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Autore: Achernar    17/06/2014    5 recensioni
Non si è mai sentito che una coppia affiatata come Atem e Yugi avesse bisogno di una consulenza dallo- ops: dalla psicologa. Ma a quanto pare nessuno è perfetto...
Birthday-ficci: tantissimi auguri al nostro aibo preferito!
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atemu, Yuugi Mouto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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little talks 3

Ora che ho riletto la storia credo che Atem sia uscito fuori un po' OOC, chiedo perdono: a mia discolpa posso dire che è una comica ^^' (nelle introspettive sono sempre molto più attenta alla caretterizzazione, nelle comiche invece mi faccio prendere la mano...). Sono in anticipo di un giorno ma domani molto probabilmente non avrò tempo di pubblicare (e anche i giorni seguenti) quindi faccio oggi. 

Buonissima lettura e spero che questa ultima parte vi piaccia ;)


"Deve sapere infatti che la gelosia di Atem è piuttosto diversa da quella normale” rimbeccò Yugi. La donna annuiva piano, decisamente curiosa, pronta ad annotare altre stramberie.

“Gli altri fidanzati infatti sono gelosi perché hanno paura di venire traditi. Con Atem non funziona così, insomma: sa che non potrei mai tradirlo, e per quanto riguarda lui sarà meglio che non ci provi neanche a tradire me” fece lanciandogli una stilettata.

“Vorrai scherzare, vero aibo? Come potrei mai anche solo pensare-“

“Sì, sì, lo so, era per dire: repetita iuvant, no? Comunque dicevo: lui non vuole proprio che io mi avvicini agli altri! Non è protettivo, è ossessivo!”

Atem sbuffò.

“Può farmi qualche esempio?” chiese la dottoressa.

“Ma certamente, quanti ne vuole. Giusto il mese scorso un turista olandese mi aveva gentilmente chiesto indicazioni su quale fosse la fermata dell’autobus più vicina per arrivare in centro. E sa che ha fatto questo tomo qui?” disse indicando il faraone al suo fianco con sguardo accusatorio, “Lo ha mindcrushato! Un povero turista del nord Europa! Che non aveva fatto assolutamente niente di male per-”

A quel punto il faraone in questione, che durante tutto il dialogo fra la psicologa e Yugi aveva tamburellato le dita sul bracciolo della sedia con fare disinteressato e seccato, sbottò all’improvviso. “Come sarebbe a dire ‘niente di male’???” urlò “Tu, mio caro aibo, hai taciuto un particolare importantissimo: quel tipo ha osato toccarti! Ti ha toccato capisci?”

“Mi ha sfiorato la spalla con l’indice per richiamare la mia attenzione! Dov’è il tuo problema??” rispose Yugi esasperato.

“Il mio problema è che quell’essere, le cui mani erano probabilmente lerce e sudice e portatrici di chissà quali terribili malattie, non mi ha neanche chiesto il permesso prima di rivolgerti la parola, e soprattutto di toccarti!” E detto questo si accoccolò sulla sedia con il broncio e le braccia conserte.

“Come sarebbe non ti ha chiesto il permesso? Non era a me che avrebbe dovuto chiederlo semmai?” Ma Atem non sembrava più interessato ad approfondire la questione. Per lui la faccenda era conclusa, e ovviamente la ragione era dalla sua parte: quell’uomo aveva soltanto ricevuto la giusta punizione per il suo misfatto.

Visto quanto si era animata la discussione in così poco tempo, la psicologa preferì non fare domande su cosa fosse un mindcrush, ma dal nome non prometteva niente di buono. Quell’Atem non solo era pazzo, era pure pericoloso! Mentre si chiedeva cosa avesse fatto di male nella vita per dover assistere a certe scene, la donna rivolse di nuovo la parola a Yugi, il faraone non sembrava più disponibile a collaborare.

“E saprebbe farmi altri esempi, magari riguardanti la vostra vita quotidiana e non un singolo episodio...” chiese timidamente, il volto seminascosto dal taccuino.

“Certamente” rispose quello tirando un profondo respiro e riguadagnando la sua compostezza. “Per esempio: io non posso mai prendere i mezzi pubblici. Ho dovuto farmi la patente e comprare la macchina perché secondo Atem gli autobus sono un posto troppo pericoloso e affollato-“

“Non lo dico solo io, lo dicono tutti quanti. Potresti venir derubato, sommerso dalla folla, pestato, investito, arrestato per non aver pagato il biglietto, taglieggiato, spintonato, soffocato, a-“

“Sì, certo, rapito dagli alieni e portato su Marte”.

“Adesso non veniamo a ipotesi improbabili: io nominavo solo eventualità plausibili”.

“Infatti erano tutte molto plausibili, certo. Ma non è tutto dottoressa, si figuri che non mi lascia nemmeno andare al bagno da solo! Sempre perché ha paura che mi succeda qualcosa! E non le nascondo quanto la cosa sia imbarazzante, insomma: sarà pure il mio mou hitori no boku, sarà pure il mio ragazzo, e non è che non mi abbia mai visto, come si dice, in maniche di camicia. Ma santo cielo! È il bagno!”

“Ma io mica ti guardo: ti accompagno e basta, e poi solo a scuola e nei luoghi pubblici, a casa è abbastanza sicuro per lasciarti andare da solo”.

“Abbastanza sicuro per- Oh!” esclamò Yugi facepalmando. “Ma lo sente quello che dice? Dove ti credi che viviamo: in Palestina? Che ci sono i terroristi che si fanno saltare in aria per strada o che piazzano bombe nei bagni??”

“La prudenza non è mai troppa”.

“O per l’amor di Ra-“

“Scusate” interruppe un attimo la psicologa mentre controllava gli appunti presi sul suo taccuino. “Ho notato che vi riferite spesso l’un l’altro con nomignoli e soprannomi come aibo e mou hitori no boku: cos’è, una specie di vezzeggiativo?”

“Vorrà scherzare! È roba seria!” intervenne Atem.

“Lascia, spiego io: tu sei troppo agitato” fece Yugi trattenendo l’altro per il braccio. “Cercherò di spiegarglielo brevemente perché è una faccenda piuttosto complicata. Il fatto che lui mi chiami aibo, cioè partner, infatti non c’entra niente con l’aspetto erotico o amoroso del rapporto-“.

“Beh, aspetta-“ lo interruppe Atem ghignando. Yugi gli mollò uno schiaffo in testa.

All’inizio almeno non c’entrava niente. Insomma, io ero il suo partner nel suo viaggio alla ricerca del suo passato, ero io il suo compagno di avventura, colui che percorreva la strada insieme a lui, pronto ad aiutarlo a ogni ostacolo e a lottare al suo fianco verso un obbiettivo che in realtà era comune, perché io volevo vederlo felice e se vederlo felice voleva dire che doveva riavere i suoi ricordi allora questi erano ciò che cercavo anche io”. Fece una pausa. “Poi” riprese “non potrei che chiamarlo mou hitori no boku perché io non avevo idea che lui non fosse me: i primi tempi credevo di soffrire di un qualche sdoppiamento di personalità e poi si scopre che invece a possedere il mio corpo era proprio un’altra persona. Comunque essendo convinto che lui fosse me era naturale che lo chiamassi ‘altro me’, come altri avrei dovuto chiamare me stesso? Chiaro?”.

‘Come una notte buia’ avrebbe voluto rispondere la donna, ma si limitò ad annuire piano.

Voleva, o meglio, doveva fare almeno un’altra domanda, ne andava della sua etica professionale, anche se in quanto a materiale per iniziare una ’terapia di coppia’ ne aveva fin troppo!

Diede un’occhiata al suo taccuino: era pieno di appunti e scarabocchi vari, uno più privo di senso dell’altro. ‘Crede di essere un ex fantasma’, ‘Ragazzo abusato’, ‘Puzzle d’oro’, ‘Bisessualità’, ‘Disturbo di personalità e/o schizofrenia’, ‘Ra’, ‘Violenze’, ‘Mindcrush’... Non sapeva da che parte cominciare: era sicuramente il caso di coppia più malata che avesse mai incontrato!

Deglutì. Non voleva sapere che risposta avrebbero potuto dare a un‘ altra domanda. Come fare?

“Beh, signori” in un disperato tentativo di salvezza lanciò un’occhiata all’orologio, magari se era sufficientemente tardi se la sarebbe cavata con una battutina e un arrivederci. Le lancette parlavano chiaro: il cielo non l’aveva abbandonata, in soli cinque minuti l’orario della visita sarebbe finito. Tirò mentalmente un sospiro di sollievo.

“Oh, santo cielo com’è tardi! Dovrei farvi qualche altra domanda prima di analizzare nel concreto i vostri problemi come coppia, ma purtroppo sono costretta a pregarvi di andarvene: come sapete ho la pasta che mi aspetta di sotto e-“

“E non vuole che si incolli, capisco” terminò Atem. “Comunque mi dispiace di averla giudicata male, in fondo quello che abbiamo fatto è stato semplicemente chiacchierare un pochino, e mi ha fatto davvero piacere ricordare alcuni momenti passati accanto ad aibo” poi si rivolse al diretto interessato: “non so se è possibile, ma credo di volerti ancora più bene”. L’altro sorrise, gli occhi color mora che scintillavano.

“E da quando saresti diventato così smielato?”.

“Bada a come parli davanti a un faraone” lo ammonì il ragazzo dagli occhi rubino, sfoggiando uno dei suoi sorrisetti.

‘Bene, anche le manie di grandezza adesso’ mormorò fra sé e sé la donna: sul suo taccuino ce n'era abbastanza per scrivere un intero libro di psicanalisi... si alzò tremolante e si avviò verso la porta.

“Ma, dottoressa” la chiamò Yugi. “Non ci dice nulla? Com’è andato l’appuntamento, dobbiamo tornare, ha qualche consiglio? Non parlava di altre domande prima?”.

“S-sì, ecco... probabilmente... devo rivedere i miei appunti. Così alla luce di quanto ho scritto ascoltando la bellissima storia del vostro rapporto potrò rendermi conto se avete bisogno del mio aiuto. Vi contatterò io, non preoccupatevi, il mio segretario ha il suo numero signor Muto, no? Le prometto che non mi farò scrupoli a chiamarla” disse colmando a falcate furtive la distanza fra lei e l’uscio.

“E non sa dirci niente prima? Siamo piuttosto occupati di solito, io ho l’università e i miei tornei di carte, beh, in realtà anche Atem li ha, solo che preferisce stare a battibeccare con Kaiba tutto il tempo invece che focalizzarsi sul gioco-“.

“Ehi!” fece il diretto interessato. Yugi lo ignorò.

“Quindi, ecco... non saprei se riusciremo a trovare un pomeriggio o una mattina per un altro appuntamento in tempi brevi. Perciò se vuole dirci qualcosa credo sia meglio lo faccia adesso” terminò sorridendo.

La psicologa sbiancò. Ma poi, pensando che con buona grazia del cielo non li avrebbe mai più rivisti, riacquistò di colpo il colorito. Sfogliò le sue pagine di appunti facendo finta di leggerli con aria professionale.

“In realtà credo sia tutto a posto, se posso essere sincera siete una delle coppie più affiatate con cui abbia mai avuto il piacere di parlare. Vi consiglierei semplicemente di cercare di rispettare un po’ di più gli spazi l’uno dell’altro, ecco tutto. Ora scusate ma ho un pranzo che mi aspetta, devo portare a spasso il cane, andare a prendere il nipotino a scuola, ritirare le elemosine in parrocchia, guardare Uomini e Donne in tv... un mucchio di roba! Èstatounpiacereconoscerviapresto!” disse con sorprendente rapidità, schizzando fuori dalla porta.

I due ragazzi si guardarono l’un l’altro confusi. Poi Yugi si schiarì la voce. Atem colse l’allusione e impallidì.

“Questo vuol dire che dovrei lasciare che tu prenda l’autobus?”

“E che la gente possa chiedermi informazioni senza rischiare di morire, che possa scaldarmi un bicchiere di latte nel microonde da solo, allacciarmi le scarpe, rammendarmi le magliette e buttare finalmente tutte quelle odiose forbici dalla punta arrotondata!”

“No, quelle no!!”

“Oh sì, comincerò oggi stesso a esercitare i miei diritti” disse deciso.

“Ma ti farai male, perché devi farmi soffrire in questo modo? Io penso solo alla tua sicurezza non-“

“Altolà, questo discorso è vecchio: l’hai sentita la psicologa, ho bisogno dei miei spazi. Da oggi si cambia vita”.

Sembrava davvero risoluto con quelle braccia incrociate al petto, il mento levato in alto, la postura eretta e tutto. Se aveva intenzione di non dargliela vinta, il faraone sapeva che sarebbe dovuto ricorrere al piano B.

Atem si avvicinò di più al ragazzo dagli occhi viola, poi un altro po’ e un altro po’ ancora, finché non colmò quasi del tutto la distanza fra di loro e soprattutto fra i loro volti.

“Però,” cominciò a mormorare “Non mi sembra che tu ti sia mai lamentato quando invado così i tuoi spazi...” disse prendendogli una ciocca tra i capelli e iniziando a giocherellarci. Yugi deglutì.

“Q-questo è diverso, sai cosa intendevo prima”.

“Ah sì?” soffiò l’antico sovrano sulle sue labbra, prima di avvolgere le braccia intorno alla vita dell’altro. “Spiegamelo”.

 
Owari

 

  
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