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Autore: Gippal13    02/08/2008    0 recensioni
Sbraitando e forse anche ringhiando, Carola moriva. Si era sempre chiesta per quale motivo fosse stata messa al mondo ma, purtroppo per lei, non aveva mai ricevuto risposta. Tollerante com’era avrebbe anche accettato di far morire un suo parente al posto suo; fu proprio quello che accadde.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 Capitolo: Odio chi si crede a Funny Game.

-Forse avevi ragione … è stato un mio errore. Pensavo che mi avresti capito, che saresti riuscito a prendere le mie parti. Stiamo insieme da un anno Luca, e continuo a pensare che tu non mi capisca neanche un po’. Questa non è una stupida ossessione, è la mia vita ed io non ho intenzione di cambiare le mie abitudini solo perché devo adattarmi a te. Se fosse per te sarei costretta a mimetizzarmi con te. Forse mi costringeresti ad indossare i tuoi vestiti, a mettere le tue calze e anche le tue mutande. Io ho una mia vita e devi capirlo.

-Carola, da quando ci siamo sposati io non capisco più un cazzo. Mi sembri pazza e non lo dico a posta. Fai cose strane. Mi spii e cazzo non ti decidi a cambiare. Non so che fare, non so più cosa aspettarmi da te. Ho solo trent' anni e la mia vita mi sembra già finita, e perché? Perché non riesci a capire che c’è un limite a tutto, e forse, se riflettessi di più in ciò che fai, sono sicuro che la tua vita sarebbe una meraviglia. Sei intelligente, arguta e tosta, ma ti ostini a fare la bambina e stupidi giochi adolescenziali. Non so per quanto riuscirò a sopportare queste stupide cose, a tutto c’è un limite.

-Cazzo, sei proprio un bastardo schifoso. Ti odio, te lo giuro TI ODIO. Tu non sai cosa ho fatto per te, non lo sai, non ne hai idea. Saresti già morto, o sarebbe morto qualcuno della tua famiglia. Io invece sto facendo altre cose per ripagare quel debito. Stupido bastardo insolente vai a fan culo.

-Bene, io me ne vado. Ci sono abituato a queste tue schifezze. A questa tua ostilità dannata. Forse è meglio che prendiamo le distanze per un po’. , giusto il tempo di schiarirmi le idee- Lasciò la stanza.

Carola strisciò a terra quasi come fosse un serpente. Lo sapeva che alla fine sarebbe successo, ma non lo immaginava cosi patetico. Aveva saputo mentire per un bel po’ di tempo ma non l’avrebbe mai più fatto. Il funny game era la sua unica ragione di vita e non avrebbe mai potuto immaginare la sua vita senza di esso. Gli dava forza e speranza ma a volte, quando non riusciva a portare a termine una missione, cominciava ad isolarsi e diventare isterica. Nessuno poteva provare a parlarle perché cominciava a farneticare, ed articolare frasi abbastanza cattive. Così adesso, anche il ragazzo, dopo aver cercato di capirla, la mollò con la scusa della pausa. Dopo pochi giorni avrebbe chiesto il divorzio: era ancora un giovane con molte aspettative che però non prevedevano giochi stupidi –per lui. Per Carola, accettato il divorzio, il funny game sarebbe continuato, e forse proprio questo l’avrebbe fatta uscire dalla profonda solitudine in cui si trovava, in cui cercava di uscire in ogni modo.

Carola aveva oramai accettato la separazione chiesta dal marito Paolo, ma prima di tutto doveva assassinare un suo parente e lo doveva fare alla svelta, prima che la separazione avrebbe avuto effetto. Così si armò di un semplice arnese da cucina, un coltello comprato ad una fiera, e si recò a casa della madre di suo marito, sua cognata. Una signora che serbava rancore per tutte le persone che osavano farle un torto e la sua lunga lista nera non poteva non comprendere Carola, che era ai primi posti, poiché l’aveva pubblicamente offesa durante il cenone di Natale. Sulla cinquantina, era molto alta e vantava un servizio su un vecchio numero di Playboy che custodiva gelosamente in una vetrina riposta nella sua camera, era alta e magra, circa un metro ottanta. Carola aveva l’aveva sempre detestata, in un modo o nell’altro, non aveva mai accettato che suo marito, Paolo, si facesse sottomettere da quella pezzente infame, che lo comandava a bacchetta, e fingeva grandi delusioni se lui non portava a termine una sua richiesta. Così durante il cenone di Natale, Carola la rimproverò fortemente, e anche comicamente, sul trattare Paolo come uno schiavetto. Donne così lì ce n’erano tante, e Carola era una di loro, soltanto che Mara, la madre di Paolo, faceva tutto quello per l’aspetto, la potenza ed il giudizio degli altri; Carola solo per servire il suo padrone, il Funny Game. Non si sa bene per quale motivo Carola prese la fissa per quel gioco così intensamente distruttivo, fatto sta che lei non riusciva più a fermarsi, era diventata una specie di droga. Non riusciva più a comprendere che si trattava solo di un gioco. La prima partita risale al suo primo anno di superiori. Era nuova lì in America, ma la lingua gli era risultata molto semplice da apprendere, grazie alla rigida educazione acquisita in Giappone e così riuscì a prendere confidenza con la lingua, con il paese e con le persone che lo abitavano, imitando alla perfezione il loro modo di comportarsi. Si scrisse al ginnasio e si notò subito la spigliatezza nelle materie Classiche, come Latino e Greco, ma allo stesso livello la bravura per le materie Scientifiche. Era una piccola genietta – non così piccola. Fortunatamente per lei, era anche bella e s' interessava di moda e non tardò molto a fare amicizia con delle ragazze che alle superiori avevano una certa importanza, oltre al fatto che erano viscide serpi che buttavano la battuta su tutte e tutti. Una di loro era Lucy. Classica ragazza ricca e bella che voleva fare la ribelle. Stava con il più bello della scuola ma dava anche ascolto ai poveri sfigati della scuola – anche se a differenza di tante storie sentite, non si mise mai con nessuno di loro. Un giorno, dopo circa tre mesi dall’inizio della scuola, Lucy diede un party a casa sua per lei e le sue amiche. La lista prevedeva 12 ragazze e di certo non poteva mancare Carola – anche lei si era fatta spazio in quel mondo sparlando e ridendo come un’oca- che oramai, nonostante frequentasse solo il primo anno, aveva guadagnato la stima di tutti. Lucy aveva anche proposto l’idea di far entrare di nascosto, dalla finestra, qualche ragazzo. L’idea della ragazza fu una scossa al petto delle ragazze. Si sentivano al settimo cielo. Il pigiama party inizio bene: ballavano con la radio accesa a tutto volume, con il CD dei Take That inserito, e come al solito c’erano le usuali “sparlatine” alle spalle. Venne dopo un po’ il momento di Lucy ,intrisa di felicità, che annunciò con grande clamore del pubblico – le dodici ragazze erano il pubblico – che aveva appreso un gioco particolare e che voleva spiegarle loro l’utilizzo. Tutte si sedettero attorno alla grande stanza rosa, nella quale non comparivano pony, scatoline magiche o cose così, ma enormi quadri di artisti più o meno noti, una grandissima biblioteca, che si estendeva su due muri, nella quale figuravano nomi che andavano da Erodoto a (Stephenie Meyer), e uno splendido armadio attaccato al muro, nel quale ,appena aperto, era inserita un’altra stanza piena di vestiti di marche griffate e costosissime, disposte a cerchio, sopra ad un loro cuscino. Ecco che il gioco iniziava.

  
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