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Autore: Tomi Dark angel    13/06/2014    5 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Che diavolo fate? Lasciatemi, lasciatemi subito!-
Rumori. Suoni insignificanti, privi di senso, vita, colori. Che se ne fa il mondo di essi quando finanche le più piccole parole smettono ogni significato, ogni senso logico? Della logica ormai, la Terra non se ne fa più niente. Il suo fulcro è sparito, spento dalla sua stessa grandezza, affogato nel mare di lava che impersonava colpe altrui.
La logica non ha mai salvato nessuno, Sherlock forse lo sapeva. La logica non salvò lui, così stupido da frapporsi tra John e la morte. E adesso, anche lo stesso John non riesce a riemergere, a sentirsi bene. Gli pare che il mondo sia finito lì, col morire di quegli occhi di cristallo così fragili, così preziosi.
-John! Lasciatemi!-
Molly?
John apre gli occhi, respira affannato per la stanchezza e la mancanza di cibo e acqua che ormai persiste da circa due giorni. Perché ancora vive? Se lo chiede esattamente da poco più di quarantotto ore.
Troppo tempo. Troppo tempo.
-JOHN!!!-
Qualcuno lo afferra, John vede sfocato e a stento ricorda dove si trova. Come ci è arrivato in quel letto? È a casa sua? No, forse no. Oppure sì?
-Alzati!-
Lo strattonano, fanno sbatacchiare la sua testa abbandonata avanti e indietro. John non reagisce, non ne ha la forza. Vede sfuocato, è stanco, ha fame. Non importa, non si interessa più di niente ormai. Il mondo gira quando non dovrebbe, avanza quando in verità gli sarebbe concesso soltanto di fermarsi. John non è d’accordo col mondo: lui si blocca e basta, perché è giusto così, perché almeno a lui interessa ciò che la Terra ha perduto.
-JOHN!!!-
Molly urla, Mrs Hudson lo chiama per nome. Da qualche parte, si odono rumori di lotta e gemiti soffocati che spingono John a sforzarsi per mettere a fuoco l’ambiente.
È circondato dai militari. Lui quei ragazzi li ha visti combattere, gli ha salvato la vita, li ha ricuciti pezzo dopo pezzo senza mai abbandonarli. Loro lo riconoscevano fedeli, sorridevano alla sua presenza e mai gli voltavano le spalle.
Adesso non è così: quegli stessi volti così cresciuti, così diversi, appaiono feroci, meschini, come cani soliti da troppo tempo alla ferocia delle lotte in gabbia. Hanno occhi infuriati, folli, così simili a quelli dei draghi che sempre più spesso attaccano la città, recidendo vite e sbocciando grida di dolore e sangue.
Malati. Sono tutti malati.
Senza più anima, senza più emozioni. Non si preoccupano neanche di loro stessi perché ai loro occhi è giusto combattere, uccidendo finanche i propri simili. La pietà non la ricorda più nessuno, perché nessuno si sforza di ricordarla.
John distoglie lo sguardo da quei volti, da quei fucili puntati in tanti mirini rossi dritti al suo petto. Si aspettano che reagisca? Forse, ma se è così, allora non hanno notato davvero lo stato pietoso in cui verte il suo corpo, la sua anima devastata.
Mrs Hudson, Molly e Mike Stamford sono premuti contro il muro, deboli alla stretta soffocante d’uomini che di umano non possiedono neanche più l’essenza. Nessun rispetto per l’anzianità della donna che quasi soffoca, con quel braccio nerboruto schiacciato sulla gola; nessuna pietà per la giovane ragazza che fragile, tenta d’accasciarsi ai piedi dei militari insensibili, senza morale.
I tempi sono cambiati, da quando John combatteva. Adesso è evidente, adesso è chiaro quanto lo stesso ex soldato sia stato stupido anche solo al provare il desiderio di tornare tra quelle fila di dannati sopravvissuti. Se un tempo sopravvivevano ideali, umanità e rispetto tra le forze armate, adesso è soltanto la violenza l’unico linguaggio comprensibile ai loro occhi.
John vorrebbe reagire, ribellarsi, ma si sente così pesante, così vuoto… non riesce nemmeno a sollevare la testa.
-Sei tu Hound?- domanda una voce di donna che John riconosce.
Sally Donovan è stata uno dei suoi diretti sottoposti, in passato. John le salvò il braccio destro, ricucendolo prima che perdesse totalmente funzionalità lasciando come ultima scelta l’amputazione. Era una brava ragazza, Sally. Piena di ideali, di sorrisi e di speranza. Non ha somiglianze con la donna rigida e senz’anima che adesso emerge dalla calca di soldati come malata ombra del passato.
Indossa la divisa da ispettore e un distintivo un tempo appartenuto a Lestrade. Questo sveglia John un po’ di più.
-Che fine ha… fatto Lestrade?- domanda con voce roca, gracchiante per il continuo inutilizzo.
Donovan sorride di un sorriso ferino, aggressivo, malato. È predatrice dinanzi alla preda, è fame dinanzi a cibo ancora fresco.
-Il detective Lestrade è stato… sì, licenziato. Non ha nascosto bene le prove della sua collaborazione col fuorilegge numero uno al mondo. Peccato.-
John sbatte le palpebre, si raddrizza mentre la mano rude del soldato più vicino ancora gli serra la spalla ferita. Fa male, ma nessun dolore supera ciò che malsano striscia al suo interno schiacciandogli l’anima, le interiora, il respiro. Potrebbero staccargli la testa con un’accetta, ma non lo ferirebbero quanto la morte di Sherlock.
-Non collaborava con me. E sì, Hound sono io.-
-Magnifico. Arrestatelo.-
Mani nerborute lo afferrano in malo modo, lo scaraventano giù dal letto. John cade carponi, si rialza in ginocchio ma i soldati gli premono sulle spalle per non permettergli di raddrizzarsi ulteriormente. Anche in quella posizione sottomessa, John appare fiero come un leone, coraggioso come il più potente dei re. Colui che ha combattuto i draghi, colui che ha abbattuto la bestia più grande mai vista nei pressi di Londra semplicemente ipnotizzandola e poi facendole esplodere una granata addosso. Così si narra, così la pensano tutti. Nessuno vide la Furia Buia che guardiana piovve giù dal cielo, nessuno giustificò diversamente l’esplosione di fulmini e materia oscura sulle squame del drago grigio. È John la leggenda tra i soldati, tra la gente, e neanche lo sa.
-Credi che arrestarmi serva a qualcosa? Se avete tanta paura di me, significa che per la gente i miei scritti significano davvero qualcosa. E sai cosa ho imparato col tempo? Che le persone possono riprovarci, che possono sempre rimediare agli errori, se soltanto lo desiderano. Io sono soltanto una voce, un mediatore che grida al deserto affinché nessuno lo ascolti. Credevo d’essere solo, credevo che il mondo non fosse pronto ad andare avanti. Ma voi siete qui, e questo mi conferma soltanto che c’è ancora speranza, che il mondo vive ancora, che vuole perdonare, dimenticare. E, con o senza di me, so che potrà farlo.-
Donovan serra la mascella, disperata cerca di mantenere il sorriso traballante che da ferino passa a fragile. China il busto per accostare il viso alla faccia di John, inclina la testa, torna a sorridere faticosamente, ma con rabbia rappresa.
-Tu non significhi niente per loro. I draghi sono nemici da secoli e tu, omuncolo da due soldi, non smantellerai la più grande guerra mondiale che uomo abbia mai visto.-
John sorride affabile. –Hai detto bene. L’uomo non conosce pace, non la ricerca perché non ha mai respirato aria pulita, priva del puzzo di fumo e sangue. I nostri bambini crescono nel terrore, giocano con le armi piuttosto che con le bambole. Non conoscono colori, non conoscono domani perché nascono e vanno avanti con la convinzione che per loro, l’alba del giorno dopo potrebbe non nascere affatto. Siamo noi che glielo ricordiamo, siamo noi che cerchiamo rassicurazioni da chi è troppo piccolo per concedercele. Non conosciamo la pace, quindi non ci è dato cercarla. Adesso però, io ho illuminato una nuova prospettiva, una nuova possibilità che possa condurre persone innocenti a un domani sicuro, tangibile, che risplende di colori dimenticati. Parlare con le armi non serve a nulla e, se hai letto almeno in parte i miei scritti, saprai che per conoscere la realtà dei fatti, per accostarmi a quello che voi chiamereste meramente bestia senz’anima, ho semplicemente dovuto gettare a terra la pistola. Se non siete disposti a farlo, tutto è perduto. Ma se qualcuno ci prova ancora, se qualcuno ha ascoltato almeno in parte il mio grido… allora non morirò invano.-
-Morte? Chi ha parlato di morte?-
John respira a fondo, ascolta la pace scorrergli nelle vene.
-Io. Non mi lascerete in circolazione e le vostre carceri non esistono più: l’ultimo attacco ha abbattuto le poche celle rimaste in piedi, lo so bene. Il che ci conduce a un’unica soluzione. Per voi sono troppo pericoloso, troppo difficile da contenere. Come morirò, Sally?-
-È ispettore Donovan!-
-Come morirò, Sally?-
Donovan stringe i pugni, digrigna i denti senza più volontà di trattenersi. Poi sorride di un sorriso sanguinario, rappreso di rabbia e piacere perverso. Accosta il viso a quello di John, gli sfiora l’orecchio con le labbra.
Quel gesto gli ricorda qualcosa. Un paradiso celato, labbra cesellate da angeli, tocco gentile di giovane innamorato. Bizzarro come un atteggiamento tanto delicato possa trasformarsi in puro inferno se mosso dalla persona sbagliata.
-Oh, non sono così gentile da rivelartelo. Sappi soltanto che i tuoi… amici, diverranno a breve i tuoi peggiori incubi.-
 
Sherlock Holmes la sua infanzia, la ricorda bene. Ogni volto, ogni voce, ogni tocco. Tutto è classificato lì, nella sua testa, nelle sue memorie. Non ha mai tralasciato niente, non ha mai dimenticato i dettagli. Quelli sono importanti.
Eppure, adesso quegli stessi dettagli ricordati, quegli stessi volti che memorizzò tanto bene… ogni cosa è cambiata. Sherlock odia i cambiamenti quasi quanto odia i sentimenti.
Cambiare significa memorizzare tutto daccapo.
Cambiare significa aprire vecchie porte per stravolgere il contenuto delle stanze sigillate e poi crearne di nuovo.
Noioso, faticoso.
Eppure, Sherlock quel volto non lo ricorda. Altra stanza, altre cose da memorizzare. Suo padre non era così vecchio, ma adesso dimostra pressappoco l’età di un umano sessantenne. Sempre bellissimo, sempre affascinante, ma diverso.
Stanza sessantanove, corridoio cinquantuno. Modifiche.
Zigomi alti, ma più taglienti. Capelli scompigliati, striati di grigio. Occhi chiari, limpidi, ma stanchi come non mai.
-Ciao, figliolo.-
Voce. Stanza ottantanove, corridoio novantasette. Memorizzato.
Un’altra porta si apre, affonda Sherlock tra pieghe di ricordi.
L’ultima volta che vide suo padre, la mamma era appena morta…
 
-Padre?-
Sherlock è ancora un ragazzo. Alto, allampanato, che avanza barcollando nell’oscurità della casa. Nessuna luce gli dona il beneficio di una via illuminata, nessun rumore gli segnala di non essere solo, almeno per una volta.
Gli tremano le mani, ogni parte di lui è argentata del sangue innocente di sua madre, morta tra le braccia di un ragazzo troppo giovane per guardare in faccia la morte.
Se il mondo fosse giusto, sua madre sarebbe sopravvissuta.
Se il mondo fosse giusto, adesso quegli occhi di cristallo non sarebbero neri di paura e dolore.
Ha tanti sentimenti, il piccolo Sherlock: che peccato. Provare dolore fa così male, è così soffocante da togliergli il respiro. È sempre apparso troppo umano, troppo vivo agli occhi di chi si aspettava un erede vero, freddo e calcolatore.
Lui non è un animale. Lui le emozioni, le sente ancora.
-Papà?-
Chiama di nuovo, il piccolo Sherlock. Spera ancora in un barlume di pietà, prega ancora per un domani sicuro, felice, dove almeno suo padre saprà capirlo, sostenerlo, consolarlo.
-Papà?-
Continua a chiamare, lo fa per tutta la notte. Girovaga per casa con passo malfermo e sangue ormai rappreso sulla pelle. Forse si è fatto male anche lui, ma non se lo ricorda. Lui non ricorda niente, perché la sua mente è bloccata, non gli permette di realizzare.
-Papà?-
Cerca Sherlock, cerca fino all’alba del giorno dopo. Eppure, anche quando il sole sorge e bagna d’oro le pareti della casa deserta, il bambino non riesce a vedere la luce. Tutto è sfuocato, tinto di un nero malato, spettrale.
Poi, cominciano gli incubi ad occhi aperti.
Una donna così simile a sua madre emerge dalle ombre. Sherlock la guarda, fissa la freccia gigantesca che sporge dal suo petto. Non può essere lei, non deve essere lei.
-Mi hai lasciata morire.-
La donna avanza, quasi incespica nei suoi stessi passi. Tende una mano artigliata verso di lui, sorride malsana e gli sputa addosso un grumo di sangue argentato.
Sherlock urla, cade all’indietro e si copre la testa.
-Mi dispiace! Mi dispiace, mamma!-
-DOVEVI PENSARCI PRIMA!!!-
La donna urla con voce spettrale, gracchiante. Solleva una mano, gli conficca gli artigli nel braccio, squarcia la fragile pelle di bambino.
Sherlock urla, piange, si raggomitola mentre lei lo prende a calci, sputando sangue e maledizioni.
La donna singhiozza, rancorosa continua a incidergli la pelle. C’è sangue, c’è odio, c’è dolore. Sherlock non sa di essere soltanto nella sua testa, non vede i suoi stessi artigli che stringendosi alle braccia, ne incidono la carne in tagli dilanianti. Si ferisce, piange, incappa nella sua stessa mente che improvvisamente gli si ritorce contro.
Grida per tutto il giorno, piange, si ferisce e invoca il nome di sua madre, suo padre, suo fratello.
È soltanto quando cala la notte e Sherlock non ha più voce che qualcuno sopraggiunge come ombra nascosta, oscura, mefitica.
-Ti sei ferito abbastanza, Sherlock.-
Sherlock alza lo sguardo, si accorge di avere un occhio fuori uso per un taglio particolarmente profondo alla palpebra.
Suo padre è lì, lo guarda dall’alto ma non appare preoccupato per lo stato pietoso in cui verte suo figlio. Non gli interessa, del sangue di Sherlock non se ne fa niente. Senza sua moglie, i loro figli andranno allo sbaraglio e lui non coprirà la parte del padre. Ha sofferto abbastanza, e il suo dolore è l’unica cosa che vede.
Non è giusto tuttavia che anche Sherlock soffra così.
Il dolore fa male, il dolore è una brutta cosa. Edarion Holmes se ne rende conto solo adesso. Lacerato, strappato a metà… senz’anima. Qualcosa si spezza nella sua mente, la spacca in due parti identiche, raggrinzite di ricordi improvvisamente pericolosi. Sua moglie era così giovane, così bella. Proprio come Sherlock. In effetti, madre e figlio si somigliano in maniera impressionante, davvero impressionante…
Edarion osserva quegli occhi di cristallo così limpidi, così intelligenti. Sono occhi intrisi d’umana umanità. Gli stessi occhi di sua moglie, lo stesso sguardo acuto e bellissimo.
Sherlock potrebbe essere lei, Sherlock… è lei.
Improvvisamente, agli occhi di Edarion le immagini si confondono. Basta uno sbattere di palpebre, e tutto cambia. Le fattezze di ragazzino che ha suo figlio mutano senza che Edarion se ne accorga e improvvisamente, sua moglie è lì, accovacciata a terra e coperta di graffi.
Non fa paura, non fa pena. È uno spirito, un ricordo. Edarion adesso, i ricordi li odia profondamente.
-Non dovresti stare qui.-
La donna non risponde ma si raggomitola di più, tremando convulsamente.
-Non dovresti stare qui. Sei morta, mi hai lasciato solo. Adesso dovrò accettarlo, quindi vedi di sparire.-
Sua moglie sbarra gli occhi, lo fissa allucinata.
-Papà? Di che parli?-
-Non sono tuo padre!- urla Edarion. -Sono tuo marito, colui col quale hai condiviso una vita! Sei morta, sparita, andata via! Io adesso sono solo, quindi lascia che resti tale! VAI VIA!!!-
Un lampo d’artigli, uno scudisciare di coda tagliente e la donna di accascia a terra con un profondo taglio poco sovrastante la clavicola sporgente. Il sangue zampilla, lei grida di dolore e tenta di portarsi una mano al collo, ma non ci riesce. Respira affannosa, cerca di sbattere le ali. Inutile.
Agonizza lì, ai piedi di Edarion mentre egli stesso, ormai impazzito, sorride soddisfatto. Ha riaggiustato lo scorrere degli eventi. È stato bravo, in effetti.
-Papà!!!- urla una voce di ragazzino, profonda ma ancora vagamente sottile. Edarion riconosce la voce di suo figlio, di Sherlock. Si guarda intorno invano, non ricorda perché si trova lì. Poi, i suoi occhi si abbassano, e l’orrore si palesa vivo ai suoi occhi.
Colpevole.
Sherlock è a terra, in lacrime, scosso dalle convulsioni. Lo guarda, chiede perché con un semplice sguardo. Ha bisogno di risposte, ma il padre non ne ha.
Ha ferito suo figlio. L’ha quasi ucciso. E come ultima colpa, si rifiuta di soccorrerlo, di affondare le mani nei suoi sbagli di bestia impazzita. Indietreggia, sbarra gli occhi alla vista del figlio che invano tende una mano verso di lui, cercando di strisciare, di toccarlo per ricevere mero conforto.
Chiede aiuto, Sherlock.
Urla in silenzio, Sherlock.
Ma nessuno lo aiuta perché nessuno a parte la madre ci ha mai provato davvero. Ancora una volta, rimane solo.
Edarion indietreggia si volta e con un balzo sfonda la finestra alla sua destra, spargendo nell’aria il terribile rumore di vetri in frantumi. Spalanca le ali , cattura il vento e gonfia i muscoli nello sforzo disperato di allontanarsi, di lasciarsi alle spalle il disastro e il puzzo di morte.
Sherlock Holmes resterà un giorno e una notte in quella condizione. Ferito gravemente, immerso nel suo stesso sangue. Non capirà mai cosa gli diede la forza per respirare ancora, per strisciare misero lungo il corridoio , verso una porta che non avrebbe mai raggiunto con le sue sole forze. Quando Mycroft Holmes lo troverà, salvandogli la vita prima di sparire, Sherlock avrà infine capito che il mondo non è buono, che non sa avere pietà neanche di un bambino. E qualcosa scatterà nel suo cervello, togliendogli il sorriso, donandogli l’unica fredda logica alla quale si aggrapperà disperatamente in futuro, forse fino alla fine dei suoi giorni.
 
-Edarion.-
Sherlock fissa il padre senza emozione, incrocia i suoi occhi chiari, li vede inumidirsi fragili, vacillare, oscurarsi di comprensione quando Edarion comprende i pensieri di Sherlock e i ricordi che stanno risalendo a galla. Nota la mano del figlio sollevarsi a toccare lo stesso punto dove anni addietro artigli mefitici lo arpionarono, squarciandogli la pelle.
Non dimentica, Sherlock.
Ha tutto lì, scritto e registrato nel suo Mind Palace. Nessun dato esce, qualsiasi informazione entra.
Sherlock si alza faticosamente, fa perno sulla coda e sulle punte delle ali conficcate nel terreno. Alla fine, raddrizza la schiena, stiracchia i muscoli doloranti mentre la spalla totalmente forata ricomincia a sanguinare, arrossendo le bende che la avvolgono. Fa male, brucia da morire, eppure Sherlock non se ne cura. Non ha bisogno di sentirsi debole dinanzi a suo padre, considerato come è finita la volta precedente.
-Non ti farò del male, figliolo.-
-No?- Sherlock inclina il capo di lato, apparentemente calmo e rilassato. –Bizzarro. Da ciò che ricordo, provasti a staccarmi la testa l’ultima volta. Sbaglio?-
Edarion freme, stringe i pugni lungo i fianchi. Nonostante la magrezza esagerata del viso smunto ma ancora stranamente bellissimo, il corpo appare ancora massiccio, elegante e allenato.
-Non sbagli, Sherlock. So che è inutile domandarti perdono perché ormai il passato tale rimane, ma non posso impedirmi di chiederti aiuto adesso, in nome di tutto ciò che ho visto, delle troppe battaglie che ho combattuto. Ho viaggiato tanto, figlio mio, e altrettanto ho vissuto. Ho visto tante guerre. Troppe, in realtà. Nessuna di esse risparmiava morti, grida, sangue e nessuna di esse ha mai saputo risparmiare vite innocenti. La violenza è violenza, e resterà malata fino alla fine dei secoli, qualunque sia il motivo che ne spinge il principio. Eppure, di tante guerre vissute, nessuna è come questa. Con l’andare degli anni peggiora, e la gente muore senza perché, senza poter scegliere il suo destino. Guardo quei pochi che ancora vivono e rivedo mia moglie… guardo te, figlio mio, e in te rivedo lei.-
Edarion avanza di un passo, si accosta a Sherlock senza staccare gli occhi dai suoi.
-Tua madre è sempre stata l’unica in grado di fermare tutto questo. Quando l’ho persa, io… io credo di essere impazzito. Non sai cosa significa, prega di non saperlo mai…-
-Sbagliato.-
Edarion sbarra appena gli occhi, si immobilizza come statua di granito mentre il figlio lo oltrepassa, affacciandosi oltre la sporgenza rocciosa. Osserva il cielo terso, la sua variopinta tintura di blu cobalto, azzurrino, nero. Se non fosse per la luce argentata della luna piena, alta nel cielo, regnerebbe l’oscurità sul mondo intero.
Eppure, anche dal buio, la luce sboccia ancora, ogni giorno, ogni notte, senza stancarsi mai. Sarà sempre lì, così come sempre lì è stata anche l’oscurità.
Sherlock si sente quel cielo, adesso. Sa bene di essere rimasto al buio per molto tempo. Ha brancolato nell’oscurità, l’ha respirata, l’ha generata egli stesso. Poi però, insieme alla notte più nera è arrivata la luna col suo splendere intenso, instancabile, tenue ma gentile.
John.
Sherlock sa cosa intende dire suo padre. Ha memorizzato tutto lì, nel suo Mind Palace. Ricorda quegli ultimi momenti, il terrore di perdere John, così fragile, così umano.
Si sente fragile, Sherlock. Se gli portassero via John, sarebbe come perdere un pezzo d’anima, una parte importante del suo Mind Palace. Non sa cosa accadrebbe ai suoi ricordi, in caso di crollo psicologico. Ma dopotutto, senza John i ricordi non servono affatto.
-Sherlock?- chiama suo padre, e la sua voce appare morbida, nuovamente così simile a quella dell’Edarion giovane e felice che Sherlock ricorda.
La Furia Buia si volta, fissa suo padre con distacco, le mani intrecciate dietro la schiena e la spalla tremante di dolore.
-Cosa vuoi da me, Edarion?-
Edarion sospira, avanza quasi timido verso il figlio per esporsi alla luce argentata della luna. E lì, sotto le stelle, sotto la più cupa e lucente delle volte celesti, Edarion, re dei draghi e sovrano reale dell’ultima stirpe nobile rimasta al mondo, cede definitivamente ogni diritto di regalità. S’inginocchia, prostra il corpo e l’animo all’unico legittimo erede al trono che il mondo meriti, che il futuro implora ferito per poter germogliare sereno da un passato risanato.
Negli occhi di Nevora dapprima e così adesso negli occhi di suo figlio, Sherlock Holmes, la pace sboccia davvero, palesandosi serena nei cristalli trasparenti delle sue iridi. C’è speranza, c’è vita, e questo Sherlock lo ricorda. Può ricordarlo anche agli altri, se vuole.
Il mondo ne ha bisogno, la gente ne ha bisogno. C’è luce, se soltanto qualcuno sa dove trovarla.
Il vento si alza, gli alberi mormorano sereni, innalzano il loro inno di foglie fruscianti e scricchiolii tranquilli. Il pianeta benedice il futuro, respira la speranza, si aggrappa ad essa con forza.
E alla fine, il primo tassello scivola al suo posto.
-Io ti cedo ogni diritto di regno, Sherlock Holmes, figlio mio. Sii speranza laddove io ho saputo essere soltanto disperazione e disperato. Sii cura laddove ferite profonde ancora sanguinano. Sii luce e respingi le tenebre, tu che la luce l’hai cercata, trovata, toccata. Risana il mondo, risana il futuro e ciò che di buono ancora combatte e respira giorno dopo giorno, fiero, vivo, palpitante. Il pianeta ti è affidato, poiché dalle sue ferite preghiamo che possa sbocciare un giorno acqua limpida e non più sangue sporco. Salva il mondo, Sherlock, salva ciò che è realmente importante. Ricostruisci la casata degli Holmes, ricorda al mondo che sotto le ceneri della violenza, la nostra speranza respira ancora.-
Il vento cresce, la Terra si risveglia. Lontano, oltre le terre dei draghi, le case degli umani vengono scosse da un piccolo terremoto mentre il cielo del mondo si rischiara di un blu tinto di venature argentate. La luna si scurisce appena di un argento profondo, intenso come colata fusa e gli animali si bloccano, levano le teste verso l’alto, in attesa.
Vive ancora il mondo, e lo dimostra adesso.
Prega ancora il mondo, e lascia che chiunque ascolti.
Tutto è nelle mani di un semplice accenno, il futuro poggia fiducioso su spalle ferite, sanguinanti di giovane ma antica Furia Buia, razza meticcia di grandezza di drago e umanità di gente comune.
Sherlock capisce, ma non ha bisogno di ragionarci su perché le sue scelte le ha già fatte riemergendo dal suo Mind Palace, dall’ultima porta spalancata per passare dall’altra parte. Sa tutto, e tutto sarà fatto. Per John, per Noah e la sua famiglia.
Per il mondo intero, affinché torni a respirare.
-Così sia.-
 
Angolo dell’autrice:
Ritardissimo più del solito. Tanti auguri a me! No, in realtà ho dovuto affrontare una storia che sto scrivendo per il fandom di American Horror Story e il matrimonio di mia sorella. Ma nessuno ha capito quando da brava testimone della sposa ho cominciato a dire “ Let’s play murder… ”. Miscredenti! Credo di aver perso un bel po’ di parenti con questa uscita, ma è stata la cosa più figa del mondo… non provatelo a casa, bambini!
Sher: che cavolo stai dicendo? E poi che diamine hai scritto in questo capitolo? Io non sono così sentimentale.
Qui sì, e tu fai come ti dico io, altrimenti ti do fuoco ai capelli. Ora, torniamo a noi e spazio ai ringraziamenti!
Kimi o aishiteiru: non chiamarlo Johnny boy che attiri strani individui, eh. E no, John deve ancora patire, e di peggio anche. Nel prossimo capitolo vorrai ammazzarmi, quindi ti regalo un Gabriel nuovo nuovo di zecca per sfogare la tua frustrazione! Ecco a te il papà di Sherlock. Sì, da brava scrittrice bastarda gli ho quasi fatto ammazzare il figlio. Evviva me! Applausi! Ohohoh, grazie per la recensione e a prestissimo!
Sparrow: ecco a voi il padre di Sherlock Holmes. Pazzo, smagrito, con zero spina dorsale e che ama ammazzare i suoi stessi figli. Venghino signori, venghino! John deve ancora affrontare la sua prova, ma nel prossimo capitolo le cose precipiteranno un po’… un po’ tanto. Be’, da Donovan ci si può aspettare di tutto! A presto e grazie per il commento!
Wibbly Wobbly Timey Wimey: eh, dopo questa storia credo di aver rovinato per sempre il personaggio del papà di Sherlock. E sì, i genitori di Noah sono particolarmente belli e gentili. Li avesse avuti Sherlock così, almeno usciva normale! Guarda che se mi muori dopo la fine della storia smetto di scrivere così sopravvivi! XD grazie per il commento, a prestissimo!
Bbpeki: grazie per gli auguri! Ehm, scusa per i gatti maltrattati nel precedente capitolo, anche io sono stata un po’ male a scrivere quella parte… comunque, mi fa piacere che le descrizioni ti siano piaciute. In realtà per la scena del ballo mi sono ispirata a uno di quei balli veneziani che si tenevano almeno nell’antichità, in sale sfarzose. Mi sono soltanto limitata ad aggiungere il tocco dei draghi. E i nomi… bo’, li invento di sana pianta mentre scrivo. XD potrebbero saltare fuori veri mostri, attenzione! Il prossimo personaggio potrebbe chiamarsi Orsomariagildoannunziato. Suona bene? No? accidenti, a me piaceva… e no, Jim sbucherà poi e quando meno te lo aspetti. Eccoti il seguito e scusa per il ritardo, la prossima volta farò più presto! A presto e grazie!
Sonia_0911: sono felice che tu abbia recensito per entrambi i capitoli! Innanzitutto ti ringrazio per la pazienza, fa sempre piacere sapere che ciò che scrivi è apprezzato. Non ci spero mai, in realtà. Il padre di Sherlock è un personaggio abbastanza difficile da gestire, ma spero di poterlo definire meglio e per quanto riguarda John, anche io provo una stretta al cuore quando scrivo di lui. Sherlock lo sa, sente che John sta male, ma deve star meglio per potersi muovere… o forse no? eheh, lo scoprirai nel prossimo capitolo! A presto!

Tomi Dark Angel
 
  
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