione, e gli sembrò contrariata, ma non gli si avvicinò.
«Buona serata, Sarah.» le passò accanto, e chiuse gli occhi accennando un sorriso quando la mano calda della ragazza gli toccò il braccio attraverso il cappotto in quella che a lei sembrò una dimostrazione istintiva di sorpresa, quando invece era infastidita incredulità.

«Non avrei pagato trenta dollari di taxi se non fosse stato dannatamente urgente. Non ho tempo fino alla prossima settimana.» Lui si volse lentamente e le rivolse uno sguardo freddo.
«Ti chiedo di non insistere. Non ricevo pazienti oltre l’orario.»
Per la seconda volta fece per andarsene. La ragazza attese un breve istante, poi sospirò di frustrazione.
«La prego.» una venatura di orgoglio ferito le sporcò la voce nel pronunciare la supplica. «Ho bisogno di un certificato d’idoneità per l’affidamento di un minore, devo presentarlo agli assistenti sociali entro domani. Non so a chi altro rivolgermi. Non ci vorrà che qualche minuto, le garantisco che sono idonea. Non troverà nessuno più idoneo di me. La prego.»

Lui la osservò per un altro paio di secondi, e lei incrociò le braccia al petto.

Infine, espirando a fondo, lo psichiatra si sbottonò il cappotto e le indicò la porta dello studio con un cenno del braccio.
«Entra.»
Lei gli rivolse un sorriso entusiasta, scoprendo una fila perfettamente dritta di denti bianchi.
Per essere una ragazza di strada, osservò lo psichiatra tra sé e sé mentre cercava di ignorare la puzza di marijuana e tabacco che la circondava come una nube, sembrava piuttosto curata.
Lo anticipò all’interno dello studio a passo rapido, prendendo lo zaino dalla sedia e guardandosi intorno affascinata, sollevando la testa per ammirare il soppalco e le pareti coperte di libri.
Lui la seguì lentamente, chiudendosi la porta alle spalle. Appese il cappotto dove l’aveva preso appena pochi minuti prima ed accese le luci.
Fu solo quando la ragazza fu arrivata al centro della stanza che, senza smettere di guardarsi intorno affascinata, lasciò lo zaino a terra con un leggero tonfo e si scoprì la testa dal cappuccio umido—ora che i colori erano ben definiti dalla luce artificiale il verde scuro della felpa svettava contro il bianco del suo incarnato, il nero della giacca di pelle e il castano dei capelli, voluminosi e lisci sulle spalle.

«Niente male, doc» commentò imitando involontariamente un pessimo accento americano.
Lo psichiatra dissimulò la propria irritazione alla scortesia del nomignolo camminando verso la scrivania e aprendo uno dei cassetti per fingere di estrarre dei documenti. Il bisturi con cui faceva la punta alle matite da disegno era nel primo cassetto, subito sotto un plico di fogli bianchi. Con la coda dell’occhio vide la ragazza lasciarsi cadere sorridendo su una delle due poltrone e accavallare le gambe, aggiustandosi i jeans neri sulle caviglie.

Lei, per contro, lo vide chinarsi sulla scrivania e quasi non fece caso allo sguardo sinistro che le rivolse prima di cercare i moduli. Un istante prima di chiudere il cassetto, lei lo vide fermarsi.

«Il minore di cui intendi chiedere la custodia è in qualche modo imparentato con te, Sarah?» chiese con voce atona, osservandola mentre giocherellava con uno dei braccioli della poltrona.
Lei sollevò lo sguardo e il suo sorriso si spense rapidamente mentre si metteva a sedere compostamente.
«E’ mio figlio.» disse laconicamente infine.
Passò un breve istante di silenzio prima che lo psichiatra chiudesse il cassetto in cui stava cercando e ne aprisse un secondo.
Estrasse i moduli e sedette dietro la scrivania, scegliendo una stilografica a caso. Fece per scrivere il nome in cima al documento, ma si fermò quando la vide alzarsi e venirgli incontro.
«”Sarah Weber” è il nome a cui devo intestare l’attestato?» chiese lui lentamente, alzando lo sguardo su di lei.
La ragazza si morse il labbro inferiore, interdetta. Parve rifletterci per qualche secondo, e la riluttanza con cui rispose ebbe un’inflessione aspra sul suo accento.
«No. Lo intesti a Siobhan* Cohen.»

Lui la studiò per qualche secondo prima di appoggiare la penna—senza aver scritto alcunché—e intrecciare le dita posando le mani unite sulla scrivania. Lei gli restituì lo sguardo.

«Credo che abbiamo molte cose di cui parlare, Siobhan. Mettiti seduta, ora, e comincia dall’inizio.»




*la pronuncia corretta del nome Siobhan, di origine irlandese, suona più o meno come Shivòn.

Vorrei fare soltanto una precisazione riguardo all'avvertimento di OOC: l'ho inserito perché non so quanto sarà difficile mantenere Hannibal IC nelle circostanze che ho in mente e quindi ho messo direttamente le mani avanti. I capitoli saranno probabilmente tutti piuttosto brevi, né la storia in sé si preannuncia particolarmente lunga. E', per così dire, un esperimento.

Grazie per l'attenzione!


 

 

  
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