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Autore: pandaivols    04/06/2014    4 recensioni
▪ DAL PROLOGO:« Signor Hidden, vuole invece rivelare ai telespettatori cosa dovranno aspettarsi i nuovi ventiquattro tributi di quest'anno dall'Arena? » [...]
« Ti dirò la verità, Flickerman: penso proprio
nulla. » Il volto del conduttore era la sorpresa e la confusione fatta persona, così come tutte le altre facce che componevano la platea di quella sala.
Inaspettatamente, dopo essersi goduto la reazione che aveva suscitato, Frank Hidden continuò: « Perché potrebbero aspettarsi veramente
di tutto. »
Un coro di espressioni sorprese - e desiderose di vedere quei secondi Hunger Games in azione - si sparse per tutto il pubblico.
[...]
Il presentatore si alzò, spalancando le braccia ed annunciando a gran voce: « Signore e signori, che i secondi Hunger Games abbiano inizio! »


Ecco a voi, intrepidi capitolini, la seconda edizione dei Giochi della Fame. Chi saranno i ventiquattro tributi pronti ad uccidersi, vivere o morire per la vittoria? Sta a voi deciderlo; e tenete gli occhi bene aperti, avventurosi lettori, perché il pericolo, il sangue e la morte potrebbero essere proprio dietro l'angolo.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime, Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il sangue del vicino è sempre più rosso.'
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Il sangue del vicino è sempre
più rosso.

 

 







 

We won't see the setting sun.


.




 
There’s no place where we can run
Baby, we won’t see the setting sun
Will you take away my fear?
Look around, walk around
There’s no place where we can hide tonight.

 [ Armisael - The Electric Diorama ]


 
I. Primo tempo – L'ultima notte.
Jewel stava ancora osservando la pioggia battente fuori dalla finestra, come al solito. Era tornata in quel posto alla distanza di un anno ininterrotto di lavoro, dove non doveva far altro che sorridere e apparire forte, come la volevano tutti; il motivo per cui Capitol City l'aveva fatta vincere: per avere il suo gioiello da ostentare al mondo.
Automaticamente si toccò l'anulare sinistro, lì dove portava quell'anello tanto amato quanto odiato, quel piccolo oggetto smeraldino che Chris le aveva regalato prima di partire per l'Arena, lo stesso con cui per sbaglio aveva ucciso Blaze con quella lama nascosta al suo interno.
Ma come poteva fingere di sorridere se tutti quelli che amava erano morti per colpa sua? Come, se suo marito oramai era diventato un'ombra malinconica?
Si sentiva sfruttata, non era più lei, non lo era mai stata da quando aveva vinto e ora si sentiva sola, non aveva più nessuno: suo padre morto nei Giorni Bui combattendo al fianco di Capitol City, Lucy e la madre morte per i suoi sciocchi errori, persino Blaze, il suo Blaze... L'unico rimastole affianco era stato Chris, ma ora che l'aveva sposato, l'uomo sembrava aver dimenticato di amarla, era diventato quasi un vegetale, quando prima le aveva dedicato tutta la sua vita e lei non se ne era accorta. E a Jewel faceva schifo la sua vita, odiava ascoltare la voce di Maximus che voleva costringerla a fare qualche intervento chirurgico, o sentire i rimproveri di Klaire. Ma cos'altro poteva fare?
Due braccia esili le circondarono la vita e delle soffici labbra al gusto di ribes le baciarono una guancia umida.
« Cosa c'è che ti preoccupa, J? » chiese Naomi con tono suadente. « Pensi che il tuo bel maritino possa tradirti? O stai escogitando un modo per uccidere anche lui? » sghignazzò. « Stavolta la lama puoi fartela impiantare direttamente sotto le unghie, ora che hai un mucchio di soldi. Domani mi faranno la manicure prima di entrare in Arena, giusto? »
Jewel non si scompose, aveva lo stesso sguardo triste e vuoto di prima. Si allontanò di poco, andandosi a sedere cautamente.
« Sai, anche io prima ero come te. Una puttana » iniziò la bionda, con un tono calmo e innaturale. Jewel Walker aveva così tanto odiato Naomi Free in passato, che ora non riusciva più a farlo, perché aveva capito che non aveva più senso. « Poi, però, ho vinto i Giochi. »
La mora strinse i pugni dalla frustrazione causata da quelle parole, sentiva le unghie penetrarle nei palmi, ma forzò un sorriso malizioso.
« E cosa c'è che ti ha fatto cambiare così tanto, mia cara mentore? » domandò con finta dolcezza e interesse, schernendola.
Le labbra della vincitrice tremarono a quel nome che le faceva male solo pronunciare e gli occhi le diventarono più grandi e lucidi di prima, scossi da un fremito: « Lucy. »
Naomi impallidì e il suo corpo divenne una statua di pietra. « Smettila di fare la vittima » le ringhiò contro, trattenendo la rabbia, « perché oramai hai vinto. »
Si affrettò a rinchiudersi in camera, perché anche se sapeva che quella non era la Lucy - la sua Lucy - di cui parlava lei, le faceva lo stesso male. Si spogliò il più rapidamente possibile, quasi strappandosi i vestiti di dosso con tutta la frustrazione e la rabbia che aveva addosso, buttandoli a terra con foga; si accucciò ai piedi del letto e osservò la sua figura nuda allo specchio dell'armadio, lasciando che il mascara calasse sul viso.
Lo faceva sempre, perché aveva bisogno di vedere la persona orribile che era diventata, aveva bisogno di dirsi quanto facesse schifo. Perché lo sapeva che non era né Capitol City, né i ribelli. Il vero mostro era lei.
« Perché non la lasci in pace? »
La porta si aprì e la voce dura di Mason la fece scattare in piedi. Il moro la osservò, confuso, non riuscendo a trovare la Naomi che aveva sempre conosciuto. Conosceva ormai alla perfezione ogni singola cicatrice sul corpo della coetanea, sapeva di Lucy, sapeva del suo dolore, sapeva di quanto la ragazza si odiasse e sapeva anche che era l'ultima contro cui voleva mettersi, perché ricordava bene che lei alla roulette russa era la migliore, quando li avevano catturati. In fondo Mason era quello che la conosceva di più, l'unico che le era rimasto.
Ma chi era quella povera ragazza che gli si stava avventando contro e lo baciava avidamente, come se ne valesse della sua vita? Non era uno dei loro soliti baci fatti solo di lussuria, quello era disperato e supplicava pietà per una povera bambina privata dell'amore. Non stava stringendo Naomi fra le sue braccia, ma qualcuno di fragile, spoglio e in cerca di aiuto.
Piano le loro labbra si allontanarono e Mason osservò il viso di Naomi che non riusciva a guardarlo.
« Se proprio domani devo morire, voglio almeno godermi l'ultima scopata decente della mia vita. »
 
* * *
 
L'unica cosa di cui Mizar Rankine era ufficialmente certo era che odiava Clarity Valentine con tutto se stesso. Non riusciva proprio a capacitarsi di come si era lasciato coinvolgere in quella pagliacciata.
« ... E quindi vi dichiaro marito e moglie » sospirò alla fine, felice di aver concluso quell'interminabile cerimonia, benché avesse saltato molti pezzi e ne avesse inventati altri.
Gli occhi verdi di Peregrine si rifletterono in quelli più scuri della sua nuova moglie, che rispondeva con un sorriso altrettanto dolce.
Il rosso guardò impaziente i due, mentre si sfioravano delicatamente e con un poco d'imbarazzo. Teoricamente sarebbe stato un momento romantico, ma Mizar non solo ne aveva le palle piene, ma era convinto che di lì a poco avrebbe potuto vomitare sulla torta che Byle aveva fatto preparare per loro.
« Se non l'avessi capito ora puoi baciarla, scoparla e sfornarci altri tre gemelli » commentò acido come al solito e allontanandosi verso il tavolo dove vi era servita la cena. « Dammi una fetta di torta, Byle, non ne posso più. »
Il pel di carota sorrise gentilmente, porgendogli una torta e sorseggiando il suo tè. « Per una volta hai fatto una cosa buona, Rankine. »
L'altro emise un grugnito contrariato, sentendosi puntati addosso gli occhi di colori differenti dell'accompagnatore, sotto quello spesso strato di mascara.
Ty alzò gli occhi al cielo, sbuffando per il comportamento dello stilista, mentre Perry ridacchiò, non badandovi. Quando la castana tornò a fissare suo marito, finalmente quello si decise a baciarla, accompagnato dagli applausi calorosi del loro staff e dal disgusto non proprio silenzioso di Mizar.
Il ragazzo cercò di prendere in braccio la sposa, con ancora addosso i vestiti dell'intervista, ma appena provò a sollevarla, gli sembrò di portare in braccio un macigno. La fece alzare di pochi centimetri da terra, per poi posarla nuovamente, imbarazzato. Prese un respiro profondo. « Ok, riproviamo » mormorò con decisione. Nuovamente, cercò di alzarla, diventando rosso in viso per lo sforzo, mentre Ty si reggeva attorno al suo collo con un braccio, annoiata e al quanto a disagio per la figuraccia che stava facendo suo marito di fronte agli altri. La vergogna però toccò l'apice quando Perry si sforzò troppo, emettendo un piccolo ma chiaro rumore, che attirò l'attenzione di tutti nella stanza. Colto alla sprovvista, il castano lasciò la presa, facendo cadere a terra la ragazza, che non si fermò dal bestemmiare qualche parola.
Perry sgranò gli occhi, mortificato e pronto a scusarsi, quando Ty si rialzò furiosa e gli puntò un dito contro. « Non osare fiatare » gli ordinò, sollevandolo e riuscendolo a prendere in braccio al primo tentativo. « La torta tienicela per colazione, Byle » fu l'ultima cosa che disse prima di sparire nel corridoio.
« Non ci sarà nessuna colazione se domani sarete ne- » la bocca dell'odiato stilista venne coperta da quella dell'accompagnatore.
« Più torta per te » affermò alla fine, solo per farlo stare zitto e per dare un po' di speranza ai neo-coniugi.
Fra risa e sghignazzi, Ty si chiuse la porta alle spalle e si buttò assieme al ragazzo sul letto, che non perse tempo per baciarla con passione e iniziare a spogliarsi.
« Marito e moglie » mormorò la giovane, fra un bacio e un altro. « Ma ci pensi? »
Perry accarezzò la vita della diciottenne, mordendole il collo. « Ed è anche la nostra prima notte di nozze » alluse, facendole l'occhiolino.
Lo sguardo di Clarity si fece serio, ribaltando la situazione e immobilizzando il corpo del giovane sotto al suo. « Non ho intenzione di rimanere incinta un'altra volta, Peregrine D'Erin. Specialmente in uno stupido reality show in cui potrei morire. »
Il sorriso del coetaneo si spense subito, sostituito da un'espressione preoccupata che l'altra condivise. La strinse semplicemente fra le sue braccia, cullandola. « Ti ricordi quando mi snobbavi? »
Ty sorrise dolcemente, ricordando gli anni passati. « Prima ero solo una ricca ragazzina viziata che odiava le proprie sorelle e poteva addirittura permettersi dei domestici. Ora guardami: ne ho appena sposato uno, sono madre di tre gemelli e molto probabilmente domani morirò. » Perry le sfiorò le labbra coi polpastrelli e la giovane chiuse gli occhi, trattenendo le lacrime che sembravano voler improvvisamente calare dai suoi occhi, mentre l'altro posava le labbra delicate sulle sue nocche. « Pensi che li rivedremo? »
Il marito tacque per qualche istante, rivolgendo i pensieri ai propri figli. « Non lo so » ammise, baciandole innocentemente la fronte.
 
* * *
 
Più Nate cercava di ricordare e più le ombre nella sua mente si facevano confuse e offuscate. Chi era prima? Come ci era finita lì dentro? Eppure Natalie Dawson aveva sempre abitato in quell'ospedale da che ricordasse. Ma oramai che importava? Non vedeva l'ora di finire quello stupido gioco e tornare a casa. Gli mancava confidarsi con Babilon, sentirsi chiamare "principessa" da Chris, ma più di tutti gli mancava Tonio, il suo adorato Tonio.
Solitamente il viso di Nate era sempre austero e distaccato, minime erano le sue emozioni, ma stavolta si rabbuiò ancora di più a come aveva rifiutato di sposarlo, a come gli aveva spezzato il cuore proprio prima di partire. Se Nate avesse dovuto scegliere una persona con cui vivere per sempre di certo sarebbe stata Antoin, ma sposarsi... Le sembrava di ritornare in gabbia, la stessa da cui era riuscita a uscire dopo una vita intera.
Gli occhi scuri e a mandorla di L la fissavano penetranti senza batter ciglio, con un pollice in bocca e rannicchiato sulla sedia con le ginocchia al petto. Erano circa venti minuti che continuavano a fissarsi imperterriti senza proferire parola e nessuno dei due sembrava cedere, curiosi di sapere l'uno dell'altro.
« Tu non sei Nate » mormorò L, studiandola.
La bionda non si scompose, bevendo un sorso d'acqua dal calice di vetro. « E chi dovrei essere? » chiese, interessata al gioco a cui i due avrebbero potuto dar vita.
« E' incredibile come siate simili » continuò il moro, che sembrava non darle retta.
« E' incredibile come non ti abbiano mai preso, Elle » lo stuzzicò, ghignando leggermente. Sulla sua sedia, però, il diciottenne non si smontò, anzi, restò interessato al proseguimento del discorso. Sapeva che la bionda era scaltra e furba e voleva capire fino a dove sarebbe riuscita a spingersi. « Sei decisamente troppo intelligente per i miei gusti. »
Il ragazzò allungò una mano verso il piatto di fragole con panna, deciso a deliziarsene, ma un sibilo tagliò l'aria e una forchetta si conficcò nel tavolo al posto della mano di L, che fu costretto a ritirarla, volgendo un'occhiata truce alla compagna. « Dobbiamo essere tutti a tavola, prima di poter iniziare a mangiare » obiettò quella, aggiungendo: « e non poggiare i gomiti sul tavolo, è maleducazione. »
Lawliet obbedì, valutando che fare come gli era stato detto non costituiva un problema. Non aveva paura, aveva vissuto cose peggiori di una ragazzina disturbata e dal passato oscuro, lui stesso aveva un'identità da celare, anche se tutti quelli che ne erano a conoscenza erano morti, persino il suo fidato e vecchio Watari.
Ripensò a lui e a come l'aveva accudito in tutti quegli anni, mentre un senza-voce si avvicinava con in mano un vassoio argentato. Un tempo era Watari a cucinargli, era convinto che i capitolini l'avrebbero servito solo quando i ribelli avrebbero vinto la guerra e non perché era stato estratto per uccidere ventitré persone.
Nate si alzò, andando incontro al senza-voce e portando lei stessa il pesce cucinato in tavola. Dal corridoio, invece, spuntò Althea Wellwood, la loro bionda accompagnatrice nei cui capelli vi era scolpita la testa di un leone. Si sedette senza tanti convenevoli e neanche degnando i suoi protetti di uno sguardo.
« Vi consiglio di mangiare quanto più potete, non so se potrete di nuovo farlo una volta arrivato l'indomani » disse schietta e con la solita punta di acidità nella voce.
« Fugu » affermò Nate, ignorando l'altra, quasi entusiasta nel nominare il termine corretto del piatto. « E' molto difficile cucinare il pesce palla » spiegò, sedendosi nuovamente al suo posto e ricordando di aver letto alcune cose in proposito nella biblioteca degli Addams nel Distretto 3. « Trovo che i pesce palla siano carini. Sembra che possano scoppiare da un momento all'altro. »
« E' solo un pesce » la smontò la maggiore, già addentandone una fetta e lanciando un'occhiata al moro tributo. « Ti fa tanto schifo metterti composto? »
L la ignorò, notando il ghigno che la compagna le stava rivolgendo, mentre alzava in alto il calice. C’era qualcosa che non andava in quella situazione, qualche dettaglio che gli era sfuggito…
Solo guardando Nate negli occhi capì ogni cosa. Si alzò immediatamente, con appena un « Ferma, aspetta! », ma il rumore di uno scoppio improvviso bloccò ogni suo tentativo di limitare il danno. Qualcosa lo investì. Le mura si riempirono di schizzi di rosso, così come il pavimento, il tavolo e ogni mobile lì vicino; sia lui che Nate erano ricoperti di sangue e vi erano pezzi di membra e resti di materia grigia sparsi ovunque. Di Althea, invece, nessuna traccia. La testa dell’accompagnatrice era esplosa e quello che era rimasto del suo corpo si era accasciato sulla sedia.
L sgranò gli occhi: la ragazza del Tre aveva sabotato in qualche modo il pesce palla, trasformandolo in una bomba. La cosa peggiore era che avrebbe potuto far saltare in aria anche lui, ma la bionda era perfettamente a conoscenza che L mangiava praticamente solo dolci.
« Il primo morto dell'edizione. » La diciassettenne si portò un dito insanguinato alla bocca, assaporandolo e storcendo il muso. « Non è dolce. Non sarebbe piaciuto nemmeno a una zanzara, figuriamoci a te » disse, allontanando il piatto dalla sua vista come se ne fosse disgustata. « E poi sono convinta che il sangue di qualsiasi altro accompagnatore sarebbe stato più rosso e dolce del suo, che peccato. »
« Come il proverbio? » chiese Elle, ritornando a sedersi nella sua solita posizione. « L’erba del vicino è sempre più verde? »
La Dawson alzò un sopracciglio. « E che c’entra, scusa? »
Il moro alzò le spalle, apparentemente rilassato ma profondamente – e forse piacevolmente – sorpreso. « Per dire. Me l'hai ricordato. »
L'altra si sforzò di sorridere maliziosamente a quel pensiero. « Giusto. Il sangue del vicino è sempre più rosso. »
 
* * *
 
Beryl finì di passare il rossetto perlato sulle labbra di Rhymer, osservandolo estasiata e quasi senza parole.
« Come fai a essere così bello anche da donna? » domandò la ragazza, sognante, con una punta di gelosia nello sguardo.
Aveva praticamente costretto lo stilista a vestirsi e truccarsi da donna per puro divertimento, dopo che lo aveva finalmente convinto a potersi fidare di lei (grandissimo errore) e a raccontarle la storia di lui e Mizar; ma ora che lo osservava, constatò che era anche la donna - oltre che l'uomo - più bella che avesse mai visto. Anche più di Chord! Non che avesse mai visto Chord vestito da donna, s'intende. Avrebbe tanto voluto essere così bella agli occhi del fratello, però.
Rhymer sorrise malinconicamente, accarezzando i lunghi capelli castani di Beryl e facendole poggiare la testa sul suo petto. La ragazza si appollaiò accanto a lui sul divano, abbracciandolo.
« Rhy, perché tu e Mizzi non tornate assieme? »
L'uomo dai capelli blu sospirò, cominciando ad accarezzare la ragazza come se fosse un gatto. Nessuno si sarebbe stupito se quella avesse iniziato a fare le fusa.
« Io e Rankine non siamo mai stati assieme, fragolina » le ricordò, faticando a riportare a galla cose che aveva sempre sperato di poter dimenticare, invano.
La castana sollevò leggermente lo sguardo, curiosa. « Ma un tempo vi amavate, giusto? Insomma, lui ti amava, te l'ha detto » piagnucolò, come una bambina insoddisfatta dalla fine di una fiaba senza il "e vissero tutti felici e contenti".
« Non amava me, capisci? » cercò di farle comprendere gentilmente in un sussurro.
« Amava Mare? » domandò e l'altro confermò con un cenno malinconico del capo. Beryl per una volta stava pensando prima di partire col suo fiume di parole, ma tutto ciò che le uscì fu: « Ma in fondo che male c'è ad ammettere i propri sentimenti? Lui l'ha fatto e tu pure... Non penso che una persona debba aver paura di amare. »
Lo stilista sospirò e la ragazza si alzò col busto, implorando una risposta con gli occhi. « La differenza è che io gli ho mentito per tutto il tempo. » Beryl si alzò in piedi, cercando di chiarirsi le idee e stampando un bacio sulla guancia dell'altro. Il maggiore le baciò la fronte, lasciandole il segno del rossetto. « A domani, fragolina. Cerca di dormire bene. »
Beryl sparì nel corridoio per entrare nella stanza di Ocean il più silenziosamente possibile - senza successo - e lo trovò a leggere un libro di Rhymer sul mimetismo, mentre teneva fra le mani una corda e la intrecciava meccanicamente, come gli aveva insegnato suo fratello Elijah quando era nella marina.
« Devo trovare il modo per far fare loro pace, Ocean. E domani non ci sarò più a tenerli d'occhio! Come faccio? » si lamentò, iniziando a camminare su e giù per la stanza, mentre il biondo richiudeva il libro e la seguiva con lo sguardo.
« Non è la tua battaglia, Beryl. Devi pensare solo a domani, d'accordo? »
« Invece sì che lo è! Ci tengo a lui. Loro si amavano, lo sapevano, ma è stato solo un grande malinteso, capisci? » obiettò la castana, cercando di tenere basso il volume della propria voce per non farsi sentire da Rhymer. « Il problema è che Mizzi credeva di amare un'altra persona, ma non è così! E' come ogni volta che sto con te mi sembra di tradire Chord, tanto da farmi impazzire! E Chord neanche sa che lo amo, perché pensa sia solo sua sorella e quindi mi fa pensare che sarebbe più giusto stare con te, ma tu hai Leila e io... »
Improvvisamente, la ragazza del Quattro si fermò all'istante, tappandosi la bocca. Era stata capace di farsi sfuggire l'unico segreto che era riuscita a mantenere per anni, semplicemente per un piccolo attacco di panico. Si maledisse per la sua lingua lunga e fin troppo sincera.
Ocean sbarrò gli occhi, sorpreso. Cosa avrebbe dovuto fare in quel momento? La compagna aveva appena confessato di provare qualcosa per lui - e non solo per il fratellastro - ma proprio non ce la faceva a vederla sotto questo aspetto, perché l'aveva sempre considerata come una sorella minore, qualcuno da proteggere, un animaletto da compagnia tutto da coccolare... Okay, forse stava andando verso l'esagerazione, ma Ocean amava Leila, ne era convinto, e avrebbe continuato a farlo, come sapeva che Beryl avrebbe continuato ad amare Chord, ora che aveva confermato di provare qualcosa di più.
La ragazza fissò il pavimento, imbarazzata, torturandosi i capelli e le mani. « E' che semmai Mizar riuscisse ad ammettere i suoi sentimenti, forse anch'io saprei cosa fare. Capisci? »
Il biondo si scrutò attorno, per controllare dove fossero le telecamere e a quel punto si alzò. Nessuno li avrebbe visti, a meno che Capitol City non voleva divertirsi a mandare filmati inediti per tutta Panem. Si ritrovò di fronte la figura bassa ed esile della compagna, prendendole il viso fra le mani.
« Non è tradire, Beryl. Non lo è mai quando si sta per morire. »
Si abbassò e fece unire le loro labbra nel modo più dolce possibile, circondandosi a vicenda in un abbraccio.
« Grazie, 'Cean » sussurrò la minore a fior di labbra, affondando il viso nel petto nel compagno.
Dopodiché, qualcuno suonò alla porta dell'appartamento.
 
* * *
 
Jamie non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo, di cosa sarebbe accaduto d’ora in avanti. Quel ragazzo del Distretto 7 che la perseguitava aveva praticamente fatto capire al mondo che un tempo loro due si conoscevano, che lui teneva - tiene - a lei. Ma allora perché Jamie non ricordava nulla? Più si sforzava e più la sua mente si offuscava, provocandole un gran mal di testa. Le apparivano solo immagini di fumi, dei grandi boati che le tappavano le orecchie, luci e fuochi ovunque come se tutto il mondo fosse in festa, ma invece delle risa, Jamie sentiva le grida... Le grida della sua famiglia.
Istintivamente ritirò le gambe al petto, chiudendo di scatto gli occhi e tappandosi le orecchie.
Non era reale, oramai era tutto finito, continuava a ripeterselo, come faceva la vecchia Maelh quando aveva gli incubi. Ma Maelh ora non c'era più a rassicurarla, ora Jamie era sola, non aveva più nessuno. Ricordò come l'anziana signora che si era presa cura di lei per tutti quegli anni era venuta a farle visita al Palazzo di Giustizia prima di partire. Non le aveva dato consigli su come vincere, ma su come vivere la vita stessa e per questo Jamie gliene sarebbe stata per sempre grata. Ma poi aveva visto i suoi occhi sgranati, la debole figura della donna accasciarsi e le forze abbandonarla. Quella volta Jamie aveva gridato, non ricordava neanche da quanto non aprisse bocca, eppure aveva chiamato aiuto, disperata e fra le lacrime; ma l'unica cosa che aveva ottenuto era stato lo scherno dei Pacificatori.
« Ah, ora parli » l'aveva derisa uno, mentre l'altro lo seguiva a ruota con gli sghignazzi, prima di portare via il cadavere, affermando che oramai non c'era più nulla da fare.
Come potevano esistere persone così crudeli? Come potevano i Giochi della Fame spegnere il sorriso perennemente dipinto sulle labbra di Jamie? Come erano riusciti a infrangere la sua pace interiore e portarla sull'orlo delle lacrime in un modo così disperato e vile?
Jason sentì i singhiozzi e, alzando il capo dal suo bicchiere di scotch - Ice gli aveva permesso di berlo, alla fine -, seguì lo sguardo dell'accompagnatrice fino al divano, dove vi era rannicchiata la sua compagna di distretto.
Il diciassettenne si sentì addosso lo sguardo azzurrino di Ice sotto quelle ciglia finte di una tonalità ancora più accesa; ma concordava con la sua muta decisione nel voler tirar su di morale Jamie. Si poteva dire che Jason odiasse l'intera truppa del suo staff, tranne Ice, perché almeno lei era sempre gentile e disponibile ad aiutarli, era un po' come la loro sorella maggiore e in qualche modo colmava la lontananza che lo separava dalle sue sorelle, benché ovviamente non potesse rimpiazzare il legame speciale che c'era fra lui ed Elizabeth. Istintivamente si grattò la voglia rosso scuro sul collo e poi si alzò dal tavolo all'unisono con la donna dai capelli argentei, andando a sedersi vicino alla compagna.
Quando l'accompagnatrice poggiò la propria ghirlanda di fiori sul capo di Jamie, quella alzò lo sguardo verso gli altri due, che presero posto accanto a lei.
« Sei turbata per quel ragazzo, vero? » chiese gentilmente Ice, prendendo le mani della castana tra le proprie.
« Forse non è come ha detto lui » ipotizzò Jason, « forse si è inventato tutto ed è solo uno che ti ha preso di mira. »
« Non credo metterebbe in scena uno spettacolo simile » disse sinceramente la donna. Jamie chinò il capo, affranta e l'accompagnatrice se ne dispiacque ancor di più. « Non sai proprio chi è? » La quattordicenne scosse la testa. Era inutile oramai, ogni volta che provava a ricordare, la sua mente sprofondava ancor di più nella nebbia.
Jason sospirò, circondando le spalle di Jamie con un braccio col quale la ragazza si sentì stranamente protetta. « Senti, non so quanto può essere d'aiuto » iniziò il riccio, « e a quanto pare a nessuno di noi piace parlare molto, ma se può farti sentire bene, ora ti racconterò una storia. » Il moro cercò con gli occhi l'approvazione dell'albina, che gli sorrise teneramente. « C'era una volta un giovane bibliotecario che non si sa per quale ragione si sposò ed ebbe dei figli. Amava il suo lavoro tanto quanto amava i suoi bambini, ma la moglie non era contenta di ciò, lei non voleva altro che arricchirsi. Però la famiglia, seppur divisa, si voleva bene. Poi all'improvviso scoppiò una grande guerra, che li costrinse a fuggire e nascondersi. Incontrarono un colonnello di nome Hugo Fitzwilliam e il suo fidato soldato semplice Charles Bingley; furono di grande aiuto perché senza di loro probabilmente sarebbero tutti morti. Però la moglie del bibliotecario e le due figlie minori morirono, così come il colonnello Fitzwilliam. L'uomo si rese conto che la guerra non era come nei libri che aveva custodito per una vita intera, non sempre i buoni vincevano e non tutti i personaggi sopravvivevano. La maggiore delle figlie, Jane, si chiuse in sé stessa, perché lei... lei ci teneva tanto a Fitzwilliam. Il secondogenito aveva una gemella, Elizabeth, e lui... lui le voleva bene e ne voleva anche a Jane; così, anche se era un po' geloso, non disse nulla quando lei trovò conforto in Bingley, perché lui non voleva vederla triste e se quello era l'unico metodo per confortarla, allora andava bene. Però... Però l'aria era malsana, non... e Mary... Mary era la terzogenita, sì, ma lei non era più la stessa, non... non ragionava... » Jason s'interuppe, notando che oramai non riusciva più a far filare una frase e che la sua voce si stava iniziando ad incrinare. Si massaggiò le tempie, sospirando. « Scusa, Jamie. Effettivamente non è una bella storia, non ha un lieto fine. »
Improvvisamente un bacio si posò sulla guancia del diciassettenne e lui fu sorpreso nel vedere la sua compagna che gli sorrideva comprensiva, posando le proprie mani sulle sue. Si addolcì, cercando di scacciar via la malinconia, ma d'un tratto la voglia rosso scuro sul collo gli prese a dolere in un modo così lancinante che gli sembrava di stare per svenire.
E ciò poteva significare solo una cosa: era accaduto qualcosa ad Elizabeth.
 
* * *
 
Zhu non si dava pena di nascondere il broncio che aveva sulla bocca, stando a braccia conserte il più lontano possibile dalla sua compagna di distretto e sbuffando sonoramente ogni tanto. Wednesday, invece, se ne stava tutta pimpante accanto a Winnow, curiosando su cosa lo stilista stesse disegnando. La dodicenne aveva un sorriso trionfante. Entrambi i tributi erano in "punizione", ma era come se la mora avesse vinto.
Tutto era iniziato a cena, da una raffica di polpette lanciate a mo' di catapulta con un cucchiaio, alle quali Zhu aveva perso la pazienza e aveva risposto, dando vita a una vera e propria guerra di cibo. Winnow non si era fatto problemi, era rimasto a farsi i fatti suoi senza dire nulla, ma Saevera non li aveva uccisi semplicemente perché doveva evitare che si ferissero prima di entrare in Arena. Li aveva letteralmente costretti a stare lontani, seduti e in silenzio senza far nulla, supervisionati dallo stilista, nel frattempo che lei andava a chiamare un senza-voce per ripulire tutto quel macello. La punizione era che i due tributi del Sei avrebbero dovuto aiutare a far tornare la sala splendente come prima.
L'accompagnatrice dai lunghi capelli viola rientrò furibonda e rigida come sempre, accompagnata da una senza-voce dalla pelle scura, gli occhi blu, i capelli castani raccolti in uno chignon come tutte le altre domestiche e la tipica divisa austera.
Zhu sgranò gli occhi appena la vide.
Katae.
Era lei! Impossibile confonderla, perché era la ribelle per cui Zhu aveva quasi tradito il padre, colei che l'aveva terribilmente confuso. Quella rimase immobile nel riconoscere la figura dello sfregiato, non parlò perché non poteva, ma i suoi occhi lo fecero per lei. Quando però Saevera le diede uno scossone, si accovacciò immediatamente sul pavimento, iniziando a lavare il pavimento con secchio e spugna. L'accompagnatrice ordinò agli altri di unirsi, così Wednesday cominciò a passare la pezza bagnata sul tavolo, mentre Zhu si unì nel pulire a terra.
Voleva parlarle, dirle qualsiasi cosa gli venisse in mente; effettivamente non sapeva nemmeno cos'avrebbe potuto anche solo balbettare, ma voleva ricevere almeno un cenno in risposta, per fargli capire che si ricordava di lui. Ma come fare? Si guardò alle spalle: Winnow stava ancora facendo qualche schizzo sul suo blocco da disegno, mentre Saevera era sparita nel corridoio. Colse al volo l'occasione e si avvicinò a gattoni alla senza-voce, facendo sfiorare le loro mani, seppur visibilmente nervoso.
« Come hanno fatto a prenderti? » sussurrò, attirando l'attenzione dell'altra.
« Che cosa diavolo stai facendo, moccioso? » tuonò l'accompagnatrice, che gli sbucò alle spalle, facendolo sussultare. « Ti ricordo che i senza-voce sono dei ribelli e come tali devono scontare la propria pena. Non è visto di buon occhio socializzare con loro, non puoi parlarci, specialmente vista la posizione di tuo padre come aiutante di Capitol City. O vuoi che venga a ustionarti anche l'altra metà della faccia? »
Zhu s'irrigidì. Come faceva quella donna a sapere che era stato suo padre a sfigurarlo? La verità, però, era che Saevera poteva pure fregarsene del mondo e rimanere perennemente insoddisfatta, ma si informava bene di chi la circondava, perché le faceva comodo e perché, semplicemente, lei non si fidava più di nessuno da anni.
« E quello dell'Undici? E' stato Augustus Flickerman a- »
« Tutto ciò che fa Flickerman è per audience » lo interruppe. « E la cosa che mi fa venire il nervoso è che ci riesce anche bene. Tu » puntò il dito verso Katae, considerando la discussione terminata lì, « vai a cambiare l'acqua del secchio. E tu » stavolta afferrò Zhu per la maglia, costringendolo ad alzarsi in piedi e spintonandolo, « piuttosto renditi utile e pulisci il porcile che avete combinato sulle pareti. »
Wednesday sghignazzò nel vedere il compagno maltrattato. « Posso andare in bagno? » chiese in tono fintamente docile, posando la pezza.
« Come ti pare » sbuffò l'accompagnatrice, andando a visionare una pila di fogli sul divano.
Mogio mogio il moro cominciò a togliere i residui di sugo sul muro, ripensando alle parole della donna. Ora Katae aveva perso la sua voce, in qualche modo era stata sfigurata anche lei, seppur non in così bella vista.
D'un tratto si sentì il rumore di un tonfo provenire dalla camera della Addams, che attirò i presenti.
Saevera sbuffò e si alzò dal divano, andando a vedere che cosa stesse succedendo. « Che cosa diavolo sta combinando ora quella là? »
Zhu la seguì, incuriosito, stando a molti passi di distanza da lei, mentre Winnow sembrava non interessato e intento a farsi gli affari suoi.
La donna aprì la porta della camera e ciò che vide fu la dodicenne intenta a strangolare la senza-voce, a terra, piena di tagli sulla pelle provocati da un coltello sbalanzato poco lontano dalle due e che probabilmente la minore aveva rubato dalla tavola.
Wednesday era scocciata dal fatto che quella si dimenasse, al contrario invece di suo fratello Pugsley, che era facile da sottomettere; ma in fondo così era più divertente e per questo la corvina rideva istericamente, eccitata dal brivido di quel "gioco". Zhu si precipitò immediatamente su di lei, scaraventandola a terra, mentre Saevera li acchiappava entrambi per la collottola per dividerli.
« Stava per ucciderla! » gridò il giovane, accusando l'accompagna e guardando preoccupato il corpo di Katae che giaceva a terra, respirando faticosamente. « Fa’ qualcosa! »
Saevera lo squadrò con i suoi occhi di ghiaccio e l'espressione seria. « Anche mia sorella è stata uccisa dai ribelli, eppure nessuno ha mosso un dito per salvarla mentre la violentavano. »
A quelle parole il ragazzo del Distretto 6 strinse i pugni, ammutolendosi, e in quell'istante comparve Winnow alla porta, che si precipitò sul corpo della senza-voce per aiutarla.
« Stavo giocando e mi ha interrotto » si lamentò Wed, credendo di trovare conforto nel proprio stilista.
L'uomo aggrottò le sopracciglia, sebbene fosse impercettibile notarle sotto tutti quei tatuaggi. « Non dovresti fare certe cose » la rimproverò.
La piccola Addams fu sorpresa da quelle parole. Mai si sarebbe aspettata che proprio la figura che fino ad allora aveva adulato fosse delusa propria da lei.
Arricciò le labbra, indispettita. « Proprio tu che hai disegnato uno scheletro su tutto il corpo mi vieni a parlare che non è giusto uccidere?! »
Winnow si alzò, prendendo la ragazza svenuta in braccio. « Questo tatuaggio non è perché mi piace la morte » spiegò, « ma perché stavo per morire. » E, con quelle parole, lasciò l'appartamento.
 
* * *
 
William si teneva il viso tra le mani, in paranoia forse da ore, mentre Haylee aveva deciso di mangiare più che potesse prima di entrare in Arena. Aveva scoperto il cioccolato e ancor più che fosse talmente delizioso da avere le mani e la bocca sporche per la fonduta.
« La pianti? » sbottò, leccandosi le dita. « Non frega a nessuno che tu ti sia dichiarato in diretta nazionale. Anzi, almeno forse ora potrai attirare qualche sponsor. »
Il moro sollevò il capo, lanciando un'occhiata truce alla compagna. « E tu la smetti di fare la carina con tutti se poi sei soltanto una vipera? »
La quattordicenne alzò le spalle, ignorando gli insulti che tanto era abituata a ricevere. « Perché non vai direttamente da lei? »
« Ma se neanche si ricorda di me! Mi avrà preso per pazzo! » esclamò, alzando le braccia al cielo.
« E ci credo » commentò la rossa, squadrandolo. Si pulì mani e viso con un tovagliolo, per poi andare vicino al compagno. « Andiamo a spiarla » propose.
Will alzò un sopracciglio, sperando di aver capito male. « Come, scusa? »
Haylee gli afferrò il mento, stringendo sulle guance fino a fargli sembrare le labbra come quelle di un pesce. « Dai, Choppy, quelli dello staff si sono tutti rintanati nelle loro camere, quell'idiota della nostra accompagnatrice è uscita. Facciamoci un giro anche noi, voglio vedere se anche gli altri distretti hanno la fontana di cioccolato. »
Senza lasciargli tempo per controbattere, Haylee prese il diciottenne sotto braccio e lo trascinò fuori dall'appartamento. Per tutto il tempo che aspettarono l'ascensore la rossa non fece altro che canticchiare motivetti; Will avrebbe tanto voluto Roxy o Nico a confortarlo, non quella mocciosa.
Una volta usciti dall'ascensore, il maggiore si guardò attorno, notando però il numero del piano e aggrottando le sopracciglia. « Che stupida » sbuffò, rivolgendosi alla compagna, « hai sbagliato a premere, questo è il piano del Distretto 6. »
L'altra scosse la testa. « No no, sei tu lo sciocco fra i due. Come spia sono meglio di te » affermò, incitandolo a seguirla con un cenno della mano.
La minore aprì la finestra in fondo al corridoio, mentre il moro sperava che nessuno del Distretto 6 uscisse dall'appartamento e li scoprisse.
« Vedi, quello è il balcone del Distretto 5 » affermò Haylee, sporgendosi dalla finestra e indicando il balcone del piano inferiore.
Chopper si affacciò, continuando a pensare che fosse stupida. « E allora, ora che vorresti fare? » Nemmeno a finire la frase, che la rossa aveva strappato le tende con qualche colpo secco. « Che diavolo fai?! » domandò istericamente il moro, che fu bellamente ignorato dalla compagna, che intanto legava un'estremità della tenda alla maniglia della finestra.
« Ci caliamo giù con questa. Il peso farà chiudere la finestra in modo che non si sciolga la presa e allo stesso tempo la finestra non potrà chiudersi completamente, permettendoci di rientrare una volta risaliti » spiegò.
« Tu sei pazza » mormorò il maggiore, chiedendosi come l'altra avesse fatto a ideare una cosa del genere.
Haylee gli strinse nuovamente le guance con una mano. « Choppy-choppy sarà il nostro segnale di avvertimento se qualcosa dovesse andare storto. Dillo. » Will cercò di parlare, ma la stretta ferrea gli permetteva solo di borbottare parole indecifrabili. « Dai, dillo. »
Strattonò bruscamente la mano della minore per allontanarla, massaggiandosi così la mascella. L'altra alzò le spalle, stringendo il tessuto della tenda e facendo per calare. « Peggio per te, ma per vedere la tua ragazza devi fare come dico io. »
« Non è la mia ragazza » obiettò il Wyngardaen.
« Come ti pare » concluse Haylee, alzando le spalle e calandosi.
Come previso, la finestra si chiuse, ma solo apparentemente perché la stoffa la bloccava. Sospirò e controvoglia aprì la finestra una volta accertatosi che quella stesse giù, poi iniziò a scendere e anche stavolta la finestra si chiuse. Quando atterrò sul balcone, vide il sorriso soddisfatto stampato sul volto di Haylee e grugnì, contrariato. La finestra dell'appartamento era quasi interamente coperta dalla tenda, se non per pochi centimetri di spiraglio. Entrambi si appostarono per sporgere e osservare che cosa stesse succedendo all'interno. Will riconobbe Jamie sul divano, accanto a lei la sua accompagnatrice e poi il suo compagno di distretto che le parlava.
« Non si sente nulla » si lamentò, ma fu azzittito con un gesto dalla rossa, che non distoglieva un attimo gli occhi dalla scena.
Poi vide chiaramente le labbra di Jamie posarsi sulla guancia del compagno e a William parve che l'avessero improvvisamente trafitto con una dozzina di lame nel petto. Qualcuno gli afferrò la mano: era Haylee.
« Hey, tutto ok? » domandò, ma Chopper non rispose, si limitò a contraccambiare lo sguardo fisso. La quattordicenne lanciò un'occhiata all'interno dell'appartamento, poi si avvicinò al maggiore, attirandolo a sé e rischiando di essere scoperti. « Fanculo la tua ragazza, falle vedere che anche tu puoi distrarti con chi vuoi. »
« Non è la mia ragazza » ripeté il giovane. Forse per ripicca o perché era geloso, ma si lasciò convincere e i due si scambiarono un breve bacio.
Si staccarono quasi immediatamente, schifati, allontanandosi quasi fossero contagiati dalla peste. Era stato strano, troppo strano. Iniziarono a sputare di sotto e a raschiarsi via la lingua o strofinarsi le labbra con le maniche della maglia per cercare di scacciar via quel gesto avventato.
« E' strato uno sbaglio, è stato uno sbaglio! Un enorme sbaglio! » continuava a ripetere la minore, sul punto di vomitare.
« Mai più! » concordò il ragazzo. « Il peggior bacio della mia vita! »
Haylee alzò gli occhi al cielo, continuando a sputare. « Oh, certo, siccome hai l'aria di uno che ha avuto chissà quante donne nella sua vita... »
Chopper le lanciò uno sguardo truce, per poi guardare nell'appartamento: non era cambiato nulla, evidentemente non li avevano visti e quasi se ne dispiacque, ma forse era meglio così. Strattonò Haylee, attirandola verso di sé. « Andiamo » la incitò, iniziando a risalire la tenda.
Come previsto dal piano, una volta in cima la finestra si riaprì tranquillamente, ma appena anche la rossa fu sana e salva, ecco che la porta dell'appartamento del Distretto 6 si aprì, facendo gelare il sangue ai due complici, impauriti che potessero beccarli. Ma uscì solamente un uomo completamente tatuato col motivo di un teschio, che portava in braccio una ragazzina scura vestita da senza-voce e che si diresse spedito verso l'ascensore, senza nemmeno notarli.
 
* * *
 
La voglia di Brick di imparare quello stupido gioco era meno di quella di immischiarsi in qualche rissa. E lui non vi prendeva mai parte se c'era già qualcuno a lottare, non dopo che aveva cercato di salvare la vita a Clary e lei l'aveva rimproverato, insultato e picchiato. Non aveva molta voglia di ripetere quell'esperienza, ma sicuramente più di stare vicino a quella poppante.
« Tu sei nettamente più forte di lei » gli aveva detto Delphi in privato, « non riuscirebbe a spostarti neanche con tutte le sue forze in un corpo a corpo. Ma devo ammettere che, anche se tremendamente ingenua, lei è indubbiamente più agile, scaltra e intelligente di te. Quindi sotterra l'ascia di guerra, prima che sia lei a decidere di ucciderti. »
Le parole dell'accompagnatore gli rimbombavano nella testa. Era colpa sua se ora si trovava immischiato in quella situazione, l'aveva praticamente costretto, ma Brick non aveva accettato quell'alleanza, l'avrebbe solo valutata.
« La scacchiera è formata da coordinate, come a battaglia navale » spiegò la piccola Kenia Reaper.
« Non ho mai giocato a battaglia navale » confessò il quindicenne in tono brusco.
La riccia tentennò. Il ragazzo la trattava sempre male, eppure lei non voleva altro che essergli amica. « Non importa. Però, vedi, è formata da delle coordinate. Le coordinate sono- »
« So cosa sono le coordinate, idiota. »
Kenia si zittì, mortificata. « Scusami... » sussurrò, cercando di continuare: « Ci sono pezzi bianchi, che appartengono a me, e pezzi neri, che muoverai tu. »
« Perché io sono i pezzi neri? » domandò Brick, frustrato.
« Se vuoi possiamo fare a cambio. »
« No, mi piacciono i neri. »
Kenia rimase confusa da quel comportamento, ma cercò di non commentare e di limitarsi solamente a spiegargli il gioco. Era già tanto che il compagno le parlasse visto che la odiava, accusandola di aver quasi ucciso la sua sorellastra.
Sorellastra. Brick doveva ricordarsi cos'era Clary per lui ogni tanto.
« I pedoni possono muoversi solo in avanti o lateralmente. La prima mossa può essere di due caselle, mentre per tutto il resto del gioco potrà essere solo di una. L'alfiere si può muovere diagonalmente quante caselle vuole, la torre lo stesso ma invece che seguire le diagonali segue le rette. La regina può andare dove vuole, il re anche ma può avanzare solo di una casella e il cavallo è un po' più complesso... »
« Cioè? » la interruppe, aggrottando le sopracciglia.
« Può muoversi solo a L. »
« Che? Come quello del Distretto 3? »
La dodicenne ridacchiò. « No, si può muovere di una casella in avanti e due lateralmente a sua - cioè tua - scelta. »
Il ragazzo cercò di riflettere su ciò che aveva assimilato, abbandonandosi sulla sedia e incrociando le braccia. « Perché il cavallo è quello più strano? »
La minore alzò le spalle. « Non lo so, è così il gioco. Forse perché è un animale, non cammina mica come noi. »
« Sì, ma la torre è una fottutissima torre. Come cazzo fai a spostarla se è di pietra? »
« Magari non è di pietra ma di carta » suggerì.
« E allora è un gioco del cazzo. Non puoi pretendere di attaccare o difenderti con una torre di carta » sbottò il moro. Kenia chinò il capo, a disagio. Nessuno aveva mai messo in discussione quel gioco e le sue regole; erano così e basta e la piccola Reaper non si era mai posta quelle domande perché non ne aveva mai sentito la necessità. Ma in fondo non aveva mai fatto domande neanche quando Kingsley l'aveva sfruttata per uccidere tutti quei ribelli. Forse Brick era più intelligente di lei perché aveva avuto il coraggio di fare ciò che lei non si era mai posta il problema di fare: domandare e fermare il gioco. Chissà se sarebbe riuscito a fermare anche gli Hunger Games. Il ragazzo notò però che la minore era assorta nei suoi pensieri, così decise di interrompere quel silenzio con un’altra domanda: « Secondo te io sono una torre? »
La dodicenne alzò il capo, squadrandolo e poi annuendo. « Sì, però di pietra. »
« E perché mai? »
La riccia accorciò il collo, vergognandosi delle parole che stava per dire. Non sapeva in che modo l'altro avrebbe potuto reagire. « Perché sei forte e determinato, sei un pezzo importante e capace di molto, però tendi a non allargare i tuoi orizzonti. Ti limiti a vedere solo il tuo punto di vista, vai avanti e indietro e di lato, ma non provi mai le diagonali. »
Brick rifletté su quel discorso e dovette ammettere a se stesso che quella bambina pelle e ossa aveva ragione. « E tu, Barbie? »
La giovane osservò la scacchiera, spaesata. Non ci aveva mai realmente pensato. Lei... lei che ruolo aveva in quel gioco?
La comparsa di Delphi nella stanza attirò l'attenzione nei due. L'uomo mingherlino e tatuato sollevò di peso la protetta, mettendola a terra e invitandola a uscire.
« E' ora di andare a nanna » annunciò.
« Io resto ancora un po' qui » disse Brian, stringendo fra le mani il pezzo della torre nera, rimuginando fra sé. Delphi acconsentì con un cenno del capo.
Kenia alzò il capo verso l'uomo, supplicandolo. « Ti prego, posso restare anch'io? »
L'accompagnatore storse il muso, indeciso. « Meglio di no, Barbie. Devi riposare. »
E lanciando un ultimo sguardo al suo compagno, la riccia fu pronta ad ascoltare l'ultima storia della buonanotte che Delphi gli avrebbe raccontato.
 
* * *
 
« Hey, Mani di Forbice, è possibile tingersi i capelli per domani? Voglio entrare in Arena con qualcosa di diverso, mi sono rotta ad avere questa specie di ying e yang in testa » sbottò Phoebe Melanie Woody al suo stilista, mentre lei se ne stava sdraiata sul divano, accando ad un Benvolio annoiato intento a fare zapping. Lo stilista del Distretto 12 aveva fatto richista per cambiare col 9, ma gliel'avevano negato; Melanie avrebbe voluto tanto indossare il vestito di Nymeria, ma anche il suo le era piaciuto tantissimo, solo che aveva perso così tanti petali che l'intero pavimento ne era cosparso, così aveva colto l'occasione di mettersi il pigiama appena erano tornati. « Fredrick, tu che dici? Che colore ti piace di più? » chiese, mostrandogli il catalogo che stava sfogliando con le tinte più in voga a Capitol City.
La ragazza allungò un piede fino a sfiorare una guancia del biondo, che l'allontanò, infastidito. « Che ne so » sbottò, « a me sembrano tutte uguali. »
La compagna piegò le labbra all'ingiù, sconcertata da come l'altro non capisse. « Ti sbagli » obiettò, puntellando sulla rivista e tornando a infastidire Benvolio mettendogli il piede in faccia. « Questo è biondo ossigenato, questo è biondo scuro, quest'altro biondo cenere e questo biondo grano » spiegò, per poi continuare, toccandosi le punte dei capelli: « Voglio farmi bionda. Un po' come te. Magari avremo più sponsor se appariamo come una coppia. E' che voglio proprio cambiare colore di capelli. »
« Non l'avevo capito » rispose sarcastico l'altro, afferrandole il collo del piede in modo da fermarlo una volte per tutte, forse stringendo anche un po' troppo forte.
La diciassettenne emise un gemito inizialmente di un lieve e improvviso dolore, ma che poi si mutò in una risatina maliziosa. « Che c'è, Fredrick, non sono abbastanza bella per te? »
« Sono gentile, fino a quando non mi fanno girare le palle » affermò.
La ragazza dai capelli bicolore continuò a sghignazzare. « Felice di esserci riuscita. »
Benvolio le permise di allungare semplicemente le gambe sulle sue, mentre lui si portò alla bocca un po' di tabacco avvolto in una sottile cartina e ne accese un'estremità da una fiamma proveniente da un piccolo contenitore molto diffuso a Capitol City. La chiamavano sigaretta e Phoebe non ne aveva viste molte in giro nel Distretto 9, solitamente le possedevano i più ricchi o gli uomini di contrabbando, ma poteva ammettere di averne fumata qualcuna che suo fratello Peter era riuscito a procurarsi. Che poi, chissà come stava Peter in quel momento e se pensava a lei. « Se fai scattare l'allarme anti-incendio, sono cazzi. »
« Stai zitta » l'ammutolì. « Devo ancora capirti, Melanie. »
La compagna alzò un sopracciglio, alquanto sorpresa. « Nome azzeccato, Fredrick » quasi si complimentò. Attese qualche secondo, prima di azzardare a chiedere: « Te l'ha detto? »
Improvvisamente un suono acuto e ripetitivo prese a suonare fastidiosamente, attirando l'attenzione dei due tributi; neanche il tempo di rendersi conto da dove provenisse che dal soffito iniziò piovere, facendo imprecare entrambi.
Il ragazzo lanciò un'occhiata truce alla minore. « Non provare a dirlo. »
« Che cosa? » chiese innocentemente, facendo la gnorri. « Te l'avevo detto? Oh, non lo dirò » sghignazzò, alzandosi dal divano e prendendo per mano – quella del braccio non fasciato – Benvolio, che la seguì nel corridoio, prima che entrambi diventassero completamente zuppi. « Allora… Phoebe te l'ha detto? »
« No » confessò semplicemente, leggermente spaesato.
« E come l'hai capito? »
« Non ho capito un cazzo » ammise, mentre venne condotto nella stanza di Phoebe, all'asciutto, chiudendosi la porta alle spalle. « Semplicemente odi che ti chiami Phoebe quando sembra tu abbia il ciclo e... quando mi chiami col mio secondo nome. »
L'altra si avvicinò pericolosamente al compagno, spingendolo verso la porta e facendo aderire i loro corpi. La mascella di Benvolio si contrasse, mentre lei gli sfiorava le labbra con le dita.
« Facciamo così: la mia scopata migliore finora è stata con mio fratello Peter, una notte che eravamo entrambi ubriachi. Vediamo cosa sai fare » lo sfidò, maliziosa. « E se vinci, ti dirò qualcosa. »
Il maggiore si avvicinò al viso della giovane, aggiustandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio e facendo sfiorare i loro nasi. « Non è giusto nei suoi confronti, lo sai, vero? »
« Fidati, lei vorrebbe lo stesso » mormorò, cercando di mordere le labbra del compagno.
Benvolio ammiccò. « Allora sei sicura di esser pronta a vedere il mio Big Ben? Anche se... » si avvicinò al suo orecchio, sussurrandole: « Forse penso tu l'abbia già visto. »
Melanie non capì a cosa quello si riferisse, ma guardandolo negli occhi ricordò: era stato tanto tempo fa, una notte in cui suo fratello voleva divertirsi come suo solito e lei aveva compreso che non solo le donne potevano prostituirsi.
A Melanie venne da ridere, buttata di forza sul letto della sua camera, mentre veniva schiacciata dal peso di quel corpo che continuava a torturarle il collo in un modo così piacevole. « E cosa penserà la bella figlia del sindaco che ti piace tanto? » domandò.
Il giovane la strinse maggiormente a sé, unendo le loro labbra dolcemente fino a schioccare; col polpastrello le accarezzò una guancia, scivolando poi a scoprirle una clavicola. « Non dovrà scomodarsi a pensare nulla, se non lo verrà a sapere. Ti ricordo che domani potremmo morire entrambi. »
La ragazza fece un sorriso storto. In fin dei conti aveva ragione. L’indomani sarebbero potuti morire entrambi. Fu così che, mandando al diavolo tutto e tutti – Phoebe compresa –, riprese a baciarlo con foga.
 
* * *
 
« E bravo Ryder » si complimentò Columbae, finendo di mangiare il profiterole al cioccolato. « Lo vedi che riesci a parlare anche con le buone? »
Il tributo fece una smorfia contrariata, incrociando le braccia al petto.
L'accompagnatrice si alzò dal tavolo, passandosi un altro strato di lucidalabbra glitterato; mentre qualcuno suonò alla porta dell'appartamento e Columbae andò immediatamente ad aprire, camminando velocemente sui propri trampoli. Alla porta vi era una donna identica all'accompagnatrice del Dieci, se non fosse stato per la parrucca, il vestito e il trucco: Eustace Ivory, accompagnatrice del Distretto 9.
Columbae sorrise. « Io esco con la mia adorata gemellina, voi riposatevi per domani » li salutò, chiudendosi la porta alle spalle.
Il silenzio piombò improvvisamente nella sala da pranzo, dove i due giovani erano seduti, rimuginando sui propri piatti e sull'indomani.
Lila ingoiò una forchettata di piselli, accompagnandoli con un po' di pollo, mentre con la coda dell'occhio scrutava il biondo compagno e con una mano imboccava Ken, il suo topo, appollaiato comodamente sulle sue gambe.
« Hai parlato oggi, all'intervista... » prese coraggio Lila, sebbene sapesse che Ryder era stato praticamente minacciato. Ma si doveva apprezzare lo sforzo: Lila non si poteva definire una ragazza che prendesse l'iniziativa o che venisse notata.
Il sedicenne la ignorò, restando in silenzio nella stessa identica posa di prima, fissando il piatto.
Lila chinò il capo, sconfortata, giocando con qualche pisello. « V-volevo solo dirti che... i-io n-non vo-volevo spa-paventarti quel giorno » balbettò, inceppandosi nelle parole come suo solito. Ma doveva farsi forza, in fondo era la sua unica possibilità per scusarsi una volta per tutte. Prese un bel respiro, decidendo di dire tutto d'un fiato. « Mi dispiace, perché mi piaceva veramente tanto ascoltarti. Puoi metterla così: fai finta fossi un animale, così dimentichiamo tutta questa storia e almeno i cavalli potranno ascoltarti di nuovo. »
Ryder voltò leggermente il capo nella direzione della tredicenne, che stavolta stringeva forte gli occhi chiusi per il troppo imbarazzo e cercava di coprirsi la faccia coi lunghi ricci castani.
« Tu... sei un Topo, giusto? » chiese improvvisamente il maggiore, spiazzando la compagna.
Lila sgranò gli occhi, incredula. « M-ma t-tu... mi parli! » esclamò, stupefatta.
L'altro scrollò le spalle, non ritenendola una cosa strabiliante e difficile. « Certo, non sono mica muto. Quella di non parlare è una mia scelta » spiegò, per poi aggiungere, impaziente: « Quindi, sei un Topo? »
Lila strabuzzò gli occhi, ancora un po' confusa. Sapeva esattamente a cosa si riferiva Ryder: alla sua famiglia. Quella banda di bambini ladruncoli che viveva nelle fogne di Panem e che l'avevano trovata nella via da cui deriva il suo nome. Ripensò istintivamente alla morte di Matt, a come dopo di essa i rapporti con Dorian si fossero un po' incrinati e a come, sebbene avesse cercato di allontanarlo, lo stesso Dorian fosse venuto a trovarla dopo la Mietitura, dimostrandole che le voleva ancora bene.
« Sì » disse con fierezza - cosa che non faceva praticamente quasi mai - decisa che non c'era nulla da nascondere a Ryder, visto che lei sapeva praticamente qualsiasi suo segreto, « sono un Topo. »
« E allora è come se avessi parlato a un animale » concluse quello, scrollando nuovamente le spalle.
« Cosa? » Lila non credeva alle sue orecchie. Quel ragazzo la stava sorprendendo ora più di quanto avesse fatto tutte le volte che era andata a origliarlo nella stalla dei suoi nonni. « Insomma, tutto qui? Abbiamo fatto... pace? »
« Non che avessimo proprio litigato, eh » le fece notare.
Lila si concesse qualche secondo per assimilare il tutto, ancora più confusa di prima. « Ma tu... » balbettò ancora, mentre le parole le si accavallavano sulla lingua. « Tu perché parli proprio adesso? »
Sebbene la domanda potesse parere un po' bizzarra, Ryder la comprese perfettamente, dando un morso alla propria coscia di pollo. « A cosa serve parlare o restare in silenzio, oramai? Tanto dovrò morire comunque. »
La mora restò colpita da quelle parole così sincere e si limitò a sorridere, addentando un'altra manciata di piselli e finalmente in pace con se stessa.
 
* * *
 
Odiava il fatto che Augustus Flickerman potesse avere ragione: Jeyl non aveva ancora osato baciare Virginia, benché avesse dichiarato alla nazione intera che l'amava. Ma Virginia amava lui? Non lo sapeva, non avrebbe potuto mai sentirlo, tanto meno aveva il coraggio di chiederglielo.
« Non preoccuparti » gli sussurrò piano Go in un orecchio, « tu le piaci. Solo che... »
A quell'interruzione, Jeyl si fece prendere dal panico, spronando la dodicenne a continuare, ma cercando di non alzare la voce: « Solo che... cosa? »
La piccola asiatica alzò le spalle, sedendosi a sua volta a gambe incrociate fra quelle del moro, che la cinse da dietro in un abbraccio e poggiò il mento sui capelli scuri della minore.
« Solo che... non so se ci sia stato qualcun altro per lei » sputò il rospo.
Il sedicenne aggrottò le sopracciglia, confuso. « Qualcun altro? Com'è possibile? E' stata rapita e tenuta prigioniera a Capitol City, non si è mica fatta una vacanza » disse sempre a bassa voce.
« Anche i due tributi del Distretto 1 erano dei prigionieri, eppure... Beh, sinceramente non saprei dire che genere di rapporto abbiano. »
« Aspetta, che ne sai tu che sono stati catturati anche loro? » continuò con le domande, confuso.
La dodicenne fece ancora spallucce, parlando con sincerità: « Lo si capisce appena li vedi. Sono persi. »
Jeyl lasciò stare quel discorso, non faceva altro che aumentare le ansie per l'indomani che aveva un po' dimenticato con il ritrovo della sua amica. Poteva anche esserci qualcun altro, poteva anche non amarlo, magari era stata veramente catturata assieme a quelli del Distretto 1 e gli avrebbe potuto dire qualcosa su di loro, ma una cosa era certa: Logan Jeremy Mackinley non l'avrebbe mai più lasciata andare. Effettivamente da quando era salita sul palco non l'aveva persa di vista neanche un secondo, ancora col timore che potesse sfuggirgli via dalle mani come anni fa.
Ora era poco distante da lui, Pliny le stava parlando tranquillamente come al suo solito, sistemando i cuscini vicini fra loro. Avevano deciso tutti assieme di ricreare un fortino di lenzuola per la loro ultima sera; beh, in realtà l'idea era della giovane accompagnatrice, ma tutti avevano approvato. Avevano praticamente svaligiato l'intero appartamento, raggruppando tutti i cuscini e le lenzuola nel salotto per dare vita al loro progetto.
Jeyl era grato di avere Pliny come accompagnatrice, era convinto che fosse la migliore che ci potesse essere ed era sicuro che anche Go la pensava così, visto che la ragazzina non aveva avuto problemi a fidarsi di lei. Aveva raccontato loro la sua storia, di come era arrivata lì: non doveva essere per niente facile per lei prendersi cura dei suoi nove fratelli minori, tenerli al sicuro durante la guerra, vedere i propri genitori morire, farsi carico di tutte quelle bocche da sfamare e poi... Le immagini dei ribelli che la violentavano erano ancora impresse nella sua mente e non sarebbe mai riuscita a cancellarle via. Aveva pensato molte volte di togliersi la vita, all'inizio, ma non aveva mai avuto il coraggio di lasciare da sola i suoi fratelli, eppure, quando nacque il bambino che portava in grembo, non l'aveva odiato come aveva pensato, non era riuscita neanche a uccidere lui benché non avesse idea di chi fosse il padre e comunque odiava chiunque lo fosse. Appena lo vide, Pliny non riuscì altro che ad amare quel bambino che aveva preso forma e vita dentro di lei. E così aveva dovuto cogliere al volo l'occasione per diventare accompagnatrice, una volta visto l'annuncio, anche se l'idea non l'allettava, comunque era stato il metodo più veloce e sicuro per guadagnare da vivere per se stessa e per la sua famiglia.
Jeyl la osservò: statura media, pelle scura, grandi occhi olivastri, folta chioma riccia che le arrivava fino alle spalle, dalle sfumature di lilla e indaco, e corporatura gracile per la quale il sedicenne ancora non si capacitava di come avesse saputo affrontare una gravidanza benché avesse solo un paio d'anni in più di lui.
Forse era per tutto quello che aveva passato che Pliny aveva accolto calorosamente Virginia nel loro appartamento, a differenza invece di come avrebbe fatto qualcun altro, che disgustava i senza-voce e li trattava come schiavi. I due tributi non l'avrebbero mai ringraziata abbastanza per essere stata una così buona sorella maggiore per loro.
« Pronti? » l'accompagnatrice risvegliò i due protetti dai loro pensieri, sorridendo loro, mentre assieme alla rossa senza-voce tirava un paio di piccole funicelle e magicamente si sollevò un ampio lenzuolo che ricoprì le loro teste, annunciando il completamento del fortino.
La riccia andò a spegnere le luci, mentre Jeyl posizionò strategicamente una torcia per far luce su una parete e Virginia porgeva un piccolo flauto traverso a Go, sorridendole dolcemente.
La piccola asiatica fissò l'oggetto, rispondendo al gesto e prendendo il flauto fra le mani, stupita. « Grazie » disse gentilmente.
E mentre la dodicenne prendeva a suonare, gli altri giocavano con le ombre delle proprie mani, formando figure e storie. E se qualcuno li avesse visti da fuori, avrebbe potuto pensare che fossero davvero una famiglia.
Peccato che quello fosse la loro ultima sera felice.
 
* * *
 
Jeremy aprì la porta, entrando lentamente. Nymeria piangeva ancora, rannicchiata sul proprio letto, senza badare minimamente a lui.
Suo fratello era morto. Che senso aveva restare ancora in vita? Tutto quello che aveva fatto era stato per suo fratello, la sua unica famiglia, e ora non c'era più. Da chi poteva tornare? Per chi avrebbe potuto lottare? Non c'era più nessuno ad aspettarla a casa. Eccetto...
Il moro si grattò la nuca, imbarazzato. « Ti prego, non piangere tutte le tue lacrime. Sono solo entrato! Che cosa farai al mio funerale? » La diciottenne non smise di singhiozzare e Jeremy si morse subito la lingua, dandosi dello stupido per ciò che aveva appena detto. « Ok, battutaccia. Non ci so proprio fare. »
Il ragazzo andò a sedersi vicino a lei sul letto, rosicchiandosi le unghie per la tensione. Odiava non sapere come comportarsi. Che razza di leader era se non riusciva neanche a confortare una ragazza? Sospirò, dandosi coraggio e decidendo che forse la compagna si sarebbe sentita meglio se lui fosse stato il primo a confidarsi.
« So che forse non sono la persona giusta per dirtelo, ma anche se tuo fratello è morto, lui ti voleva bene e sapeva che l'hai protetto fino alla fine. »
« No » obiettò prontamente la castana, « l'unica cosa che mi rimarrà, se tornerò nel Giacimento, è il mio titolo. Sai come mi chiamano, vero? » domandò. Non ricevette risposta, comprendendo che il compagno lo sapeva benissimo. « La puttana dei pacificatori. Se vinco o muoio, ecco tutto ciò che la gente si ricorderà di me. Almeno tu hai la tua banda e la tua famiglia che ti aspetta. »
Jeremy sorrise, beffeggiando se stesso. « Ti sei sacrificata una vita intera per badare a Jason, io non merito di vincere. Potrei motivare un esercito intero, ma rimarrei comunque egoista. »
« Ti sei offerto per tuo fratello! » intervenne prontamente la Ironborn.
« Perché mio fratello maggiore mi ha costretto a farlo! » sbottò, togliendosi un peso. Notò che Nymeria lo guardava a occhi sgranati e si affrettò a spiegare: « Giuro che avrei voluto vedere Abel morto a questi stupidi Giochi della Fame. Poi arriva Benson e praticamente mi minaccia di offrirmi. Al Palazzo di Giustizia mio padre ha creduto in me, ma Benson... ha detto che è sicuro che morirò di una morte lenta, dolorosa e alquanto stupida. »
Nymeria rimase scioccata da quella confessione e per alcuni istanti rivide il volto di ogni singolo tributo di quella seconda edizione nella sua mente. Quante ce ne sarebbero state per porre fine a quel massacro? Ripensò a Jason, il ragazzo del 5, che era stato così gentile con lei, e poi puntò gli occhi azzurri in quelli nocciola di Jeremy. Erano così diversi da Niklaus.
Niklaus...
E lui, l'avrebbe voluta ancora, se fosse tornata a casa? Avrebbe dovuto uccidere ventitrè persone per stare con lui, l’unica persona che le rimaneva.
Non ci rifletté neanche, si lanciò verso Jeremy e lo baciò, prendendogli il viso fra le mani. Non le importava cos'avrebbe significato, non sapeva bene nemmeno lei perché lo stesse facendo.  Le labbra carnose del moro assaporarono quelle della ragazza per qualche istante, per poi respingerla.
Nymeria abbassò il capo, imbarazzata, sentendosi una sciocca. « Scusa, non avrei dovuto farlo. »
« No, non è niente » la tranquillizzò l'altro.
Gli occhi azzurri le iniziarono di nuovo a pizzicare e prima di accorgersene aveva ripreso a piangere. « Invece sì, perché sono ridicola e perché mi sono innamorata di un uomo che potrei benissimo odiare, se solo lo volessi. Mentre tu sei... tu sei il primo che mi abbia rifiutata, sai? »
« Non volevo rifiutarti, solo che... non lo trovo giusto » confessò, anche se il suo sembrava un tono di scuse.
La castana sorrise, rendendosi conto che il diciassettenne era sincero; così fece cenno col capo, dandogli ragione. « Grazie, Jeremy » mormorò, dandogli un semplice bacio sulla guancia e arrossendo sulle gote per la proposta: « Puoi dormire con me, stanotte? »
Il minore la strinse a sé, accarezzandole i corti capelli. « Ti abbraccerei stretta anche durante lo scontro di domani nell'Arena, se solo tu me lo chiedessi. »



II. Secondo tempo – Buio.
Kenia si guardò il vestito, confusa sul perché gli strateghi avessero deciso di far indossare ai tributi una cosa del genere. Si trattava di un abito azzurro cielo lungo fino ai piedi, abbastanza scomodo, un po’ pomposo e pieno di fronzoli e decorazioni di pizzo bianco, senza contare le maniche a palloncino, il sottogonna e il corpetto rigidi e quella complicata acconciatura di boccoli in cui le avevano aggiustato i capelli quella mattina stessa. Anche così sembrava una bambola, ma questa volta di porcellana.
Improvvisamente nella mente della dodicenne balenò una domanda: ma gli altri avrebbero indossato il suo stesso vestito? Anche i maschi?
« Purtroppo neanche gli stilisti sanno in cosa consista l’Arena » la informò Delphi, facendole calzare le scarpette bianche dotate di un piccolo tacco, « è un’informazione riservata solo agli strateghi. »
Kenia fece spallucce, giustificandolo perché sapeva che non era colpa sua. In fondo già il fatto che avesse chiesto al suo stilista di poterle fare compagnia l'aveva di gran lunga confortata; il suo staff le infondeva una terribile ansia, mentre con l'accompagnatore si sentiva più tranquilla.
Delphi rimase in ginocchio per stare all’altezza della bambina dalla pelle scura, prenderle il viso fra le mani e accarezzarle le guance con i polpastrelli dei pollici, per poi darle un dolce bacio sulla fronte.
« Hanno detto che puoi portarla con te » le sussurrò, sebbene non ci fosse nessuno ad osservarli - o quasi -, porgendo alla protetta la bambola che tanto amava.
« Betty! » gridò estasiata, stringendola a sé, felice come non mai. L'accompagnatore del Distretto 8 sorrise e improvvisamente si sentì stritolato da esili braccia in un così tenero modo; la neo-tredicenne affondò la testolina piena di riccioli scuri nell’addome nudo e tatuato, non riuscendo ad arrivare all’altezza dell’uomo. « Grazie » mormorò felicemente, mentre l’altro le accarezzava i capelli.
« Ora però è quasi ora di andare » l’avvertì con tono malinconico, più del solito.
Kenia si staccò piano, già avendo nostalgia di quell’uomo che l’aveva accudita meglio di Kingsley, meglio di un padre, quella figura che lei non aveva mai avuto realmente.
Delphi frugò nelle tasche dei jeans, estraendo una piccola scatolina: l’aprì e all’interno vi era una minuscola pillola bianca con sopra impresso lo stemma di Capitol City in dorato.
« Prima però dovresti prendere questa » spiegò, porgendole la pillola su un indice, « è nel regolamento. »
Kenia la osservò, nervosa. « Devo ingoiarla? » domandò, un po’ intimorita.
Il trentenne le sorrise, alquanto divertito. « Non preoccuparti, si scioglie in bocca » la rassicurò.
Kenia spalancò la bocca e cacciò la lingua, su cui Delphi posò la pasticca; poi le porse un bicchiere d'acqua che aveva già pronto, dal quale la tredicenne bevve per mandar giù la pillola.
Improvvisamente si sentì il suono di una sirena e la lampadina sopra la porta si illuminò di rosso.
Delphi la guardò tristemente, per poi prendere la mano della bambina e dirigerla verso una pedana.
« Non muoverti dalla pedana, rimani sempre al centro e non ti spaventare quando l’aria ti comprimerà e ti porterà su » l’avvertì, premuroso. « Andrà tutto bene, Barbie. Tu vinci sempre. »
Kenia ebbe un brivido, ripensando alle parole d’addio che Logan le aveva detto l’anno scorso, e stava per rispondere, ma d’un tratto un vetro s’innalzò attorno a lei e, spaventata, strinse ancor più forte Betty fra le braccia, osservando Delphi per un’ultima volta, con occhi sbarrati pieni di terrore.
Sentì la testa farsi più pesante, iniziava a girarle e si sentì improvvisamente debole, ma attribuì tutti questi sintomi alla paura e al getto d’aria che l’avrebbe investita di lì a poco.
Alla mora, però, parve di leggere un « Mi dispiace » in labiale da parte dell’uomo.
Poi, il buio.

 

 

Quando il sole va a dormire, tu non hai più niente da dire.
Aspetta domani, forse sarà un giorno migliore di ieri.

(Lucia Quarta)















 



L'angolo di Pandaivols.

Salve a tutti, e benvenuti nel magico mondo di pandamito e Ivola. *sigla*
Ormai vi sarete abituati all'intro, perché per noi è diventata una prassi. 
Quante cose abbiamo da dire su questo capitolo? Tante, come sempre. Stavolta diciamo che Mito ha sudato un po' di più, ma Ivola ha sudato ancora di più per betarla perché è risaputo che Mito e tastiera non vanno d'accordo (errori di battitura tvb).
Comunque ammettetelo che pensavate tutti che fosse il Bagno di Sangue ♥ Se non siamo troll non siamo noi, anche se questa come mossa era abbastanza prevedibile (a differenza delle future... *inserire risata malvagia qui*).
Avrete notato che il secondo tempo è mooolto più corto del primo e che abbiamo usato il PoV di Kenia - non perché siamo razziste nei confronti degli altri tributi, ma perché il suo ci sembrava il PoV più innocente da usare in una situazione del genere. E guardate che figo l'abito dell'arena, sì 8D
In questo chap abbiamo shippato tanto tutte le coppie dello stesso distretto, se non si nota, quindi fatelo anche voi perché altrimenti siete delle persone cattive (parliamo dei Choppy-choppy di Haylee, pls, nd Ivols).
La storia dei Rhyzar qui non è spiegata come dovrebbe, quindi per maggiori chiarimenti da ora in poi affidatevi alla raccolta Butterflies & Hurricanes, interamente su di loro.
Prima che ce ne dimentichiamo, le scommesse sono apertissime! Scommettete su qualsiasi cosa, mi raccomando, ché se vincete potete guadagnare una buona dose salvavita di punti sponsor/bonus (SPONUS!).
Per quanto riguarda i due indovinelli che vi abbiamo proposto sul gruppo fb...
1) L'indovinello dello scorso capitolo chiedeva cosa ci fosse di strano e inusuale che accomunasse i tre capitoli delle interviste. Ebbene, nessuno ci è arrivato. Volete la soluzione? Provate a cliccare sui link dei nostri profili nelle note a fine di quei tre capitoli... (e qui ci sarebbe da aprire un altro discorso su quanto siamo troll perché tutti hanno riletto i capitoli un migliaio di volte per capire cosa non andasse (y)).
2) Chi è il primo morto? Nessuno ha indovinato, perché il primo morto dell'edizione è Althea Wellwood, l'accompagnatrice del Distretto 3! :D Ricordiamo inoltre che è proprio Nate a citare il titolo dell'interattiva perché è un omaggio alla sua mentore, Marty, il cui compleanno era ieri. Le pandaivols le dedicano amorevolmente il capitolo ♥ (sei vecchia! nd Ivols). E notate tutti il parallel assolutamente involontario con la 4x08 di GoT.
Che altro...? Tutti odiano le ragazze di Ocean e Benvolio perché distruggono le OTP, ma in realtà ci serviranno quindi nelle nostre mani sono al... ehm, sicuro. E poi, cos'è successo ad Elizabeth? Phoebe/Melanie si tingerà davvero i capelli? Che fine farà Katae? Quanto è bribi Winnow? In quanti capiranno che tra i vari spezzoni degli appartamenti c'è una vera e propria timeline, un filo conduttore? Quanto sarà figa l'arena? Quando posteremo il Bagno di Sangue?
Lo scoprirete soltanto vivendoooh ♥ ♥ ♥ Alla prossima puntata e guidate sempre piano! (ri-cit.)
Bao e cotolette.
 
pandaivols.

 
  
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