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Autore: payneintegrale    24/05/2014    1 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la prima ff che pubblico qui, spero vi piaccia!
Non so esattamente cosa scrivere come descrizione, quindi boh... è una fan fiction stile dark, solo un pochino meno spinta.
Per qualunque cosa, scrivetemi :)
Buona lettura
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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'mi fa paura' Mancavano circa dieci minuti alla fine del mio turno di lavoro, non ne potevo più, ero stanca morta... quel giorno avevamo avuto più clienti del solito, e quindi la panetteria era stata dominata da un caotico via-vai per servirli tutti. Ormai i miei gesti erano diventati meccanici; prendi il pane che il cliente vuole, mettilo in una busta, pesalo, chiudi la busta, stampa lo scontrino, prendi i soldi, dai il resto e saluta. Se avessi continuato così, avrei presto cercato un nuovo lavoro, non ne potevo veramente più. Mi sembrava tutto così monotono, le stesse tonalità di colori ogni giorno ad ogni ora del giorno, lo stesso odore di pane che dopo un po' creava la nausea, la stessa farina caduta sul ripiano, lo stesso borbottare dei clienti ch ordinavano, e,spesso, gli stessi clienti. Mi domandavo come Mag riuscisse a mantenere il sorriso fino alla fine della giornata lavorativa, perché io proprio non ci riuscivo; arrivavo a casa stremata, mi lasciavo cadere sul divano, e lì restavo per i venti minuti seguenti, senza pensare a niente ma allo stesso tempo pensando a tutto, riposando e lavorando con la mente contemporaneamente. Avevo bisogno di un vacanza, o almeno di trovare qualcuno che in sua compagnia riuscisse a non farmi sentire così... avevo voglia di divertirmi, in fondo ero ancora giovane, perché non potevo concedermi questa libertà? Un'altra cosa di cui sentivo assolutamente il bisogno, era di andare a trovare mia madre. Spesso la sentivo per telefono, ma non è esattamente la stessa cosa che vederla davanti a me; io e lei non avevamo un ottimo rapporto, e da quando era morto mio padre ci eravmo allontanate più di quanto già non fossimo, ma in quel momento sentivo la necessità di vederla... A risvegliarmi dai miei pensieri fu il rumore delle monete lasciate sul banco, seguito poi dal suono dei tacchi che percorrevano il pavimento fino all'uscita, prima che un altro cliente mi indicasse ciò di cui aveva bisogno, e io allora, meccanicamente, eseguii i gesti che in quella giornata avevo fatto almeno altre trenta volte Come accadeva ogni giorno, sentii la campanella della porta suonare, ma sapevo che non era un cliente,no... da quando per la prima volta era entrato nella panetteria, ormai era un'abitudine che tornasse sempre gli ultimi dieci minuti prima che io andassi via. Alzai lo sguardo quel tanto che mi bastò per vedere le sue mani scuotere i ricci in modo attraente, e il suo suo volto assumere un aria sorridente ma, allo stesso tempo, di superiorità, e sentii le mie mani tremare leggermente. Cercai di non dare a vedere l'espressione che si era creata sul mio viso, ma era davvero difficile... "Giorno bellezza, come te la passi?" domandò spavaldamente lui, venendo dietro al banco, esattamente al mio fianco, e cominciando a fissarmi, mettendomi così in soggezione. "Se non avessi usato quel "bellezza" con quel tono, e la smettessi di fare così, bene" risposi continuando il mio lavoro. Non mi dava fastidio che mi venisse a trovare ogni sera da ormai sei giorni, è solo che il rapporto che si era costruito fra di noi era così: odio e amicizia, momenti in cui ci stuzzichiamo a vicenda e attimi in cui invece siamo gentili l'uno con l'altra, ma devo dire che mi piaceva questo fatto "Aggressiva la ragazza." Usava sempre un tono malizioso quando avevamo questo genere di conversazoni, e la cosa mi suonava strana, forse per il fatto che con nessuno avevo mai parlato così dopo appena sei giorni che ci conoscevamo. E così pure l'ultimo cliente uscì dalla panetteria, con la mano destra che teneva le buste di pane, e la sinistra che apriva il portone, lasciandomi dunque sola con Harry, il quale non perse attimo per afferrarmi delicatamente i polsi, costringendomi a voltarmi verso di lui. Nella stanza si sentivano solo i nostri cuori battere e i lievi respiri, ormai abbastanza vicini. Mi stava osservando da vicini, mi studiava con gli occhi, catturava ogni mio minimo movimento e ogni mia singola espressione, come se così riuscisse a capire cosa provavo grazie a quella poca distanza da lui, ma la verità era che non lo sapevo neanche io. "prendi la tua roba e andiamo" disse allontanandosi da me, appena un attimo prima che Mag uscisse dal bagno e vedesse chi era venuto a farci visita "Ohhhh ciao Harry!" disse con voce squillante, piena della sua solita energia Sapevo che Mag, ogni giorno, sperava che Harry, venendomi a trovare, si portasse dietro uno dei suoi amici sicuramente belli come lui. "Ciao Mag" rispose lui continuando a osservare me in tutti i miei movimenti "ti dispiace se ti porto via Jo?". Era ovvio che non avrebbe neanche ascoltato la risposta, era una domanda così, potremmo quasi definirla 'retorica', perché qualcunque fosse stata la frase pronunciata da Maggie in seguito, lui avrebbe fatto come gli pareva. "Fai con comodo, basta che fra mezzora sia a casa per cenare" rispose lei cominciando a mettere in ordine nello stanzino, e il riccio mi guidò frettoloso verso l'uscita. "Leva le mani dai miei fianchi!" lo ammonii appena fummo sul marciapiede, e lui rise. Cosa ci trovasse di divertente non lo so, ma era una cosa che faceva spesso, e che, in un certo senso, mi metteva allegria. "Ahhh mi scusi se ho osato toccarla senza chiederle il permesso, domando onorevolmente perdono sua maestà" Fece la voce diversa dalla solita, più ironica che mai, ma allo stesso tempo anche seria, e io sorrisi. Non avevo mai incontrato una persona che mi facesse sentire così, qualcuno che riuscisse a tirarmi su il morale anche dopo una giornata faticosa, qualcuno con cui dirsi la verità scherzando, qualcuno che speravo non se ne andasse mai.. Gli diedi una spinta scherzosa, costringendolo verso l'esterno del marciapiede, e lui mi fece la linguaccia. Cielo, quan'era bello quando era se stesso... Non so se erano i ricci spettinati o semplicemente le sue fossette ad attirare la mia attenzione; magari era tutto il contesto, chi lo sa, ma restava il fatto che quando lo guardavo sentivo qualcosa come smuoversi nel mio petto, un nodo alla gola, e la voglia di restare ad ammirarlo per il resto della mia vita "Ho visto, venendo a prenderti, una cosa alquanto interessante... ti piace lo zucchero filato?" Il modo in cui mi stava fissando negli occhi. Non aggiungo altro, se non che ero sicura di essere quasi morta. "Ti piace respirare?". Risposi alla sua domanda con un'altra domanda: lo so che è una cosa che non si dovrebbe fare, ma speravo almeno che capisse il senso. Mi guardò per qualche attimo con aria interrogativa, e fu questo a farmi capire quanto fossero sbagliate le mie speranze. "Riccio, sveglia, ci sei o ci fai?" affermai ridendo "io AMO lo zucchero filato. Era questo il senso della mia risposta", ma lui pareva ancora pensare alla mia frase di prima. Dopo un po' alzò le spalle, segno che non aveva ancora compreso ma si arrendeva, e continuò a camminare verso il parco. Era strano, dopo tante ore passate in panetteria fra farine di tutti i tipi, sentire il profumo della natura invadermi le narici; mi dava come un senso di libertà, ma allo stesso tempo mi faceva sentire schiava di quel profumo. Non ci volle molto perché vedessi il verde delle piante stagliarsi davanti a noi, fino a coprire il resto del paesaggio; niente più negozzi, niente più strade, né pedoni, ma solo cespugli e alberi che emanavano qualunque tipo di profumo. Mi sarebbe piaciuto, un giorno di quelli, tornare lì la sera in compagnia di una persona per me speciale, e trascorrere la notte in mezzo a quella varietà di vegetazione, al chiaro di luna, a rivelarci sotto il buio le cose più dolci.... perchè si, la notte in fondo è fatta per questo: è durante quelle ore che vengono rivelate le cose che muovono una persona, i sentimenti, ed è stempre in quello stesso tempo che anche la persona più rude si lascia cullare dalle frasi sdolcinate. Magari, una sera, sarebbe stato così anche per me, chi lo sa... Mi accorsi che Harry mi stava fissano in modo strano, e allora arrossii violentemente, raggiungendolo e continuando poi a seguirlo. Non ero mai stata una bravissima equilibrista, probabilmente anche a causa della mia statura molto esile e della mia scarsa altezza, ma di questo ebbi un'altra prova quando, camminando, persi lievemente l'equilibrio e mi scontrai con Harry: lui rimase piantato sui suoi piedi, mentre io per poco non caddi del tutto sull'erba. Mi afferrò con le mani sui fianchi, appena un attimo prima che io mi allontanassi troppo dalla sua portata finendo così a terra, e mi fermò a mezz'aria. La figura imponente si stagliava in tutta la sua altezza davanti a me, mentre due braccia possenti mi sostenevano. Gli angoli della labbra erano leggermente curvati verso l'alto in una smorfia divertita, e in quel momento probabilmente si sentiva di avere il totale controllo su di me, come in effetti era. Ma la cosa che più mi sorprendeva, era che solo adesso avevo notato quanto incredibilmente fosse realmente grande la differenza fra la sua forza e la mia. Se mai un giorno avessimo dovuto litigare, non mi restava che sperare che non diventasse violento, perché anche solo una spinta con un quarto dei suoi muscoli mi avrebbe gettata a terra. Perché, si sa, i tipi come lui son fatti così, e se qualcosa non gli va bene, andate voi a immaginare come potrebbero reagire. Pareva che, d'un tratto, avessi notato anche il lato pericoloso di questo rapporto che ormai si era creato fra noi due, ed era come se adesso fossi spaventata di questa cosa. Mi stava guardando negli occhi, cercando di capire cosa mi passasse per la mente, mentre io speravo con tutta me stessa che non ci riuscisse. Odiavo che gli altri sapessero i miei pensieri, erano una delle cose più private che avevo, sarebbe come se tutto il mondo leggesse il mio diario segreto; non mi piacerebbe a fatto, mi sentirei così debole, fragile.... così indifesa. Ritrassi lentamente il braccio dalla presa delle sue mani, e nel mentre che lo feci, notai pure la sua espressione cambiare, come se si stesse rattristando, probabilmente avendo intuito cosa stavo provando ora... La mia testa mi diceva di non proccuparmi, che non mi avrebbe mai fatto del male, e probabilmente aveva ragione, per cui cercai di ignorare quella sensazione di vuoto nel petto e borbottai un "grazie" poco credibile "A cosa pensavi?" mi domandò pur conoscendo già la risposta "A come ci siamo conosciuti" mentii io. Anche se non era una cosa che mi piaceva fare, ero brava a dire le bugie, pur essendo certa che non ci avrebbe mai creduto. Non mi pareva il tipo di persona che si lasciava raccontare balle, e sapevo che in quel momento era in lotta con se stesso per non costringermi a parlare; voleva la verità e la mia menzogna lo aveva fatto innervosire, lo notavo dal modo in cui serrava le labbra e i suoi pugni erano chiusi, ma si obbligava a non dirmi niente, e a farmi sapere quello erano i suoi occhi, ora di una tonalità diversa dal solito, come se fossero più cupi, che adesso erano capaci di mostrare la stranezza del suo carattere e la rudezza che era probabilmente abituato a usare quando si alterava. Era come se potessi sentire la sua forza compressa dalla mente, il desiderio di scoppiare faticosamente placato dal cervello.Se un giorno avessi fatto qualcosa di veramente grave, non osavo immaginare come quella violenza si sarebbe sprigionata. Fece un respiro profondo, recuperando un po' di calma, e poi riprese a camminare, cercando di far finta di niente, ma dentro di sé sapeva che non ero stupida, e che avevo capito di averlo fatto arrabbiare. Chissà quante altre persone prima di me, vedendolo, avevano pensato a ciò, e mi dissi che ero stata stupida a notarlo solo ora, perché alla fine era una cosa evidente, bastava osservare i suoi continui sbalzi di umore, il modo in cui passava dallo scherzare all'essere cupo... Adesso che avevo visto quanto poco bastasse per farlo infastidire, ero certa che d'ora in poi sarei stata attenta. Un conto erano i momenti in cui ci stuzzicavamo a vicenda, un altro erano gli attimi come questo, in cui, in totale serietà, mentivo e lo facevo arrabbiare. Era misterioso, sospettoso, diffidente... in un certo senso queste cose mi attraevano, ma contemporaneamente mi spaventavano. Provai a dire qualcosa, ma l'unico suono che uscì dalle mie labbra fu un sospiro imbarazzato. Pessima, ecco cosa ero. Non ne combinavo una giusta.
  
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