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Autore: Mrs_Safw    01/06/2014    2 recensioni
( SPOILER - nona stagione, ambientata prima della 9x23 per esigenze di trama )
Dal prologo: E dopo aver ucciso Abaddon, Dean sapeva di non poter più tornare indietro.
Il Marchio di Caino bruciava la sua pelle, la sua sete si era finalmente risvegliata.
Doveva uccidere, bramava il sangue.
Lo voleva.
Lo desiderava.
Nessun rimorso ad averlo, nessun pensiero a distrarlo, niente sembrava riuscire a placarlo.
Solo una cosa poteva... la morte.
Ma Dean non voleva morire e lo sapeva che se non avesse ucciso sarebbe morto.
E lui non voleva.
[...]
Ormai era questa la priorità... prima che fosse troppo tardi.

Dal Capitolo 1: Coloro che vivono per la morte moriranno di propria mano
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Crowley, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Angolo dell'autrice: Eccoci qui con la seconda parte de "I Tredici Passi". Ringrazio calorosamente i lettori silenziosi che si sono buttati per caso o meno a leggere la prima parte così come ringrazio le recensioni ricevute che mi hanno commosso * e quelle persone che hanno aggiunto la storia tra le "seguite" o "ricordate" *ç*
Seppur lo aggiungerò anche nei crediti finali, il titolo così come alcune citazioni che segnalerò usando una * sono un Omaggio al libro di E.E. Richardson "The Devil's Footsteps" conosciuto in Italia come "Tredici passi alla porta del Diavolo" che mi ha ispirata nella stesura di questa fic.
Questo capitolo avrò come protagonista Dean e uno dei suoi incubi. Cercherò di fare del mio meglio per rendere le descrizioni come le ho immaginate e riviste più di una volta nella mia mente, vi auguro una buona lettura e se vi va commentate - che siano critiche costruttive o meno - che a me fa piacere *-* 
Ovviamente tutti questi personaggi non mi appartengono, ad eccezion fatta del nuovo personaggio; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
I Tredici Passi


Capitolo 2: Liberazione o Morte?
Seppur Crowley sparì da svariati minuti lasciando soli i due fratelli all'interno del bunker, Dean non riuscì a togliersi dalla mente quelle parole. 
Più ci pensava e meno riusciva a capire. 
Più cercava di trovare un significato intrinso in esse e più quel marchio pulsava sulla sua pelle.
Più se le ripeteva in testa e meno sentiva l'aria arrivare ai polmoni.

La liberazione o la morte? Vincere o perdere contro Metatron? 
 
Un principio di soffocamento in pieno stile lo colse, per quanto l'aria attorno fosse presente. Il freddo mano a mano scemava facendo tornare l'abitacolo a una temperatura ottimale ma lui non sentiva più freddo. 
Bruciava.
Il sangue nelle sue vene ribolliva, il calore si propagava dal marchio per espandersi in tutto il corpo. L'ossigeno diminuiva drasticamente e, per quanto cercasse di prendere aria, nessun respiro riusciva a soddisfarlo.
E Sam inveiva contro di lui, lo sentiva seppur lontano, ovattato. Ne percepiva l'irritazione per non avergli rivelato quel piccolo dettaglio, per non essere stato sincero fino in fondo con lui e subito dopo di non essere sorpreso da questo suo comportamento del cazzo.

Parole. Parole. Parole.
E Dean non le sentiva. 

Non le percepiva a fondo, ma gli scivolavano addosso come un velo di seta bianco. 
Il Marchio di Caino bruciava insistentemente, debilitando le percezioni, facendolo distanziare dalla realtà mano a mano.

Sono già iniziati gli incubi? La stai già sentendo nella tua mente? 

Forse sì, forse no avrebbe tanto voluto rispondere ma non aveva più voce.
La sua mente vorticava furiosamente, la sua vista iniziò ad annebbiarsi. I contorni divennero sfocati. Sam stesso divenne sfuocato.
I suoni sempre più lontani sino a ridursi a un bisbiglio incomprensibile di sottofondo.
Le luci nella sua testa ripresero a lampeggiare seguendo un ritmo fin troppo calzante.
Accese. Spente. Accese. Spente.
E non si fermavano. 
Niente si fermava. 
Stava perdendo il senso dell'equilibrio, stava perdendo tutto se stesso. Solo una cosa ben tangibile: il calore.
Un calore soffocante. Niente più aria. Niente più vista. Niente più udito.
Era questo a cui si riferiva Crowley? Era forse arrivata la sua ora? Il Marchio lo avrebbe portato con sè così presto? Cosa avrebbe fatto Sam senza di lui? Come avrebbe eliminato del tutto Metatron? Lui e Castiel da soli non potevano farcela. Avevano bisogno di lui.

Accese. Tic. Spente. Tac. Accese. Tic. Spente. Tac.

Un ticchettio. 
Un orologio che conta il tempo, un orologio presente solo nella sua mente. Quelle lancette che scoccano creando un rimbombo deciso. Un colpo. E poi un altro ancora. 

La sua conta è già iniziata.

La conta... si riferiva a questo quello stupido demone? Sta succedendo davvero? Sta davvero morendo?

Tic. Tac. Tic. Tac. 

Un soffio gelido sulla nuca che lo destabilizzò completamente facendogli compiere un paio di passi indietro. Le ginocchia cedevano ad ogni passo, le mani che si allungavano alla ricerca di un sostegno che trovò dopo qualche attimo contro una delle librerie.
Gelo e Calore.
Due opposti.
Due lati della stessa medaglia.
Un connubbio letale.
Sudore freddo e sudore caldo.

Coloro che vivono per la morte moriranno di propria mano, Dean. Tic. Tac.

Ancora lei. Ancora quella voce.
Un secondo soffio sul collo. Diverso. Non più gelido, ma bollente. Sembrò qualcuno intento a respirare direttamente sulla sua pelle. Respiri accelerati, di chi sembrava trattenersi da un impeto di rabbia. Affanno.

< E' solo una questione di tic e di tac. Tra non molto le campane dell'Inferno suoneranno. > Un bisbiglio direttamente sul suo orecchio. Un altro soffio bollente contro la pelle che lo fece rabbirividire e tutto si fece nero.
Un solo tentativo, l'ultimo, di riprendere aria e poi il nulla.
Dean reclinò il capo all'indietro, abbandonando la presa dalla libreria, lasciandosi andare al suo destino.
Niente più Sam. Niente più bunker. Niente più luce. 

Solo il Vuoto.

...

Non seppe dire quanto tempo passò, ma lentamente riprese a respirare. L'aria finalmente riuscì a raggiungere i polmoni dandogli una parvenza di pace e le palpebre si mossero permettendo alla vista di tornare a vedere un'altra volta.
Un bagliore lo portò subito a serrare lo sguardo, accompagnando la mancina a celarne il volto.
Palpebre che tornarono a battere per mettere a fuoco e l'udito lentamente riuscì a percepire i suoni.

Tum. Tum. Tum. Tum.
Un basso. Una tromba. Lentamente alle sue orecchie arrivò una musica in chiaro stile Jazz in sottofondo e lo sguardo si alzò.
Era in uno Stripclub. 
Luci soffuse dai colori del rosso e dell'arancione, alte pareti bordeaux e pavimentazioni di marmo nero e lucido. Lui seduto proprio dinanzi al palco rosso scuro dove due donne bellissime e in abiti a dir poco succinti si esibivano attorno al palo a ritmo di musica. C'erano persone e c'erano dollari. Uomini che sbandieravano i loro portafogli da donare placidamente alle ballerine e a quelle cameriere intente a servire i tavoli.
Sbattè un paio di volte le palpebre mettendo finalmente a fuoco il tutto. Era così dannatamente reale, ma al tempo stesso riusciva a percepire una nota molesta in tutto questo. Il Marchio di Caino continuava a bruciare. Era LUI la nota molesta.
Una cameriera gli si avvicinò servendogli una birra, una giovane donna dai lunghi capelli scuri e la pelle chiara, due grandi occhi azzurri e un sorrisetto furbo messo in risalto da un rossetto rosso. Si dristicava tra i vari clienti e tavoli in maniera sinuosa reggendo il vassoio con una sola mano alzato vicino al capo. Notò che una volta passata lei, tutti si giravano a guardarla. Il suo corpo si muoveva come un serpente incantato da un flauto. Ipnotizzante. Più ipnotizzante delle ballerine attorno al palo.
Sorrisi. Occhiolini. Sussurri. Battute che al suo orecchio non arrivarono. Con poche e semplici mosse riusciva a conquistare tutti, lui compreso. Gli parve per un istante che uno di quei sorrisi fosse rivolto a lui, ma non ne era certo. Ma era sicuro che il cenno successivo lo era, gli indicava il palco.
Sbattè le palpebre tornando ad osservare le ballerine, dove una di queste si avvicinò a lui. Scese dal palco. Gli girò attorno posando le mani lunghe e affusolate sulle sue spalle, laccate di nero. Una donna dai lunghi capelli rossi e occhi verdi, col corpo cosparso di lentiggini e piccoli tatuaggi.
< Rilassati. > Un sussurro diretto al suo orecchio, qualcosa di soave e tremendamente eccitante e non potè fare altro che starla a sentire. Per quanto il Marchio continuasse a bruciare, lentamente iniziò a rilassarsi, lasciandosi avvolgere da quella musica e da quelle carezze che la ballerina gli donava. Un Paradiso nell'Inferno in quel luogo di perdizione ma non gli importava.
Un sorso di birra e poi chiuse gli occhi, reclinò il capo all'indietro mentre quelle carezze lo stavano rendendo piano piano incapace di intendere e di volere.
< Ahio! > Sbottò ad un certo punto, sentendosi bruciare all'altezza della guancia destra dove un piccolo rivolo di sangue iniziò a scendere sino a raggiungere il mento. Gli occhi tornarono a spalancarsi, la fronte aggrottata e un'occhiataccia pronta, ma quando si voltò rimase completamente gelato da quello che vide.
La ballerina non c'era più, ma al suo posto c'era una bambina. Lunghi capelli biondi, un volto dai tratti dolci, un vestito della domenica bianco con i fiorellini azzurri. La cosa che lo fece gelare sul posto però erano gli occhi: completamente bianchi. 
< ... Lilith? > Gli uscì solamente un sussurro, ma quella bambina era lei. Lo sapeva. Se la ricordava.
La bambina rise, una risata cristallina e sinceramente divertita, mostrando la candida dentatura. La musica cessò, niente più Jazz, solo lei e la sua voce:
< And out of the darkness the Mad Rage did call
True pain and suffering she brought to them all
Away ran the children to hide in their beds
For fear that the Devil would chop of their heads.**>
Quella voce non era quella di Lilith. 
Era la voce che lo accompagnava nei suoi sogni, troppo adulta per quanto evesse dei picchi di infantilismo. Troppo consapevole nel pronunciare quella filastrocca, faceva ben attenzione a dove mettere gli accenti. Troppo divertita.
< Chi cazzo sei. > Sibilò, cercando di trovare la forza dentro di sè per riuscire ad alzarsi, ma qualunque tentativo facesse risultò vano. Non riusciva a muoversi.
La bambina sorrise ancora in maniera fin troppo esagerata, arricciando il piccolo nasino e se non fosse per gli occhi bianchi sembrerebbe pure buffa. Ma non lo è. Proprio per niente.
Uno scoppio lo fece volare. Una lampada fulminata cadde dal soffitto infrangendosi direttamente sul palco dove le ballerine smisero di ballare, rimanendo ferme e immobili come statue a guardarlo. Senza nemmeno badare a quel piccolo incidente.
La pioggia si scontrava contro le finestre, lasciando piccole goccie sul vetro come traccia. Tuoni all'orizzonte e il vento a infrangersi contro alcune persiane. Con quel silenzio tutto era udibile alle sue orecchie.
< Allora?! > Tuonò Dean tornando a volarsi, ma della bambina nessuna traccia. Sparita. Aggrottò visibilmente la fronte lui, trovando solo adesso la forza per rialzarsi, abbandonando quella sedia e riportando lo sguardo sulla gente lì presente che, come le ballerine, rimasero in piedi e immobili a fissarlo.
< Che avete da guardare, eh?! >
Il Marchio nuovamente tornò a farsi sentire, bisbigliando cose. Incitandolo. La rabbia mano a mano saliva, ne ribolliva il sangue. Le mani si chiusero a pugno, facendo sbiancare le nocche, trattenendo quell'impeto mentre osservava tutta quella gente.

Un sussulto. Un altro. Tosse. 

Ogni persona all'interno di quello Stripclub iniziò ad annaspare cercando di trovare un po' d'aria, agitandosi per voler cercare aiuto. Niente più musica, ma il vociare di qualcuno in difficoltà. Espressioni terrorizzate, sguardi sgranati, bocca spalancata, mani a tenersi la gola e che ricadevano in ginocchio sul pavimento di marmo scuro.
L'acqua uscì dalle loro bocche che finì a terra rendendo le mattonelle ancora più lucide.
Stavano soffocando. Stavano annegando.
Non riuscì a capacitarsene lui, visto che non c'era acqua in giro.
Si mosse per cercare di salvare qualcuno, almeno uno, ma non riuscì a muovere un passo, rimanendo bloccato ad osservare quella gente morire.

Acqua e sangue. Tuono. Sussulti. Fulmine. Annaspi. Vento. Morte.

Quella ventina di persone riverse sul pavimento con l'espressione terrorizzata in volto e questo macchiato da acqua e da sangue. Immobili. 
Lentamente la loro energia vitale venne spazzata via, al tempo stesso il temporale cessò, lasciando solamente per ultimo il vento. Quello stesso vento che dall'esterno raggiunse quella scia di cadaveri e lui stesso. Lo accarezzava, un vento gelido che lo fece rabbrividire.

Ce ne sono così tanti di noi. Ce ne sono così tanti di noi.

Il vento bisbigliava come una litania, un centinaio di voci di diverse tonalità riempivano quel silenzio insolito dello Stripclub e, come le carezze della spogliarellista, lentamente lo rintontivano facendogli perdere la percezione delle cose. Si mosse cercando di appoggiarsi al palco, finendo rovinosamente a terra accanto a un cadavere che lo fissava. Tutti, seppur morti, continuavano a fissarlo. Non si preoccupò del sangue che gli macchiava i vestiti, ma cercò di rimettersi in piedi e allontanarsi da loro più rapido possibile.

< Non ti stai divertendo, Dean? > 
Quella voce di donna fece scemare la litania, rialzò lo sguardo incrociando la figura di quella cameriera che ora lo osservava con un sorriso inumano a piegargli le labbra carnose sporche di rossetto e gli occhi completamente bianchi.  
< ... chi cazzo sei. >
< No no no. Non si parla così a una signora. > Si imbronciò, facendo sparire quel sorriso a favore di una smorfia infantile, agitando la mancina. < Siediti. > Quella stessa mancina si mosse indicando prima il cacciatore e poi la sedia dove finì inconsapevolmente seduto. Avanzava lei, lasciando risuonare i tacchi vertiginosi sul palco, avvicinandosi a lui per poi inginocchiarsi.
< Non sei curioso di sapere come continua la conta? > Chiese con esigenza, con un leggero affanno nella voce e quel sorriso tornò a far capolino sul volto. < No? E io te la dico lo stesso. > Un respiro, scenico. < Terza è la tempesta, che al quattro annega il mondo...*> Arricciò il naso, trattenendo a stento una risata. Gli occhi bianchi a scrutarlo a fondo, la mancina si levò ad indicare la finestra - che ancora manteneva i segni lasciati dalla pioggia - e poi i cadaveri a terra. < Tempesta. Annega. Eh? L'hai capita? > Eloquente il suo tono e una risata tanto divertita quanto inquietante come la sua voce. Qualcosa di stonato.
Dean rimase basito, forse per la prima volta in vita sua fu senza parole. Il respiro accelerato, la voglia di scappare, il marchio che bruciava certo ma quella lì davanti... gli sembrò solamente un'idiota.
E' questo il Cavaliere che dovrebbe ucciderlo? Sul serio? Non se ne capacitava.

< Hai finito? >
< Oh come on, Dean! Sorridi un po'. Era divertente. > Si imbronciò nuovamente, lasciando uscire quella voce che risultò essere un semplice pigolio. Era come se dentro quel corpo convivessero due entità a se stanti. Un po' come dr. Jekyll e mr. Hyde.
< Cosa. Vuoi. > Sibilò lui, scandendo perfettamente.
< Il messaggio su Francine non era chiaro? > Chiese facendosi pensierosa per qualche istante. < Forse mi sono lasciata troppo andare... Voglio la Prima Lama, honey. Quindi... dove sta? >
< Ovunque e in nessun posto per te. > 
< Uhm. > Un altro broncio infantile. < Non mi piace quello che hai detto. > Mormorò prima di andare ad abbassare lo sguardo in direzione del braccio destro del cacciatore. 
Fiamme. Dolore atroce.
Si contorse, Dean, non appena sentì il Marchio vibrare. Gli aghi conficcati nella pelle sarebbero stati meno dolorosi in confronto, ma lui non emise un suono, stringendo i denti per resistere a quella tortura. < Voglio la Prima Lama. > Ripetè lei.
< Non... sarà... mai... tua, puttana. > 
Il bronciò scemò in favore di una risata cristallina che lo fece rabbirividire, rialzò appena le palpebre per osservare come il sorriso sghembo tornò a piegare le labbra del demone. < Sei spiritoso... mi piace! > Inziò lei, scendendo poi con un piccolo salto dal palco per portarsi proprio di fronte al cacciatore incrociando le braccia dietro la schiena. < Lascia che ti rinfreschi le idee. > Sussurrò, avvicinandosi all'orecchio altrui. < Chi pensi che abbia dato l'idea a Caino di crearla? > Un soffio bollente. Fastidio. Il suo fiato bruciava e si contorse maggiormente.
< Chi. Sei. > 
< Sono la tua liberazione e la tua morte. > Un altro sussurro al suo orecchio. Altro bruciore. < Ho in mente un luna park pieno di atroci divertimenti per te e sai perchè? > Si scostò da lui, gli occhi bianchi sparirono lasciando spazio a quelle iridi azzurrine della cameriera. Le mani che si scontrarono un paio di volte, frenetiche. Applaudì. < Perchè hai ucciso Abaddon, Dean! > Il tono si fece incredibilmente più acuto. Uno squittio. < Quindi quindi quindi... voglio essere gentile con te. > 
< Non voglio la tua gentilezza! > Sbottò lui, lanciandole un'occhiataccia non appena ebbe modo di vederla spostarsi.
< Ma ancora non sai cosa ho pensato per te. > Si imbronciò di nuovo. < Vuoi davvero tenere quel Marchio a vita? Io posso togliertelo, sai? E' mio. >
< Non è tuo. >
< Ah no? E dimmi... > La voce si abbassò e al tempo stesso il Marchio riprese a bruciare sottopelle. < com'è che reagisce alla mia vicinanza? > Incrociò le braccia sotto al seno, andando a sedersi sul palco, di fronte a lui. Il sorriso di nuovo su quelle labbra rosse.
Dean non rispose, rimase in silenzio per lunghi istanti preferendo pensare. Più ci pensava e più quello che l'altra diceva aveva un senso, mai il Marchio si era comportato così prima.
< Dimmi chi sei. >
< Oh e rovinare tutto il divertimento? > Scosse il capo un paio di volte in cenno di diniego.
< CHI SEI. > Tuonò lui.
< Ti do un indizio, piiiiccolo piccolo: > La mancina si levò ad indicare una piccola porzione con indice e pollice. < Cavallo rosso. Spada. > Recitò con fermezza nella voce senza mai staccare gli occhi dall'altro.
< Io non sono Abaddon, Dean. La rossa era stupida e ancora mi chiedo come sia riuscita a fare un puttanaio come quello che ha fatto. > Borbottò non trattenendo uno sbuffo. < Ci sono ancora nove passi prima che la conta finisca e allora suoneranno le campane. > Scese dal palco, tornando a troneggiare su di lui. < Riportami la Lama in tempo o l'inferno al fianco di Alastair non sarà niente in confronto a quello che passerai con me. > Un sussurrò che si concluse con un soffio. Un soffio dalla colorazione grigia che investì completamente il cacciatore come una folata di vento, facendolo cadere dalla sedia.

Un tonfo. Una luce accecante.
Un respiro. Le palpebre che pigramente si rialzarono mettendo a fuoco la propria stanza.
Un colpo di tosse e la figura di Sam a comparire nel suo campo visivo.
< Dean finalmente! > Riuscì a percepire nella voce di suo fratello una preoccupazione pura. Si sentiva indolenzito, la testa gli faceva male, tutto il corpo dolorante, ma il Marchio non bruciava.
< Dean? Mi senti? >
< ... non c'è bisogno di essere così apprensivo. Credo di essere solo svenuto. > La voce usciva piano, affaticata e incredibilmente roca. Del sudore freddo gli imperlava la fronte.
< Svenuto? Dean sei stato privo di sensi per quattro giorni. > 

Cosa?

---

* = "Terza è la tempesta, che al quattro annega il mondo..." è la seconda parte di una filastrocca contenente nell'opera di E.E. Richardson - The Devil's Footsteps/Tredici passi alla porta del Diavolo.   
** = La filastrocca pronunciata dalla bambina (?) deriva dalla canzone di Rob Zombie intitolata "Call Of The Zombie" e rieditata per esigenze di trama.
  
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