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Autore: HarleyQ_91    14/06/2014    2 recensioni
Se i protagonisti delle storie più belle della Disney fossero catapultati nel mondo reale e precisamente nel mondo scolastico di un semplice liceo di una semplice cittadina degli Stati Uniti? Anche il quel caso, con tutti i problemi adolescenziali dei giovani d'oggi, potranno raggiungere il loro "Per Sempre Felici e Contenti"?
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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All In High School

Capitolo 3

 

Ariel uscì dagli spogliatoi con il costume della scuola addosso e i capelli rossi ben nascosti dalla cuffia in lattice. La piscina si trovava proprio accanto ai campi da pallavolo coperti, mentre le vetrate esterne davano sul campo da football, in poche parole era sotto gli occhi di tutti e la cosa non le piaceva per niente.

Detestava essere guardata, soprattutto quando addosso non aveva altro che una seconda pelle attillata che serviva solo a mettere in risalto la pelle nuda.

I fischi di apprezzamento dei giocatori di football appena entrati in campo infatti non tardarono ad arrivare. Lei non ci fece caso e si tuffò in piscina, lasciando che l’acqua ovattasse tutti i rumori. Purtroppo però non poteva porre silenzio ai suoi pensieri.

Era decisa a farlo, quella sera avrebbe parlato con suo padre e gli avrebbe detto che quest’anno non aveva intenzione di segnarsi di nuovo al club di nuoto. Stava in acqua praticamente da sempre, i suoi genitori erano nuotatori olimpionici e le sue sorelle ormai erano atlete di nuoto sincronizzato. Era quasi scontato che anche lei seguisse le orme della sua famiglia, ma Ariel si era stufata.

Non voleva che qualcun altro le dicesse cosa fare. Voleva provare qualche cosa di nuovo, magari sulla terra ferma. Non era certa che sarebbe stata portata per certi sport, ma preferiva tentare e fallire, piuttosto che non tentare affatto.

Con le gambe si spinse dal bordo e partì con la prima vasca a dorso. Nuotare le piaceva, non poteva negarlo, ma aveva un disperato desiderio di provare qualcos’altro. L’acqua era il suo elemento, ma proprio per questo non le suscitava più alcuna emozione.

“Ah, maledizione!”

Ariel uscì con la testa dall’acqua quando sentì un tonfo nella piscina.

Una ragazza vestita con la divisa sportiva del liceo si trovava a bordo vasca e le faceva segno di guardare verso destra. La rossa obbedì e vide un pallone bianco a mollo a qualche metro da lei.

“Potresti riprenderlo, per favore?” Chiese la ragazza con uno strano accento dell’est.

Ariel colmò la distanza tra lei e la palla con nemmeno tre bracciate e lo lanciò alla sconosciuta, sorridendole.

“Grazie mille”. La ragazza tornò al suo campo e, dai rumori che ne seguirono, si rimise a giocare con le sue compagne.

Ariel, incuriosita da quegli schiamazzi, uscì dalla piscina e si diresse verso il confine con i campi da pallavolo. Si tolse cuffia ed occhialetti per guardare meglio quelle ragazze che saltavano in aria colpendo la palla con una forza impressionante. Sembrava assurdo, ma anche lo stridio della gomma delle scarpe sul pavimento le sembrava musica in confronto a tutti quei rumori ovattati che sentiva in acqua.

Già, la pallavolo era davvero un bello sport, le sarebbe piaciuto provarlo.

“Ehi, rossa!”

Ariel si voltò quando si sentì chiamare col soprannome che una sola persona in tutta la scuola utilizzava.

“Flan, che ci fai ancora qui?” Chiese al suo migliore amico. “Le lezioni sono finite da un pezzo”.

“Sapevo di trovarti qui”. Rispose lui. “Volevo chiederti se ti andava di fare qualche vasca insieme”.

Ariel sorrise ed annuì. Lei e Flan erano vicini di casa e amici fin dall’infanzia, benché lui fosse più piccolo di due anni, la ragazza non si era mai trovata così in sintonia con nessun altro. Praticamente era come un fratello per lei, quel fratellino a cui avrebbe volentieri fatto prendere il posto di una delle sue tre sorelle più grandi.

Partirono con una vasca in stile libero, poi rana e infine delfino, naturalmente Ariel le vinse tutte e tre. Flan allora si fermò e si andò a sedere sul bordo della piscina.

“Dì’ la verità, hai le pinne!” Commentò il ragazzo, sbuffando.

Ariel si mise a ridere. “Non dire sciocchezze e accetta la sconfitta da uomo”.

La ragazza uscì dall’acqua e si strizzò i lunghi capelli rossi, facendoli ricadere su una spalla. Stava ancora ridendo per le lamentele di Flan, quando sentì la porta d’ingresso della piscina sbattere.

Alzò di scatto lo sguardo e in un attimo trattenne il respiro.

“Scusate, sapete dov’è la squadra di pallavolo?”

Aveva gli occhi di un grigio intenso e i capelli corvini leggermente in disordine, tuttavia ciò che colpì di più Ariel fu il sorriso di quel ragazzo, irresistibile con quelle fossette ai lati.

“Guarda, è nella palestra qui accanto”. Disse Flan, indicando una porta che comunicava con i campi di pallavolo. Lo sconosciuto ringraziò con un sorriso e se ne andò, solo allora Ariel riprese regolarmente a respirare.

“Lo… lo conosci?” Chiese lei, ancora un po’ imbambolata.

Flan si strinse nelle spalle. “No, mai visto prima”.

“Credi che sia un nuovo studente?”

“Non lo so, ma perché…” Solo quando il ragazzo guardò in volto l’amica capì che cosa stesse succedendo. “Ariel, non dirmi che ti piace quel tizio?”

“Certo che no!” Negò fin troppo determinatamente lei. “Non ho la più pallida idea di chi sia, non so nemmeno il suo nome”.

Flan inarcò un sopracciglio. “Ma?”

“Ma… non si può certo dire che non sia un bel ragazzo”. Ammise lei, mentre le sue guance diventavano di un colore simile a quello dei capelli.

L’amico scosse la testa in segno di resa. “Sarà meglio andarsi ad asciugare, così bagnati ci prenderemo una polmonite”.

“Tu vai, io mi faccio qualche altra vasca”. Gli disse lei, attorcigliandosi i lunghi capelli e rimettendosi la cuffia.

Flan doveva aver intuito che Ariel desiderava restare sola, perché annuì e si diresse verso gli spogliatoi maschili senza dire una parola.

La ragazza si rituffò in piscina e questa volta rimase in apnea per parecchio. Le piaceva stare a galla a pancia in giù, con gli occhi chiusi e lasciarsi trasportare dall’acqua. Era una delle poche cose che la rilassavano.

Una volta tornata a casa avrebbe dovuto parlare con suo padre e, molto probabilmente, affrontare la sua ira, perciò le sembrava giusto godersi un po’ di tranquillità almeno finché poteva.

Di colpo poi sentì un tonfo e si ritrovò due braccia che la prendevano per la vita, facendola uscire col viso dall’acqua.

“AH!”.

L’urlo spaventato di Ariel però fu subito sostituito da dei colpi di tosse. Con lo spavento aveva bevuto un po’ e il cloro le stava facendo bruciare la gola.

“Ehi, ehi, ti senti bene?” Chiese una voce maschile, evidentemente preoccupata.

Ariel sentiva il petto dello sconosciuto schiacciarsi contro la sua schiena e due braccia che la sorreggevano come se avessero paura che lei potesse affogare.

“Lasciami andare, immediatamente”. Gridò lei, liberandosi da quell’abbraccio affatto desiderato. “Si può sapere che diav-”

La voce le morì in gola quando si voltò e guardò il volto di quel ragazzo.

Era lo stesso che poco prima aveva chiesto indicazioni per il campo da pallavolo, ma non sfoggiava nessun sorriso questa volta.

“Scusa tanto”. Disse lui, in tono un po’ acido. “Ti ho visto galleggiare a pelo dell’acqua senza muoverti e ho creduto che stessi affogando”.

Ariel alzò un sopracciglio e le scappò una risata. Quel ragazzo doveva essersi davvero preoccupato, perché si era tuffato con tutti i vestiti e le scarpe.

“Davvero gentile da parte tua”. Lo ringraziò lei, dirigendosi verso il bordo piscina. “Ma non serviva. Stavo solo cercando di rilassarmi”.

“E’ un modo un po’ pericoloso, non trovi?” Commentò lui.

Ariel sospirò, come per fargli capire che non valeva la pena nemmeno rispondergli, e si tirò su con le braccia per uscire dall’acqua.

Quando poi si voltò per tendere la mano al ragazzo e farlo uscire, lo trovò intento ad osservarle le gambe. Naturalmente lui distolse subito lo sguardo, ma Ariel l’aveva beccato ugualmente.

Era strano però, a differenza dei giocatori di football, l’apprezzamento di quello sconosciuto non le dava affatto fastidio.

“Ehm… dunque, mi sembra di capire che fai nuoto da parecchio”. Disse lui per nascondere l’imbarazzo, mentre usciva dalla piscina.

“Praticamente da tutta la vita”.

Ariel si tolse la cuffia e si strizzò i capelli rossi, dopodiché li lasciò cadere su una spalla. Il ragazzo la osservava in ogni suo movimento e lei cercava in tutti i modi di impedire alle sue guance di arrossire, purtroppo era difficile nascondere l'imbarazzo quando due grandi occhi grigi la osservavano a quel modo.

Quando nuotava niente la metteva in soggezione, era sicura di sé e dava il massimo. Fuori dall’acqua però la timidezza prendeva il sopravvento e c’erano casi – come quello che stava vivendo – in cui di punto in bianco non sapeva cosa dire e rimaneva per minuti interi incapace di spiccicare parola.

“Come ti chiami?” Chiese poi lui, dandosi una strofinata ai capelli bagnati.

Ariel gli guardò il sorriso, visto da vicino era ancora più bello, e il colore degli occhi era molto più intenso. Stava per rispondergli, quando una voce dal campo accanto la precedette.

“Eric, noi abbiamo finito, andiamo!”

Una ragazza castana con la divisa da pallavolista entrò nella sala della piscina e venne a prendere il ragazzo per mano, trascinandoselo dietro.

“Ma che hai fatto? Sei tutto zuppo!” Lo rimproverò lei, assumendo un'espressione stizzita. Ariel non l'aveva mai vista, anche perché quella sconosciuta era molto bella, se la sarebbe ricordata. Aveva gli occhi di un grigio tendente al viola, davvero molto particolare e dei lineamenti del viso delicati, che tuttavia perdevano un po' del loro fascino a causa di quelle sopracciglia che sembravano costantemente aggrottate.

“Vedi di asciugarti in fretta e vai a prendere la macchina. Devo stare a casa entro mezz'ora”. Continuò a dire la ragazza, sembrava non essersi minimamente accorta della presenza di Ariel. “Io mi faccio una doccia al volo ed esco”.

Il ragazzo, Eric, si voltò un’ultima volta verso la rossa prima di sparire dietro la porta d’uscita e la salutò con uno di quei sorrisi che Ariel già aveva scoperto di adorare, dopodiché anche lei pensò bene di andarsi a fare una doccia e tornare a casa.

Doveva mettere da parte i suoi pensieri sdolcinati per qualcosa di più serio. Suo padre si sarebbe arrabbiato, lo sapeva già, e anche le sue sorelle.

Tutta la famiglia Wave era composta da abili nuotatori, era come se nelle loro vene scorresse acqua invece che sangue, e Ariel stava per voltare le spalle a quella tradizione.

Sospirò mentre asciugava i suoi lunghi capelli rossi e se li legava con una coda alta, si infilò poi i vestiti e uscì dalle piscine con il borsone da nuoto in spalla.

Passò davanti ai campi da football, il sole stava per tramontare e credeva di non trovarci più nessuno, invece c’era ancora un giocatore in campo. Un po’ mingherlino per giocare a football, pensò, ma di certo non difettava di tenacia.

Aveva i capelli corti e ramati e una inutile fascetta rossa intorno alla testa, si stava allenando con gli scatti, ma puntualmente inciampava e cadeva.

Ariel non sarebbe voluta risultare meschina, ma le scappò una risata.

“Qui non c’è nulla da vedere, signorina!” Tuonò una voce dietro di lei.

Anche se non era solita sentirla spesso, la riconobbe all’istante. E poi il ticchettio di quel bastone era inconfondibile.

Un uomo tozzo e zoppicante le si avvicinò con un’espressione tutt’altro che cordiale, ma in fondo il professor Kraos – il coach della squadra di football – era famoso in tutta la scuola per il suo carattere grottesco.

“Vado subito via, professore”. Disse Ariel, lanciando poi un’ultima occhiata al ragazzo in campo.

Doveva aver davvero fatto arrabbiare il suo allenatore, per finire col fare così tanti allenamenti extra. Stava per entrare in macchina, quando sentì il trillo di un cellulare.

“Ariel, ma dove diavolo sei finita?” La rimproverò la sua sorella maggiore Allegra.

“Sono a scuola, stavo alle piscine e non mi sono accorta del tempo che passava, ma… stai bisbigliando?”

“Sì, perché se papà mi sente sono guai! È rientrato da dieci minuti ed è arrabbiatissimo. Ha saputo che oggi Ally ha saltato gli allenamenti di nuoto sincronizzato, mentre Ambra è stata bocciata ad un esame all’università. Ha già chiesto di te, gli ho detto che sei in camera tua a studiare e fortunatamente non ha voluto disturbarti, ma vedi di muoverti!”

Allegra attaccò troppo in fretta perché Ariel potesse dire qualcosa.

In un attimo mise in moto la macchina e si diresse verso casa.

Maledizione, questa non ci voleva proprio. Se suo padre era già così arrabbiato solo perché una sorella aveva saltato un allenamento, chissà come avrebbe reagito alla notizia di una definitiva interruzione del nuoto.

Arrivò a casa che Allegra stava mettendo in tavola la cena. Erano già tutti seduti, suo padre e le sue sorelle, e nessuno fiatava.

Lo sguardo del signor Wave era fin troppo eloquente: non voleva sentir volare una mosca.

Ariel si sedette in silenzio e mangiò allo stesso modo, guardando ogni tanto suo padre nella speranza di trovare nella sua espressione un piccolo spiraglio che le permettesse di parlare della sua decisione, ma come risposta ebbe dall’uomo solo un grugnito arrabbiato e un “Non ho fame” detto tra i denti. Dopodiché l’uomo si alzò e andò a mettersi sul divano in sala da pranzo.

Le tre sorelle più grandi sospirarono, sapendo che per quella sera suo padre non le avrebbe più sgridate, Ariel invece si irrigidì e chiuse gli occhi.

Non poteva fare altrimenti, avrebbe rimandato la sua chiacchierata al giorno seguente.

 

Quella sera Cole tornò a casa che gli doleva ogni muscolo del corpo. Sentiva le gambe molli, la testa pesante e non aveva nemmeno la forza di spogliarsi.

Non sapeva nemmeno come aveva fatto a farsi la doccia dopo gli allenamenti e ad arrivare a casa, l’unica cosa a cui pensava in quel momento era il letto, comodo e riposante letto.

“Ehi, ragazzo, hai fatto tardi, eh?”

Suo padre gli parlò dal salotto, era voltato di spalle sul divano, intendo a guardare le partite di football alla televisione, ma non tardò ad alzarsi e ad avvicinarsi a lui, piantandogli una dolorosa pacca sulla spalla.

“Fil ti ha fatto faticare, vero? Quell’uomo è un sadico”.

Cole tentò di sorridere, ma non gli riuscì molto bene. Fil Kratos e suo padre erano amici sin dai tempi dell’università, ma ciò non aveva impedito al professore di ridurlo in poltiglia con una giornata pesantissima di allenamenti.

“Allora, raccontami!” Continuò il signor Thunder. “Come ti sembra la squadra? Ti sei fatto già degli amici?”

Cole sospirò e si passò una mano tra i capelli. “Sono a pezzi, papà”. Disse, buttando la borsa del football a terra, nel bel mezzo dell’ingresso. “Ti dispiace se ne parliamo domani mattina?”

“Non vuoi nemmeno mangiare?” Eva Thunder uscì dalla cucina e andò incontro a suo figlio.

“Sono troppo stanco, mamma”. Così dicendo si diresse al piano di sopra e si chiuse in camera sua.

Il primo giorno di liceo era stato un vero inferno.

Fin da quando aveva messo piede nell’edificio si era reso ridicolo, senza contare che il bullo della scuola lo aveva già preso di mira. Come se non bastasse, quello stesso bullo era anche il capitano della squadra di football e non aveva fatto altro che prenderlo in giro per tutto il pomeriggio.

Infine ci si era messo pure il coach Kratos ad appesantire la situazione, obbligandolo a restare anche dopo gli allenamenti finché non fosse riuscito a prendere la palla in modo decente.

Naturalmente era inutile dire che Cole non riuscì a ricevere nessun lancio e che il coach lo mandò a casa per disperazione.

“Sono senza speranze!” Disse a se stesso, stendendosi sul letto e guardando il soffitto. “Chi voglio prendere in giro? Il football non fa per me!”

Avrebbe tanto desiderato diventare un campione come lo era stato suo padre ai tempi dell’università: un quarterback con la forza di un dio. Così inarrestabile che lo avevano soprannominato Zeus.

Gli sarebbe piaciuto essere come suo padre, ma dopo quanto era accaduto a scuola, non era più certo che il suo sogno si potesse realizzare. Probabilmente stava desiderando l’impossibile.


***
 

Mi rendo conto di essere una super-mega-ritardataria e purtroppo non ho scusanti... se non quella che mi era semplicemente passata la voglia di scrivere questa Fanfiction!
Ora però sembra che la voglia sia tornata... anche se ho intenzione di modificare un po' la storia, quindi dovrò rileggermi i capitoli che ho scritto e in caso modificarli!^^
Ringrazio tantissimo comunque chi ha recensito i due precedenti capitoli o anche chi li ha semplicemente letti, è sempre bello trovare fan della Disney sfegatati quanto me! XD
Che altro dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto!^^ A presto!!!

*HQ*



P.S. Flan: è Flounder, l'amico pesciolino di Ariel

  
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