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Autore: camvibe    17/06/2014    1 recensioni
Dimenticatevi tutto quello che succede nella seconda e nella terza stagione, nessun Capitan Uncino e nessun Robin Hood, solo Regina e la mia personale versione di quello che avrebbe potuto e dovuto essere il suo lento e molto umano percorso di redenzione dopo che la maledizione viene spezzata. Un percorso che inizia per recuperare l'amore di Henry e che poi si intreccia e non può più prescindere da Emma.
Queste due insieme profumano di inevitabilità ed è giusto e doverso quantomeno provare a rendere giustizia a due bellissimi personaggi. Soprattuto visto come li stanno lentamente rovinando e snaturalizzando in questo periodo coloro che li hanno creati ed ideati.
Se gli scrittori non ci riescono o non vogliono, beh allora proviamoci noi.
Enjoy.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Quando interpreto Regina ci sono sempre due storie da raccontare. C'è un lato di lei che è minaccioso, perché si sa che è una regina malvagia, e poi c'è il puro e semplice fatto che la madre biologica di suo figlio è entrata nel suo mondo e il terrore di perderlo è enorme. È una paura che, credo, qualsiasi madre adottiva proverebbe. Penso che aiuterà veramente il pubblico a guardare a Regina in termini diversi".

Questa è una cosa che ha detto Lana in passato a proposito di cosa provava nell'interpretare il personaggio di Regina. E' l'ennesima riprova di quanto Lana Parrilla sia un'attrice estremamente puntigliosa, intuitiva e intelligente, e non nego che mi ha influenzato molto nell'iniziare a scrivere questa storia. Credo sia un'ottimo punto di partenza per iniziare a comprendere Regina. Lana l'ha dipinta perfettamente nel giro di tre frasi e a me è venuta voglia di approfondire il concetto.
Vi avviso che mi sono presa molte libertà in questa storia, sin dal primo capitolo, e credo che continuerò a prendermele. Non so bene dove andrò a parare, come succede di solito con tutto quello che scrivo.
Gli unici due personaggi che mi preme davvero inquadrare ed indagare psicologicamente - al di là della trama e al di là di tutta la merda che ci hanno tirato addosso a partire dalle seconda stagione- sono Regina ed Emma. Ed il loro rapporto con Henry.
Ci sono molto affezionata, a queste due e all'idea che mi son fatta di loro, in una maniera esagerata e tutta mia che a volte quasi mi spaventa. D'altronde, se sei una fangirl...

Ma bando alle ciance, ecco qua.

P.S: Chiaramente non possiedo lo show, nè i personaggi, e blah blah. Non mi ricordo la frase di circostanza che si usa in questi casi, ma insomma avete capito, niente di tutto ciò e mio, scrivo solo per divertirmi, distrarmi e perchè raccontare è la cosa più terapeutica e importante del mondo.




Regina aveva vissuto per ventotto anni in una bolla di monotonia tranquilla.
Quella bolla si chiamava Storybrooke e no, forse all'inizio il piccolo microcosmo che si era creata su misura, improvvisandosi una sarta magica di mondi paralleli, non si era rivelato essere la felicità, non perlomeno quella che lei si aspettava. Forse era qualcosa di più vicino alla noia. Ma era comunque qualcosa a cui poteva volentieri abituarsi.
 
Una madre violenta e manipolatrice, un amore distrutto sul nascere insieme agli ultimi brandelli della sua innocenza, un marito prepotente, non voluto e che non la voleva, se non la notte quando era ubriaco e bestiale, la perenne sensazione di essere in prigione pur senza essere fisicamente incatenata, un'ingenua nemica con la tendenza a spifferare segreti e suo marito, un pastore che voleva improvvisarsi re, con cui combattere quotidianamente per riprendersi quel regno che avrebbe dovuto essere suo: la noia era comunque meglio di qualunque cosa avesse già affrontato o sopportato.
 
La noia era facile da controllare, prevedibile, fedele e soprattutto era sua: ci si sarebbe attaccata come ad un salvagente, piuttosto che ritornare indietro.
 
Poi era arrivato Henry.
 
Dopo di lui, passati i primi momenti difficili, pieni di insicurezze, di indecisioni e passi falsi, di pianti e notti in bianco, i colori si erano fatti d'improvviso più brillanti, la certezza che “il sole sorge ogni giorno" era diventata meno amara, e a volte Regina quasi si dimenticava che tutto era finto.
A volte quasi se lo dimenticava, che aveva ucciso suo padre per essere lì dove era, seduta nella sua enorme cucina con il suo bambino a fianco. Quando nel sonno Henry si ciucciava il pollice con espressione pacifica, affondando nel passeggino che lei piano piano faceva dondolare ritmicamente con il piede, Regina si dimenticava di tutto e quasi non le mancava la magia e l'impossibilità di praticarla in questo nuovo reame.
Il passato sbiadiva davanti ai primi passi del suo bambino, alle sue prime parole stentate. Tutti i cuori pulsanti raccolti e alacremente custoditi, tutto il sangue versato e le felicità negate, impallidivano davanti al suo primo giorno di scuola e al sorriso che le regalava tornando a casa, entusiasta, pieno di cose da condividere con lei. Con lei che era sua madre.
 
Regina si ritrovava spesso a ripeterglielo, quando ancora lui non poteva capire, ma anche quando era diventato abbastanza grande per poterlo fare.
 
"Sono tua mamma, Henry". "Tesoro, mamma è a casa". "Mamma dovrà lavorare fino a tardi, stasera".
 
Come se avesse bisogno di ricordarglielo e ricordarselo. Come se dovesse periodicamente assicurarsi che fosse tutto vero...
 
E così Regina si era immersa nella sua bellissima bugia fatta di lunghe passeggiate, di piccoli capricci, di compiti, di carezze prima di andare a dormire e appena sveglia, e aveva abbassato la guardia, lo sapeva.
Biancaneve era diventata semplicemente la fastidiosa maestra di suo figlio, il grillo parlante nient'altro che un'analista deboluccio e molle di carattere, David era in coma e non poteva fare alcun danno…
Era stata incauta, come ubriacata dalla novità, dalle avventure e dalle sfide sempre diverse che ogni giorno le regalava suo figlio.
 
Aveva abbassato la guardia, aveva smesso di pensarci. Si era permessa il lusso di crederci, di credere di essere arrivata. Si era dimenticata del suo cuore nero.
 
Poi -contro ogni previsione, senza che nessuno si degnasse di avvisarla- la sua maledizione, quel piccolo gioiello per cui aveva sacrificato tutto, si era spezzata. Il suo mondo finto ma felice le era esploso in faccia, e Regina era tornata ad essere riconosciuta per chi realmente era: la regina cattiva.
 
Il cambiamento repentino, come uno strappo, come un taglio netto, preciso, era stato tanto impietoso da farle girare la testa.
 
Una giacca di pelle e molta testardaggine avevano cancellato gli sforzi di una vita. Emma Swan aveva distrutto tutto, come l'onda che arriva e distrattamente scioglie i castelli di sabbia senza nemmeno chiedere permesso. Emma Swan non chiedeva permesso, mai.
 
Non le mancava la bolla in sè, la sua tranquillità, la sua comodità, i piccoli scambi di formalità con gli ignari cittadini di Storybrooke: poteva farne a meno. 
 
Le mancava Henry e solo Henry. Tutto quello che Henry diceva, faceva, pensava, comportava, significava. Tutti i suoi pensieri orbitavano intorno a lui. Le mancava come Henry la guardava, il tono con cui le si rivolgeva, il diritto di potersi prendere cura di lui, il privilegio di vederlo più alto di un centimetro ogni mattina. Le mancava, egoisticamente, sentirsi una madre migliore di sua madre. Le mancava tutto, anche le cose più stupide, quelle che mai mai mai  penseresti che ti possano mancare...e invece sì. Da morire. Tutte le sue piccole cicatrici e le storie che ci stavano dietro, ogni graffio ed ogni ginocchio sbucciato, ogni brutto voto (erano pochi, d'altronde era suo figlio) ed ogni successo. Le mancava il tacito permesso di potergli scompigliare i capelli tutte le volte che voleva, e la certezza di saperlo un irrimproverabile, ripetibile gesto. Il suo broncio assonnato la mattina, il rumore che facevano i cereali sotto i suoi denti a colazione. L'ininterrotto flusso di parole mentre lui stava seduto in cucina e gli raccontava la sua giornata e lei preparava, facendo uno strappo alla regola, i maccheroni col formaggio.
 
Terribilmente e fisicamente, sentiva la sua mancanza come quella di un arto. Non se ne dimenticava mai. Come ci si dimentica di non avere più un braccio, se tutte le mattine ti guardi allo specchio e non c'è? Come ci si dimentica di non avere più un figlio, una volta che sai cosa si prova ad averlo?
 
A volte tornava a casa la sera e apparecchiava per due, sovrappensiero, e quando si accorgeva dell'errore ingenuo faticava a respirare e doveva prendere un calmante. Si sdraiava sul letto a fissare il soffitto mentre aspettava che il respiro ridiventasse regolare. A volte le ci volevano ore.
 
I suoi palmi erano ormai martoriati da piccoli segni rossi a forma di mezza luna, perchè aveva preso l'abitudine di stringere i pugni e affondarci le unghie tutte le volte che lo vedeva fuori. Con Emma. I due viaggiavano in coppia, ormai. E più il sorriso di lui era largo ed i suoi capelli spettinati, e più lei stringeva le unghie nei palmi. Sapeva che avrebbe potuto agire. La magia era tornata, la sentiva che le solleticava i palmi. Ma non lo faceva. A che scopo usarla quando non sarebbe stata comunque in grado di ottenere l'unica cosa che voleva? Certo, avrebbe potuto vendicarsi su Emma, su Biancaneve e David...ma era stanca di vendette sterili che non l'avrebbero portata da nessuna parte. O almeno così si diceva.
 
L'aveva perso, aveva perso il suo bambino e la magia non poteva darglielo indietro. Non veramente. Non nel modo che voleva.
 
In cuor suo, sapeva che non era stato il venir meno della maledizione a portarglielo via. E neanche Emma Swan, anche se incolparla di tutto era diventato il suo hobby preferito, un bisogno quasi fisiologico che rendeva tutto più facile, perchè era meglio che incolpare se stessa.
Quello di Henry -Regina lo sapeva- era stato un lento processo di allontanamento che era iniziato molto prima di Emma. Lei, ubriaca delle sue stesse bugie, aveva solo fatto finta di non accorgersene, ma era stato come posticipare l'inevitabile: inutile e stupido.
Dieci anni erano bastati ad Henry perchè cambiasse quella visione idilliaca che aveva di lei un tempo. Arriva un'età in cui le cose si capiscono, si percepiscono. Ed Henry, da bambino sveglio come era, aveva iniziato a vederla.
Se solo Biancaneve non avesse tirato fuori quel maledettissimo libro di fiabe, forse...ma no, Regina sapeva che anche senza, Henry avrebbe capito, prima o poi. Si sarebbe alzato una mattina e non avrebbe più visto sua mamma, ma la Regina cattiva. Emma ed il maledetto libro avevano solo velocizzato il processo.
 
All'inizio, subito dopo che la maledizione era stata spezzata, Regina aveva quasi provato un perverso compiacimento nel ritrovare negli occhi dei suoi sudditi quell'antica scintilla di terrore. Era stato come un modo di riempire il buco che l'assenza di Henry aveva causato. Certo, non che da sindaco non fosse temuta e rispettata. Ma niente reggeva il confronto.
 
A parte quel piccolo incidente fuori da casa sua, quando la folla urlante era venuta a pretendere la sua vita, ed Emma (Emma, la stessa che l'aveva messa in quella posizione spezzando la maledizione!) aveva proibito loro di ucciderla...nessuno l'aveva più disturbata. Avevano concluso una sorta di tregua: loro non l'avrebbero sfiorata con un dito, se lei non avesse praticato la magia contro di loro. "E forse"...aveva detto Emma..."se rispetterai le nostre condizioni e ti dimostrerai degna di fiducia, potrei pensare a farti rivedere Henry".
 
All'inizio aveva sbuffato a quella semi-promessa e si era sentita insultata, ma gli occhi di suo figlio, speranzosi, l'avevano portata ad annuire. Lei si era rintanata nella sua grossa casa e la folla si era piano piano dispersa.
 
Sapeva che la condizione imposta da Emma non andava giù a molti, terrorizzati da saperla viva e a piede libero. Era stata quasi contenta, nel suo dolore, di rendersi conto che era per loro di nuovo una minaccia, un pericolo da eliminare. Che avrebbe potuto schiacciarli come insetti o incenerirli con uno schiocco di dita, se solo avesse voluto. Ma, anche dopo aver recuperato a pieno l’uso della magia e le sue antiche potenzialità, non l'aveva fatto.
 
A che scopo? Henry non sarebbe mai tornato da lei, così.
 
Erano settimane che viveva in una situazione di stallo e il silenzio stava diventando insopportabile. La solitudine e l'assenza di suo figlio macchiavano i suoi pensieri rendendoli sempre più foschi. Sempre più spesso pensava alla vendetta. Sarebbe bastato così poco...sentiva già una delle sue palle di fuoco scaldarle il palmo, la magia la tentava. Sapeva che Emma non avrebbe concesso a Henry di vederla fino a quando non lo avesse reputato sicuro. Questo limbo la stava uccidendo e la rendeva impaziente...
 
DRIIIIIIIIIN.
 
Il campanello della porta, dopo settimane di silenzio, la fece sobbalzare di sorpresa.
 
Arrabbiata, intrappolata nel suo dolce desiderio di vendetta e di violenza, lasciò che suonasse.
 
"Regina apri questa maledettissima porta o la butto giù, so che ci sei".
 
Regina si alzò, sapeva che la Salvatrice non avrebbe esitato a buttar giù la porta, se non si fosse degnata ad andare ad aprire: Emma Swan non chiedeva mai il permesso. Emma Swan chiedeva, pretendeva, esigeva. Ema Swan entrava nelle case e nelle vite degli altri come un uragano. Se Emma era un uragano, Regina era un muro. Impenetrabile, orgogliosa, potente: e anche se Emma conosceva il suo punto debole (Henry, e chi altri?) Regina non si sarebbe lasciata invadere facilmente.
   
 
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