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Capitolo: Odio chi si crede a
Funny Game.
-Forse
avevi ragione … è stato
un mio errore. Pensavo che mi avresti capito, che saresti riuscito a
prendere
le mie parti. Stiamo insieme da un anno Luca, e continuo a pensare che
tu non
mi capisca neanche un po’. Questa non è una
stupida ossessione, è la mia vita
ed io non ho intenzione di cambiare le mie abitudini solo
perché devo adattarmi
a te. Se fosse per te sarei costretta a mimetizzarmi con te. Forse mi
costringeresti ad indossare i tuoi vestiti, a mettere le tue calze e
anche le
tue mutande. Io ho una mia vita e devi capirlo.
-Carola,
da quando ci siamo
sposati io non capisco più un cazzo. Mi sembri pazza e non
lo dico a posta. Fai
cose strane. Mi spii e cazzo non ti decidi a cambiare. Non so che fare,
non so
più cosa aspettarmi da te. Ho solo trent' anni e la mia vita
mi sembra già
finita, e perché? Perché non riesci a capire che
c’è un limite a tutto, e
forse, se riflettessi di più in ciò che fai, sono
sicuro che la tua vita
sarebbe una meraviglia. Sei intelligente, arguta e tosta, ma ti ostini
a fare
la bambina e stupidi giochi adolescenziali. Non so per quanto
riuscirò a
sopportare queste stupide cose, a tutto c’è un
limite.
-Cazzo,
sei proprio un bastardo
schifoso. Ti odio, te lo giuro TI ODIO. Tu non sai cosa ho fatto per
te, non lo
sai, non ne hai idea. Saresti già morto, o sarebbe morto
qualcuno della tua
famiglia. Io invece sto facendo altre cose per ripagare quel debito.
Stupido
bastardo insolente vai a fan culo.
-Bene,
io me ne vado. Ci sono
abituato a queste tue schifezze. A questa tua ostilità
dannata. Forse è meglio
che prendiamo le distanze per un po’. , giusto il tempo di
schiarirmi le idee-
Lasciò la stanza.
Carola
strisciò a terra quasi
come fosse un serpente. Lo sapeva che alla fine sarebbe successo, ma
non lo
immaginava cosi patetico. Aveva saputo mentire per un bel po’
di tempo ma non
l’avrebbe mai più fatto. Il funny game era la sua
unica ragione di vita e non
avrebbe mai potuto immaginare la sua vita senza di esso. Gli dava forza
e
speranza ma a volte, quando non riusciva a portare a termine una
missione,
cominciava ad isolarsi e diventare isterica. Nessuno poteva provare a
parlarle
perché cominciava a farneticare, ed articolare frasi
abbastanza cattive. Così
adesso, anche il ragazzo, dopo aver cercato di capirla, la
mollò con la scusa
della pausa. Dopo pochi giorni avrebbe chiesto il divorzio: era ancora
un
giovane con molte aspettative che però non prevedevano
giochi stupidi –per
lui. Per
Carola, accettato il divorzio,
il funny game sarebbe continuato, e forse proprio questo
l’avrebbe fatta uscire
dalla profonda solitudine in cui si trovava, in cui cercava di uscire
in ogni
modo.
Carola
aveva oramai accettato la separazione chiesta dal
marito Paolo, ma prima di tutto doveva assassinare un suo parente e lo
doveva
fare alla svelta, prima che la separazione avrebbe avuto effetto.
Così si armò
di un semplice arnese da cucina, un coltello comprato ad una fiera, e
si recò a
casa della madre di suo marito, sua cognata. Una signora che serbava
rancore
per tutte le persone che osavano farle un torto e la sua lunga lista
nera non
poteva non comprendere Carola, che era ai primi posti,
poiché l’aveva
pubblicamente offesa durante il cenone di Natale. Sulla
cinquantina, era molto alta e vantava un
servizio su un vecchio numero di Playboy che custodiva gelosamente in
una
vetrina riposta nella sua camera, era alta e magra, circa un metro
ottanta.
Carola aveva l’aveva sempre detestata, in un modo o
nell’altro, non aveva mai
accettato che suo marito, Paolo, si facesse sottomettere da quella
pezzente
infame, che lo comandava a bacchetta, e fingeva grandi delusioni se lui
non
portava a termine una sua richiesta. Così durante il cenone
di Natale, Carola
la rimproverò fortemente, e anche comicamente, sul trattare
Paolo come uno
schiavetto. Donne così lì ce n’erano
tante, e Carola era una di loro, soltanto
che Mara, la madre di Paolo, faceva tutto quello per
l’aspetto, la potenza ed
il giudizio degli altri; Carola solo per servire il suo padrone, il
Funny Game.
Non si sa bene per quale motivo Carola prese la fissa per quel gioco
così
intensamente distruttivo, fatto sta che lei non riusciva più
a fermarsi, era
diventata una specie di droga. Non riusciva più a
comprendere che si trattava
solo di un gioco. La prima partita risale al suo primo anno di
superiori. Era
nuova lì in America, ma la lingua gli era risultata molto
semplice da
apprendere, grazie alla rigida educazione acquisita in Giappone e
così riuscì a
prendere confidenza con la lingua, con il paese e con le persone che lo
abitavano, imitando alla perfezione il loro modo di comportarsi. Si
scrisse al
ginnasio e si notò subito la spigliatezza nelle materie
Classiche, come Latino
e Greco, ma allo stesso livello la bravura per le materie Scientifiche.
Era una
piccola genietta – non così piccola.
Fortunatamente per lei, era anche bella e
s' interessava di moda e non tardò molto a fare amicizia con
delle ragazze che
alle superiori avevano una certa importanza, oltre al fatto che erano
viscide
serpi che buttavano la battuta su tutte e tutti. Una di loro era Lucy.
Classica
ragazza ricca e bella che voleva fare la ribelle. Stava con il
più bello della
scuola ma dava anche ascolto ai poveri sfigati della scuola –
anche se a differenza
di tante storie sentite, non si mise mai con nessuno di loro. Un
giorno, dopo
circa tre mesi dall’inizio della scuola, Lucy diede un party
a casa sua per lei
e le sue amiche. La lista prevedeva 12 ragazze e di certo non poteva
mancare
Carola – anche lei si era fatta spazio in quel mondo
sparlando e ridendo come
un’oca- che oramai, nonostante frequentasse solo il primo
anno, aveva
guadagnato la stima di tutti. Lucy aveva anche proposto
l’idea di far entrare
di nascosto, dalla finestra, qualche ragazzo. L’idea della
ragazza fu una
scossa al petto delle ragazze. Si sentivano al settimo cielo.
Il pigiama
party inizio bene: ballavano con la radio accesa a tutto volume, con il
CD dei
Take That inserito, e come al solito c’erano le usuali
“sparlatine” alle
spalle. Venne dopo un po’ il momento di Lucy ,intrisa di
felicità, che annunciò
con grande clamore del pubblico – le dodici ragazze erano il
pubblico – che
aveva appreso un gioco particolare e che voleva spiegarle loro
l’utilizzo.
Tutte si sedettero attorno alla grande stanza rosa, nella quale non
comparivano
pony, scatoline magiche o cose così, ma enormi quadri di
artisti più o meno
noti, una grandissima biblioteca, che si estendeva su due muri, nella
quale
figuravano nomi che andavano da Erodoto a (Stephenie Meyer), e uno
splendido
armadio attaccato al muro, nel quale ,appena aperto, era inserita
un’altra
stanza piena di vestiti di marche griffate e costosissime, disposte a
cerchio,
sopra ad un loro cuscino. Ecco
che il
gioco iniziava.