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Autore: Koa__    26/05/2014    3 recensioni
La relazione tra Spock e il capitano Kirk visto in tre fasi cruciali del loro rapporto: amici, fratelli, amanti.
[TOS]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Allora, come promesso ritorno con la “versione di Spock”. Ci ho messo un po’ per scriverla, perché come avevo accennato volevo aver finito con alcune cose che mi tenevano la mente impegnata. Sarà anche questa composta da tre oneshot brevi. I titoli dei singoli capitoli sono identici, ma in vulcaniano. T’hai’la: amico. Sa-kai: fretello. E Sh'at ashau: quest’ultimo è un’interpretazione perché il concetto di amante non esiste propriamente in lingua vulcaniana. Esiste l’idea di sposo e di amore, ma non di amante. Pertanto per tradurre qualcosa che fosse simile ho dovuto ingegnarmi, quello che ne è uscito è “suo amato” penso sia ciò che più gli si avvicina. Se si va a vedere infatti il concetto più simile è t’hy’la, ma lo volevo evitare specie perché l’associazione t’hy’la/amante è più fanon che canon.

Infine una nota sullo stile, da un punto di vista di costruzione narrativa, di schema sintattico e linguaggio, questa versione è diversa dalla precedente (specie nelle prossime due shot). È una questione di visione e di come li interpreto e se, in quanto umano, Jim me lo immagino più prolisso e lirico in termini di pensieri, Spock non riesco a non vedermelo come asciutto e asettico. Quindi troverete più paratassi, più frasi brevi e concise, più concetti espressi in maniera distaccata. È vero che Spock è per metà umano, ma io credo che la logica sia innanzitutto controllo e questo prevalga su ogni aspetto del suo modo di fare o pensare. Quindi, detto questo, quella che vedrete è una mia interpretazione, vi sconsiglio di leggere se non condividete. Questo vale per tutte le mie storie e non solo per questa, in fondo la mia visione è mia, ma è punto di vista. E io non voglio offendere nessuno. Se sto mettendo vigliaccamente le mani avanti? Certo che lo sto facendo, ma si sa che difetto grandemente e che pecco sapendo di peccare.
Koa

 


 
 

 
T’hai’la



Al giovane tenente Spock non capita spesso di venir convocato da un superiore al centro di comando, tuttavia da che l’Enterprise staziona nel bacino di carenaggio in attesa della nomina del nuovo capitano, sembra non fare altro se non entrare ed uscire da uffici amministrativi. Il primo colloquio lo ha avuto con l’ammiraglio Norrington, già una settimana fa. Prevedibile, si è detto appena ha ricevuto la convocazione, dato che l’ammiraglio è responsabile degli assegnamenti del personale. Spock ha avuto immediatamente ben chiaro che cosa volesse da lui e non si è stupito affatto, dopo che questi gli ha mostrato l’elenco dei capitani che lo hanno richiesto. Chi come ufficiale scientifico e chi, addirittura, come secondo in comando.
«Lei è fortemente desiderato, tenente» gli ha detto, con sul volto quello che Spock ha interpretato come un sorriso. Illogico. Ha pensato, provando a capire che cosa quell’umano trovasse di buffo. Molti degli incarichi offertigli sono interessanti e taluni addirittura degni di nota (come quella cattedra in Accademia) però no, non ci trova niente di divertente. E mentre cammina lungo il corridoio che lo porta nell’ufficio del capitano Kirk, che lo ha chiamato pretendendo di parlargli di persona, Spock non riesce a non pensare a quanto strani siano questi terrestri. Naturalmente è abituato ad averci a che fare, oltre al fatto che sua madre è umana, ha vissuto per anni sull’Enterprise. Ciononostante, ancora deve fare l’abitudine alla loro illogicità. Al loro essere emotivi in ogni cosa facciano e alla tendenza, perenne, a non seguire mai la via della ragione. Spock si è detto che se dovesse tornare su di una nave spaziale, di certo sarebbe sotto il comando di un ufficiale rigoroso e logico come lo era stato Christopher Pike. Sarebbe la scelta più ovvia per un vulcaniano. Per questo sta vagliando le offerte che gli arrivano e lo sta facendo attentamente, non ha intenzione di commettere errori di valutazione.


Non ha però ancora ben chiaro quanto un terrestre possa lasciarlo allibito, almeno fino a che non incontra quel Kirk. James Tiberius Kirk per la precisione, detto Jim. Spock lo conosce, anche se più che altro di fama, ha sentito molto parlare di lui. Terrestre. Da poco ha passato i trent’anni, ma ha già una lunga carriera alle spalle. Nonostante sia nato negli Stati Uniti, sulla Terra, ha vissuto tutta la vita nello spazio ed infatti l’arruolamento in Accademia è avvenuto molto giovane quando, di ritorno da Taurus, Kirk ha deciso per la Flotta Stellare. Possiede un rullino di servizio notevole, di certo avrebbe sì meritato il comando di una nave stellare come l’Enterprise, ma Spock lo ritiene tutto sommato troppo giovane e con poca esperienza di comando alle spalle. Tuttavia non è la sua prematura età ad impensierirlo, quanto alcuni dati che ha raccolto. Kirk è stato il primo (ed unico) ad aver superarto il test della Kobayashi Maru. Prima di lui nessuno è riuscito in una simile impresa. Da un punto di vista prettamente teorico questo dovrebbe far capire quanto notevoli siano le sue capacità, quello che Spock non riesce ad accettare, è il fatto che ha Kirk barato per superare la prova. Non è tollerabile che un cadetto imbrogli per passare un esame. Non è ammissibile che il consiglio accademico lo premi con un nota di merito per: “la straordinaria inventiva”. I dubbi di Spock riguardo questo capitano Kirk non si limitano a questo però, di contro ci sono anche quelle voci che da tempo circolano alla base, chiacchiere di corridoio perlopiù. Dicerie a cui un vulcaniano non dovrebbe dare peso, perché troppo spesso si tratta di notizie senza alcun fondamento. Quelle voci insistenti sono giunte troppe volte alle sue orecchie, perché si tratti di illazioni; sono pettegolezzi è vero, ma piuttosto fondati. Quel giovane capitano è istintivo, passionale, svenevole con qualunque essere vivente di bell’aspetto, queste non sono di certo le caratteristiche primarie che un membro della Flotta deve possedere, specie chi porta sulle spalle la responsabilità di altri individui e di un’astronave come l’Enterprise.


Kirk non ha specificato la natura del colloquio, ma è plausibile che si tratti un’offerta d’incarico, richiesta che, considerando i dati in suo possesso, sicuramente rifiuterà. Anche se al momento non ha ancora vagliato con attenzione e logica nessuna delle proposte che ha ricevuto, Spock è più che certo di sapere che quel Jim Kirk non fa per lui. Tornare sull’Enterprise sarebbe senz’altro interessante e soprattutto per un incarico scientifico, ma sotto il comando di un capitano del genere, di sicuro non sarebbe un’opzione valida. Ha raccolto abbastanza su di lui per aver inquadrato perfettamente il tipo d’uomo, con quella sua indole a trasgredire le regole e a fare solo e soltanto ciò che gli dicono le emozioni, Spock sa che non potrebbe esistere individuo meno adatto al suo rigore vulcaniano. E se quell’umano insisterà, lui nemmeno esiterà nel dirglielo. È quindi con ferma determinazione, su di un viso impassibile e con una mente mai così tanto dominata dalla logica, che apre la porta di quel piccolo ufficio dopo aver ottenuto il permesso d’entrare. La stanza che è stata assegnata come ufficio a Kirk non è molto grande, ma data la temporaneità della sua permanenza a San Francisco, trova la scelta tutto sommato molto logica. Essendo vulcaniano, Spock è portato immediatamente a notare il lato estetico di qualcosa e quindi non può non badare all’essenzialità dell’ufficio, abbellito soltanto da due fotografie appese alle pareti e da alcuni oggetti che ne arredano la scrivania. Saluta il proprio superiore prima di dare una rapida occhiata alla stanza, una scrivania, qualche sedia e una grande finestra che dà sul cortile interno. Pochi elementi d’arredo ed in particolare un mappamondo terrestre, sicuramente antico, sistemato sul ripiano che attira la sua attenzione. Spock è sempre stato affascinato da simili artefatti, la storia della Terra è senza dubbio interessante e ancora di più lo sono gli oggetti d’epoca. Ma non si sofferma a parlarne perché c’è ben altro al momento che attira la sua attenzione e la catalizza in modo assoluto. James Kirk se ne sta seduto alla scrivania, non è rigido, ma rilassato. In una postura che dovrebbe non addirsi ad un membro della Flotta Stellare in servizio, ma che su di lui pare così giusta e perfetta, da fargli rivedere in una sola prima occhiata tutte le sue convinzioni in proposito. Tiene le mani incrociate sopra l’addome ed un sorriso, che non ha mai visto su nessuno, gli dipinge il volto. Spock è abituato ai sorrisi. Sua madre ne faceva davvero tanti quando vivevano insieme su Vulcano. Ha imparato a riconoscerli e a capire quando un sorriso è malizioso e quando di divertimento. Anche se crescendo ha disimparato il perché un adulto cosciente dovrebbe sorridere, tuttora si ritiene in grado di distinguerne uno dolce e materno, da un altro più beffardo. Quello che però Kirk porta in volto pare contenere entrambe quelle sfumature: i tratti dello sguardo sono delicati, ma maliziosi al tempo stesso. Le espressioni del volto sono provocatorie, ma determinate e sicure. C’è una profondità illogica in quegli occhi grandi ed incredibilmente espressivi. Una complessità caratteriale che pare arrivare in superficie e che (non sa come) riesce a cogliere. Ed è assurdo, e illogico, e incomprensibile. Non capisce come mai quell’umano lo attragga tanto e perché, nonostante l’evidente bellezza esteriore, questo fatto lo irretisca ancora di più. E non dovrebbe dirlo, ma è bellissimo. È ammaliante e Spock ci si ritrova impigliato.


No. Deve capire e ragionare con logica. Piega la testa da un lato in un vano tentativo d’apparire distaccato, osserva quegli occhi espressivi guardarlo come mai nessuno ha fatto prima. Gli esseri umani... Lui, figlio di due mondi, li conosce piuttosto bene. Sa quali siano le loro qualità e dove si annidino i difetti; ovviamente ne mal tollera l’emotività e il loro dover sempre esternare le emozioni addirittura parlandone, nei momenti meno opportuni. Però quegli occhi e il modo in cui lo fissano, sono strabilianti. Spock è sicuro di non aver mai visto nulla del genere, niente di così drammaticamente espressivo. Quello sguardo è insistente e lo vuole irretire. Sono gli occhi di un capitano che, pur non avendogli ancora detto nulla, ha già messo tutto perfettamente in chiaro. Lo vuole con sé sull’Enterprise e non accetterà un no come risposta, ed è a quel punto che Spock si ritrova perduto. Soprattutto perché l’umano sorride e lo fa in maniera provocatoria, ma non gli pare che abbia cattive intenzioni quanto piuttosto sembra lo stia sfidando. Ed è allora che Spock si rende conto di non star ragionando con logica perché quella non è una sicurezza. Non è una deduzione formulata su basi scientifiche, ma una sensazione. E i vulcaniani non hanno sensazioni. Non ragionano seguendo l’istinto come invece ora lui sta facendo, protendendosi verso quel capitano ancora seduto alla sua scrivania ed avvicinandosi a lui, come se ne fosse irrimediabilmente attirato. L’istinto gli dice d’avvicinarsi e di farlo il più possibile, ma lui no. Non può. E non deve neanche ipotizzarlo. Perché Spock è un figlio di Vulcano e ciò a cui sta pensando è insensato e contro la sua natura.

“Tu però sei anche umano” gli urla una vocina nella testa, mentre fa ogni cosa in suo potere per controllarsi. Si ferma. Si blocca lì sul posto facendo di tutto pur di non rimanere irretito da quello sguardo magnetico e soggiogato da quel paio di occhi meravigliosi. Sta per parlargli perché, incredibilmente, nessuno dei due ha ancora accennato a volerlo fare. Eppure, sembrano essersi detti già tutto. E subito dopo, quando il capitano Kirk si decide ad alzarsi dalla scrivania e a raggiungerlo, le parole che pronuncia sembrano quasi essere di troppo. Perché se ne sarebbe reso conto molto tempo dopo, ma Spock ci si stava crogiolando in quel non parlare. In quell’affascinante gioco di sguardi.  


«La voglio con me sull’Enterprise, come mio primo ufficiale» esordisce quell’umano, ma a sorprenderlo è la quella ferma determinazione. Il tono secco e risoluto con cui glielo ha detto, come se lo stesse più che altro ordinando, piuttosto che chiedendo. E infatti di nuovo la vede, la provocazione: lo sta sfidando ad accettare. Ciò che però più di tutto lo ammutolisce, è il fatto che paia una persona totalmente diversa da quella che ha visto soltanto pochi istanti prima. Non più un modo di fare lascivo, ma una fredda determinazione. È come se si fosse messo una maschera che preclude a Spock la possibilità di cogliere le emozioni. Nessuna gli arriva. Nessuna. Fatta eccezione per la determinazione. Quella è più che evidente.
«L’incarico è per comandante» continua Kirk «pertanto se accetta le arriverà una promozione prima dell’imbarco.» Strana precisazione, pensa Spock arcuando un sopracciglio e lasciandosi sfuggire per un momento un’ombra di stupore, subito ricacciata indietro da un granitico controllo. È strano e insolito il fatto che un umano, un semplice essere umano come ne ha conosciuti e visti tanti da che è arrivato sulla Terra, sia in grado di prenderlo in quel modo. Di irretirlo e allo stesso tempo essere tanto freddo e logico, tanto vulcaniano in certi atteggiamenti. Lui però non si fa attirare oltre, deve essere distaccato e gli pare più che corretto il fargli presente che ha ricevuto tante offerte e che, quindi, non ha ancora idea di quale sarà il suo futuro. O almeno è quello che gli impone di pensare il rigido controllo che ha nel cervello. Però c’è un lato di lui, la sua metà umana, quella che se ne sta seppellita a fondo, laggiù da qualche parte tra cuore e cervello, che grida che (in effetti) Spock non sta facendo altro se non cedere a quella provocazione. Sta rispondendo colpo su colpo a quell’affascinante capitano Kirk e no, non lo vuole nemmeno ammettere.

«Ho ricevuto molte offerte» precisa e la sua voce non s’incrina, non lascia trasparire nulla se non pacata fermezza. «Il capitano Roscow mi vuole come suo primo ufficiale; l’ammiraglio Norrington invece vorrebbe darmi il comando dell’Interceptor. Il direttore Chesterfield gradirebbe che insegnassi in Accademia. Potrei continuare, dato che l’elenco è lungo, ma non mi pare il caso. Il vanto non è una caratteristica della mia specie.» E lo dice con tono piatto e perfettamente controllato, ignorando completamente quelle grida del suo lato terrestre che gli dicono che non è altro se non un bugiardo. Come ha fatto? Si domanda Spock. Come è possibile che quel Jim abbia tirato fuori la sua metà terrestre, dopo così tanto tempo che non emergeva.
«Ipotizzavo che avesse ricevuto altre richieste» annuisce Kirk, interrompendo il flusso dei suoi pensieri e catalizzando su di sé tutta la sua attenzione. «Perché dovrebbe accettare di venire sull’Enterprise? In fondo come potrei competere io, con il comando dell’Interceptor? O con un incarico da professore, sarebbe a posto a vita se accettasse. Se ne starebbe comodamente sistemato qui a San Francisco, il clima è anche piuttosto caldo in certi periodi dell’anno e so che voi altri siete molto suscettibili a riguardo. Quindi ha ragione: chi sono io a confronto?» Kirk conclude con una risata, ma non è la sua sfacciataggine a colpire Spock, quanto piuttosto certi dettagli su ciò che ha appena detto. Ha preso informazioni su di lui, sa chi è, sa di sua madre. Sembra anche conoscere molto bene anche i vulcaniani ed è allora che non può non domandarsi quante cose ancora sappia. Fino a che punto sarebbe disposto a spingersi pur di ottenere ciò che vuole. Per avere lui. Sembra un capriccio ed è lì che lo vuole stanare, non cederà ad un fanciullesco ricatto. Non lo farà mai. Pertanto non si preoccupa d’apparire ancora più duro nella risposta che dà, o di sembrare infastidito.
«La sua fama è ben nota, capitano Kirk, io so perfettamente chi è lei. Istintivo, passionale, illogico, troppo giovane per comandare una nave stellare. Nel test della Kobayashi Maru ha barato e lo ha fatto esclusivamente per superare una prova creata per essere impossibile.»
«È perché non credo nelle soluzioni senza via d’uscita» lo interrompe, subito. Ed è allora che per la prima volta, Spock vede in quel terrestre uno sguardo limpido e sincero. E ovviamente ciò non fa che confonderlo ancora di più, perché gli ha mostrato così tante emozioni in poco tempo, che ne è stordito e si ritrova spaesato e in un certo senso, arreso.
«Spesso si caccia nei guai per via del suo essere ribelle e poco ligio ai regolamenti» prosegue Spock, ma alle sue stesse orecchie appare ben poco convinto. Gli sembra di essere una preda che si divincola al morso di un Selhat, ormai senza via di scampo e perdente.
«Inoltre» prosegue «la sua condotta svenevole e l’indole romantica giocano a suo sfavore nel settanta punto cinque percento delle volte in cui s’imbatte in un individuo di bell’aspetto, sia questo di qualunque razza o sesso.»
«Oh, andiamo, Spock, non darà retta ai pettegolezzi?» ribatte Jim (da quando ha iniziato a chiamarlo a quel modo?) prontamente senza lasciarsi intimorire. Pare essere, in fin dei conti, molto più tenace di quanto appaia.
«Mi limito ad esporre i fatti. Se accettassi di servire a bordo dell’Enterprise sarebbe ostico per me collaborare con un individuo tanto illogico ed emotivo. Io, in quanto vulcaniano, prediligerei il rigore del capitano Roscow.»
«Da quel che ne so, lei è anche umano.» Ostinato. E non demorde, non accenna a farlo e a Spock tutto quello inizia a piacere. Ma ancora non vuole cedere, perché è un vulcaniano e non può lasciarsi sopraffare dalle emozioni.
«Sono nato su Vulcano, pertanto sono vulcaniano e seguo esclusivamente la via della logica.»
«Già, ma ora non è sul suo pianeta, ma qui: immerso nell’illogicità di noi terrestri. E se ha servito su una nave di umani per anni, sotto il comando di Pike, mi viene da pensare che non sia tanto allergico a noi, o sbaglio?»
«Continui» dice Spock, e giunto a quel punto gli pare insensato dibattersi. Inutile e privo di senso perché è evidente che Kirk vuole dirgli qualcosa e che freme dall’impeto di parlare, ma che fa ogni cosa pur di trattenersi. Quindi lo invita a proseguire e a dirgli tutto.
«Continuo?»
«A parlare. Non mi ha detto tutto, non è vero?»


James Kirk non ha fatto che sorprenderlo da che, soltanto cinque minuti prima, Spock è entrato in quel piccolo ufficio. Dapprima lo ha stupito con la sua, sì, con la sua sfacciata bellezza e poi con tutte quelle emozioni potenti che gli ha gettato addosso. Ancora una volta però, il giovane tenente vulcaniano comprende di star sottovalutando i terrestri perché più continua ad avere a che fare con Kirk, più questi lo sorprende. Perché è un continuo mescolarsi di umanità e rigore, di logica e insensatezza e questo più di tutto, persino dell’incredibile splendore dei suoi occhi, ad irretirlo. E lì, mentre Kirk ride di cuore e Spock arcua un sopracciglio in un modo che ormai è divenuto meccanico, che per la prima volta si chiede come sarebbe lo stare sotto al suo comando. Come potrebbe essere vedere quel sorriso ogni giorno o discutere sulla logica con lui.
«Non voglio un primo ufficiale che mi dica sempre di sì e che accetti i miei ordini ciecamente, non voglio qualcuno che mi lecchi i piedi solo per ottenere una promozione. Pretendo che il mio secondo in comando sia sincero, diretto e non si faccia remore nel dirmi come la pensa. Qualcuno che mi dica se sto sbagliando e perché. Voglio qualcuno come lei. Lo so che è la persona giusta per quest’incarico. Sa tenermi testa, è il miglior scienziato della Flotta e conosce l’Enterprise. Lo so che la sua logica non le permette di capire, ma il mio istinto mi dice che la devo avere con me.»


Kirk gli si fa più vicino, ad una distanza che per un vulcaniano è già considerata troppo intima per poter essere lecita. Per un breve e fugace momento, addirittura, in lui nasce un’emozione nuova: speranza. È illogico e non deve. Non può. Non è permesso. Non è… sensato! Eppure la sente distintamente: la ferma speranza che quel bel terrestre gli si avvicini ancora un poco e lo baci, in un modo molto poco vulcaniano e troppo umano, perché quel pensiero possa esser stato fatto da lui. Però non lo fa, non lo accarezza e non lo bacia nemmeno e Spock non sa se esserne più sollevato o deluso. Semplicemente Kirk si ferma e lo guarda. Con quegli occhi incredibilmente espressivi. E per lunghi momenti lui, il figlio di due mondi, ricambia quel già tanto familiare guardarsi. E ne è talmente preso, che non si sofferma nemmeno a quantificare perché il suo cervello fatichi anche solo a mettere di filato una frase sensata.


Controllo. Deve riprendere il controllo anche se al momento gli pare impossibile. Lo deve fare. A questo punto non è solo necessario. È vitale.
«Istinto?» mormora, poco più tardi. «Come ho detto: illogico. Prendere decisioni basandosi su qualcosa di insensato come l’istinto, non porterà lei e la sua astronave a nulla di buono.»
«Ed è proprio per questo che ho bisogno di lei. Diavolo, Spock, lei mi serve davvero! La sua sapienza, la sua esperienza, la sua logica… Lo so che non è fatto per starsene ad insegnare a delle reclute troppo distratte per poterla stare a sentire. Se ha deciso di venire sulla Terra è anche per via del suo spirito d’avventura; so che è affascinato dalla mia offerta, glielo leggo negli occhi. Esploreremo la galassia e lo faremo insieme, non so lei, ma io trovo la prospettiva molto più che interessante.»


Forse sono state le parole che ha utilizzato o magari perché quel discorso ha suscitato in Spock un moto d’ammirazione leggero. Ma si ritrova suo malgrado a voler saperne di più su quell’umano. Si rende conto di volerlo studiare da vicino, perché ha bisogno di capire come sia possibile che lo confonda tanto. Quindi cede. D’altra parte gli incarichi prestigiosi non gli sono mai interessati. Se avesse voluto davvero insegnare lo avrebbe fatto già anni fa o perlomeno, non si sarebbe arruolato nella Flotta. No, Spock ama esplorare e viaggiare. Quel Jim pare averlo intuito ed ha fatto quindi pressione sul punto più giusto. È allora che lo ammette dicendosi che, tutto sommato, l’idea di portare logica laddove un capitano si mostra tanto scostante, sarebbe già di per sé un’avventura affascinante. Quindi accetta e quando lo fa, il suo tono è fermo e diretto e lo sguardo non indugia nemmeno per un attimo.

«Accetto.» Già nella sua mente prendono forma molti dei discorsi che di lì a poco dovranno affrontare. Questioni che riguardano la nave e l’equipaggio perché per poter stare al suo fianco, avrà bisogno di capire di che tipo di ufficiali si vuole circondare. Naturalmente ha delle proposte e sta già per chiedergli quale timoniere ha scelto, quando questi lo precede.
«Lei gioca a scacchi, signor Spock?» Non dovrebbe essere allibito, ma lo è. E non dovrebbe nemmeno mostrare emozioni, ma lo fa. Arcua un sopracciglio facendo vedere tutta la propria sorpresa. La sua riposta è sincera e immediata, naturale così come l’idea che, timida, dentro di lui nasce. È una cosa di cui gli ha parlato sua madre quando era un bambino. Amico. Ed è mentre mormora un flebile sì, che quel concetto e quel termine iniziano a girargli per la mente. Così come l’ipotesi che, un giorno, forse, lui e Jim potrebbero anche essere amici.



Fine
   
 
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