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Autore: La Nuit du Chasseur    09/06/2014    1 recensioni
"... Dici che potremmo concederci il lusso di sentirci, e di tanto in tanto di vederci anche? Senza promesse, senza dare un nome a questa cosa, solamente non perdersi di vista, non dimenticarci l’uno dell’altra. Dici che possiamo?”.
“Dico che possiamo, bambina” le disse sulla bocca.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DECLAIMER: questa storia è frutto della fantasia e non è scritta a scopo di lucro. I personaggi citati, se reali, non mi appartengono e le loro azioni, così come i luoghi in cui vengono collocati sono totalmente inventati. Il personaggio di Miriam e Kiki, così come l'ambientazione della storia sono invece di mia proprietà. 
 
Ciao a tutti!
Una nuova storia: siate clementi, è la mia prima fanfiction sui Mars!!!
Dunque la storia ce l'ho già tutta in mente, ma non è ancora totalmente scritta, quindi non so quanti capitoli sarà... attendo i vostri pareri e suggerimenti, spero che ne arrivino tanti!!!!!  
Hr


Per spoiler, informazioni e per conoscermi meglio, seguitemi QUI, nel gruppo ufficiale de La Nuit du Chasseur!!! 


Ventisette anni e una vita che non le piaceva più. Miriam era un avvocato da poco tempo, collaborava in uno studio affermato a Parigi, città dove era nata e cresciuta, figlia di madre francese e padre italiano. La sua vita era perfetta. Per qualcun altro, forse, non più per lei. Così un giorno, mentre cercava un modo per andarsene in vacanza qualche giorno, lesse un annuncio sul web: un signore di una certa età, cercava qualcuno che gestisse il suo chiosco in riva al mare per qualche tempo. Miriam lo lesse di nuovo e la sua mente iniziò a lavorare sempre più febbrilmente: l’avrebbero presa per matta, ma lei sentiva dentro quella scarica di adrenalina che le serviva in quel momento per reagire ad una crisi isterica che la trascinava via da tempo.
Si odiava, perché per lei la vita non è solo felicità e perché lei aveva sempre detto che scappare non è mai una soluzione. Era sempre stata l’integerrima del gruppo, quella che ha sempre la frase giusta al momento giusto, che aveva sempre scelto la cosa giusta e le cui soluzioni erano sempre state dettate dal cervello e quasi mai dal cuore. Ma ora sentiva che tutto quello le stava stretto e quell’annuncio sembrò una manna dal cielo.
Inviò subito una mail al signor Carlos, chiedendo maggiori informazioni riguardo la sua offerta. L’uomo le rispose il giorno dopo, dicendole che lui aveva subito un difficile intervento chirurgico e voleva staccare un po’ la spina per riprendersi totalmente. Credeva che un mesetto sarebbe stato sufficiente, e avrebbe voluto che il suo sostituto iniziasse al più presto.
Si sentirono via Skype un paio di giorni dopo. Miriam gli raccontò di essere laureata in Legge e di avere un master in Diritto Internazionale, gli disse che collaborava con uno studio legale e gli raccontò brevemente le sue esperienze.
Il signor Carlos rimase affascinato dalla giovane e dal suo sorriso contagioso: sembrava un concentrato di serenità e gioia, solo si chiedeva come mai una ragazza tanto fortunata e con un curriculum così in vista chiedesse di gestire per un mese un chiosco. Glielo chiese e la sua risposta, che arrivò dopo qualche minuto di esitazione, lo convinse che era quella giusta: lei voleva vedere il mondo e capire se la vita che aveva era frutto delle sue scelte o di quello che gli altri le avevano sempre consigliato di fare. Era a un bivio e sentiva che se non avesse provato a lanciarsi ora se ne sarebbe pentita. Era solo un mese e lei era molto giovane: nessun giovane dovrebbe correre verso l’obiettivo, gli disse, tutti dovrebbero prendersi il tempo necessario, finì.
Il signor Carlos fu rapito e le disse che la aspettava. Fissarono l’appuntamento in modo che Miriam avesse almeno una settimana per avvertire lo studio, suo padre, gli amici. Si salutarono, entrambi convinti di aver fatto una buona scelta.
Miriam fu investita di critiche e risate di scherno per tutta la settimana: non c’era nessuno in grado di dirle solo “Vai, però vedi di tornare”. Era l’unica cosa che avrebbe voluto sentirsi dire, e invece niente. Jerome la accusò di averlo ingannato, nonostante fra di loro non ci fosse più di una storia che durava da un paio di mesi. Suo padre era su tutte le furie. I suoi amici continuavano a dirle che era matta. L’ufficio le diede un mese di ferie, come le spettava da contratto, ma nessuno si dimostrò in accordo con quella decisione.
Miriam si sentiva felice ed entusiasta e non capiva il perché di tanto scalpore: era solo un mese, solamente un mese. Sarebbe stato come se fosse in vacanza. Qual era il problema? Ah, si… aveva dimenticato di dire a tutti una cosa: la sua meta era Honolulu.
Honolulu era il suo sogno da bambina, quando vedeva i cartoni animati e Mago Merlino sbraitava di volerci andare. Lei, appena scese dall’aereo, stanchissima, si sentiva un po’ come Mago Merlino: lei era scappata davvero.
Prese i bagagli dal nastro e si diresse verso la stazione dei taxi, fuori dall’aeroporto. Aveva l’indirizzo del chiosco, il signor Carlos le aveva detto che poteva stare sopra al locale, dove c’era una piccola mansarda che lui usava per magazzino, ma che avrebbe provveduto a rendere accogliente per lei.
Arrivò e le sembrò un sogno: il chiosco era direttamente sulla spiaggia, immerso fra palme verdi e sabbia fine. Dietro di lei c’era la metropoli, ma davanti aveva il paradiso. Il locale era una grande veranda coperta: era in legno e aveva delle ampie vetrate che potevano essere chiuse di notte, o in caso di pioggia. Era molto carino e decisamente in stile hawaiano: c’erano fiori ovunque e ne usciva una musica rilassante e moderna.
Il signor Carlos era all’interno, la accolse con un ampio sorriso e la classica collana di fiori hawaiana. Miriam rise mentre l’uomo gliela metteva al collo e la accoglieva nel locale, facendola sedere e offrendole subito una limonata fredda.
Le presentò sua moglie, una donna corpulenta e bassina ma dal viso dolce e sorridente. Erano una coppia bellissima: entrambi avevano sul viso i segni di una vita non certo facile, ma si guardavano ancora come se fossero adolescenti e Carlos non mancava mai di farle delle carezze sul viso. Li conosceva da mezz’ora e già si sentiva in pace: avrebbe voluto una vita così, i suoi genitori, con i loro impegni e la loro freddezza erano lontani anni luce.
Carlos la accompagnò nella mansarda, la fece sistemare e poi le disse che l’avrebbe aspettata di sotto per spiegarle come funzionavano le cose.
Dopo tre giorni, i signori Aikane lasciarono l’isola per il loro mese di riposo. La salutarono affettuosamente, come se fosse una loro figlia, e Miriam scorse nello sguardo di Carlos un’apprensione che lui si affrettò a spiegarle prima di salire sul taxi: quel chiosco era tutta la sua vita, quello che aveva costruito mattone dopo mattone. Gli aveva dato il suo stile di vita, il suo entusiasmo e l’aveva reso uno dei più affermati dell’isola. Lo aveva amato anche quando le cose non andavano bene, e ci aveva messo dentro sudore, anima e sorrisi. Lasciarlo era un colpo al cuore, ma sapeva che ne aveva bisogno e, le disse infine, si fidava molto di questa ragazza europea. Lei non avrebbe dovuto deluderlo.
Miriam sentì nel cuore una fitta: una responsabilità che forse aveva sottovalutato. Ma non se la sentì di dirgli nulla, e accettò la sfida sorridendo all’uomo e dicendo a lui e sua moglie di rilassarsi e divertirsi in Florida, dal loro unico figlio.
Non appena il taxi svoltò l’angolo e scomparve dalla sua visuale, Miriam rimase sola con i suoi pensieri: guardò il locale, chiuso al pubblico in quei giorni di assestamento, guardò se stessa, finalmente in infradito e vestitino di lino rosso. Guardò il mare che formava le famose onde da surfisti e guardò la sua nuova avventura: si sentiva emozionata e libera. La libertà che a Parigi le mancava. Finalmente sentì di avere aria nei polmoni.
Entrò nel locale e iniziò a sistemare le bottiglie e tutto il resto: Carlos le aveva spiegato i segreti del mestiere, ma le aveva permesso di sistemarsi le cose come le avrebbero fatto comodo. Le disse anche di chiamare Iolana, la moglie del suo più vecchio e caro amico, nel caso avesse avuto bisogno. Miriam sperò che non sarebbe servito, ma non si poteva mai sapere, e appese il foglietto con il numero della donna sulla bacheca vicino la cassa, per ogni evenienza. Il giorno dopo avrebbe aperto al pubblico e si sentiva stanca: una doccia e una buona dormita l’avrebbero aiutata.
Il giorno dopo, puntuale e allegra, aprì le porte del chiosco, mettendo della buona musica e iniziando a sistemare i tavoli. Il locale si riempì subito di gente che, si vedeva, erano persone che conoscevano molto bene quel luogo: alcuni chiedevano di Carlos, e lei dava la spiegazione ufficiale “è in vacanza”. Si destreggiava bene fra i tavoli e le ordinazioni al banco, correva molto ma aveva l’impressione che lì attendere qualche minuto non sarebbe stato un problema: vedeva che le persone dondolavano la testa a tempo di musica, parlottavano, ridevano e sembravano molto rilassati. La cosa la tranquillizzò e la aiutò a non sbagliare quasi nulla. Se le capitava chiedeva scusa e l’unica cosa che riceveva in cambio era un sorriso. Quella avventura era partita alla grande.
Dopo qualche giorno era completamente a suo agio: la sera, dopo la chiusura, esplorava la città e si concedeva qualche sfizio. Ancora non conosceva molte persone, però essere sola non le pesava, anzi la aiutava a fare bilanci, a pensare, quello per il quale aveva mollato tutto. Decise, dopo aver avvertito i suoi genitori e un paio di amiche, di spegnere il cellulare e lasciarlo nel cassetto. La distanza, a volte, aiuta davvero.
Comprò una scheda locale per le evenienze, ma il numero non lo aveva nessuno e la cosa era rilassante.
Quel giovedì entrò nel locale un uomo con un paio di occhiali da sole, che alla sua vista rimase interdetto. Miriam sorrise fra se e se, lusingata di aver fatto colpo, ma non sapeva che quell’uomo non era assolutamente rimasto di sasso per la sua, seppur nota, bellezza.
“Mi scusi, ma Carlos dov’è?” chiese con stupore e un filo di preoccupazione.
“Salve, è in vacanza. Lo sostituisco io per tutto il mese. Posso servirle qualcosa?” rispose Miriam, sicura e sorridente.
“Ah, bene. Per un momento ho pensato il peggio. Si, grazie, vorrei un caffè”
“Va bene, lo prende qui o lo porta via?”
“Qui, per favore”
“Bene, arriva subito”. Miriam si girò e andò a preparare il caffè a quell’uomo: aveva fatto finta di non riconoscerlo per discrezione, ma l’aveva riconosciuto eccome. I Thirty Seconds to Mars non erano la sua band preferita, ma li ascoltava spesso, la loro musica le piaceva.
Fece il caffè al batterista, che nel frattempo si era seduto al bancone e scrutava il mare.
“Ecco qui, Shannon… ops, scusami” si tradì Miriam. Il suo nome le era proprio sfuggito, era una cretina.
Il ragazzo sorrise, prendendo la tazza e le rispose in maniera semplice: “Figurati, non c’è problema”. Poi si alzò, lasciando una banconota sul bancone, la salutò e andò via così come era arrivato.
Miriam guardò per qualche istante la vetrata oltre il quale Shannon era rimasto a fissare il mare, poi fu richiamata all’ordine da una ragazza che chiedeva un gelato. Non pensò a quell’incontro almeno fino all’indomani.

 
 
  
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