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Autore: Phoebie_Cullen    04/08/2008    3 recensioni
un passato macabro, un nuovo inizio. dopo l'ennesimo trasferimento di città, Zoe scopre persone della sua spece che la aiuteranno a seppellire il suo passato
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Viaggiavamo in macchina verso una cittadina sperduta nello stato di Washington nel più rigoroso silenzio. Lo spostamento era notevole, dall’Italia all’America c’era un oceano di mezzo. A Forks avevamo già comprato una casa, ma non avevo idea di come fosse, aveva tre camere, due bagni, terrazzo e giardino. I mobili e tutte le nostre cose erano state spedite giorni prima e gli addetti al trasloco ci avevano assicurato che tutto era stato messo a posto. Tuttavia non mi ero fidata a lasciare tutti i miei strumenti in balia di chi non aveva la più pallida idea di quanto fossero delicati. Oltrepassammo un cartello cos su scritto “Benvenuti a Forks”. Sfrecciammo davanti ad un cancello che circondava una serie di deprimenti edifici grigi-rossastri con grossi numeri stampati sopra in un rosso acceso. << Quello è il liceo di Forks >> disse mio padre, << è lì che siete state iscritte >> disse, rivolto a me e a mia sorella Christine. Lei si girò verso di me, sbuffando e guardandomi con aria rassegnata. Lei era completamente contraria al trasloco in un altro stato e in un altro continente. Quando i miei genitori ci avevano comunicato la notizia del trasloco Christine si oppose con tutte le sue forze, io invece all’inizio ero elettrizzata all’idea di trasferirmi in America perché ho sempre amato l’idea di dover parlare l’inglese correntemente, e di trasferirmi in America mi allettava, anche se il mio amore era in Inghilterra. Mio padre aveva una strategia per gli spostamenti, percorrevamo lunghe distanze da una casa all’altra, tipo Italia - America. Avevamo vissuto pressoché ovunque, Svizzera, Inghilterra, Germania, Romania, Francia e molti altri paesi ma eravamo tornati in patria per poi trasferirci in America. Sceglievamo con molta cura il luogo dove avremmo vissuto, doveva essere rigorosamente una città che registrava un numero di giornate assolate ridotte al minimo indispensabile per la vita umana ma per un motivo che ignoravo, mio padre si rifiutava di trasferirci in Alaska. Ogni volta che si toccava l’argomento sviava irritato la conversazione verso nuovi discorsi. Ci addentrammo in un boschetto buio, dove filtrava luce solo dalle fessure tra una foglia e l’altra. L’atmosfera nel bosco era come quella in un film fantasy, sembrava che qualcosa fuori dal normale stesse per accadere e in effetti una famiglia del tutto fuori dal normale stava attraversando quel magico bosco. << Zoe, questo posto sembra fatto a posta per te >> mi disse mia madre sorridendo << Sai bene qual è il posto fatto per me, e mi ci avete portato via >> dissi offesa. Non li avevo mai perdonati per avermi portata via dall’Inghilterra anni prima. Avevo vissuto da sola per anni in Inghilterra e questo era il motivo per cui ero l’unica che parlava inglese senza pensarci su. Mio fratello era l’unico ancora umano della famiglia. Era troppo piccolo per subire la trasformazione, il dolore sarebbe stato troppo per un bambino di appena 2 anni, in più ci aiutava a controllarci dai nostri istinti. Averlo in casa era molto utile perché c’eravamo abituati all’odore umano. Passammo davanti a una casa che era nascosta nella foresta, era in stile rustico con un orribile pick-up arrugginito parcheggiato davanti. Christine si girò e mi chiamò con un colpetto sulla spalla << Nulla a che vedere con la mia eh? >> disse << Non c’è paragone… >> risposi sorridendo. Christine aveva una BMW X5 nera e viveva per quella macchina. Andavamo spesso in giro con quella io e lei. Fortunatamente eravamo molto unite, d’altronde non avevamo amici. Tutti erano intimiditi da me e mia sorella, anche se non sapevamo il preciso motivo. Ma la cosa non ci preoccupava, era meglio così perché era molto più facile stare a scuola senza avere tentazioni. Era anche per non attirare “Prede” che avevamo un atteggiamento altezzoso e indisponente. Non davamo confidenza a nessuno e nessuno si avvicinava. A scuola non ridevamo mai, non sapevamo perché ma era meglio così. Mio padre accostò la macchina davanti a una casa per metà in mattoncini rossi e metà in pietre grigie. Un cancelletto bianco portava a un piccolo ponte che sovrastava un boschetto di edera per terra. Alla fine del ponte cinque scalini portavano a un balcone che girava tutta la casa. Tra il cancelletto bianco e il secondo cancello spostato sulla destra c’era una divisione in pietra con una grande siepe e a unire i due cancelli una staccionata in pietra. Entrammo nella casa da una porta in legno molto spessa e pesante davanti agli scalini. Una minuscola stanza con un armadietto ci separava dall’interno della casa, se allungavi il braccio appena entrato potevi toccare la porta in legno che portava alla casa. Aprii la porta ed entrai nella casa. Un pavimento in marmo nero costituiva il corridoio. Subito alla mia destra c’era una stanza con una grossa colonna da una parte a cui si accedeva da una doppia porta in legno e vetro. Di fronte a quella stanza c’era un’altra porta che portava a una seconda stanza, poi c’era il bagno, lungo e stretto, una terza stanza e la cucina. Sorprendentemente era l’unica stanza arredata << Sceglietevi una camera ragazze >> Christine aveva per mano mio fratello e cominciò a perlustrare la casa. Io entrai in cucina, come nella stanza con la colonna una porta portava al balcone che circondava la casa, ma sulla destra aveva una porta in legno con un grosso pannello in vetro. D’istinto la aprii e una scala a chiocciola davanti a me portava ad un piano sottostante. Scesi e un sogno mi si aprì davanti una stanza di color giallo-marrone corsi al pano di sopra e trovai mia madre in cucina sorridente << Sapevo che avresti scelto l’unica stanza che era isolata... >> disse evitando di guardarmi << Per questo l’ho fatta aggiustare per te… >> aggiunse << Se vuoi rinfrescarti o pensare a come disporla vai di sotto e fai tutto, hai un bagno. Tra un po’ andremo a comprare i mobili >> scesi nella mia camera e quando lanciai un’occhiata alla camera ebbi un flash di come l’avrei disposta. Le mie valige erano nel centro della sala vuota. Corsi in bagno e mi guardai nello specchio che mia madre aveva appeso una delle prime volte che era venuta li. Misi a posto i miei boccoli biondi, e truccai i miei occhi color ghiaccio. Ero l’unica nella famiglia ad avere quelle caratteristiche. Mio padre e mia madre avevano i capelli e gli occhi castani, mia sorella aveva gli occhi verdi e i capelli castano scuro. Io e mio fratello eravamo i più simili, lui aveva i capelli biondo scuro e gli occhi color nocciola. Assomigliavo all’unico della mia famiglia, che in realtà non era della mia famiglia, avevamo trovato Daniel nel bosco in Germania e lo avevamo tenuto con noi ma era come se fosse nostro fratello. Avevamo iniziato una sorta di allenamento fin da subito, lo facevamo giocare con noi, lo facevamo attaccare e a volte riusciva a prenderci nonostante la nostra velocità, sottovalutavamo quel bambino e ci distraevamo. Cercai mia sorella e mio fratello e li trovai nella camera vicino all’entrata. << Hai già pensato a come disporre la stanza? >> chiesi, << Sì, penso di mettere i due letti lì e di compare un grosso armadio a muro da mettere li, e poi una scrivania. >> m’indicava le pareti con l’indice. << Tu? >> chiese << Sì, più o meno… >> Daniel saltava da una parte all’altra della camera giocando con mia sorella. Loro due dividevano la stanza da quando era arrivato. << Andiamo ragazzi! >> Urlò mia madre, mia sorella si alzò e prese mio fratello per mano, arrivata alla porta porsi la mano a mio fratello che la afferrò e ci dirigemmo verso la macchina. La macchina di mia sorella era parcheggiata nel cortile in pietra, decidemmo di usare due macchine per paura che non entrassero tutti in una sola. Io e Christine salimmo sull’X5 i miei genitori sull’Ulysse di mio padre. Arrivati al negozio di mobili. Li portammo a casa e passai tutta la notte a montare i mobili. Li montai da sola, ero abbastanza brava in queste cose mentre invece mia sorella aveva seri problemi. Montai il mio letto a ponte color legno con un letto a una piazza e mezza sotto con solo la testa sotto l’armadio e un comodino in coordinato, la grande libreria in legno. Poi montai il mobiletto in legno dove avrei messo la TV e il tettore dvd. Poi tutto intorno misi il divano e le poltrone. Avevo studiato tutto in modo che non ingombrasse nel vedere la TV dal letto. Poi misi a posto nella scrivania i libri di scuola che erano nelle buste della libreria, sistemai i miei vestiti in ordine nell’armadio sistemai le mie chitarre, elettrica e classica, la mia tastiera e il mio basso accanto al camino con i rispettivi amplificatori e scelsi come mi sarei vestita il giorno dopo. Il sole stava sorgendo, voleva dire che avevo ancora circa due orette prima dell’inizio della scuola e anche se per gli altri non lo era, per me era il primo giorno. Optai per una maglietta rosa, un paio di pantaloni neri, le mie scarpe a scacchi nere e rosa e un nastro tra i capelli, rosa. Presi il foglio che la scuola aveva inviato a me e a Christine con gli orari delle lezioni, una cartina della scuola e un foglio da fare firmare a tutti i professori il primo giorno. Usai tutta la mia intuizione per capire quali fossero i libri corrispondenti alla materia. Finiti i preparativi mi vestii, poi corsi in bagno e mi pettinai i biondi ricci che non si scomposero ma solamente si unirono in una chioma lunga e splendente. Rinunciai al nastro per optare a due stelle nere che ebbero un effetto migliore, poi mi truccai con una matita nera gli occhi, che facevano spiccare il loro colore pari a quello del ghiaccio. Salii le scale e mia sorella stava per aprire la porta per venirmi a chiamare << Uh, stavo venendo a chiamarti Zoe… >> mi limitai a sorridere << Andiamo? >> chiesi. Christine annuì e ci incamminammo silenziose alla porta per non svegliare l’unica persona che in casa dormiva, mio fratello. Salimmo in macchina e mia sorella disse mentre ingranava la marcia<< Di nuovo tutto da capo >> io guardai basso e dissi << Già… >> << A quanto saremo arrivate? >> Chiese sorridendo << Penso sia circa la centesima se non molto di più… >> << Si, più o meno siamo li… >> << Abbiamo fatto tutte le scuole esistenti, dallo scientifico al classico a tutti i licei possibili >>Dissi << Già ma solo i licei, mamma ha la fissa.. >> sorrisi, non ricordo nei particolari ma quando fu ora di iscrivermi a scuola la prima volta, quando ancora ero mortale, fu una vera tragedia. << Non è stata colpa tua Zoe >> disse triste guardando fissa la strada << Si che… >> Christine inchiodò all’improvviso, la cintura (Completamente inutile per noi) ci impedì di schiantarci contro il parabrezza, una Volvo argentata ci tagliò la strada uscendo da un sentiero in mezzo ad un bosco. la nostra macchina rimase ferma per un po’ quando la Volvo si fermò << Ha anche il coraggio di scendere >> dissi più irritata che mai, mentre un ragazzo usciva dalla macchina argentata << Zoe ti prego calmati >> disse Christine << Chris se fossimo state umane noi… >> Mi interruppe e tirò giù il finestrino mostrando il volto del ragazzo che guidava la Volvo. Un ragazzo dai capelli bronzei spettinati e gli occhi color miele apparve dal finestrino << Tutto a posto? >> chiese con voce calma e vellutata << Si noi… >> Christine non riuscì a finire la frase che io la interruppi << Certo, chissà a cosa si pensa quando si guida >> dissi in un sussurro che forse uscì a volume troppo alto, guardavo fisso fuori dal finestrino. Il ragazzo sorrise e disse << Scusate davvero. Non era nelle mie intenzioni… >> non lo lasciai finire, mi girai adirata e dissi << Cosa? Tentare di ucciderci? >> lo inchiodai con lo sguardo, lui sbarrò gli occhi ma si ricompose subito. Allora intervenne Christine << Lasciala perdere, è solo agitata per il primo giorno di scuola, comunque non ti preoccupare, stiamo bene… >> disse con voce calma. Chris riusciva a persuadere chiunque quando faceva quella voce, era calma, controllata, quasi non umana e in effetti non lo era. Il ragazzo sorrise e disse << Ok, scusate ancora >> << Figurati >> rispose Chris. Il ragazzo si avviò alla Volvo e salì in macchina, camminava a passo di danza, aggraziato e il suo viso aveva lineamenti perfetti << Sembrava uno di noi vero? >> Christine interruppe i miei pensieri << Si, ma non è possibile >> lei annuì. Non avevamo mai conosciuto altre “Mosche bianche” come ci chiamava mio padre, ma anche se non ne avevamo conosciuti pensavamo che esistessero. Però non sapevamo come avessero potuto reagire alla nostra scelta di alimentazione. Arrivammo a scuola e Christine parcheggiò appena dentro al cancello. La nostra scuola era quel deprimente edificio davanti al quale eravamo sfrecciati davanti il giorno prima. << C’è la possiamo fare Zoe… >> Disse rassegnata, << Dobbiamo >> risposi triste. Mi porse la mano e disse con un sorriso << Dritti alla meta… >> presi la mano e stringemmo << E conquista la preda >> finii io la frase, aprii la porta ma Christine mi tirò il braccio, mi girai verso di lei che mi disse << Non alla lettera, mi raccomando >> sorrisi, presi la borsa e mi avviai all’entrata. Mi diceva la stessa cosa tutte le volte che iniziavamo qualcosa di nuovo. Tutte le macchine parcheggiate erano vecchie e arrugginite, tranne la X5 di Chris, che era già accerchiata da ragazzi appassionati di auto che sembravano non averne mai visto una (e probabilmente era così) e un’altra macchina argentata che mi accorsi, con orrore, che era la Volvo che pochi minuti prima ci aveva tagliato la strada. Cercai la prima lezione sul foglietto della scuola quando una voce maschile disse << Posso aiutarti? >>. Mi girai, un ragazzo biondo mi si era avvicinato pericolosamente << Ho visto che alla prima ora hai Inglese, anche io, se vuoi ti ci accompagno… >> << No grazie >> risposi secca. Vidi Chris che aveva assunto la nostra solita espressione impassibile, intoccabile così mi feci coraggio e la raggiunsi lasciando il ragazzo da solo e assumendo la stessa espressione. Mi affiancai a Christine e quando passammo in mezzo alla folla tutti si spostavano come se avessimo la lebbra. << Ma chi sono? >> << Altri Cullen? >> << No, non credo >>. I ragazzi intorno parlavano sotto voce anche se noi potevamo sentirli comunque. Una domanda mi sorse spontanea: chi erano i Cullen? Entrammo dalla grande porta e ci dividemmo. Fortunatamente le nostre prime tre lezioni non erano tanto distanti l’una dall’alta quindi ci fu facile trovare un riferimento. Alla prima ora entrai in una classe di medie dimensioni con cartelloni appesi al muro che raffiguravano disegni per memorizzare la fonetica. Mi avvicinai alla cattedra e porsi il foglio all’insegnante << Vuoi che ti presenti? >> mi chiese sotto voce il professore mentre fissava il foglio che doveva firmare << No >> risposi secca. Mi porse il foglio e lessi: Mr. Mooney. Poi alzai lo sguardo dal foglio e cercai un banco libero. Lo trovai, l’unico. Era il penultimo e con mia grande delusione notai che dietro di me c’era il ragazzo della Volvo. Era seduto in modo eretto, con il viso dritto e le mani giunte sulle ginocchia. Accanto a lui una ragazza dai capelli ricci. Mi sedetti quando un’altra ragazza mora con i capelli corti entrò dalla porta e con un passo delicato da ballerina mi si sedette accanto. Mi girai dall’altra parte e il sorriso che gli si stampò in viso quando vide la ragazza accanto al rosso della Volvo sparì dalla mia visuale. L’ora di Inglese passò velocemente, come tutte le ore di Inglese che avevo frequentato nell’ultimo secolo. Al suono della campanella presi i miei quaderni e infilai tutto nella borsa. Uscii dalla porta e incontrai Christine << Quanti ci hanno provato fino ad ora? >> la mia voce era un sussurro, ma lei non aveva problemi a sentirmi, << 3, tu? >> parlavamo senza muovere la testa, la tenevamo dritta, ma non con il mento in alto << Ahia, solo uno mi devo dare da fare… >> voleva ridere ma avrebbe rotto la sua espressione impassibile. Così sorrisi io per lei. Alla seconda ora avevo letteratura Italiana. Su quello nessuno mi poteva battere, ero italiana e della letteratura sapevo tutto. Entrai e mi sedetti in un banco vuoto, un ragazzo mi si sedette accanto, era un ragazzo con i capelli neri portati sul viso in una frangia disordinata, e due occhi color cielo. Il suo odore mi penetrò, era diverso dagli altri, dolce, buono, ma la cosa peggiore era che stava minando il mio autocontrollo. << Ciao.. >> disse. Aveva una voce dolce e vellutata. I miei occhi si accesero di desiderio, ma non era desiderio umano, era desiderio da “Mosca bianca”. Non sapevo cosa fare. Io fissai maliziosa, ma contro la mia volontà. Decisi di fare la simpatica, magari mi sarei calmata. << Ciao… >> dissi, la mia voce suonò maliziosa e desiderosa. << Io sono David… tu? >> non lo guardavo, dovevo sembrare impassibile, << Zoe >> dissi. Per fortuna la lezione incominciò, parlava di Giovanni Verga. << Odio questa materia >> mi disse David inclinandosi verso di me… feci finta di non sentire << Signor Ricci… >> Disse il professore rivolto a David, << Perché non me lo dice lei? >> mi sentivo in colpa, era colpa mia se si era distratto. Era la prima volta che mi sentivo in colpa per un essere umano. David non aveva sentito la risposta così dopo pochi secondi dalla domanda sussurrai << Rosso mal Pelo >> << Rosso mal Pelo >> ripeté lui. Il professore sbarrò gli occhi, era sicuro che non avrebbe saputo rispondere << Bravo Ricci >> disse. Mi allungai sul banco e spostai con un soffio la frangia che mi era caduta sul viso. David mi passò un foglietto con su scritto: Grazie… Presi il foglio e scrissi: Figurati… è stata colpa mia… scusami… :) mi rispose con una faccina sorridente. Immaginai quel sorriso sul suo viso… ma a cosa pensavo? Ero forse impazzita? La campanella suonò e sfrecciai fuori. Presi il foglietto, me lo infilai in tasca e raggiunsi Chris. Alla terza ora avevo biologia, prima di entrare in classe il ragazzo della Volvo mi afferrò per un braccio << Io salterei la lezione oggi >> disse << Perché dovrei saltarla? >> << Fidati, oggi sezioneranno… >> un brivido mi percorse la schiena, come faceva a sapere che il sangue mi dava problemi? Ma restai impassibile << Ho bisogno della firma del professore… >> mi strappò il foglio di mano prima che potessi finire la frase e firmò << Non controllano mai. Stai tranquilla… >> poi sparì. Decisi che dovevo sparire prima che cominciassero a tagliuzzare le rane e l’odore del sangue mi giungesse alle narici. Come faceva il rosso a sapere quello che ero? Come aveva fatto a sparire in quel modo? Cercavo un posto dove nascondermi, il bagno mi sembrava troppo ovvio e certo non potevo stare a girovagare per i corridoi quindi decisi di uscire e con la mia velocità nessuno mi avrebbe vista di sicuro, quindi mi preparai allo scatto, mi girai per assicurarmi che nessuno mi potesse vedere. Mi sorprendeva il modo in cui riuscivo a mantenere un’espressione impassibile e signorile anche in quelle situazioni. Ma prima che potessi partire una mano mi afferrò il braccio e mi trattenne << Brutta idea… se continui così ci farai scoprire… >> disse una voce calma e vellutata << Cosa? >> chiesi << Hai un comportamento troppo avventato e sconsiderato. Ci farai scoprire... >> il ragazzo dai capelli rossi mi teneva guardandosi intorno, come per assicurarsi che nessuno ci vedesse parlare, ma io continuavo a non capire, o forse non volevo capire. Tante domande mi passavano per la testa ma una sola faceva da padrona “perché lui sapeva, come aveva fatto?” poi aggiunse << Non è difficile da vedere… tu e tua sorella ci state mettendo nei casini… >> la mia espressione non cambiava, ero fredda, distaccata e continuavo a tacere << Non so di cosa tu stia parlando… >> dissi dal nulla. Lui fece un sorriso sghembo e disse << Sai benissimo di cosa io sto parlando… >> scrollai il braccio cercando di liberarmi dalla presa del rosso ma lui strinse la presa. Non potevo sbilanciarmi usando più forza di quanto una ragazza di 17 anni disponga o avrei disintegrato la mia copertura, ormai distrutta. << Ora devo spiegarti qualche cosa. >> disse con tono solenne e lasciandomi il braccio << Qui a Forks non possiamo scorrazzare ovunque noi vogliamo >> disse. Io ascoltavo attenta ma facendo attenzione a non sembrarlo << C’è un posto che per noi è off limit… si chiama La Push, è una foresta sull’oceano. Non puoi entrarci, nessuno di noi può. >> poi mi fissò e io colsi la palla al balzo << E chi sarebbero “noi”? >> lui sorrise anche se visibilmente irritato << Smettila di fare la commedia, io so leggere nel pensiero e l’ho letto in quello di tua sorella… Io e la mia famiglia siamo come voi… >> aveva abbassato la voce e mi aveva ristretto il braccio e mi aveva avvicinata a se, parlava con voce irritata. Io rimanevo impassibile e fredda dissi << E cosa sareste tu e la tua famiglia? >> lui inspirò profondamente, come un toro nell’arena, poi continuò << Freddi… >> disse. Aveva usato il termine ritenuto il più neutrale tra quelli con cui ci chiamavano, ma ormai ero stata scoperta, ma volevo esserne sicura al cento per cento << Allora fammi vedere cosa sai fare… Freddo >>dissi con aria maliziosa alzando solo un sopracciglio, lui sorrise con il solito sorriso sghembo di prima poi rispose << Ora non posso… ci scoprirebbero… >> disse, << Cos’è? Hai paura di farti beccare? D’altronde se qualcuno vede possiamo sempre sbarazzarcene >> dissi girando la testa di lato e leccandomi i denti superiori. << Seconda regola >> disse lui << Qui non si mangiano umani… questo sarebbe proprio un problema. >> io fui sollevata nel sentirgli dire quelle parole. Allora mi rilassai e dissi << Fiu, meno male… >> lui sorrise << Non ci siamo ancora presentati >> disse << Edward >> io con un sorriso che mostrava la mia fila di denti affilati come rasoi dissi << Zoe… >> con un tempismo perfetto la campanella suonò la fine della terza ora. Alla quarta avevo matematica, lasciai Edward e mi diressi verso l’aula. Durante il tragitto pensai a tutto quello che mi aveva detto Edward e mi focalizzai su una sua frase C’è un posto che per noi è off limit… si chiama La Push… quindi i Freddi come noi li non possono entrare, perché?. Entrai nell’aula e porsi il foglio al professore che lo firmò frettolosamente, era il professor Wikley, un uomo basso con pochi capelli. Mi augurò di divertirmi alla lezione, mi chiedevo come potevo divertirmi a una lezione di Matematica. Mi avviai verso un banco vuoto, con il mio solito passo aggraziato e leggero che quasi non si sentiva che stessi camminando. Lanciai un’occhiata verso un banco pieno, non so per quale motivo, e vidi David accanto a un ragazzo alto con i capelli color nocciola. Mi sforzai di non sentire tenendo a bada il mio udito sopraffino e in effetti ci riuscii. Mi sedetti ad aspettare l’inizio della lezione quando un odore dolce e forte – quasi irresistibile – mi si avvicinò fino ad essermi accanto. << Ciao Zoe >> la sua voce era calma e dolce, quasi implorante e non capivo il perché. << Ciao… >> dissi. Il suo odore era forte e per peggiorare la situazione dopo il mio “Ciao” si era avvicinato quasi da toccarmi. Fui costretta – contro voglia – ad allontanarmi da lui. David rimase molto male vedendo che mi ero allontanata, vidi che abbassava lo sguardo triste, forse la voce malinconica e quel viso triste non erano un caso… girai la testa e la inclinai come un gatto in cerca di coccole, ma più che un gatto ero una tigre. Sapevo quello che stavo per fare ma non potevo vedere quel semplice essere umano – che per qualche strano motivo mi stava a cuore – in quelle condizioni. << Che c’è? >> chiesi con aria curiosa, pur mantenendo un’aria intoccabile << Cosa? >> chiese lui mentre si girava distratto, << Cosa hai? Sei triste… >> mantenni la testa piegata e i capelli caddero dalla mia spalla rimanendo a penzoloni, lui fissò i boccoli sospesi distogliendo lo sguardo dal mio viso, poi sbattei gli occhi e il suo sguardo si spostò sul mio viso. Era attento ad ogni particolare, ma non accennava a rispondere << Allora? >> chiesi spalancando gli occhi. Lui guardò basso verso il libro ma non volli trasalire sulla cosa. Ma cosa potevo fare? Avrei dovuto – e forse voluto – girarlo con la forza e costringerlo a dirmi cosa lo affliggeva, ma il contatto sarebbe stato fatale per il mio autocontrollo. Ma una domanda coprì tutti i miei pensieri: Perché mi interessava così tanto? Insomma lui per me avrebbe dovuto essere solamente uno spuntino e il suo odore così particolare – diverso da quello degli altri – era un incoraggiamento ad aggredirlo. Eppure vederlo soffrire mi faceva stare molto male, un dolore molto simile a quello che avevo provato quando un più di un secolo prima avevo realizzato cosa ero diventata e anche allora non capivo il perché di quel dolore, o forse semplicemente non me lo ricordavo. La lezione cominciò e per mezz’ora non pensai ad altro che a quello sguardo triste che dominava il volto dell’essere umano con un odore dolce e tentatore seduto accanto a me quando furiosa strappai un pezzo di carda dal quaderno e scrissi: Mi dici cos’hai?!?!?! e furtiva lo passai a David che lo afferrò e lo lesse, poi sbuffò e lo infilò dentro il quaderno. Quel gesto mi offese, forse non voleva parlare con me? Non ci conoscevamo abbastanza da raccontarmi il motivo per cui stava male e per cui faceva stare male me? Così gli strappai un altro foglietto e scrissi Cos’è? Non vuoi parlare con me? Passai il biglietto che subito afferrò e lesse. Poi mise lo mise nel quaderno, strappò un foglietto e cominciò a scrivere. Poi me lo allungò e lo afferrai: Stai con un Cullen?! Chi erano i Cullen? Chi sono i Cullen? Ora non fare la finta tonta! Edward Cullen, vi ho visti parlare vicino all’uscita alla terza ora, eravate molto vicini e ti teneva per un braccio… Edward? Intendi quello che stamattina ha cercato di uccidermi? Non so di che Edward tu stia parlando ma io intendo Edward Cullen, quel ragazzo che tutte sognano ma che, per tua sfortuna, è Fidanzato con Isabella Swan. Ha i capelli rossi e gli occhi chiari. Il tipico sogno irraggiungibile… Stava parlando del rosso, Edward, era geloso, non triste. Geloso di me. D’istinto scrissi una frase di cui pochi secondi dopo mi sarei pentita Allora stiamo parlando della stessa persona, e poi per semplice informazione non è il mio sogno irraggiungibile, non è proprio il mio tipo… preferisco i capelli abbastanza lunghi e scuri e gli occhi chiari… Senza volerlo avevo dato una sua descrizione… odiavo agire d’istinto, succedevano sempre casini. Il professore non si accorgeva di niente, eravamo bravi nel passaggio di bigliettini. Allora perché eravate così vicini e avete saltato la lezione insieme? Puro caso, e poi metterei in chiaro una cosa, non sapevo nemmeno il suo cognome, sono arrivata 4 ore fa, E IO NON STO ASOLUTAMENTE CON EDWARD CULLEN! Ok? Lui sorrise. Aspettavo quel sorriso da un’ora. Ok…:) La campanella suonò in tempismo perfetto, presi il foglietto e lo infilai nel quaderno << Pranzi con me? >> riassunsi il mio atteggiamento intoccabile e risposi << Meglio di no… >> e mi avviai verso la porta. Feci in tempo a vedere il sorriso svanire dal suo viso e il suo amico avvicinarsi con un sorriso smagliante, e mettergli una mano sulla spalla. Christine mi aspettava fuori dalla classe << Dov’eri alla terza ora? >> mi chiese << Sono stata costretta a saltare la lezione >> parlavamo senza quasi muovere bocca, senza girare la testa, era come se non stessimo nemmeno parlando. << E perché mai? >> << Sezionavano… >> << Ah… >>. Entrammo nella mensa e dopo aver preso una fetta di pizza ciascuno e due cartocci di cioccolato ci sedemmo ad un tavolo vuoto nel centro della stanza << Proprio quello che ci serve… >> dissi mentre mi sedevo << Perché? >> << Non so se hai notato che siamo nel centro della sala, tutti ci guardano perché siamo la novità del momento e riusciamo a parlare facendo pensare che in realtà siamo zitte… >> Christine tratteneva a stento una risata. Restammo tutto il tempo a parlare senza che gli altri se ne accorgessero senza toccare cibo << Il rosso mi ha fermata, ha capito tutto… >> dissi. Christine mi guardò con gli occhi sbarrati << Cosa?!?!?! >> << Ha detto che sa leggere nel pensiero e mi ha spiegato “Le regole” >> << Quali regole scusa? >> << Che qui loro non mangiano umani e che non possiamo entrare in un posto che si chiama… La Push… >> << E perché? >> << Non so, ha detto che i >> Abbassai la voce << I Freddi, non ci possono entrare… >> Christine sembrava convinta… << Ne parliamo stasera con mamma e papà… >> io annuii. Poi ci alzammo e buttammo via il cibo << Non capisco perché dobbiamo comprare roba che poi non mangiamo >> << Nemmeno io ma lo dobbiamo fare… >> << Cosa hai ora? >> << Biologia >> rispose << Tu? >> << Ed. Fisica… >> << Oh no! >> << Che c’è? >> << Non fare l’esibizionista e sii delicata, non è come quando giochi con me, siamo come elefanti in una cristalleria, sono delicati Zoe… >> << Va bene, farò il possibile… >> dissi sbuffando << Brava… ora vado ci vediamo all’uscita… >> annuii e mi avviai alla palestra. Entrai nell’infermeria della palestra << Salve, dovrei ritirare la divisa >> << Certo! >> rispose una donna bionda con i capelli raccolti in piccole ciocche sulla nuca con delle mollette che mi accolse con un sorriso che io non ricambiai. Mi porse una divisa sperando di ricevere un qualsiasi sorriso ma risposi con un semplice << Grazie >>. Anche se ero una Fredda l’educazione la sapevo anche io. Mi spogliai e mi misi la divisa. Era una divisa con un pantaloncino e una canottiera che per mia disgrazia mi stava a pennello e che per questo mi avrebbe fatto attirare l’attenzione. Uscita dallo spogliatoio con il mio solito atteggiamento ma con sorpresa vidi Edward Cullen appoggiato al muro con le mani nelle tasche della tuta. Lui aveva i pantaloni lunghi e una canottiera che metteva in risalto il suo fisico. Anche se imbarazzata dagli sguardi dei ragazzi avanzai verso la parete più vicina e mi ci appoggiai. Un ragazzo mi si avvicinò << Ciao! >> con il minor entusiasmo possibile dissi << Ciao… >> ma il ragazzo non sembrava arrendersi << Come ti chiami? Io sono Carl… >> non volevo rispondere ma come potevo fare? Ad un tratto una mano afferrò il collo da dietro in un gesto amichevole e qualcuno mi dette un bacio sulla guancia. Era freddo, come me, misi a fuoco ed era Edward che fulminò con lo sguardo il ragazzo. Aveva assunto un’espressione seria, sadica e adirata. Carl si allontanò. Nessuno – tra me e Edward – aveva cambiato espressione, lui aveva quella terrificante e io quella impassibile e la sua mano era ancora salda sul mi collo. << Prima ti ho quasi ucciso, ora ti ho salvato… buffo no? >> non aveva cambiato espressione, trafiggeva Carl che, terrorizzato, non osava girarsi. << Grazie mille.. >> dissi senza cambiare espressione e senza smuovere lo sguardo. La professoressa entrò nella palestra e dopo il riscaldamento ordinò di formare le squadre, Edward insistette per fare coppia con me. Per me fu un sollievo perché potevo essere più naturale. Nello sport ero grande quindi vinsi tre set a zero. Edward sapeva prendere la sconfitta anche se ci era rimasto evidentemente male. Tutti i ragazzi della palestra avevano provato ad attaccare bottone ma Edward prontamente provvedeva a scacciarli… uscita dalla palestra andai all’entrata cove Christine era accerchiata da ragazzi, io mi avvicinai e – con la nostra solita espressione – ci avviammo senza concedere attenzione ai ragazzi, salimmo in macchina e appena fummo lontane dalla scuola tirammo un sospiro. Arrivati a casa mi fiondai a casa e mi lanciai sul letto e cominciai a pensare. Cosa era La Push, al comportamento di Edward ma la cosa che più mi faceva pensare era il perché mi avesse fatto male vedere David triste e che cosa fosse quella sensazione… pensai a cosa avevo sentito quando avevo realizzato quello che ero diventata, un mostro un pericolo pubblico. Ecco! Quello era il punto, avevo realizzato che ero un pericolo per David e che se avesse continuato così avrei potuto perdere il controllo sarei diventata pericolosa per lui. Sentii una fitta al cuore, la sensazione di poter fare del male a David mi strinse il cuore in una morsa terribile, poi un ricordo più recente degli altri mi bloccò ogni pensiero. Il suo odore, dolce,intenso, buono o meglio, delizioso. Rabbrividii al suono di quella parola, ci pensavo come umano nel senso persona o nel senso di preda e rabbrividivo all’idea del corpo di David senza vita con il collo bucato… tirai fuori i libri di scuola e cominciai a fare i compiti ma la concentrazione andava e veniva quando decisi di isolarmi dal mondo. Finii prima di quando credessi così ero di nuovo in balia dei miei pensieri, quando l’immagine di David morto mi passava davanti rabbrividivo. Perché mi preoccupavo così tanto di un essere umano? Avrei dovuto pensare a lui come uno stuzzichino ma l’immagine del suo corpo senza vita mi faceva soffrire, mi stringeva il cuore e mi faceva mancare la terra da sotto i piedi ma l’immagine del suo corpo inanimato mi faceva soffrire e quasi morivo all’idea. Guardai l’ora, erano sempre le 5 di pomeriggio. Riemersi dalla mia camera e trovai mia madre e Christine sedute al tavolo della cucina << Oh Zoe… >> sorrisi, << Christine mi ha raccontato cosa è successo stamattina, sai come si chiama il ragazzo che ti ha parlato? >> aveva assunto un tono solenne, diffidente << Edward Cullen… mi ha detto che ci sono delle regole >> dissi << Cullen? Regole? >> << Si… regole… >> << Domani chiedigli dove abita Zoe… andremo a trovare la su famiglia… >> << Ah, ci ha vietato di mangiare umani quindi credo che non siano pericolosi… e non dobbiamo andare a La Push, è un boschetto sulla costa… domani chiederemo bene.. >> dissi. Mia madre annuì senza scomporsi, poi guardai fuori. Pioveva.
  
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