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Autore: Sheep01    09/06/2014    7 recensioni
Si concentrò sulla schiena solida del fratello. L’unica cosa concreta a dargli un senso di stabilità e calore.
Barney era tutto per lui. Fratello, amico, consigliere, padre e madre assieme. Lui che del padre ricordava solo la voce tonante e l’alito che sapeva di alcool e il peso delle sue percosse. Che della madre ricordava solo il profumo dei suoi capelli e i singhiozzi spezzati, umiliati, nella notte. Il fratello era stato il pilastro della sua vita, l’unico esempio da seguire. Protettore e cavaliere dall’armatura scintillante. Ed ora il suo salvatore.
[A Tribute to Clint Barton]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 20

 

[Avengers]

 

Ci mettiamo un po’ a riscaldarci, questo te lo concedo. Ma facciamo la conta dei presenti: tuo fratello, il semidio; un supersoldato, una leggenda vivente che vive nella leggenda; un uomo con grossi problemi nel gestire la propria rabbia; un paio di assassini provetti e tu, bellimbusto, sei riuscito a far incazzare tutti quanti!

(The Avengers)

 

*

 

Clint cercò di infilare la chiave nella serratura della porta del suo appartamento.

L'operazione gli risultò più complicata del previsto.

Si rese conto, solo al terzo tentativo, che forse avrebbe fatto meglio a levarsi gli occhiali da sole. Il corridoio scarsamente illuminato e un paio di lenti scure non aiutavano certo l'impresa.

Esausto: così si sentiva.

Quando finalmente riuscì a entrare in casa, ringraziò il cielo che ci fossero già le serrande abbassate. Senza occhiali, la luce lo avrebbe ucciso. Tipo vampiro al sole.

Si liberò del borsone che cadde a terra con un tonfo ovattato, della giacca (il dolore fulminante alla spalla lo obbligò a rallentare le operazioni), si slacciò, a fatica, le stringhe degli stivali d’assalto e li lanciò letteralmente dall’altra parte del corridoio.

Si trascinò, ancora sporco e distrutto, attraverso il salotto, per poi franare, in ultimo, sul divano che cigolò in modo inquietante.

Non se ne curò affatto. Ogni muscolo sembrava urlare pietà.

Lo sapeva che avrebbe dovuto spogliarsi e magari farsi una doccia. Levarsi di dosso la polvere, il sangue (o quello incrostato che era rimasto) e mettersi a letto, sotto le lenzuola cambiate di fresco, ma nessuno sarebbe stato in grado di farlo alzare da lì, se non con una scusa piuttosto convincente.

L’ultima missione lo aveva totalmente distrutto. Nessun piano d’estrazione. Lo SHIELD avrebbe dovuto pagargli gli straordinari… almeno.

Lucky era ancora dai vicini di casa. Pensò che non sarebbe loro dispiaciuto tenerlo ancora per qualche ora. Dopotutto, forse nemmeno sapevano che era tornato.

Il tempo di una dormita.

Solo qualche minuto.

Il riposo del guerriero.

La schiena cominciò a rilassarsi. I muscoli a distendersi, gli occhi si chiusero e scivolò nel sonno… di schianto.

 

Venne svegliato che era nel bel mezzo di un sogno. La musica rullante della suoneria di un cellulare. Alzò di colpo la testa, rischiando uno strappo muscolare di tutto rispetto.

Si guardò attorno per un istante, frastornato, prima di ributtarsi giù, sbuffando sonoramente. Quanto aveva dormito? Dalle finestre ancora filtrava luce. Sicuro non più di un paio d’ore.

“Telefono…” biascicò, asciugandosi malamente quel filo di saliva che gli era scivolato giù dalle labbra.

Il telefono sembrò placarsi. Forse non era poi così importante.

Cercò di rilassarsi di nuovo, quasi sperando di riuscire a recuperare il sogno momentaneamente accantonato, quando quello stronzo di aggeggio infernale riprese a suonare.

“Ma che... ? Mh, cazzo…” ringhiò, cercando alla cieca nelle tasche: dei pantaloni, della camicia, del giubbino leggero. Quando lo trovò, ne osservò il display che non gli segnalava nessuna chiamata in arrivo.

E allora perché continuava a sentire quella stracazzo di suoneria?

Una suoneria… che era persino sicuro di non aver scelto.

La suoneria del cellulare che gli aveva regalato Tony Stark.

“Ennò, dai…” esalò esasperato, affondando la faccia nel cuscino, sperando rinunciasse.

La chiamata terminò di nuovo… per poi riprendere il secondo successivo.

“Ebbasta!” esclamò Clint, rimettendosi seduto, non prima di aver lanciato il cuscino da qualche parte. Forse vicino ai suoi stivali sparpagliati.

Si guardò attorno, cercando la fonte del suo furore. Si rimise in piedi a fatica (la spalla lo rimproverò di nuovo con una sferzata di dolore) e andò alla ricerca del maledetto aggeggio.

Cercò sotto al divano, sotto i mobili, nei cassetti, nel barattolo ormai stracolmo di cinque centesimi.

La telefonata terminò… e riprese. Di nuovo.

“Non molli, eh?” abbaiò. Cercando stavolta in bagno, in camera da letto, sotto al materasso. E poi ritorno, nella dispensa, in frigorifero!

“Dove sei, dannato?” gridò al culmine della disperazione.

Il cellulare smise di suonare. Più a lungo del previsto.
Un moto di speranza si affacciò nel cuore di Clint: forse aveva rinunciato.

E invece no! Lo stronzo riprese a suonare, sbeffeggiandolo con quella sua musichetta rock che di regola nemmeno avrebbe disprezzato, se solo non avesse dovuto associarla alle insistenze di quel fanatico.

Decise di agire in modo razionale. Si massaggiò le tempie pulsanti e chiuse gli occhi. Affinò l’udito.

A destra.

Cominciò a dirigersi in quella direzione.

In basso.

Aprì gli occhi solo per trovarsi di fronte il cestino della spazzatura.

“Oh, ma andiamo…” stronfiò, allungando un braccio, frugando, tastando sul fondo fino a trovarlo. Esattamente lì. Fra le cartacce e altra roba non meglio identificata. Non aveva portato fuori i rifiuti, l’ultima volta.

E ricordò perfino le modalità con cui il telefono era finito proprio in quel buco disgustoso.

Esattamente le stesse che gli avevano fatto lanciare improperi più o meno sgradevoli ai danni di Tony Stark, l’ultima volta che aveva provato a chiamarlo e non era riuscito a capire come diavolo si spegnesse quel coso.

 

Si trovò di nuovo di fronte a quel display tutto colorato di rosso e oro. Il faccione di Tony a ricordargli che, ehi, era proprio lui!

Dovette fare uno sforzo immenso per decidersi a rispondere. Anche se la domanda che gli attraversò la mente fu: ma quanto può durare una stracazzo di batteria di un cellulare?

Forse avrebbe risolto solo lanciandolo casualmente dalla finestra.

Gli incidenti, lo sanno tutti, capitano.

Rincarò la dose con un paio di imprecazioni, prima di premere quel maledetto tasto: rispondi.

 

*

 

La conclusione della telefonata fu un invito (l’ennesimo) alla Stark/Avengers Tower. Le cose erano andate per le lunghe dopo il celere annuncio della sua ricostruzione.

C’era stato il casino con il Mandarino (un nemico che si chiama il Mandarino avrebbe fatto vacillare anche le menti più caparbie), il ritorno sulla terra di Thor e alieni tutti (stavolta, a farne le spese, la città di Londra. Una variante sul tema, se non altro) e una serie di sciagure più o meno violente allo SHIELD, qualcosa che metteva in agitazione il direttore Fury più di quanto si sarebbe mai aspettato di vederlo.

L’appuntamento era stato fissato per la sera del giorno successivo al suo rientro.

 

Hai trovato il mio invito?”

Quale invito?”

L’invito all’inaugurazione.”

Non ho trovato nessun invito.”

Sotto la porta? Dentro la cassetta delle lettere? Nella spazzatura, come il cellulare?”

Come fai a sapere del… ?”

 

La cosa peggiore, in tutta quella faccenda, era il fatto che, per il party che aveva organizzato il signor Stark, era d’obbligo l’eleganza.

Era specificato persino sull’invito. Che sì, aveva trovato, e che no, non era nella spazzatura.

Avrebbe dovuto mettere una cravatta?

Clint constatò che gli sarebbe stata necessaria almeno un’intera giornata di riposo.

Doveva ricaricare le batterie non solo per riprendersi dalla spossatezza della missione, ma anche per prepararsi psicologicamente alla rimpatriata. E a quei completi imbellettati le cui cuciture lo strizzavano sempre al cavallo dei pantaloni.

Dannato Stark.

L’occasione, se non altro, era più piacevole del raduno dell’ultima volta. Anche se i posti così sofisticati lo mettevano sempre a disagio.

Si era presentato una decina di minuti prima all’appuntamento.

Aveva preso un taxi e ora stava sotto il sole calante a guardare dal basso verso l’alto quell’imponente struttura di vetro. Un inferno di cristallo dal design modernissimo con una gigantesca ‘A’ all’apice.

Stark sembrava essersi assicurato che nessuno mai avrebbe potuto mettere in dubbio la sua inclinazione alla megalomania. Un po' meno quella alla compensazione.

E poi arrivarono le grida.
No, il tappeto rosso proprio non lo aveva notato. O preventivato.

E tutta quella gente? I flash di quei fotografi? Che diavolo avevano da gridare tutte quelle… ragazzine?

Si spinse gli occhiali da sole sul naso e inspirò a fondo.

Non era sicuro di essere pronto.

Non a quell'attacco di popolarità. Lo SHIELD gli aveva assicurato un rifugio sicuro durante quell’anno e mezzo dai drammatici eventi di New York, mentre il suo quartiere, Brooklyn lo aveva protetto con l’anonimato (a parte qualche pigro complimento dei vicini di casa che ricordavano vagamente come facesse di cognome. E un: ehi, sai che ti ho visto alla tivvì?).

Fu lì lì per affrontare il marasma che già sembrava averlo istericamente adocchiato…

 

Quello è Occhio di Falco! Una foto!”

Un autografo!”

Mi firmi il reggiseno?”

Clint! Clint! QUI!”

 

… quando si sentì richiamare da una voce alle sue spalle, titubante e pacata: “Agente Barton.”

Clint si era voltato, poco prima di venir sparaflashato da un paparazzo. Grazie a Dio indossava ancora gli occhiali.

“Dottor Banner, buonasera.”

L'uomo gli aveva allungato la mano, stringendo la sua con vigore. Il bestione aveva una bella stretta anche senza il colore verde a fargli da mostruosa aureola.

“Stark mi aveva detto che ci sarebbe stato anche lei. Che ci sarebbero stati tutti, a dire il vero.” Dovette urlare un po’ per farsi sentire, al di sopra delle grida.

 

Hulk! Quello è Hulk!”

Divento verde per te!”

Dottore, dottore!”

Dottor… chi?”*

 

Clint annuì cercando di non cedere alla tentazione di scoppiare a ridere istericamente.

“Sì, aveva detto qualcosa anche a me.” In realtà aveva capito poco della telefonata che aveva ricevuto. Stark aveva sproloquiato, più o meno delirante, per dieci minuti prima di sganciargli una data e un’ora precisa, “Ma di certo non mi aspettavo… questo.”

Banner sorrise appena, incassando la testa fra le spalle, all’ennesima scarica di flash.

“Prima volta alla torre?” gli domandò, il sorriso gentile ma insicuro, cauto, all’erta; terrorizzato che potesse accedere qualcosa. Qualsiasi cosa.
E Clint fu certo che non fosse stata una grande idea quella di mettere il dottor raggi-gamma–mostro-verde-e-se-mi-incazzo-son-cazzi, proprio sotto una miriade di flash epilettici e grida che avrebbero innervosito un sordo.

“In assoluto.” Gli confermò, sperando di distrarlo, “Imponente.”

“Piuttosto.”

“E vagamente tamarra.”

Banner aveva riso. Una risata nervosa, ma sincera.

“Qualcosa mi dice che lei invece ne è già assiduo frequentatore.” Continuò, un po’ per prendere tempo, un po’ perché un vero colloquio con quell’uomo non lo aveva mai avuto.

“Non assiduo ma… diciamo che ho collaborato ad alcuni progetti da queste parti. Nessuna visita completa comunque.”

Clint aveva sentito qualcosa, ma mai indagato troppo sulle collaborazioni fra scienziati. Non era esattamente la sua materia. Lo era un po' di più, forse, quella che la ressa stava annunciando adesso a gran voce. Il boato che aveva accolto loro, era ben poca cosa a confronto di quello che stavano riservando alla coppia.

 

Ma quello è STEVE ROGERS!”

Che figooooo!”

Capitano, Capitano!”

Natasha! Natasha!”

La Vedova Nera!”

 

E via discorrendo. I commenti si perdevano comunque in un groviglio di parole incomprensibili.

 

Clint e Bruce si fermarono a metà strada, poco prima di inciampare in un giornalista che li aveva puntati malamente.

Natasha Romanoff e Steve Rogers procedevano nella loro direzione. Un’accoppiata vagamente sbilanciata se si considerava la stazza di uno nei confronti dell’altra.

Nel complesso però sembravano appena usciti da una rivista, di quelle patinate.

Lei era bellissima.

Lui… eh, cazzo, anche. Non che fosse il suo tipo, ma…

Clint considerò che, insieme a Banner, entrambi avrebbero potuto somigliare al massimo a Stanlio e Ollio.

“Buongiorno…” un saluto collettivo, di rito. Erano giorni che non vedeva Natasha, ma era abbastanza sicuro di sapere in cosa fosse stata impegnata. Lei e il Capitano avevano iniziato a testare una serie di collaborazioni piuttosto fruttuose.

Se Banner aveva una buona stretta di mano, Rogers non era affatto da meno.

“Alla fine hai dovuto rispondergli, mh?” Natasha lo stava deliberatamente prendendo in giro.

Ancora non gli perdonava lo sgarbo dell’ultima volta con quel maledetto cellulare Stark.

Ma quel vestito color corallo le stava così bene che avrebbe quasi potuto perdonarle l’insolenza. Quasi.

“No, ma che dici? Sono stato io a chiamarlo.” Le rispose con una certa credibilità.

Steve sembrò non comprendere lo scherzo: “Seriamente?”

Banner gli diede una comprensiva mano sulla spalla. Arrivandoci a malapena. Per l’altezza.

“Cosa stiamo aspettando?” domandò Natasha evidentemente impaziente di concludere alla svelta quell’insulso tappeto rosso.

“C’è un giornalista là in fondo che non vogliamo incontrare.” Suggerì Clint. E Banner parve essere d’accordo. Steve solo vagamente terrorizzato.

“Non siamo mica ad Hollywood.”

“Vallo a dire a Stark.”

Si trovarono il microfono sotto al naso (o meglio, sul naso) ancora prima di poter decidere un piano d’attacco.

Il vaffanculo di Clint lo filmarono tutte le televisioni nazionali.

 

*

 

Appena entrati nell’ingresso registrarono solo un gran formicaio di gente.

Festicciola di inaugurazione intima… sticazzi.

Clint era certo che così si fosse espresso Stark, al momento dell’invito. Meno lo sticazzi. Quello era opera sua. Partorita al momento.

“Comunque ne manca uno all’appello.” Biascicò mentre Banner cercava di rifiutare agilmente una tartina al formaggio (Sono intollerante ai latticini).

“Thor? Non credo che Stark sia ancora in grado di mandare inviti ad Asgard.” Gli rispose Natasha che sembrava assolutamente a suo agio. Dopotutto, non era sempre stato così? Anche durante le missioni sotto copertura. Dote o addestramento che fosse, sempre meglio di come riuscivano a lui.

“Non ne sono tanto sicuro. Sapeva che avevo lanciato il cellulare nel cestino della spazzatura…”

“Hai fatto che?”

“Incidente di percorso.”

“Con me ha capito che ero appena uscito dalla doccia…” si era intromesso ingenuamente il Capitano Rogers.

Clint non represse un brivido.

“Ci sta stalkerando?”

“Stalk... che?” domandò Steve.

Fu sulla scia di quel sospetto che cominciarono a risuonare le note di Iron Man dei Black Sabbath.

“Ma siete seri?”

Dalla sala si elevò un: oooh, d’ammirazione e infine comparve Stark in tutto il suo fulgido splendore.

“Non sono pronto a tutto questo.” Stavolta il commento arrivava da Banner. Il velo d’angoscia si percepiva anche senza un grosso sforzo d’ascolto.

“Miei amici!” li raggiunse il milionario esordendo in un modo che tanto parve scimmiottare Thor. Dovette registrare le espressioni perplesse sui loro visi perché si placò immediatamente: “No?”

“Stark.” Un coretto di scolari di fronte al professore di… meccanica.

“Piaciuta l’intro?” domandò impaziente, facendo schioccare le mani una contro l’altra. E poi dubbioso, “Un po’ calante nei bassi. Va raddrizzato il tiro.” E nel dirlo aveva dato un’occhiata d’intesa a Clint che si limitò a inarcare un sopracciglio.

“Giusto un po’ auto celebrativa”, avanzò un dubbio Rogers.

“Avevo chiesto ai Black Sabbath di scrivere un jingle per l’intera squadra, ma mi hanno risposto picche. Ho dovuto accontentarmi. Spero non vi dispiaccia.”

“Sia mai.”

“Ho programmato tutto. Pronti per il giro turistico? A proposito, carino il completo...” indicò Natasha, prima di far scivolare un dito sull’Avenger successivo, “Banner.”

“Quale giro turistico?” domandò Natasha che, come tutti, credeva di essere lì per una toccata e fuga, a far da cibo per i media.

“Il giro della vostra nuova, scintillante base operativa.”

“Credevo fosse una facciata.”

“Una facciata? No, giuro c’è anche tutto il resto dentro.”

“Un po’ grandina come base operativa per cinque persone…” contò mentalmente Steve, prima di correggersi “Sei.”

“No bravo: cinque. La stanza per Hulk Hogan surfista non era prevista nel progetto. Non telefona mai per dire se tornerà per cena.”

“Stanze? Che tipo di stanze?”

“Quanta impazienza, lasciatemi il tempo di farvi da cicerone a tempo debito.”

“Se ci porti fuori di qui a me va bene tutto.” Aveva dichiarato Banner, asciugandosi le mani sudate sui pantaloni del completo.

 

Tony Stark non scherzava affatto sulla faccenda della base operativa.

Arsenale, palestra, stanze private, docce, laboratori, sala informatica, piena di aggeggi di cui Clint non avrebbe capito l’utilizzo, nemmeno se ci si fosse impegnato per una vita intera.

“E tutto questo lo hai progettato prima o dopo aver deciso il menù per la festa?” gli chiese, avvicinando una rastrelliera piena di armi.

“No, del menù si è occupata Pepper, mio caro Robin.”

“E’ così faticoso chiamare le persone con il proprio nome?” protestò Steve Rogers in vece dell’arciere, e Clint non poté che provare una sorta di rispettosa gratitudine per l'inaspettata solidarietà.

“Non era un rimprovero, vero?” si interessò Stark, “Un genio ha bisogno di sfogare la sua creatività anche con le piccole cose. Non ti piace Robin?” si rivolse a Clint, come se fosse stato lui ad avanzare la protesta, “Le varianti sono infinite: Brave?”

“Già sentito.” Gli rispose.

“Guglielmo?”

“Antico.”

“Oliver Queen.”

“Pretenzioso.”

“Katniss?”

“Buuu.”

“Daryl Dixon.”

“Non cominciamo a offendere. Quello usa una balestra.”

“Fanatico.”

“Già lo preferisco.”

“A proposito di questo, ho una proposta da farti sull’assetto di un nuovo arco, da me personalmente progettato.”

“Non c’è niente che non vada nel mio arco attuale.”

“No, no, certo che no…” gli aveva passato un braccio attorno alle spalle, “tuttavia…”

Il resto delle sue elucubrazioni si persero nel rombo di un tuono lontano.

“Le previsioni non davano pioggia.” Sentirono commentare Banner che si era affacciato a uno dei finestroni della stanza.

“Ah, quello?” lo rassicurò Tony, “Non è un temporale, è arrivato il figliol prodigo.” E poi come se non fosse mai stato interrotto, di nuovo a Clint, “Ti piace il viola, giusto?”

“Come hai fatto ad avvisare Thor dell’inaugurazione? Non era tornato ad Asgard?” chiese Natasha che osservava esterrefatta, dalla finestra, il cerchio di gente che si era creato attorno all’arrivo della nordica divinità, almeno una ventina di piani sotto.

“Avvisare? Chi ha detto di averlo avvisato?”

In un istante, la preoccupazione serpeggiò nel gruppo.

Se Thor arrivava armato di martello, a una festa a cui non era stato invitato… poteva dire una cosa sola: guai.

“Dimmi che non ci lancerà una maledizione, minacciandoci di pungerci con un fuso.” Esalò Clint.

“Bè, la torre c’è.”

“Stark…” Natasha.

“Okay, okay, stavo scherzando. Dovevate vedere le vostre facce. Ovvio che l’ho avvisato. E’ pur sempre un Dio, perdio!”

“Questo non mi consola.” Steve.

“Anche perché ci riporta al punto di cui sopra: come hai fatto ad arrivare fino ad Asgard?” Natasha.

“Parola mia, mai stato lì.”

“Adesso stai tergiversando.”

“Lo sta facendo eccome, non vuole dirci come faceva a sapere del mio cellulare nella spazzatura.”

“O di me sotto la doccia… cioè fuori… dalla doccia.”

Stark si era allontanato dal gruppo.

“Ma non vi ho ancora fatto vedere le cucine! Qualcuno vuole un caffè?”

 

*

 

Tutto ciò che Clint aveva imparato da quella serata pazzesca, era che Tony Stark era pazzo.

Un pazzo pieno di soldi.

Un pazzo geniale.

Un pazzo che gli aveva proposto un arco pazzesco.

Già se lo sentiva fra le mani. E sebbene non lo avrebbe mai ammesso, non vedeva l'ora di essere richiamato, su quello stracavolo di cellulare immortale, per un aggiornamento o, ancora meglio, un test.

Era di nuovo rientrato a casa. Lucky gli era saltato addosso, assonnato, ma mai avaro di scondinzolii confortanti.

“Meno male che sei felice tu.” gli disse, andando a frugare nel frigorifero qualcosa che assomigliasse a una bottiglia d'acqua. Con tutto quello che aveva bevuto, fra champagne, vini e liquori di vario genere era già tanto che non avesse rigurgitato allegramente la pseudo cena nel taxi che lo aveva riaccompagnato a casa.

Una sbronza del tutto innocente. Quasi divertente.

Si scoprì a pensare che, dopotutto, la serata non era stata affatto spiacevole.

A parte i calzoni. Che gli tiravano al cavallo. Avrebbe dovuto seriamente comprare un abito elegante su misura. Forse Stark avrebbe persino saputo indicargli un sarto come si deve. I soldi ce li aveva... per un abito elegante. Che diamine.

Era indeciso se tuffarsi sull'acqua o su quel succo di frutta che avrebbe dovuto assolutamente finire entro la prossima settimana, quando sentì squillare il telefono.

Di nuovo?

Chi diavolo lo poteva chiamare all'una di notte?
Gli vennero in mente giusto un paio di nomi: Natasha. Barney.

Tirò su col naso, strofinandosi un occhio. Frugò nella tasca di quei maledetti pantaloni e guardò la chiamata sul display.

Era Phil Coulson.

 

___

 

*chi becca la pseudo citazione, vince un premio.

 

N.d.A: Tanto per cominciare: non è colpa mia. Tony si è presentato prepotentemente nella storia, senza che io potessi fare niente per fermarlo.

Secondo… stupidaggini a parte: io li amo tutti, gli Avengers. E proprio in virtù di questo amore, non riesco mai ad essere obiettiva sul modo in cui potrei renderli. Sarà che li trovo perfetti così come son stati scritti (nei film, s’intende, nei fumetti ci sono troppe versioni per poterli tenere a bada), e che quindi soffra un po’ del complesso dell’OOC. In ogni caso, boh, un’introduzione leggera, uno scorcio collettivo, per spingerci nella maratona finale di questa storia (sì, ancora tre capitoli, più epilogo e sarà finita).

In conclusione: ringraziamenti a tutte le new entry, sono colpita, dico davvero, per l’interesse che avete dimostrato per la mia storia e avermi fatto sapere cosa ne pensate. Ringraziamenti anche alla Sere, come sempre (ho detto tutti i capitoli e tutti i capitoli sia), perché si sorbisce tutti i miei deliri e il mio spam feroce di fotografie eggif, di Jeremy Renner, soprattutto stasera che c'era il soccer aid e il bambolo ha sudato tanto sul campo da calcio.

Un solo punto finale e poi la smetto di ammorbarvi. Questa settimana un solo aggiornamento, in primis perché a breve avrò casa invasa dai parenti. E dato che sbucheranno finanche dai cassetti o dai lavandini, avrò poco tempo anche per respirare (perché sarò impegnata a salvarli da cassetti e lavandini). E poi perché, nel frattempo, sarò anche presa con storyboard e scadenze da rispettare e dovrò ritagliarmi dello spazio anche per quello (sto procrastinando come se non ci fosse un domani, anche adesso, per dire).

Comunque, non è che sparisco, salvo un parente, do una mano di china alle tavole e torno.

Alla prossima.

  
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