Salve!
Ecco a tutte voi il capitolo 21 che, come già era accaduto
in
precedenza, avrà il doppio POV! E non sarà
l’ultima
volta ( Edward era un po’ che non diceva la sua XD)
Ringrazio
tutte voi che avete letto e recensito il cap 21! Data la situazione
precaria in cui mi trovo (Ho sì accesso al PC, ma
è
limitato … ) non potrò ringraziarvi una per una,
ma spero
non me ne vorrete!
Il titolo indica la settimana e il giorno del feto(su internet ho visto che le gestanti scrivono così per dire di quanto sono ...)
Ecco
il mio piccolo regalo di ferragosto per allietare la serata di chi
è
rimasta a casa e anche quella delle fortunate che hanno avuto
l’opportunità di avere accesso ad internet anche
in
vacanza!!!!!!!
Il cap è un pochino più lungo del solito, spero non vi spiaccia ...
Un
bacio enorme e a prestissimo,(e un grazie a MOMOB che mi ha messo l'HTML e a Deimos che si è offerta! grazie ragazze!)
Cassandra
Edward’s
POV
<
Edward! >
<
Si, Bella? > le chiesi senza smettere di far scivolare le mie
dita
sui tasti d’avorio.
<
Edward … Vieni a salvarmi! > mi implorò
disperata.
<
Dai, Bella … non fare l’antipatica. > le
disse mio fratello,
con l’aria di chi viene denunciato alla polizia sapendo di
aver
commesso un reato.
Mia
moglie, seduta sul divano, teneva la maglietta, enorme, sollevata fin
sotto al seno lasciando scoperta la pancia. Emmett, inginocchiato di
fronte a lei, le teneva un orecchio subito sopra l’ombelico.
<
Sì muove! > esultò felice mio fratello ed
io
sorrisi. Bella sbuffò e poi si abbandonò allo
schienale
del divano.
Mi
voltai e li vidi. Erano nella stanza attigua, la porta aperta.
Emmett
adesso le stava toccando il grembo e premeva leggermente con il dito.
Lo spostava a destra, poi a sinistra …
<
Cosa stai cercando di fare? > gli chiese lei perplessa.
<
voglio che si muova. > fece lui innocente. Naturalmente, si
comportava in quel modo perché non c’era Rosalie
nei
paraggi.
<
Ecco, si è mossa ancora!!! Ehi piccolina? Come va? Sono lo
zio
Emmett! Non preoccuparti, ci penserò io a far star buoni
quei
porcellini dei tuoi genitori. >
<
Emmett, non ti picchio perché sarei la sola a farmi male
…
ma sappi che le sto segnando tutte e quando sarò
più
forte di te, te le farò pagare con gli interessi. >
le sue
guance erano divenute color porpora mentre il tono della sua voce si
era fatto ostile, come se qualcuno avrebbe mai potuto aver paura di
quel suo sguardo, di quel suo sorriso, di quei suoi occhi nocciola
...
<
Edward? Che ricordi ha suscitato in te la mia affermazione? Data la
tua faccia … >
Mi
alzai e mi avvicinai minaccioso. Emmett si alzò di scatto
con
un’espressione di finto terrore dipinta in volto. Era chiaro
che si
stava divertendo moltissimo, e poi, io glielo leggevo nella mente. A
me, non poteva mentire. Prenderci in giro riguardo la nostra vita
privata era il suo divertimento preferito. E pensare che io avrei
potuto davvero rovinarlo, raccontando le sue seratine con Rose. Se
non lo avevo ancora fatto, era solo per il rispetto che nutrivo nei
confronti di mia sorella. In fondo, un gentiluomo non parla di certe
cose …
Appena
fui abbastanza vicino da poterlo sfiorare, lui corse via, andando a
rifugiarsi da Alice che, al piano di sopra, stava ridendo. Codardo.
Scossi
la testa e la risata di mia moglie mi raggiunse, stanca ma allo
stesso tempo serena.
Mi
inginocchiai davanti a lei e, dopo aver preso le sue mani calde nelle
mie, le portai alle labbra e le baciai, facendola sorridere ed
arrossire. Si era risistemata la maglietta, ma io gliela risollevai
fin sopra l’ombelico. Anche io poggiai il capo sul suo
grembo, per
ascoltare meglio il battito del cuore di nostra figlia. La mia fronte
fredda a contatto con la sua pelle bollente la fece sussultare.
Volevo allontanarmi ma lei mi trattenne, cingendomi la testa con le
sue mani piccole e delicate. Chiusi gli occhi, intento a seguire i
battiti dei cuori delle due persone più importanti per me al
mondo.
Rise.
<
Che c’è? > le chiesi confuso, sollevando lo
sguardo per
poterla fissare negli occhi.
<
Sei così bello. Spero che la bimba sia uguale a te
… e poi,
quando sorridi … come adesso, sembri proprio un angelo,
venuto
sulla terra solo per me. > A quell’ultima frase,
arrossì
violentemente.
Il
sangue, che pompava furioso nelle sue vene per riuscire a sostenere
sia il suo cuore che quello della bambina, le inondava le guance e le
donava colore. Ultimamente era diventata molto pallida.
Io
e Carlisle la tenevamo sempre sotto controllo, le facevamo mangiare
solo cibi specifici preparati da me o da Esme …
però,
evidentemente non bastava. Troppo spesso inoltre l’avevo
osservata,
triste e taciturna, con lo sguardo perso oltre il vetro della
finestra. Di notte, gli incubi erano tornati a tormentarla.
Secondo
mio padre non dovevamo preoccuparci. Probabilmente, era solo agitata.
Sebbene
cercassimo di farla sentire a suo agio, percepivo chiaramente la sua
inquietudine.
E
così anche Jasper che le stava spesso vicino,per cercare di
tranquillizzarla.
Quando
le avevo posto apertamente la domanda, chiedendole cosa la turbasse,
mi aveva guardato come se l’avessi scoperta fare qualcosa di
sbagliato e, scuotendo la testa e accarezzandosi il pancione, aveva
borbottato qualcosa d’incomprensibile e poi era andata a
dormire.
Inoltre, non voleva dirmi cosa riguardassero i suoi incubi. Ogni
volta che, sudata e tremante,si risvegliava tra le mie braccia, si
stringeva al mio petto e respirava il mio odore.
Io
la cullavo tra le mie braccia, ma non ero ancora riuscito a capire
cosa avesse.
Se
di notte gridava, di giorno non ne voleva assolutamente parlare.
Rise
di nuovo, distogliendomi dai miei pensieri.
<
Edward, scusami > era imbarazzata …
<
Cosa c’è? > le domandai confuso, tenendole
sempre le mani
tra le mie.
<
Ehm … > ora le sue guance avevano assunto
un’invitante
tonalità purpurea …
<
Devo andare al bagno … > mi sussurrò con
un sorriso. Ora
ero io ad essere in imbarazzo.
<
Vuoi che ti accompagni? > le domandai carezzandole una guancia.
<
Devo solo fare pipì, non credo che partorirò
adesso,
non preoccuparti. > e, tenendosi il pancione con una mano e
reggendosi al bracciolo del divano con l’altra, si mise a
fatica in
piedi.
<
Senti, ti accompagno. > le dissi vedendo quanto fosse precario
il
suo equilibrio.
Sbuffò
ma non mi disse nulla, anzi, si appoggiò completamente a me.
Oramai,
passato l’ottavo mese, il suo pancione la sbilanciava
completamente
in avanti.
E
per camminare, lo sosteneva sempre con le mani.
<
Sono enorme … > si lamentò lei passando
davanti a una
finestra e vedendosi riflessa.
<
Non è vero. Hai solo il pancione … ma se non lo
avessi
ancora notato, sei alla trentatreesima settimana … direi che
è
normale. >
Lei
mi fece la linguaccia e poi si chiuse in bagno.
<
Ti aspetto di là, chiama quando hai finito > le dissi
da
oltre il legno della porta.
La
sua risposta fu un sì piuttosto svogliato.
Tornai
al pianoforte e ricominciai da dove mi ero interrotto.
Comporre
mi aiutava a restare rilassato.
Lasciai
che la musica invadesse l’aria mentre, ad occhi chiusi,
cercavo di
trovare un modo per farmi dire da Bella cosa la rendesse
così
agitata.
<
Edward … > mi chiamò Esme posandomi una
mano sulla
spalla.
Aprii
lentamente gli occhi e la osservai.
<
Sì? > le domandai senza smettere di suonare.
<
Edward, dovresti andare a caccia … guardati …
> e mi accarezzò
il volto soffermandosi sulle occhiaia che sapevo essere molto
profonde.
Scossi
il capo seccato e poi, a bassa voce, le dissi: < Ci vado tra un
po’. Qualche giorno. >
<
Edward, sono settimane che dici così. Più tempo
lasci
passare, più poi renderai tutto difficile. >
Mi
bloccai.
<
Vai adesso, finché è ancora presto. Lo sai anche
tu,
che se la madre è molto giovane, è probabile un
parto
precoce. E poi, anche Bella ti ha fatto notare, non so quante volte,
che non è un bene che tu sopporti la sete a tal modo. Questa
notte Emmett va a caccia, qui nei dintorni. Vai anche tu. >
Mi
accarezzò la guancia e poi, con grazia, tornò in
cucina.
Mentre
analizzavo bene la situazione, sentii la porta del bagno aprirsi
lentamente, con un cigolio sordo.
Rimasi
seduto. Se lei non mi aveva chiamato, non volevo andare da lei.
Forse,
aveva bisogno di restare sola per un po’. Avevo sempre timore
che
interpretasse male il mio volerle stare accanto, proteggerla
… non
volevo che si sentisse controllata, prigioniera.
Sapevo
che bastava poco a risvegliare le sue paure.
Ricominciai
a suonare, cercando di concentrarmi sulla mia musica.
Mentre
ero concentrato, sentii dei passi dietro di me. Un sospiro affaticato
e poi un piccolo tonfo. Il profumo di bella invase la stanza.
Mi
voltai e la vidi seduta sul divano dietro al pianoforte.
Si
teneva il pancione con entrambe le mani e lo accarezzava dolcemente,
il capo reclinato all’indietro e poggiato allo schienale. Gli
occhi
chiusi e sulle labbra un sorriso.
Sembrava
stesse dormendo, pacificamente. Era sempre così stanca
… non
doveva essere facile portarsi dietro la bambina … anche
perché
l’inizio della gravidanza non era stato dei migliori, e poi
nessuno
di noi sapeva realmente cosa sarebbe successo. La nostra situazione
era a dir poco unica. E questo certo aumentava le mie preoccupazioni.
Smisi
di suonare e feci per avvicinarmi a lei per controllare che stesse
bene quando con voce dolce mi domandò in un sussurro:
<
Perché hai smesso? >
<
Senti, se sei stanca, forse dovresti andare a dormire. Vuoi che ti
faccia compagnia?
<
In camera non si sente bene il piano … e poi, se tu suoni,
la bimba
si calma … > e fermò la sua mano sotto
l’ombelico. <
Le piace tanto la tua musica, almeno quanto piace a me. > e poi
sollevò lo sguardo per sorridermi.
In
un attimo, fui vicino a lei e le tenevo le mani. Dopo averle baciato
per un secondo le labbra, le sfiorai il lobo dell’orecchio
con la
bocca, facendola fremere, e poi tornai al piano.
Suonai
a lungo, finché l’oscurità non si fece
molto fitta.
Bella ormai dormiva quando, con delicatezza, la presi tra le braccia
e la riportai a letto.
Si
rigirò sotto le lenzuola bisbigliando il mio nome e poi
ricominciò a dormire come se non fosse successo niente.
<
Edward? > mi fece Emmett dalla sala < Allora, vieni o mi
porto
dietro Alice? >
Fissai
mia moglie e sussurrai: < Arrivo. >
Forse
era vero. Se continuavo a ritardare la caccia, avrei semplicemente
procrastinato il problema.
Andai
al piano di sopra a preparare uno zainetto con il cambio e poi tornai
in camera nostra, per salutare Bella prima di uscire.
Ero
stato via solo pochi minuti, il tempo di raccogliere dei vestiti e
decidere bene la destinazione, eppure, quando entrai, lei era
lì,
con gli occhi spalancati sdraiata a fissare il soffitto.
Mi
avvicinai lasciando cadere la sacca a terra con un tonfo.
<
Bella? Bella tesoro che hai? > le chiesi preoccupato.
Lei
si voltò lentamente e, con i suoi grandi occhi color
cioccolato al latte mi fissò curiosa.
<
Che c’è? > mi chiese innocente.
Le
carezzai la guancia e lei mi domandò, come se fossi
rintronato: < Tutto a posto? >
Un
po’ sorpreso, le risposi: < Sì, ma tu?
Cioè, cosa
stai facendo? > aggiunsi notando che si picchiettava la pancia.
Lei mi guardò male e, tornando a darsi delle piccole
pacchette
sul ventre, mi spiegò: < sai, di solito a
quest’ora è
sempre molto agitata. Non mi da tregua con i calcetti e gli
stiracchiamenti, o le capriole … questa sera invece non si
è
ancora mossa. Carlisle mi ha detto che, stando sdraiata per
un’ora,
devo sentire almeno tre movimenti. E in una giornata almeno dieci
colpi decisi. > e sorrise, come per scusarsi.
Scossi
la testa e la rassicurai, premendo l’orecchio sotto al punto
in cui
lei teneva la mano, dopo averle baciato la linea scura che le
percorreva la pancia.
La
sentii sospirare. In effetti, le carezze e i baci erano le uniche
cose che ci permettevamo, da quando la bambina impediva a Bella
praticamente tutti i movimenti. Alla fine, ero persino riuscito a
convincerla a restarsene a letto durante il giorno, o per lo meno, a
muoversi poco. Il che per lei non era proprio il massimo della gioia.
<
Mmm … > feci io intento ad ascoltare … la
sentii irrigidirsi e
poi chiedermi: < Qualcosa non va? > la sua voce tremava.
<
No, no no … > le bisbigliai portando il capo dal suo
ventre al
suo seno e carezzandole il volto improvvisamente teso. < Sta
dormendo. Rilassati … il suo cuore è forte e
tranquillo. E
poi, ci siamo qui noi. Non devi preoccuparti. Però se hai
qualche dubbio, parlane con me o con Carlisle, prima di tormentare la
piccola. > arrossì e poi mi sussurrò:
< è
già successo e quando l’ho detto a Carlisle, lui
mi ha
risposto di stare calma e di fare così. In quel momento mi
ha
visitata velocemente e mi ha detto che era un po’ una mia
paranoia.
Non volevo disturbarlo di nuovo. > e poi, osservando la sacca,
mi
disse: < ma tu, ora stai andando a caccia? >
<
no, non preoccuparti … preferisco restare qui. Non voglio
lasciarti
sola. > e mi sedetti sul letto accanto a lei. Bella
però
fece finta di buttarmi giù dal letto e mi disse: < no
no no
… tu ora prendi e vai a caccia! Ne hai bisogno! >
rideva mentre,
dopo essersi portata a sedere anche lei, spingeva contro il mio
petto. Involontariamente, le afferrai i polsi e cominciai a baciarla.
Le mie labbra salirono fino al suo collo e la sentii abbandonarsi a
me. La portai delicatamente a sedere sulle mie ginocchia e spostai le
mie labbra sulle sue. Non fu il bacio dolce che speravo. Era
diventato un bacio passionale ed intenso. Tanto intenso che Bella si
inarcò sotto le mie mani per poter raggiungere meglio la mia
bocca.
Quando
ormai le mie mani erano sotto la sua camicia da notte, sentii bussare
alla porta aperta.
Controvoglia
mi voltai mentre mia moglie, ansimando leggermente, poggiava il capo
sulla mia spalla.
<
Edward … ma allora cosa vuoi fare? Capisco che stare qui sia
più
divertente che venire a caccia ma se andate avanti in questo modo,
rischia un parto prematuro. > inutilmente, tratteneva le risa.
Bella
aveva le guance in fiamme ma sorrideva serena, il che mi fece
decidere di non ammazzare Emmett seduta stante.
<
dai, Edward, vai. > mi sussurrò nascondendo il color
porpora delle sue guance nella mia camicia < Io ti aspetto qui
…
domani, quando mi sveglio, voglio vedere i tuoi occhi d’oro
… non
che quelli neri non mi piacciano … ma oro sono
così caldi …
> e, dopo avermi lasciato un casto bacio sulle labbra e sulle
guance, scivolò, con tutta la grazia permessa dal suo
pancione, sotto le coperte. Il tutto tra gli sbuffi esasperati di mio
fratello.
Mi
chinai per carezzarle la fronte con le labbra e poi, dopo un ultimo
tocco sulla sua pelle calda, lasciai la stanza.
<
Non stiamo via molto. > sussurrai ad Emmett.
<
No, non preoccuparti. Non voglio stare a sorbirmi tutte le tue
paranoie per molto. Stiamo via giusto il tempo necessario. > e
così, in un attimo, sparimmo nella notte …
E
quando la battuta di caccia fu conclusa, ai primi chiarori
dell’alba
oltre i confini del bosco, ritornammo alla jeep per cambiarci. Appena
ebbi indossato gli abiti puliti,presi il cellulare nella tasca
anteriore dei pantaloni insanguinati. Lo afferrai e mi accorsi che
era spento.
Lo
accesi e a mia mano tremò quando vidi che c’erano
dieci
messaggi in segreteria.
Il
numero di Carlisle.
Bella’s
POV
Edward
se ne era appena andato … sapevo che non avrei potuto
ammetterlo
davanti a lui, ma sentivo già la sua mancanza. Eppure, per
starmi vicino, era rimasto a soffrire la sete troppo a lungo.
Mi
rigirai nel letto e, tenendo le mani sul ventre, sospirai. Ad occhi
chiusi, pensai che ancora qualche settimana e poi avrei tenuto la mia
bambina tra le braccia. Sorrisi nell’oscurità.
Poi
qualcuno aprì la porta senza alcun rumore. Dopo pochi
istanti,
sentii Alice sdraiarsi al mio fianco.
<
Ciao, so che sei sveglia … > la sua voce era un
po’ tesa.
<
Ciao … che c’è? > le domandai
piuttosto sorpresa.
<
niente … > non era molto convincente. < voglio
farti
compagnia. >
<
Alice … > la rimproverai.
<
No, niente … non so bene perché, ma non riesco a
vedere bene
… sai, è tutto un po’ confuso. >
<
cosa è confuso? >
<
Domani mattina. Non saprei dirti. Vedo solo Emmett che esce di casa
sbattendo la porta. Odio i litigi. > mi voltai per abbracciarla
e
sentii le sue braccia gelide stringermi con delicatezza.
<
e la mia Elizabeth? La vedi? > le domandai emozionata
<
Sì > la sua voce era limpida, chiara. <
Piccola e molto,
molto vivace. >
ridemmo
e poi sbadigliai.
<
Bella, è notte … perché non dormi?
>
<
Uffa … quando Edward non c’è, prendi
sempre la brutta
abitudine di fare come lui. Una specie di guardia, ecco cosa sei
…
>
Rise
di nascosto e poi mi coprì la testa con il lenzuolo.
Visto
che ero stanca, ma davvero stanca, non continuai con le critiche e
lasciai che il sonno s’impadronisse di me.
E
anche quella notte, nella mia testa tornarono vividi i miei incubi.
E
nella mia corsa contro il tempo, le urla della mia bambina mi
invadevano la testa. Vedevo Aro che ci inseguiva, che mi inseguiva.
Mi afferrava per i capelli, buttandomi a terra e poi Jane, che era
apparsa mentre ero a terra, mi strappava la bambina dalle braccia.
Alec versava lacrime di sangue.
L’ultima
cosa che vidi, prima che tutto si sfocasse e si perdesse nel buio
della mia mente, furono le mie mani, protese verso Elizabeth, piccola
ed indifesa.
Mi
svegliai urlando.
In
un attimo, ero seduta. Le mie mani all’altezza
dell’ombelico
esercitavano una leggera pressione. Stavo ansimando.
<
Bella? > Alice era seduta ai piedi del letto, a gambe
incrociate.
Mi fissava ma non pareva preoccupata.
Ora
avevo portato una mano al petto, visto che il respiro non si era
ancora normalizzato.
<
Scusa … > biascicai mentre mi levavo le lenzuola dal
corpo.
<
Tutto a posto? Gridavi … > mi sussurrò
osservandomi
attentamente.
<
Sì, tutto a posto. Solo un incubo. > un altro incubo,
uguale ai precedenti.
Quello
che mi terrorizzava era quello che Aro mi aveva fatto notare, durante
i miei primi giorni in Italia.
Se
davvero i miei sogni mi suggerivano ciò che i miei occhi
ancora non riuscivano a scorgere, allora il mio futuro non sarebbe
stato come desideravo. Ne ero terrorizzata. Cercai di impedire alle
lacrime di sfuggire alle palpebre.
<
dove vai? > mi domandò sorpresa.
<
In bagno. > fu la mia risposta secca e poi le chiesi sarcastica:
<
Vuoi venire? >
Lei
mi guardò male. Scosse la testa ed uscì dalla
stanza. <
Vado a prepararti una camomilla. >
quando
mi fui chiusa la porta del bagno alle spalle, feci quello che dovevo
e poi mi sciacquai il volto con acqua gelata.
Cercai
di lavarmi via anche i residui di ansia, ricordo del sogno e poi mi
guardai allo specchio. Ero pallida almeno quanto il resto della mia
famiglia e le occhiaia intorno ai miei occhi facevano invidia a
quelle di Alice.
Accarezzai
la bambina dopo essermi sollevata la maglietta. Sentii il suo piedino
poco sotto lo stomaco.
<
Allora? Stai ancora dormendo? > domandai alla mia pancia a forma
di mongolfiera.
Come
risposta, un lieve movimento mi scombussolò ma non potei
fare
altro che sorridere.
<
Anche tu sei agitata? Dai, appena ritorna il papà vedrai che
andrà meglio. Lo obblighiamo a suonarci qualcosa. >
sospirando andai in cucina. La camomilla mi avrebbe aiutata sia a
calmarmi che a farmi passare quel mal di pancia che, da un paio di
giorni, mi dava fastidio. Certo, avrei dovuto tornare in bagno molto
presto … ma pazienza.
Esme
mi venne incontro appena mi vide in sala.
<
Bella, tutto bene? > mi domandò dopo avermi
accarezzato la
guancia.
<
Sì. Perché? >
<
Niente … sembri solo un po’ stanca …
forse sarebbe meglio che
tornassi a letto. Ti porto io la tisana. >
<
No … non preoccuparti. Ho voglia di camminare un
po’. Sto sempre
ferma. >
con
la mia sensualissima camminata da papera raggiunsi la cucina e fui
sorpresa di trovare Rosalie seduta al tavolo. Mi salutò con
un
cenno del capo e poi si voltò ad osservare Alice che stava
armeggiando con le tazze.
Mi
sorpresi quando entrambe si voltarono all’unisono e mi
fissarono
con delle espressioni davvero strane.
Poi
sentii un liquido caldo scendere lungo le mie gambe.
Arrossii
involontariamente mentre le mie mani raggiunsero all’istante
il mio
grembo.
<
Ah perfetto … Avviso Carlisle. > disse Rosalie
alzandosi in
piedi e scomparendo su per le scale.
<
Esme, portala in camera … > Alice parlò
talmente
velocemente che a stento capii le sue parole. Contemporaneamente le
mani di Esme si posarono sulle mie spalle.
Io,
che mi vergognavo da morire, farfugliai: < Ma ho appena fatto
pipì
in bagno … mi spiace … non capisco proprio come
sia accaduto!
Oddio che vergogna, scusami … ho bagnato il pavimento
… >
<
O, non è niente. Tesoro … non preoccuparti.
Vieni. Andiamo
di là … adesso arriva Carlisle. Rose è
andata a
chiamarlo. >
La
guardai confusa e lei, accarezzandomi mi sussurrò con un
sorriso ciò che io stavo inconsciamente rifiutando: <
Si
sono rotte le acque. La bambina sta nascendo. > rimasi
così
sconvolta e lasciai che mi guidasse per alcuni metri. Poi mi bloccai
e tornai indietro, verso la cucina.
Avevo
appena visto Carlisle entrare in camera con la sua valigetta nera in
mano. Alice stava sistemando gli asciugamani sulla scrivania.
Fui
colta dalla paura.
<
No, no, no, no. > dissi mentre mi voltavo, le mani sempre sulla
mia pancia.
<
Bella … > la voce di Esme era molto tranquilla.
< Su, non
fare così. Non avere paura. Carlisle ci sta aspettando.
>
<
No NO NO! > gridai io. < Non puoi farmi questo, cazzo!
Piccola
traditrice. È troppo presto, e non c’è
neanche tuo
padre! Ma cazzo, proprio oggi! > stavo letteralmente piangendom
in
piena crisi isterica. Esme mi fece voltare di nuovo e mi
obbligò
a percorre alcuni passi. < No, io non ci vengo in camera! La
bambina non sta nascendo! Aspetterà che torni suo padre.
Adesso andiamo di là e guardiamo la televisione …
Aspetterà
… > dissi con voce tremante. Non potevo partorire
senza Edward.
Non potevo e basta.
<
Bella, tesoro … la bambina non aspetta. Non vorrai che nasca
sul
pavimento … >
La
guardai sconfitta e non so come mi ritrovai sdraiata a letto. Vidi
Alice armeggiare al cellulare ed imprecare qualcosa che però
non riuscii a cogliere.
<
Bella, calmati … > mi disse Carlisle, dopo avermi
visitato. Ora
stava accarezzando il mio pancione.
Ringraziai
che Rosalie fosse rimasta al piano di sopra con Jasper (che non
avrebbe probabilmente resistito al sangue, nonostante le sue
capacità
mi sarebbero state molto utili ...)
Ero
a disagio nuda davanti al mio suocero-dottore,ad Esme e ad Alice, ma
davanti a lei sicuramente mi sarei sentita molto peggio. Il mio corpo
normale, oltretutto sformato dalla gravidanza, sarebbe stato un
insulto alla sua bellezza. Ciò che mi faceva più
male
era sapere che lei avrebbe però dato tutto, pur di trovarsi
nella mia condizione.
<
Bella … se continui ad agitarti in questo modo non
risolverai
niente. Cerca di tranquillizzarti. Ci vorranno ancora alcune ore.
Vedrai che Edward sarà qui in tempo … > e
mi sorrise.
<
Posso alzarmi? > domandai agitata.
<
Certo. > e, senza smettere di sorridere, mi aiutò a
rimettermi in piedi e ad infilarmi una vestaglia.
Senza
dire niente, afferrai il cellulare vicino alla pila di asciugamani e
lenzuola e composi il numero di Edward. Camminavo agitata da una
parte all’altra della stanza. Sembravo una pazza mentre Esme
e
Carlisle, perfettamente sereni, almeno all’apparenza,
restavano
immobili appoggiati alla scrivania.
Alice,
in bagno, stava riempiendo la vasca di acqua calda.
<
Rispondi! Edward, rispondi! > gridai piangendo quando un bip mi
segnalò la segreteria telefonica.