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Autore: crystalskin    12/06/2014    3 recensioni
Poggiò il pacchetto sul tavolo e stette a fissarlo con aria di sfida per qualche minuto.
Il suo orgoglio glielo vietava severamente, ma alla fine lo aprì. La carta rivestiva una scatolina blu.
Ne estrasse un biglietto ripiegato e lo lesse ad alta voce:
"Miss Jane, ecco il suo distintivo.
Ci aspettiamo grandi cose da lei.".
Abbott."
Sotto al biglietto c'era il distintivo, con incise le iniziali dell'agenzia.
La ragazza si rigirò quel pezzo di metallo scintillante fra le dita e pensò che alla fine non era poi così male essere "un'apprendista agente" dell'FBI, tranne per il fatto che aveva stravolto la sua esistenza.
Si sentiva come la figlia del dottor Dolittle, quello che parlava con gli animali.
Sarebbe stata in grado di parlare con gli animali come suo padre?
O meglio, sarebbe riuscita a sorprendere e catturare tanti criminali come faceva suo padre, l'infallibile Patrick Jane?
- ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER -
Genere: Azione, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Aprì la porta a vetri e si ritrovò nall'atrio della sede, precisamente all'ora che Cho aveva stabilito.
Si guardò un po' attorno e notò con piacere che tutto era rimasto più o meno come lo ricordava.
Era un luogo luminoso, spazioso e quasi completamente privo di arredamento. Suggestivo? Sì, decisamente sì.
Attraversò uno dei tanti metal detector all'entrata sovrappensiero, ma ovviamente il suono che il macchinariò provocò al suo passaggio non passò inosservato.
- Signorina. -, sentì una voce maschile alle sue spalle.
Quell'appellativo cominciava a darle sui nervi.
Si voltò lentamente, con fare annoiato e guardò l'uomo robusto in divisa, che l'aveva chiamata.
- Mi scusi, deve rispettare il protocollo.
- Si, ha ragione, ma non sono una criminale e, - disse estraendo dalla tasca dei jeans un piccolo mazzo di chiavi, - oltre al mio cellulare, questo è tutto quello che ho con me.
- Le ripeto che è il protocollo. Deve fornirmi un documento d'identità, registrarsi e mettere tutti gli oggetti che ha con sè in una di queste scatole. - , disse mostrandole con poco entusiasmo una delle tante scatole nere impilate sotto al suo bancone.
- Oh andiamo, tutto questo è veramente necessario? - disse con un tono falsamente sofferente.
- Sì, lo è. - disse l'uomo, impassibile.
- Nah, andiamo... Sono sicura che possa fare un'eccezione. - gli diede una maldestra pacca sulla spalla, dando l'illusione di essere disinvolta, ma lui rimase immobile, con un'espressione incredula.
- Signorina, se continua ad oppore resistenza sarò costretto a farla uscire.
- Oh, andiamo non vorra mica -... .
- Tranquillo, lei è con me.
Entrambi si voltarono e videro Cho, nella sua solita posizione rigida, ma un pò ammorbidita dall'età.
Indossava lo stesso completo nero, piuttosto aderente e stranamente... sorrideva?
La ragazza sorrise beffardamente al poliziotto che rimase senza parole e andò a salutare l'agente speciale.
- Zietto Kimball. -, disse mentre lo abbracciava.
- Oh no, per favore non chiamarmi così. - disse con la solita voce priva di espressione.
Si liberò dall'abbraccio e osservò la ragazza dalla testa ai piedi, - Ma come ti sei vestita?
- Perchè?, - chiese sinceramente sorpresa.
Indossava una felpa informe con le iniziali del liceo, che la faceva sembrare ancora più minuta, dei jeans non molto nuovi ed un paio di converse bianche.
- Beh sei in visita all'FBI, diciamo che ci si aspetterebbe di meglio. - disse scherzando.
- Ma del resto, - continuò, - me lo sarei dovuto aspettare da te.
Riflettè un po' e poi disse - Che cosa triste.
- Cosa? - chiese Cho senza capire.
- Pensavo di essere tutto, tranne che prevedibile.-, disse seccata.
L'uomo si fece un'altra risata.
- Mmh, qualcuno è stranamente di buon umore oggi, eh?


Qualche minuto dopo si ritrovò seduta su una scomoda poltroncina della sala d'aspetto, in attesa che qualcuno le portasse il caffè che Cho le aveva promesso, dopo che aveva minacciato di chiamarlo "zietto Kimball" davanti a tutta la sua squadra.
Lesse qualche rivista, assaggiò qualcuna delle caramelle balsamiche che erano sul piccolo tavolino di fronte a lei e poi si alzò per dare un'occhiata in giro.
Gli uffici erano un insieme ordinato di scrivanie separate da muri di vetro e un insolito vociare scomposto riempiva quegli spazi esageratamente grandi.
- Staranno lavorando a qualche grosso caso. -, pensò.
Fermò un paio di persone e alla fine riuscì a trovare la cucina. Non notò nessuna caffettiera fumante in vista, così decise di frugare nella piccola dispensa.
- Sii. -, esultò alla vista dei filtri di tè che aveva trovato sulla mensola più alta. Mise a bollire un po' d'acqua nella teiera giapponese che stava nel lavandino e prese una tazza capiente, di colore azzurro dallo scolapiatti.
- Mi scusi, lei chi è?-, quella voce femminile e così improvvisa rischiò di farle cadere la teiera dalle mani, il che sarebbe stato una disgrazia.
- Mi dia solo un secondo. - agitò la mano libera in aria e senza alzare la testa finì di versare il tè.
Prese in mano la tazza e rivolse lo sguardo alla donna ben vestita che le aveva fatto quella domanda. Era robusta, ma non molto alta, quasi anonima; l'unica cosa che la faceva spiccare fra gli altri agenti era sicuramente la sua chioma rossa. Notò il lasciapassare dell'FBI che penzolava dal colletto della sua camicia bianca.
- E' un agente anche lei? - chiese prima di prendere un sorso di quel liquido bollente.
- Non credo di averla mai vista qui. - non rispose alla sua domanda e anzi, iniziò a guardarla non molto amichevolmente.
- Mmh no, non vengo qui molto spesso... sono una brava cittadina, che posso dire.
- Ah, non lo metto in dubbio. Ma non vedo nè un distintivo nè un lasciapassare sulla sua... felpa. - pronunciò quell'ultima parola mentre osservava con eccessivo disprezzo la sua amata, morbida, enorme felpa.
- Siete tutti così fissati con il controllo qui? - chiese alzando gli occhi al cielo. La donna la stava fissando ancora più in cagnesco.
- Scherzo, ovviamente. -, cercò di riparare in extremis alla situazione.
- mmh certo. -, i suoi occhi si erano ridotti ad una fessura.
- Il suo nome, prego. - continuò estraendo quello che sembrava un cellulare dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni.
- Olivia Kristen Jane.
La donna iniziò a scrivere in modo maldestro sul display luminoso.
- Prima che mi arresti forse sarebbe meglio che le dicessi che Cho mi ha fatta entrare con lui, - fu costretta a rivelare alla fine, - sono qui per avere notizie dei miei genitori e per alcune questioni di sicurezza per quanto riguarda me... .
- Beh, allora poteva dirlo subito, mi sarei risparmiata la parte del poliziotto cattivo! - disse l'altra illuminandosi all'improvviso. La ragazza fu come scioccata dall'improvviso cambio d'umore della donna di fronte a lei. 
- Non mi piace parlare dei miei affari, - disse con un sorriso forzato, - se posso farne a meno è meglio.
- Chi sono i suoi genitori? -, chiese come se non avesse sentito quell'ultima frase.
- Teresa Lisbon e Patrick Jane. -, disse lei mentre si versava un altro po' di tè.
- Oh mio dio! Lei è la figlia di Teresa! Venga, le faccio conoscere la squadra! -, la afferrò per un braccio e non aspettò nemmeno una sua risposta.
- Ma no, non si preoccupi... - cercava di dirle inutilmente.
La ragazza dovette compiere uno sforzo disumano per far si che la tazza di tè non si rovesciasse durante la loro folle corsa.
Quando furono arrivate a destinazione la liberò dalla sua presa e le disse euforica, - Sarò a sua completa disposizione! Sono l'agente Swift, ma puoi chiamarmi Mary Anne. 
Lei le sorrise, - Ok, grazie, - esitò un momento, - M-mary Anne.


Fu costretta poi a stringere un numero di mani che sembrava essere infinito.Tutti sembravano abbastanza cordiali, a volte non molto entusiasti di fare la sua conoscenza, ma dopotutto se lo aspettava e non aveva chiesto lei di fare la conoscenza di tutto il personale.
- La figlia di Jane, eh? - chiese un uomo alto e nerboruto sulla cinquantina.
- Un altro problema in più, - continuò, - non vorrà mica stabilirsi qui, vero? -, la sua risata profonda non prometteva nulla di buono ed il suo tono la infastidiva non poco.
- Non sfoghi le sue frustrazioni su di me, la prego. - gli sorrise.
- "le mie frustrazioni"? - ripetè con tono infastidito.
- Già... . - rispose lei.
- Presuntuosa come suo padre. -, disse fra sè e sè.
- Non è presunzione, è essere consci delle proprie qualità. - ribattè lei con un ampio sorriso sulle labbra mentre si accomodava su una sedia girevole accanto alla scrivania più vicina.
- Bene, allora mi illumini, quali sono le mie frustrazioni? - chiese in tono di sfida.
- Non vuole davvero che glielo dica, mi dia retta. -, disse lei con gli occhi incollati alla sua tazza.
- Sta trovando un modo per non esporsi? - chiese ridendo.
- D'accordo, se è quello che vuole. -, poggiò il tè e assunse una postura più autorevole..
- E' invidioso di mio padre, - disse e l'uomo rise nuovamente e in modo più sguaiato, - e tradisce sua moglie, e direi che questa cosa la sta divorando dentro. - disse senza scomporsi. Gli altri agenti poco lontani si erano voltati immediatamente a quelle parole, chi più o meno sbalordito.
La ragazza osservò la sua faccia passare dallo stupore alla rabbia in poco più di qualche secondo.
- Come si permette? - aveva alzato la voce e le si era avvicinato pericolosamente.
- Hey si calmi, - disse alzandosi, - è stato lei a chiedermelo.
Un agente meno robusto dell'uomo avanzò e gli si parò davanti, accompagnato dalla Swift, - Calmo, Steve.
Lui si allontano producendo un verso simile ad un ringhio.
La donna dalla chioma rossa si spostò di fianco a lei, - Come hai fatto? - chiese sorridente.
- Il suo profumo e il senso di colpa dipinto in faccia. -, si limitò a risponderle.
- Vede, - continuò, - anche se può sembrare strano, l'importante non è che la mia ipotesi sia giusta o no, ma è che io abbia un qualcosa che faccia cedere l'interessato e che mi provi che la mia intuizione è esatta.
- Formidabile.
- Già... sa dirmi dove si trovano Cho o il signor Abbott? - chiese ricordandosi che ormai era passata circa un'ora da quando Cho le aveva promesso quel famoso caffè. 
- Oh sono stati convocati in riunione straordinaria. Lei puó aspettare qui con me intanto. - il suo sorriso le dava leggermente i brividi.
- Oh, sarebbe grandioso... ma prima sarebbe così gentile da indicarmi il bagno? Sa, il tè sta iniziando a fare effetto... - disse imbarazzata.
- Oh, ma certo! Alla sua destra, in fondo.
- Grazie mille. 
Iniziò letteralmente a correre verso la direzione che le era stata indicata e una volta raggiunta la porta del bagno virò drasticamente nella direzione opposta.
- Sapevo che prima o poi quel corso di recitazione mi sarebbe stato utile. - pensò.
Ora che si era liberata di quella donna poteva benissimo dedicarsi al motivo per il quale si era recata lì.
Girò un po' per gli uffici, ma tutti erano troppo occupati per notarla. Non vide nessun volto familiare, il che non fece altro che scoraggiarla.
Decise che l'unica cosa da fare sarebbe stata aspettare che quella riunione straordinaria fosse terminata e così si diede alla ricerca di qualcuno, o meglio qualcosa, di ben diverso.
Lo trovò esattamente dove se lo aspettava. Il divano di pelle beige consumata era lì vicino alla scrivania di sua madre, morbido e confortevole come sempre.
Ci si buttò quasi a peso morto e sprofondò lentamente nei cuscini della seduta. Si sentiva a casa.
Da lì riusciva a vedere tutti gli oggetti sparsi sulla scrivania; c'erano matite, penne, un computer di ultima generazione e una vecchia foto di famiglia in una cornice d'argento.
Sorrise automaticamente guardandola, erano loro tre, in vacanza al mare. Suo padre aveva un braccio intorno alla vita di sua madre e con l'altro teneva lei. Quella era stata una delle molte vacanze improvvisate che i suoi riuscivano ad organizzare quando avevano qualche giorno libero, per stare un pò di più con lei. Ammirava quello che facevano, erano i suoi eroi, ma purtroppo il prezzo da pagare per fare gli eroi è sempre caro.
Si lasciò cullare dal vociare monotono intorno a lei e chiuse gli occhi. Riusciva a ricordare molti episodi della sua infanzia; per esempio il giorno in cui suo padre le aveva insegnato ad andare in bicicletta e si era ritrovata con due lividi enormi sulle braccia, ma alla fine era riuscita a pedalare da sola.
Nonostante tutto i suoi genitori erano stati presenti, li aveva trovati in prima fila il giorno del suo saggio di danza classica, l'avevano sempre accompagnata ai primi giorni di scuola, il giorno del diploma erano lì e suo padre era perfino riuscito ad imbucarsi al suo ballo di fine anno.
- Olivia? 
Riaprì immediatamente gli occhi e si trovo davanti il signor Abbott.
- Oh, salve. -, gli sorrise.
Si alzò lentamente dal divano e si risistemò la felpa sotto lo sguardo attento dell'uomo.
- Mi dispiace per averti fatto aspettare tanto, - disse dispiaciuto, - ma come avrai intuito abbiamo dei seri problemi.
- Sì, c'è un'aria piuttosto tesa qui... .
- Vedo che ti piace ancora il divano di tuo padre. - disse sorridendo mentre guardava quell'ammasso ormai informe di polvere, imbottitura e finta pelle.
- Beh, non cambio gusti molto facilmente.
- Andiamo?, - gli chiese impaziente.
Lui annuì e le fece strada verso il suo ufficio.
Quella stanza era l'unica ad avere delle pareti che non fossero di vetro. Sospirò sollevata e si sedette di fronte a lui.
- Mi dispiace di non averti potuta avvisare prima, ma abbiamo avuto dei contrattempi. Come sai i tuoi genitori sono impegnati in una missione top secret in Europa e ci hanno comunicato di aver ricevuto delle minaccie molto serie. Adesso hai raggiunto l'età legale secondo la quale l'FBI non può più prenderti in custodia e proteggerti senza che si svolgano delle pratiche interminabili... .
- Quindi? - lo invitò a continuare.
- Quindi. l'unico modo che abbiamo per tutelarti è che tu rimanga qui fino al termine della missione.
- Che durerà...?
- Che durerà sei mesi., disse con tono sommesso.
- Sei mesi? - ripetè lei incredula. La stanza cominciò improvvisamente a farsi troppo piccola e la felpa troppo pesante. Deglutì rumorosamente. L'idea di rimanere lì circondata da agenti nevrotici non le andava proprio a genio, se così si può dire.
- Mi dispiace davvero, Olivia. -, sì, era veramente dispiaciuto.
- Aspetti, - disse riprendendo un po' di lucidità, - ci sarà pure un'altra opzione. Iniziò a picchiettare nervosamente con le unghie sul bracciolo della sedia.
- Non avete nessun altro sotto la vostra protezione che non sia un minorenne? - continuò.
- Sì, ma...
- Sì?
- Ci sono degli apprendisti  dell'FBI che godono di una protezione da parte nostra perchè non sono veri e propri agenti ma sono a conoscenza di informazioni importanti.
- Mmh bene, c-c'è qualche possibilità che io possa diventare uno di loro? -, aveva toccato il fondo, ma non vedeva altre vie d'uscita.
- Forse. ma ne sei sicura? - chiese incredulo.
Sicura? Per lei equivaleva a gettarsi da un aereo senza paracadute.
- Sì, - aveva ripreso un po' della sua determinazione, - sono sicura che sia meglio che passare sei mesi rinchiusa qui.
- Va bene. - disse mentre si asciugava la fronte con il fazzoletto da taschino, - potrei mettere una buona parola... ma dovrai comunque trovare un alloggio sicuro e dovrai tenere dei test di ammissione.
- Una passeggiata. -, disse lei sorridendogli.
Ma era sicura che sarebbe stato tutt'altro che una "passeggiata".






























































SPAZIO AUTRICE



Hey :)

Sono davvero felice di essere riuscita ad aggiornare presto!
Ok, so che questo capitolo non è proprio un granchè, ma dovevo spiegare dei passaggi fondamentali in un modo o nell'altro...

Per scrivere questo capitolo ho ascoltato girls dei 1975 e devo dire che mi è stata d'aiuto...
Ah, ho chiamato questo capitolo "a bed of roses" perchè è come gli inglesi dicono "facile come una passeggiata". Magari a voi non frega niente di questo ma volevo farvelo sapere.
Volevo ringraziarvi taaanto per le visualizzazioni, le recensioni e per averla aggiunta alle seguite.
sto già lavorando al terzo capitolo!

Un bacio, crystalskin

 
   
 
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