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Autore: Sheep01    16/06/2014    6 recensioni
Si concentrò sulla schiena solida del fratello. L’unica cosa concreta a dargli un senso di stabilità e calore.
Barney era tutto per lui. Fratello, amico, consigliere, padre e madre assieme. Lui che del padre ricordava solo la voce tonante e l’alito che sapeva di alcool e il peso delle sue percosse. Che della madre ricordava solo il profumo dei suoi capelli e i singhiozzi spezzati, umiliati, nella notte. Il fratello era stato il pilastro della sua vita, l’unico esempio da seguire. Protettore e cavaliere dall’armatura scintillante. Ed ora il suo salvatore.
[A Tribute to Clint Barton]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 21

[Kate Bishop]

 

Vedrete cose che al racconto susciteranno meraviglia. Voi vedrete una mucca sul tetto di una casa del cotone. E tanti, tanti fatti portentosi. Non posso dirvi quanto sarà lunga quella strada, ma non temete gli ostacoli lungo il percorso, poiché il fato vi ha accordato una ricompensa. Anche se la strada è tortuosa e il cuore scoraggiato e afflitto, voi seguite il vostro cammino, seguitelo fino alla vostra salvezza.

(Fratello, dove sei?)

 

*

 

Clint aveva avvicinato la biglietteria: ad indicarla un cartello stampato con un improbabile carattere gotico.

Ben misero anche il banchetto, stracolmo di volantini con il programma delle serate e gadget che sembravano esser stati racimolati da un discount all’ingrosso.

Per lo più segnalibri, matite e spillette.

“Un biglietto, per favore.”

La ragazza dietro alla cassa fece scoppiare pigramente un chewing-gum e gli strappò direttamente un biglietto dall’aria misera.

“Dieci dollari.” Biascicò tornando poi a controllare il suo smartphone.

Un interesse fuori dalla norma, pensò Clint, che ricordava ben altri entusiasmi.

Pagò con una banconota e fu subito indirizzato all’ingresso. Ai cancelli dove stava già sciamando un numero imprecisato di gente.

Perlopiù famiglie. Ragazzini urlanti. Il pretesto delle vacanze natalizie, ormai alle porte, sembrava averli scatenati.

Un piede dentro e si trovò proiettato in festosi labirinti circensi.

 

Tendoni. Tendoni a non finire. Tendoni colorati, lanterne, musica, profumo di mele caramellate, di frittelle, di zucchero filato.

Socchiuse gli occhi per un solo istante, per non vedere tutta quella gente, per riportare alla memoria altre sensazioni.

Ed eccola lì, quell’atmosfera che non aveva mai dimenticato.

 

Un dollaro. Solo un dollaro per cinque tiri! Un dollaro, per cinque tentativi. Vinci il primo premio!”

Predizioni sul futuro signore e signori? Lettura della mano? Venite a scoprire il vostro destino da Madam Glory.”

Le scimmie acrobate!”

Lo spettacolo dei leoni!”

Gli equilibristi!”

Venite ad assistere allo spettacolo del più grande illusionista di tutti i tempi!”

 

Sorrise appena, prima di riprendere a camminare in mezzo a quel marasma, stringendosi nel giaccone. Passò accanto alle bancarelle dei giochi, a quelli delle cibarie. All’ingresso dei tendoni, sparsi ordinatamente tutt’intorno al perimetro.

Non aveva potuto fare a meno di assecondare il richiamo, quando aveva appreso dell’arrivo del circo.

Poco fuori il distretto di New York, uno di quei pochi circhi itineranti, sopravvissuti alla crisi. Al controllo sulla qualità. Alla protezione animali.

Un circo sgangherato. Dall’aria raffazzonata. Misero in confronto ai circhi professionali che vedevi alla tv, con artisti e atleti con una preparazione fisica al pari di un professionista olimpionico.

Simile però dopotutto, nella struttura, nell’atmosfera, al circo di Carson.

 

Non era stato un buon periodo per Clint.

Non era in forma. Non dopo essersi disperato per almeno una settimana su quella misteriosa telefonata, la famosa sera dell’inaugurazione dell’Avengers Tower.

Aveva letto bene sul display del cellulare: era Phil. Phil Coulson.

Aveva risposto solo dopo un attimo di attonito silenzio. Ma dall’altra parte non aveva parlato nessuno. Un respiro appena accennato e poi il tu-tu-tu della chiamata interrotta.

Aveva provato a richiamare, ma a rispondergli solo la voce pre-registrata della signorina della compagnia telefonica: l’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile.

Aveva riprovato almeno un’altra decina di volte, ma non era accaduto niente di diverso dall’ennesimo messaggio. Finché non si era arreso. Finché, fra i fumi dell’alcool, non si era convinto di esserselo solo immaginato.

Era andato a dormire, solo per svegliarsi la mattina successiva con un gran mal di testa e la sensazione di aver lasciato qualcosa di mostruosamente in sospeso.

Aveva recuperato il cellulare. Era andato a spulciare fra le chiamate ricevute.

Quella di Phil Coulson ancora lì, indelebile. Tangibile a raccontargli che no, non aveva sognato e che qualcuno, chiunque fosse stato, se un fantasma o uno stronzo in vena di scherzi, aveva davvero provato a chiamarlo con il numero di un uomo morto.

La mattinata allo SHIELD Center era stata frenetica. Una squadra di matricole, un paio di ignobili pratiche da smaltire, quando era riuscito a incrociare Natasha, per i corridoi, aveva dovuto strapparle al volo un appuntamento perché doveva parlarle.

La donna aveva solo fatto un cenno, prima di sparire nell’ufficio della Hill.

Fury era irraggiungibile, avrebbe voluto parlare con lui più di tutti.

Gli era tornata alla mente la sensazione che l’uomo gli stesse nascondendo qualcosa. E non seppe dire per quale contorto processo avesse associato le due cose: Coulson uguale comportamento sospetto di Fury.

Natasha lo aveva aspettato alla caffetteria nella strada di fronte. Aveva ascoltato il suo racconto e visto la telefonata sul suo cellulare. Quella prova tangibile. Gli aveva detto di non parlarne con nessuno. Che si sarebbe interessata di fare qualche ricerca. Non meno inquieta. Non meno insospettita.

Poco prima che la settimana giungesse al termine Natasha era riuscita a individuare la provenienza della chiamata. Un cellulare che aveva come indirizzo il vecchio appartamento di Coulson.

Quando erano andati sul posto avevano solo scoperto che era stato affittato a un’adorabile coppia di vecchietti che non sapevano nulla del cellulare.

Natasha, notando lo sconforto dell’uomo, gli aveva assicurato che avrebbe fatto il possibile per arrivare al bandolo della matassa.

Lui le aveva creduto.

 

Il circo non era stato che un diversivo. Un modo tutto suo per stare in mezzo alla gente, non doversi rinchiudere in casa a soffocare nelle paranoie, calato nel silenzio di quelle quattro mura.

Lo riportava indietro a giorni piuttosto sereni, dopotutto. Gli bastava l’atmosfera, l’idea, più che la somiglianza con i luoghi della sua adolescenza.

Passò di fianco al banco del tiro con l'arco e sorrise ai goffi tentativi di una ragazzina di lanciare con arco e frecce di plastica con la punta di feltro, nella speranza di colpire il grosso bersaglio. A seconda del colore dei segmenti a spicchio, un premio diverso. Il premio più ricco, se colpivi il bersaglio proprio al centro, che era stato disegnato talmente minuscolo che nessuno ci sarebbe mai riuscito. Fino a quel momento, a quota due tiri, altrettanti niente di fatto.

Quando tentò la terza volta, il dardo andò ad appiccicarsi su uno dei bordi, al confine con uno dei premi a disposizione.

“L’ho preso!” gridò la ragazzina, improvvisando persino un balletto piuttosto comico.

Il tizio dietro al bancone non sembrò intenzionato a concederle la vittoria.

“La freccia non è finita nello spicchio.” Protestò pigramente, sperando di non dover stare a discutere per quello.

“Sì che ci è finita! Lo ha colpito.”

“No-oh. Non vedi? E’ sul bordo. Il bordo non va bene. Niente di fatto.”

“Ma guarda bene! L’ho preso invece, l’ho preso bene, supera la linea. E’ finita sul blu. Ho vinto.”

“Senti ragazzina, non ho voglia di discutere. Ridammi arco e frecce e vai a provare con la giostra dei pesci, per favore.”

“Ho detto che ho vinto! E non sono una ragazzina, mentre tu sei un ladro!”

“Ma sentitela. Ridammi quell’arnese e vattene, prima che mi spazientisca.”

“Non me ne vado! E poi ho ancora un tiro!”

“Non me ne frega niente, ti restituisco i soldi, ma levati dai coglioni!”

Ma la ragazzina tutto sembrava fuorché decisa a dargliela vinta.

Aveva di nuovo caricato l’arma, e quando Clint fu certo che avrebbe lanciato direttamente contro il barbagianni che contestava la sua vittoria, deviò la mira andando a colpire di nuovo il bersaglio: un centro perfetto.

“Cazzo!” esclamò l’uomo che si era già visto colpito (per quanto quell’arma giocattolo non fosse davvero in grado di fargli del male. Forse giusto nel caso gli fosse finita in un occhio.)

“E adesso sentiamo, che hai da dire? Quello è un centro pieno, bello mio.”

L’uomo imprecò qualcosa di molto poco gradevole per una ragazzina… (che poteva avere dai dodici ai quattordici anni, a seconda delle prospettive. Una massa fluida di capelli neri, fisico asciutto e sguardo impertinente), ma alla fine andò a recuperare il peluche più grosso della bancarella e quasi glielo scagliò addosso, sperando, forse, di farla rovinare a terra sotto il suo peso.

Clint non riuscì a stare a guardare, le corse incontro un attimo prima che franassero la ragazzina, il peluche e tutta la bancarella a cui sembrava essersi aggrappata.

Riuscì a tenerla in piedi. Una mano dietro la schiena, l’altra sull’orripilante peluche verde.

“Tutto a posto?” le domandò prima di rivolgere uno sguardo di rimprovero all’uomo che si era già ritirato, senza smettere un solo istante di imprecare.

“Come no? Ho vinto!”

“Ho notato. Gran bel tiro.” Dovette proprio farle i complimenti. Era sicuro di non essere mai stato così bravo alla sua età. Perché sì, la precisione con cui aveva scagliato quella freccia non poteva dirsi solo fortuna. La conosceva ancora la postura perfetta di un arciere.

La ragazzina si scostò dal suo nascondiglio di peluche per riservargli un sorriso tutto denti, prima di cambiare repentinamente espressione. Ora lo stava fissando. Gli occhi sgranati, appena congestionata sotto al peso di quel mostro di pezza.

“Ma tu sei… ?”

Clint la guardò perplesso. Lui era… cosa?

“Non ci posso credere, sei quello della tv! Quello degli alieni di New York.”

Non riuscì proprio a dirle che si stava sbagliando, solo per proteggere la sua presunta privacy.

Si limitò a sorriderle, sperando di non alimentare fanatismi di sorta.

“Ah, lo sapevo. L’arciere. Occhio di Falco, ti chiamano. O il nome te lo sei dato da solo?”

Clint la guardò obliquo. “Non me lo dire, non mi interessa. Me lo fai un autografo?”

“Un autografo?”

Non era la prima volta che gliene chiedevano uno… quindi immaginò di poterglielo concedere, dopotutto.

Si trovò di fronte un pennarello ancora prima di averle dato il proprio consenso.

Ma nessun foglio.

“Dove te lo faccio… l’autografo?”

“Sul peluche, non è ovvio?”

Certo, come poteva non essere… ovvio?

“Ci vuoi anche la dedica?”

“Perché no? Diventa più autentico.”

“Come ti chiami?”

“Kate…” rispose la ragazzina “Kate Bishop.”

“Dimmi: Kate-Kate Bishop. Lo hai fatto apposta a mancare il bersaglio le prime due volte, non è così?”

“Chi può dirlo?”

Clint non represse una mezza risata, finendo di fare la sua firma Occhio di Falco, proprio sul testone di quell’orrendo peluche.

“Dovresti continuare. Sei in gamba.”

“Lo so.” Lo liquidò lei, strizzandogli l’occhio, prima di recuperare il suo ricco premio e decidere di andarsene.

“Arrivederci Clint Barton!” si congedò prima di sparire nella folla.
Clint rimase con il dubbio che lo conoscesse meglio di quanto gli avesse fatto credere: era certo di non averle mai detto il suo nome.

 

*

 

Uscì dal tendone dell’ultimo spettacolo che era ormai scesa la sera. Si era goduto in solitaria l’esibizione di trapezisti, clown e mangiafuoco, solo per poter decidere che sì, era davvero cambiato tutto. Forse da adulto ti cambiano le prospettive. O forse non era ancora dell’umore adatto per distrarsi veramente e godersi appieno lo spettacolo.

Sentì suonare il cellulare e non ci mise molto a rispondere.

“Ehi…”

Era Natasha.

“Dove sei?”

Clint si guardò attorno.

“Fra la bancarella delle frittelle e quella dello zucchero filato.” Il silenzio dall’altra parte della cornetta palesò la perplessità della donna. “Sono al circo.”

“Quello fuori città?”

“Quello”

“Vengo da te.”

Clint si era fatto subito attento.

“Hai delle novità?”

“Vengo da te.”

Natasha era stata troppo criptica per impedirgli di preoccuparsi.

 

Decise di restare a girovagare fra le bancarelle, mentre la pigra ressa domenicale andava esaurendosi, migrando verso l’uscita. Gli ultimi, tenaci avventori, decisi a spendere gli ultimi spiccioli in dolci o in giochini alle bancarelle.

Era lì lì se decidere di cedere alla tentazione di una mela caramellata (per scoprire che persino quella aveva un sapore diverso da come lo ricordava) che un’imprecazione poco distante colse la sua attenzione.

Vide un paio di ragazzini correre in direzione di uno dei tendoni e, a terra, in quella specie di vicolo fatto di tende, sbucava il piedone verde di un orso di peluche.

Kate-Kate Bishop?

Non era sicuro fosse compito suo intromettersi, ma quando aveva sentito, chiara e forte, la voce della ragazzina che intimava a qualcuno di fermarsi, era corso in quella direzione nemmeno avesse avuto le ali ai piedi.

Un gruppo di tre ragazzi le stavano attorno. Uno di questi rosso in volto come il demonio, le lanciava contro maledizioni che nemmeno Clint fu certo di aver mai sentito.

“Sei una ladra! Una ladra e un’imbrogliona! Ridacci i nostri soldi, brutta stronza!”

“Non sono una ladra! Me li sono guadagnati! Volevate entrare, no? Ed io vi ho fatto entrare. E a metà prezzo, che cavolo volete di più?”

“Non ci hanno fatto entrare a vedere nessuno spettacolo!”

“Avevate detto di voler entrare al circo. Non di voler assistere allo spettacolo.”

Da quello che Clint aveva intuito, non poteva certo dire che la ragazzina non avesse fegato. E una buona dose di faccia tosta.

Attese qualche attimo, in disparte, prima di intervenire in qualsiasi modo.

“Non prenderci per il culo! Ci hai fatto passare sotto una rete! Non dovevi chiederci nemmeno mezzo centesimo. Invece hai persino voluto un anticipo!”

“Per tutelarmi. Non è colpa mia se, stupidi come siete, non riuscite da soli a crearvi un varco per entrare in una zona non controllata.”

Ouch.

“Come ci hai chiamati?”

“Stupidi.”

Ouch. Ouch.

“Prova a ripeterlo.”

“Stu-pi-di.”

Il ragazzetto ci mise un po’ a decidersi, ma alla fine, spronato dalle grida di incitamento degli altri, si era scagliato su Kate con tutta la sua morbidosa mole preadolescenziale.

La ragazza scartò di lato, ma inciampò in qualche sasso sul terriccio smosso. Il cicciostupido si era girato, pronto a colpirla, ormai totalmente vulnerabile.

Fu in quel momento che Clint prese l’iniziativa.

Si frugò nelle tasche dei pantaloni e ne aveva cacciato fuori delle monetine da cinque centesimi.

Fu un attimo. Il colpo fu rapido, preciso, letale. Una monetina era finita dritta nell’occhio del ciccio, un'altra sul mento. La distrazione fu sufficiente per Kate: si rimise in piedi e sganciò un calcio proprio fra le gambe del malcapitato che pesto e confuso, era crollato a terra, tenendosi genitali, mento e occhio in un’alternanza piuttosto comica, fra le grida e la perplessità dei suoi compari rimasti.

“Ne vuoi ancora?” gridava Kate combattiva, i pugni alzati. Nonostante la spavalderia, Clint si rese conto che tremava tutta.

Il ciccio si rimise in piedi, tutto dolorante, ma Clint recuperò un’altra monetina e lo colpì dritto alla gola.

Questo prese a tossire.

“Ci sono i fantasmi!” gridò uno dei due rimasti illesi. Gracilino ed evidentemente più che impressionabile. Sul suo compare gemello si dipinse un’espressione così atterrita che non ci volle molto a entrambi per prendere la decisione di levare le tende.

“D-dove andate?” il cicciostupido. Altra monetina in fronte. Come incentivo. “Aspettatemi, aspettatemi!” si trascinò fuori dal vicolo, fino a rimettersi in piedi e scappare con i pantaloni mezzi calati dallo sforzo di trascinarsi a terra.

Kate li aveva guardati allontanarsi e infine, si era decisa ad abbassare i pugni.

Tremava ancora.

“Vieni fuori.” La sentì dire, quando sembrò essersi, in parte, calmata.

Clint non capì immediatamente, poi, si rese conto di essere stato scoperto. Di certo lei non aveva creduto a quella faccenda dei fantasmi.

“Non volevo intromettermi.” Le disse, uscendo dall’ombra come a scusarsi di aver ficcato il naso dove non avrebbe dovuto.

“Mi avrebbero stesa.” Puntualizzò lei, non una punta di rimprovero, nella sua voce.

“Probabilmente sì. Magari avevano anche ragione… ma gli scontri impari non mi sono mai piaciuti.”

Lei si passò una mano sul viso, a scostarsi il ciuffo scomposto.

“Con cosa li hai colpiti?” gli domandò, alzando uno sguardo curioso su di lui.

“Monete.”

“Da cinque centesimi?”

“A-ah…”

Lei sorrise.

“Le migliori per il gioco con le bottiglie.”

“Conosci il gioco delle bottiglie?”

“E’ con quello che ho iniziato a esercitarmi con la mira.”

Clint scosse la testa, colpito da quello scambio improbabile di battute e dalla somiglianza delle loro esperienze.

“Chi te lo ha insegnato?” le domandò lei di nuovo.

“Mio fratello. A te?”

“Mio padre.”

“E poi ti ha comprato un arco?”

“Mi ha comprato un intero poligono.”

Clint sgranò gli occhi, ma non fece in tempo ad indagare ulteriormente.

“Grazie. Per… avermi salvato da quei teppisti.”

Clint scrollò le spalle.

“Mi sa che ho salvato più loro che te.” La ragazzina parve apprezzare quel commento più del fatto che avesse impedito loro di prendersi la loro vendetta. “Dovresti esercitarti un po’ di più con il corpo a corpo.”

“Preferisco prendere le cose da una… certa distanza.” La capiva. Eccome se la capiva, “… ma magari potrei comunque esercitarmi.”

“Quello o imparare l’arte della diplomazia.” Quella parola gli faceva sempre tornare in mente Barney.

“Diplo… che?” ora lo stava prendendo in giro.

“Andiamo, ti scorto all’uscita. Sia mai che tornino all’attacco.” Le disse allora, sentendosi un padre un po’ opprimente. E pure tanto vecchio.

“Chi? Quelli? Quante storie per cinque stupidi dollari.”

Clint raccolse da terra il grosso peluche verde, deciso a scortarla davvero.

“C’è qualcuno che ti sta aspettando o… ?” le chiese, aspettandosi almeno di trovare il famoso padre che le aveva comprato addirittura un poligono, ad aspettarla fuori o qualche altro parente altrettanto favoloso.

“Il mio autista.”

“Il tuo… autista. Okay.”

“Sono ricca.” Precisò lei, senza preoccuparsi di quanto potesse sembrare presuntuoso. Clint però non ci lesse niente che avesse a che fare con la presunzione, nelle sue parole. Solo un dato di fatto. Una puntualizzazione.

“Okay…” si chiese a che le fosse servito farsi pagare l’ingresso da quei bulletti da quattro soldi.

Forse, pensò, c’entrava con il fatto che non c’era nessun padre miliardario ad accompagnarla a uno stupido circo, forse lontano, forse in viaggio di lavoro o semplicemente disinteressato.

Un modo come un altro per catturare l’attenzione. O dimostrare che avrebbe potuto benissimo cavarsela da sola.

 

Fuori dai cancelli del circo, ormai semideserto, Clint trovò Natasha ad attenderlo. Appoggiata al cofano della sua luccicante Corvette, braccia intrecciate sotto il seno.

La vide inarcare un sopracciglio, quando lo scorse. Sicuro perplessa dallo spettacolo dell’uomo in compagnia di una ragazzina e un orribile peluche verde.

“Ehi, scusa l’attesa. Sei qui da molto?” aveva esordito, posando a terra quel mostro di pezza.

“Un paio di minuti.” Dichiarò la donna, prima di abbassare lo sguardo sulla ragazzina che la stava osservando con tanto d’occhi.

Kate Bishop afferrò il peluche che - Clint realizzò, finalmente - tanto gli ricordava Hulk, lo mise sotto al naso della compagna e disse: “La Vedova Nera. Me lo fai un autografo?”

 

*

 

Clint fu contento di non dover prendere un taxi per il ritorno.

Ancora non era sicuro del perché, in tutti quegli anni, non si fosse mai preoccupato di comprarsi una macchina come si deve. Forse perché, per il tempo che passava a casa, a New York, le macchine gli erano sempre risultate troppo scomode.

Il bolide di Natasha sopperiva egregiamente alla mancanza, in quel determinato momento.

“Da quando te la fai con le ragazzine?” gli chiese, fra la fine di una canzone dei Red Hot Chili Peppers alla radio e l’inizio di un pezzo di Neil Young.

“Da quando ti conosco.” Le rispose, senza aver bisogno di starci troppo a pensare.

La sentì sorridere, nemmeno la necessità di voltarsi per capire che lo stava facendo.

“Bishop ha detto di chiamarsi... non sarà la figlia di quel miliardario che...”

“Probabile.” la prevenne Clint “E' ricca.”

“Che amicizie altolocate.”

Clint sorrise appena, prima di infossarsi un po' nel sedile della macchina, le mani ancora sprofondate nel giaccone.

“Natasha... che mi devi dire?” si era deciso a chiederle. Era da almeno un quarto d'ora che si attardava su quella domanda.

La donna si fece seria e abbassò il volume della radio.

“Sono riuscita a tracciare un percorso sul cellulare di Coulson.”

Clint si voltò a guardarla e tenne il suo sguardo inchiodato a lei, ora attento.

“Dopo il suo appartamento, più nulla. Poi...”

“Poi?”

“Washington e Los Angeles... per lo più.”

“Vuoi dire che qualcuno si sta portando dietro il cellulare di Coulson... per gli Stati Uniti?”

le domandò vagamente nauseato dall'idea. Era convinto che tutti i beni dell'uomo fossero stati consegnati alla famiglia. Che la SIM fosse stata disattivata. Però lo aveva chiamato. Quel dannato cellulare, con quella dannata SIM, aveva contattato proprio lui.

“Nessuno di cui possiamo essere a conoscenza. Ho contattato i suoi parenti. Il cellulare non si trova.”

“Allora forse lo hanno rubato. Non c'era nessuno che poteva... denunciarne il furto. O nessuno che potesse bloccarlo...” Clint stava disperatamente cercando di essere razionale. Perché quella storia aveva già rischiato di mandarlo seriamente in paranoia.

“L'ho pensato anche io...” Natasha sembrò lasciare la frase in sospeso, in attesa di aggiungere qualcosa di importante. Clint si scoprì a trattenere il fiato. “... finché non ho rintracciato l'ultima tappa di quel viaggio.”

Clint rimase in silenzio a guardarla.

“Waverly... nell'Iowa. Al 508 di Brown Lane”

Clint soffocò un'imprecazione. Era l'indirizzo della casa della sua infanzia. Della casa che aveva condiviso con Barney da bambini. Della casa di Harold e Edith Barton.

*

 

Arrivarono a casa che erano ormai mezzanotte. Clint non era riuscito a pensare a nient'altro che alla posizione di quel dannato cellulare. Natasha lo aveva lasciato in pace, a rimuginare in silenzio per tutto il tragitto, senza interromperlo, per permettergli di assimilare l'informazione e lasciargliela usare nel modo in cui avrebbe creduto più consono.

“Ho deciso.” disse, poco prima di un congedo. O di chiederle se aveva intenzione di salire da lui.

Natasha spense il motore e rimase a guardarlo, senza forzare la spiegazione.

“Vado in Iowa.” la donna non sembrò impressionata dalla decisione.

“Potranno fare a meno di te, per qualche giorno, a lavoro.”

Clint si volse a guardarla. Aveva appoggiato la sua decisione senza battere ciglio. Come se davvero quell'indizio potesse permettergli di trovare chissà cosa. Fosse anche solo un ladro. La chiamata di Coulson era una questione anche andava risolta, chiusa. Clint non avrebbe retto un'altra settimana passata a torturarsi con stupidi dubbi.

“Sei sicuro di non voler più coinvolgere Fury?” l'unica cosa che non riuscì a impedirsi di domandargli.

Clint scosse la testa: “Se dovessi venire a sapere che è coinvolto in questa faccenda e non ci ha detto nulla, potrei anche decidere di cavargli l'altro occhio.”

Natasha annuì, sicura che non si trattasse di una minaccia campata per aria.

“Preferisco che resti fra noi... di qualsiasi... cosa si tratti.” e poi rivolgendole uno sguardo vagamente titubante: “Vuoi venire con me?”

La donna sembrò esitare.

“No, hai ragione... a Fury prenderebbe un colpo a saperci lontani dallo SHIELD entrambi. Alla Hill forse di più.”

“Lo sai che ci verrei...”

“Lo so.”

Clint si slacciò la cintura di sicurezza, rimettendosi dritto sul sedile.

“Allora... dato che potrei clamorosamente mancare il Natale...” disse, frugandosi nella tasca interna del giaccone pesante. Natasha lo osservava piuttosto disorientata. Ne tirò fuori una scatolina oblunga, nemmeno incartata, di un colore verde brillante.

“Scusa, non sono riuscito nemmeno a metterci un fiocco. Faccio schifo... con queste cose.”

“Che cos'è?” Natasha guardava la scatolina così come si osserva qualcosa di ripugnante o spaventoso. Oppure entrambe.

“Un regalo.”

“Non dovevi farmi un regalo.”

Volevo farti un regalo.”

“I-io non ti ho preso niente...”

“Non importa.”

“Sì che importa. Non è così che funziona? Io ti faccio un regalo, tu mi fai un regalo. Io non faccio regali, non voglio che mi si facciano regali.”

“Natasha...” le aveva preso la mano e le aveva appoggiato sopra la scatolina. “Non lo riporto indietro. Perciò prendilo. E falla finita.”

La donna la tenne così, senza nemmeno osare stringerci sopra le dita, come se così facendo lo avrebbe davvero, definitivamente reclamato come suo.

“Giuro che non morde.”

“Lo so.”

“Lo apri?”

“Sì. No. Non lo so.”

Clint sorrise e scrollò le spalle.

“Fai quello che ti senti. Quando ti senti di farlo. Io... mi sa che ho bisogno di andare a dormire.”

Fece per aprire la portiera della macchina, prima di sentirsi trattenere per la manica della giacca.

“Lo apro.”

Clint si ritirò, rimettendosi comodo.

“D'accordo.”

Natasha ci mise almeno un altro minuto buono prima di farlo davvero. E quando l'aprì, la sua espressione, per quanto interdetta, fu impagabile.

“Sei un... megalomane.” fu il suo unico commento, prima di sporgersi a baciarlo mentre le sue dita si stringevano attorno a una catenina con un ciondolo a forma di freccia.

 

___

 

N.d.A: … aaaand back! Sopravvissuta a invasioni di parenti inglesi, matrimoni, sbronze e magoni vari, sono di nuovo in pista (più o meno).
Ho introdotto nella storia un personaggio a cui sono particolarmente affezionata ultimamente (colpa dei comics di Matt Fraction, in cui i due si troveranno a collaborare). Kate Bishop non è altri che la controparte femminile di Hawkeye, negli Young Avengers. Wikipedia vi potrà dare una visione piuttosto chiara di lei. Tutto il capitolo è solo il preludio del finale. La ricerca di Coulson sarà il perno attorno a cui la storia arriverà alla sua conclusione.

È stata una settimana un po' difficile dal punto di vista “Age of Ultron”, e quindi il capitolo in questione, collana a freccia annessa è tutto dedicato a Sere, perché ne ha bisogno e la sfido a suon di tributi Clintasha fino al 15 maggio 2015 (o prima, come mi faceva notare, perché in Italia abbiamo culo ogni tanto).

A tutti gli altri, ringraziamenti sentitissimi per i commenti e le manifestazioni d'apprezzamento più svariate, veramente, di cuore.

Cheddire... alla prossima. Ci rivediamo a Waverly!

 

  
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