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Autore: Sheep01    19/06/2014    8 recensioni
Si concentrò sulla schiena solida del fratello. L’unica cosa concreta a dargli un senso di stabilità e calore.
Barney era tutto per lui. Fratello, amico, consigliere, padre e madre assieme. Lui che del padre ricordava solo la voce tonante e l’alito che sapeva di alcool e il peso delle sue percosse. Che della madre ricordava solo il profumo dei suoi capelli e i singhiozzi spezzati, umiliati, nella notte. Il fratello era stato il pilastro della sua vita, l’unico esempio da seguire. Protettore e cavaliere dall’armatura scintillante. Ed ora il suo salvatore.
[A Tribute to Clint Barton]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 22

 

[Harold & Edith]

 

“Ricorda che la cosa più triste nella vita è il talento sprecato. Puoi avere tutto il talento del mondo, ma se non fai la cosa giusta, non succede niente.”

(Bronx)

 

*

 

Waverly.

Iowa.

Il tempo era cupo. Prometteva un temporale che stentava ad arrivare. Costipato come un raffreddore.

L'autoradio mandava una vecchia canzone degli Who.

Sembrava che Barney avesse previsto tutto per il viaggio: una macchina di quelle fatte apposta per correre sulle autostrade. Una Mustang rossa e nera che appena Clint l'aveva vista si era illuminato tutto alla prospettiva di poterla guidare.

“Te lo scordi” gli era stato risposto. E aveva dovuto minacciare il fratello con una matita per avere almeno la concessione di qualche chilometro su quel bolide. E una colonna sonora degna di un vecchio viaggio on the road.

Avevano cantato come due ragazzini per tutto il tragitto, prima di arrivare al cartello che annunciava il benvenuto nella ridente cittadina di Waverly.

Lì le cose si erano fatte più silenziose: l'atto sacrale di rimettere piede, per la prima volta dopo il funerale dei loro genitori, nella città che aveva dato loro i natali.

“Non mi sembra come la ricordavo.”

“Sono passati quasi trent'anni, Clint, che ti aspettavi?”

“Non lo so.”

E Clint non lo sapeva davvero.

Sapeva solo di aver cominciato ad avvertire un principio di nausea non richiesto.

 

*

 

Il ventre gli procurava stilettate di dolore ogni volta che provava a respirare. Cosa non facile, dato che, da quanto gli avevano detto a scuola, l'ossigeno poteva arrivare al corpo solo grazie all'apparato respiratorio.

Se teneva schiacciato con le mani, però, il dolore sembrava diminuire... di poco.

E allora era da almeno dieci minuti buoni che se ne stava rannicchiato nel giardino di casa,  appostato dietro al capanno degli attrezzi, le braccia sul ventre. Sperando di riuscire almeno ad attutire il dolore.

Le grida di suo padre si erano estinte da un po', ormai.

Ma mai e poi mai sarebbe rientrato a casa. Non fino a quando non si sarebbero spente le luci del salotto, a confermargli finalmente che Harold se ne era andato a dormire. O che Edith lo aveva, letteralmente, trascinato a letto.

Era tornato a casa ubriaco. Non una sconcertante verità. Harold Barton era conosciuto per la sua – come la chiamavano in giro? – predilezione per le bevande di fuoco. Un eufemismo. Diciamo pure per le sue strabilianti doti di spugna da taverna.

Un ubriacone da strapazzo.

Un cazzo di alcolista dalla mano pesante.

Clint non era nemmeno sicuro di aver fatto qualcosa di male stavolta, a parte, forse, non avere nessunissima intenzione di finire le sue verdure.

Un pretesto per alzare la voce, per fargli scattare la mosca al naso. Edith non era nemmeno riuscita a mettersi in mezzo stavolta. Harold gli aveva mollato un manrovescio che lo aveva scaraventato dalla sedia. E quando aveva provato ad azzardare una protesta, priva di qualsivoglia diplomazia filiale, gli aveva assestato un calcio dritto nello stomaco. Per un ubriacone che a malapena riusciva a star dritto, una forza tutt'altro che trascurabile.

“Non vuoi mangiare quelle cazzo di verdure? E allora non ti serve un cazzo di stomaco!” era ricaduto sulla sedia. Aveva a malapena registrato la voce di Barney che protestava, che cercava di sedarlo. Edith aveva provato a rimetterlo in piedi ma Clint aveva declinato il patetico invito, scostandosi. Si era rimesso faticosamente in piedi e infine era sgattaiolato fuori dalla porta di casa, mente sapeva il diavolo che cosa Harold gli stesse gridando dietro.

Sperò ardentemente che non sarebbe mai stato abbastanza lucido per tornare all'attacco, quella sera.

 

*

 

Non fu facile orientarsi immediatamente in città. Erano passati così tanti anni. Le case tutte uguali, i giardinetti curati, tutti alla stessa maniera, persino gli stessi modelli d'auto.

Clint considerò di essere ormai troppo abituato a New York. Alla sua diversità, la sua unicità, rispetto a tutte le cittadine fuori dal distretto.

Constatò che no, quella città non era affatto come la ricordava. Pochi anche i vecchi negozi che rammentava: il vecchio ferramenta (proprietario il buon Jeremy che dispensava consigli, che gli aveva insegnato i primi rudimenti di meccanica) era stato sostituito da un negozio di tatuaggi. Il giornalaio (dove lui e Barney compravano fumetti da una vita) si era trasformato in un nuovo, scintillante Diner. Mentre il negozio di animali, quello all'angolo con il campo da basket, era diventato un negozio di abbigliamento.

Ma qualcosa era rimasto: la colorata pompa di benzina, anche se verniciata di fresco, ancora lì, ben visibile, con la sua vecchia, consunta insegna della Coca Cola. Quella stessa insegna che i ragazzini si divertivano a prendere di mira con i pallini per la fionda.

Ed era ancora lì la vecchia chiesa, dove, ben vestiti e pettinati con la riga di lato, i loro genitori li accompagnavano alle immancabili funzioni domenicali. Si trasformavano tutti, la domenica. Sia fisicamente, che moralmente. Persino suo padre, ripulito e sobrio sembrava quasi una brava persona, timorosa di Dio. O di padre Norris che per i sermoni infuocati che pronunciava, avrebbe fatto temere l’inferno al più diabolico dei suoi fedeli.

E lì, ancora, era la loro vecchia scuola. Mutata nell’aspetto, fresca di ristrutturazioni. Sulla facciata orientale, dove una volta non c’erano che rampicanti, ora murales dalle scritte incomprensibili e disegni fantasiosi e coloratissimi. Chissà se la signorina Carmichael, l’insegnante di inglese insegnava ancora lì. E chissà quanto era invecchiata. Clint la ricordava giovane, magra e gentile.

Non mutato il fiume. Quello dove spesso andavano a pescare, da bambini. Ricordava ancora gli ammonimenti della madre. Nessun bagno, ci era morto un bambino lì, anni prima. Assurdo come si preoccupasse di evitare che si facessero male quando poi non riusciva a muovere un dito contro il marito, quando alzava su di loro il pugno di ferro.

Clint osservava tutto questo, mentre Barney lo portava sempre più vicino a quella che era stata la loro vecchia casa. Clint riconobbe un’altra delle cose che non erano mutate: il muretto all’inizio della via.

 

*

 

“Devi... è tutta una questione di polso, sai?”

“Di polso.”

“Sì, Clint, guarda… come faccio io.”

Barney aveva fra le mani un sacco di monetine.

“Devi prendere queste. Da cinque centesimi. Le altre sono troppo leggere o troppo pesanti. I cinque centesimi sono perfetti. Hanno il peso, e la consistenza… giusta.”
Lo vide selezionare solo quelle e rimettere nelle tasche le altre. Clint non si chiese dove le avesse prese.

Su un muretto, di fronte a loro, stavano una serie di bottiglie di birra vuote. Non così difficili da trovare nella spazzatura. Harold aveva fatto giusto una cosa buona nella sua esistenza da ubriacone: procurargli materiale d’allenamento.

“La forza sta nel polso, il giusto… contraccolpo.” Calibrò la forza e dopo aver preso la mira, aveva sganciato la monetina che si era schiantata sulla bottiglia. Un centro pieno e questa era traballata fino a finire a terra, sparpagliandosi tutt’attorno, in frantumi di vetro.

“Fico.” Aveva commentato Clint, “fammi provare.”

Barney gli aveva passato una monetina.

“Ricorda la forza… nel polso.”

Clint prese la mira. E lanciò.

La bottiglia barcollò appena, ma non cadde.

“Troppo poca forza.”

“E' il mio primo tentativo.”

“Giusto. L'importante è che tu l'abbia centrata.”

Clint sorrise. La mira non gli era mai mancata.

“Riprova.”

Clint riprovò. La bottiglia barcollò, si mosse... e cadde.

“Evvai!”

“Fate silenzio, bastardi!” la voce al di là delle tende della finestra di casa.

 

*

 

Parcheggiarono la macchina proprio fuori dal vialetto. Le erbacce nel giardino antistante erano così alte che quasi non si vedeva il lastricato di pietra che conduceva all'ingresso.

Clint aggrottò la fronte, un vago brivido gli aveva percorso la schiena. La casa era diroccata, antica, scrostata sui muri di legno. Una finestra era rotta e polverosa.

“Credevo... che qualcuno l'avesse comprata.” si ritrovò a commentare, sporgendosi appena dal finestrino.

“Non l'ha comprata nessuno.” Barney.

“Lo sapevi?”

“Sì. Non l'ho mai venduta.”

Clint si volse a osservarlo, perplesso.

“Non sapevo nemmeno fosse... ancora nostra.”

Barney spense il motore della macchina e si strinse nelle spalle: “L'ho riscattata.”

“Perché?”

“Non lo so. Forse perché è la prima casa in cui abbiamo vissuto. Forse perché... non lo so Clint. Non hai mai fatto qualcosa di totalmente irrazionale?”

“Come no?”

“Allora lo capisci.”

Ma Clint no. Non lo capiva. Non avrebbe mai voluto essere proprietario di una cosa che in passato gli aveva procurato... tanto dolore.

“Questo significa che possiamo entrarci senza chiedere il permesso a nessuno, no?”

Barney annuì.

“Suppongo di sì. Sempre che non ci crolli addosso.”

“Sarebbe proprio l'ultima beffa.”

Clint aveva aperto la portiera ed era sceso dalla macchina. Il tintinnio del campanellino che proprio Edith aveva messo all'ingresso, anni prima, ora smosso dal vento fu di nuovo in grado di riportarlo indietro nel tempo.

 

*

 

“Non ci sono soldi. Non ci sono più soldi!”

Harold non aveva fatto altro che urlare per tutta la sera.

“Come cazzo è possibile che tu sia una così pessima amministratrice!”

“Ho usato quei soldi per le bollette. Un p-po' di spesa al market” aveva protestato Edith, appostata contro il bancone della cucina, la voce flebile, atterrita. Il marito aveva bevuto di nuovo.

“Ti avevo detto di usarli con parsimonia!”

“L-ho, fatto per l'amor di Dio, Harold, l'ho fatto!”

Clint e Barney si erano alzati dal letto e avevano sceso le scale, sbirciando quello scambio di battute attraverso lo spiraglio della porta della cucina. Impossibile rimanere a dormire, comunque.

“Non l'hai fatto! Quella camicetta che indossi! Non te l'ho mai vista! Da dove cazzo è saltata fuori, ah?”

“E' un regalo Harold! Un regalo della nostra vicina! Non le stava più, praticamente nuova, me l'ha regalata lei!”

“Certo e quelle diavolerie tintinnanti all'ingresso? Anche quelle un regalo? Stronzate! Sono stronzate Edith! Da quando hai cominciato a frequentare quelle tue amiche non fai altro che mentirmi, e ingannarmi! E inoltre sperperi tutti i soldi che IO faticosamente porto a casa! Sei un'ingrata. Un'ingrata puttana!”

“N-no Harold, ti prego, ti prego!”

L'uomo le si era pericolosamente avvicinato e non ci volle molto ai due ragazzini, per avvertire, nitido, il rumore di uno schiaffo. Violento. Assordante nella sua eco.

“Harold no! Per favore no!” la voce della madre che si spezzava in singhiozzi e il rumore di piatti che cadevano al suolo.

Clint non era riuscito a fermarsi ed era partito alla carica.

“Clint! No!” Barney si era precipitato a un disperato inseguimento giù per quelle scale, ma il fratello aveva già raggiunto il padre e caricato come un ariete, lo aveva colpito alla schiena facendolo barcollare.

Harold era un uomo così massiccio che sarebbe stato impossibile stenderlo davvero. Non per uno della stazza di Clint. Non per un ragazzino di dieci anni.

“Bastardo pezzo di...”

Clint si era sentito colpire al viso. E poi allo stomaco. E poi di nuovo al viso. Si era sentito prendere per la collottola, trascinare lungo tutta la cucina. Aveva scalciato, graffiato, strepitato. Aveva sentito la voce di Barney che gridava, implorava Harold di smetterla, senza alcun risultato.

Harold continuava a colpire, senza tregua. Finché il suo viso non fu che un ammasso di sangue, un groviglio formicolante. Il fischio alle orecchie fu tutto ciò che sentì prima che il mondo divenisse buio, per molto... moltissimo tempo.

 

*

 

La porta d'ingresso scricchiolò sui cardini. Vecchia, mai più riaperta. La puzza di muffa e chiuso aleggiava ovunque, colpendo in stilettate.

Barney si avvicinò alla finestra rotta e l'aprì, facendo entrare la luce.

La casa, placidamente invecchiata sotto strati di polvere e ragnatele era ancora lì. Immutata. Pochi i mobili rimasti.

“Che fine ha fatto tutto quanto?” domandò Clint, immaginando un assalto di topi d'appartamento.

“Ho dato tutto in beneficenza. Tutto quello che poteva... essere utile. Ho fatto male?”

“Hai fatto... benissimo.”

Camminò lungo il corridoio, allungando il collo per sbirciare attraverso il salotto, la porta della cucina. Le scale che portavano al piano di sopra, alle camere da letto.

Alle pareti ancora erano appesi dei quadri. Un paio erano caduti a terra, vinti dalla forza di gravità o da un chiodo troppo debole.

Si chinò per raccoglierne uno. Era una fotografia di famiglia. Una delle rare fotografie di famiglia. Non era sicuro di sapere perché Edith ci tenesse così tanto a mantenere quell'immagine fasulla. Non erano mai stati una famiglia felice. O almeno non lo erano stati dacché il padre aveva preso a cancellare a colpi di bottiglia e alito fetido tutto il buono che poteva esserci stato in passato.

“Eri già brutto da bambino.” Barney alle sue spalle si era sporto per guardare cosa avesse attirato l'attenzione del fratello. La voce però non sembrava particolarmente divertita.

“Ha parlato. Guarda che razza di ciuffo avevi.”

“Erano pur sempre i meravigliosi anni settanta!”

“Meravigliosi erano gli anni, non la tua pessima imitazione di un hippie”

Barney gli batté una mano sulla spalla e sbuffò una risata.

“Ora che siamo qui... cosa dobbiamo cercare?” fece pratico, forse per non dover cedere all'attacco di malinconia che rischiava di far precipitare Clint.

“Non lo so. Natasha... mi ha solo dato un indirizzo. E un aggeggio per rintracciare il GPS del telefono.”

“Perché non è venuta lei?”

“Perché Natasha ed io siamo i migliori e lo SHIELD non poteva permettersi una licenza per entrambi.” lo prese in giro.

“La dura vita dei servizi segreti. No, davvero, perché non è venuta anche lei?”

“Barney ho capito che ci tenevi a rivederla, ma la prossima volta, se proprio non puoi farne a meno ti invito a New York e la saluti.”

“Imbecille. Non volevo minacciare la tua relazione.”

“Quale relazione?”

Barney fece roteare gli occhi e gli strappò la fotografia di mano.

“Puoi anche raccontarmi qualcosa ogni tanto... senza che debba intuirlo, sai?”

“Non c'è niente da raccontare...”

“D'accordo.” fece con aria contrita, appendendo la foto, proprio lì dove sembrava essersi sganciata. Rimase dov'era, un po' sbilenca. Il paragone alla loro vita spezzata sembrava calzante.

Clint prese a salire le scale per il piano superiore.

 

*

 

“Clint. CLINT.”

Il ragazzino, seduto alla scrivania di camera sua, intento a risolvere una complicatissima operazione matematica si era voltato solo all'ennesimo richiamo.

Edith gli aveva sorriso un po' titubante. Dopo l'incidente del padre, delle botte, aveva gradualmente recuperato l'udito. Il timpano ne era rimasto compromesso a lungo: ora lentamente stava tornando a sentire. Tanto era stato il sollievo della madre che era scoppiata in un pianto isterico. Nessuno aveva potuto raccontare come erano andate veramente le cose.

“Ho pensato che potessi avere fame.” posò sulla scrivania un vassoio con un piatto colmo di pane e marmellata e un grosso bicchiere di succo d'arancia.

Clint aveva osservato quell'inaspettato gesto di carineria con sospetto. Sua madre si sentiva in colpa. Odiava... quando lo mostrava in modo così plateale.

“Grazie.” aveva risposto. A malapena riusciva a percepire il tono della propria voce.

Lei... non era nemmeno riuscita a dirgli che le dispiaceva.

Lo stupì quando non se ne andò immediatamente. In quelle settimane di completa sordità, aveva imparato ad affinare gli altri sensi. La percepiva, tangibile la presenza di qualcun altro in una stanza. Ed Edith era rimasta a guardarlo a lungo.

“Che cosa vuoi?” le aveva domandato. Non senza sentirsi in colpa, come sempre, per quell'accusa che le rivolgeva ogni volta che parlava con lei. Sua madre era solo una persona troppo debole, fragile. Clint lo avrebbe capito solo anni dopo. Molti anni dopo.

Non sentì tutto quello che aveva da dire, ma nel borbottio sommesso, intuì o sperò di capire solo un: “Un giorno ve ne andrete da qui... e farete la vostra strada, tu e Barney. Crescerete e ve ne andrete e avrete tutto ciò che non sono stata in grado di darvi.”

 

*

 

“Woah... questa si che è bella. Ci sono ancora appesi i poster di Star Trek.”

Clint sentì davvero quella botta di mestizia e malinconia. Malinconia di giorni andati, di serate passate a leggere fumetti coprendo la lampada dell'abat-jour, per impedire che i loro genitori si accorgessero che erano ancora svegli. A raccontarsi le avventure giornaliere. Di come avevano preso in giro George McFly, che erano sicuri avesse i brufoli anche sul sedere, del bullo della scuola che aveva menato dei ragazzini del primo anno, in biblioteca. Di quella rana morta accanto al fiume, della ragazzina bionda dell'ultima fila. Delle immagini sconce in quelle riviste che avevano rubato al fratello maggiore di Michael Madden.

Di tante cose, cose futili ma così tremendamente importanti per due ragazzini.

“Sono talmente vecchi che potrebbero valere ancora qualcosa, lo sai?” disse Barney, andando a constatare lo stato effettivo di uno dei poster.

“Perché, hai bisogno di soldi?”

“Non particolarmente, ho un account e-bay praticamente morto. Era una scusa come un'altra per riattivarlo.”

“Io dico che potremmo portarceli a casa. Ci starebbero da dio sul mio letto.”

“Allora io prendo quello di 2001 Odissea nello Spazio.”

“No, quello era mio.” se lo era comprato con il compenso che Jeremy il ferramenta dava loro per la raccolta di tappi e bottiglie di birra.
“Non puoi avere tutti e due!”

“Tiriamo a sorte!”

“E sorte sia.”

 

*

 

“Un dollaro.”

“Un dollaro intero?” Clint era saltato su come se avesse appena vinto la lotteria.

“Un dollaro intero.” Jeremy il ferramenta pagava sempre i suoi debiti. Il viso largo e simpatico, il naso storto, per i trascorsi da pugile. Era basso e tarchiato, ma massiccio. Clint e Barney passavano lì molti dei pomeriggi d'estate. Accano al ferramenta c'era un bar, e succedeva spesso che Jeremy offrisse loro una granita o una fresca limonata.

“Hai lavorato bene. Un sacco di bottiglie e tappi. Quel che è giusto è giusto.”

“Grazie! Mi ci compro un miliardesimo di fumetti con questi.”

“Un miliardesimo mi sembra adeguato.”

“Eccome no?”

“Lo stampano ancora... quel... Batman?”

“Eccome no? E' fichissimo. Ha un sacco di armi. E un sacco di soldi. Io un giorno avrò tutti quei soldi e tutte quelle armi”

“Armi... per fare cosa le armi?”

“Per sconfiggere i nemici.”

“Cosa ne sai tu, dei nemici?” gli aveva domandato Jeremy, che in realtà (Clint lo aveva capito solo anni dopo) intuiva perfettamente quali erano i suoi nemici. Quelli insospettabili, quelli rinchiusi dietro le quattro mura domestiche. Quelli che nessuno osa denunciare.

Clint aveva però solo scrollato le spalle e passato un dito sul naso nascosto da un grosso cerotto: l'ultimo regalo del padre, che, casualmente, era stato giustificato con una caduta dalla bicicletta.

“Dovresti cominciare col mettere su un po' di muscoli, prima di decidere di usare le armi. Io mi ricordo che Batman era pieno di muscoli.”

“Eccome no?”

“A tuo fratello ho insegnato un paio di mosse niente male.”

“Allora sei stato tu?”

“Certo... chi altri?”

“Barney mi aveva raccontato di aver imparato tutto da solo.”

Jeremy aveva sorriso.

“Nessuno impara niente... da solo.”

Quella era stata la sua prima, vera lezione di vita.

 

*

 

“A-ah! Duemilauno è mio.”

“Bella forza hai vinto una cosa che era già tua. Star Trek me lo porto a casa io.”

Barney aveva cominciato a levare i poster dalle pareti.

Clint si era affacciato alla finestra, a guardare fra le persiane tirate.

“E' evidente che qui non c'è niente da cercare.” mormorò, levandosi di dosso lo zainetto che portava con sé e mettendosi a sedere sul letto alzando una nuvola di polvere.

Tossì un paio di volte, prima di tirar fuori il tablet che Natasha gli aveva fornito. Armeggiò qualche istante, prima di cercare il programma specifico.

“Che fai?”

“Cerco di capire quale sarà la nostra prossima tappa.”

 

*

 

“Devi essere più rapido Clint. Uno, due, colpisci!” Barney, in posizione da pugile. Clint aveva dovuto raccontargli del suo scambio di battute con Jeremy. E pretendere che gli insegnasse qualcosa.

Clint provò con un paio di pugni, in rapida sequenza.

“No, non così. Così fai solo vento.”

“Perché colpisco, il vento!”

Barney aveva scosso la testa: “Allora prova a colpire me.”

“Te? No.”

“Sì. Me. E sì, fallo, non sono così fragile, sai? Uno, due, colpisci!” gli aveva fatto vedere di nuovo, in rapida sequenza, “dritto allo stomaco.”

Clint si era scompigliato i capelli, e si era rimesso in posizione, dubbioso.

“Uno, due... colpisci.” lo aveva spronato di nuovo, a mezza voce il fratello.

Uno.

Due.

Colpisci.

“Ouch!”

Clint si era sentito immediatamente in colpa.

“Porca m-miseria, che gancio.”

“Scusami!”

“No, no... scusami tu, per averti sottovalutato.”

Se non altro sembrava divertito.

 

*

 

“Allora che dice quell'aggeggio?”

Clint fece una smorfia.

“Forse non funziona.”

“Nessun segnale?”

“Uno.” la sua espressione così seria che Barney lo divenne per riflesso.

“E... dunque?” gli aveva chiesto.

“E dunque... è il cimitero.”

Barney produsse una smorfia che era tutto un programma.

“Questo tizio, chiunque sia, si sta divertendo in modo perverso, Clint.”

 

*

 

Il campanello suonò sulle note d'inizio del loro programma televisivo preferito.

Uno scampanellio e un paio di colpi alla porta, insistenti.

Per una volta che potevano guardare la tv, la sera, senza che ci fosse il completo monopolio del padre, venivano anche interrotti.

Harold e Edith non erano ancora tornati. Erano andati fuori città per delle commissioni.

Barney si era alzato titubante, andando alla porta. Clint aveva posato la scatola di biscotti e lo aveva seguito con lo sguardo, prima di decidersi ad andargli dietro.

Erano le otto di sera, e faceva caldo. L'estate ormai alle porte.

La scuola sarebbe finita in un paio di settimane. L'atmosfera era leggera. Distesa.

Sbirciarono fuori dalla finestra solo per trovare gli abbaglianti di una macchina della polizia.

Non uno spettacolo poco noto. Diverse volte i vicini avevano chiamato per denunciare i rumori molesti in casa loro.

Ma stavolta non era successo niente. Non c'era Harold ad alimentare grida e violenza.

E allora... perché erano lì?

Barney aprì la porta, trovandosi di fronte un poliziotto. Un uomo sulla cinquantina, i capelli grigi, l'aria gentile, ma stranamente greve.

“Possiamo fare qualcosa per lei?” aveva esordito Barney, che sapeva sempre come parlare agli adulti.

Clint, al suo fianco, continuava a fissarlo, come se si aspettasse di sentire quelle parole: “Ragazzi... devo... darvi una brutta notizia.”

Non capì il perché del suo tono così contrito. Dopotutto, nemmeno li conosceva.

“I vostri genitori... c'è stato un incidente.”

Barney era rimasto serio e stoico, come sempre. Clint rigido, al suo fianco, continuava a fissare il poliziotto.

Muoviti a parlare. Muoviti maledizione.

“Non c'è stato niente da fare... mi dispiace... ragazzi.”

Barney non reagì se non con un verso strozzato. Ma la prima premura l'ebbe per lui, per il fratello minore, per Clint.

“C-Clint.” gli aveva messo una mano sulla spalla, come se si aspettasse di vederlo crollare, cedere, piangere, strepitare.

Eppure Clint non aveva emesso un verso. Continuava a fissare il poliziotto, come se si aspettasse che gli dicesse che era tutto uno scherzo.

Non si era nemmeno voltato a guardare Barney. Continuava a tenere lo sguardo fisso su quell'uomo. Quell'estraneo che sembrava tanto dispiaciuto per loro.

Uno sguardo che, improvvisamente, divenne quasi ostile, di sfida.

“Bene.” aveva detto Clint. Dopodiché non parlò più per il resto della serata.

 

*

 

Nemmeno il cimitero sembrava più lo stesso. Forse perché non era... più lo stesso. Si era ingrandito. Come se in tutti quegli anni fosse stata costruita un'altra città, fatta di fantasmi del passato.

Le tombe tutte uguali, disposte in candide file.

Clint ricordò per un macabro attimo, i cimiteri militari. Fatti di lapidi e croci.

I cimiteri... non gli erano mai piaciuti.

Si trovarono a percorrere la strada che li aveva condotti lì quando non erano altro che due mocciosi spaventati dal futuro.

Da quegli assistenti sociali che, dopo aver sbrigato un sacco di pratiche inutili, non avevano trovato altra collocazione che un orfanotrofio fuori città.

Gli avevano però permesso di stare dai vicini, il tempo di ovviare le funzioni funebri dei genitori.

Quel giorno era stato frenetico. Clint e Barney non avevano versato una sola lacrima.

Quella notte, non avevano dormito.

Il futuro, la loro nuova vita, ricominciava esattamente da lì.

Buffo come ci fossero dovuti tornare, come un circolo che giungeva alla sua chiusura.

“Che dice il GPS?”

Clint sbuffò qualcosa, calcandosi il berretto sulla testa. Aveva ricominciato a far caldo. Erano solo gli inizi di marzo, che diamine.

“E' qui. Da qualche parte.” le mani avevano preso a sudargli, nemmeno lui sapeva perché.

Chiunque fosse stato a chiamarlo doveva essere lì, da qualche parte, proprio in uno dei luoghi che risvegliavano i suoi ricordi peggiori.

O migliori? Ricordi che gli avevano permesso una rinascita, dopotutto.

Si avviarono lungo il sentiero, come trascinati da una forza sconosciuta.

In pochi minuti erano giunti proprio lì, nel luogo in cui avevano seppellito i loro genitori.

Due lapidi.

All'ombra di una conifera.

Harold Barton.

Edith Barton.

Amati genitori.

Nessuno sembrava essersi preso grande cura di loro, in tutti quegli anni.

Clint si avvicinò per spazzare via delle foglie morte che coprivano la lapide.

Erbacce in ogni dove.

Si chinò per strappare anche quelle.

Barney non ebbe nemmeno bisogno di chiedere cosa stesse facendo o perché. Lo aveva avvicinato e aveva cominciato a fare esattamente la stessa cosa.

In silenzio, stavano riportando alla luce ricordi d'infanzia sepolti, in una sorta di inconsapevole pacificazione.

 

*

 

“Ci siete?” Barney e Clint in piedi nel portico, calzoncini e maglietta, stavano osservando il padre che caricava in macchina un sacco di attrezzatura da pesca.

“Dove andiamo, pà?”

“A pesca! Non avevate detto di voler provare con la pesca?”

“Ma... adesso?”

Clint non riusciva ad articolare una frase. Suo padre, così di buonumore, non lo aveva visto mai. Forse c'entrava qualcosa con il fatto che aveva ottenuto dei finanziamenti per un progetto presentato al comune, oppure al fatto che la sera prima avevano sentito risate e chiacchiere sommesse provenire dalla stanza che condivideva con la mamma. Oppure la visita di quel suo collega baffuto che non aveva fatto altro che sganciargli pacche sulle spalle.

O ancora, il fatto che fosse da almeno un mese buono, che non toccava alcool.

“Adesso! Se no quando?”

Edith uscì in quel momento con una cesta fra le mani.

“Il vostro pranzo.”

“Grazie bambolina...” le aveva persino schioccato un bacio sulla guancia. E sistemato anche il cesto nel bagagliaio.

“Allora vogliamo andare o rimanete li a fissarmi come due baccalà tutta la mattina?”

Clint dopo un lungo istante di smarrimento era stato il primo a muoversi. Valeva quasi la pena approfittarne. Per un glorioso pomeriggio erano sembrati una famiglia felice. Solo uno spiraglio di tutto ciò che avrebbero potuto avere.

 

*

 

Terminarono i lavori che era appena passato mezzogiorno. Caricato le erbacce e gettate in una cesta rubata lì accanto, abbandonata da chissà chi. Le lapidi avevano riconquistato una certa dignità.

Brillavano sotto il sole primaverile.

“Cosa credi che penserebbero di noi... se fossero ancora vivi?” domandò Barney a bruciapelo. Una di quelle domande a cui sarebbe stato difficile dare una risposta. C'erano troppe varianti da considerare. Se non fossero mai rimasti orfani? Se non fossero mai finiti in un circo? Magari sarebbero rimasti ingabbiati nella vita di una pigra cittadina dell'Iowa. O magari sarebbero fuggiti ugualmente, un giorno o l'altro e sarebbero diventati qualcun altro. Con un lavoro diverso... una vita... diversa.

“Credo che sarebbero gelosi dei nostri stipendi.” aveva scherzato Clint, con un mezzo sorriso.

Mentre rimaneva non detta, la consapevolezza che, forse, sarebbero solo stati felici di sapere che, dopotutto, non erano riusciti a farsi odiare fino alla fine.

Da adulto tendi a vedere le cose sotto un altro punto di vista.

In quel momento Clint considerava di aver avuto due genitori, entrambi schiacciati dal peso della loro stessa vita, della loro immensa fragilità, vittime dei loro stessi fallimenti, incapaci fino alla fine di rialzare la testa, di una qualsivoglia redenzione.

Clint pensava che lui e Barney avessero fatto solo un buon lavoro.

Era importante ricordare sempre cosa li aveva condotti fino a lì, e impedire di lasciarsi sopraffare da quello stesso, incalcolabile peso.

 

“Vado a buttare via questa robaccia.” aveva dichiarato Barney dopo qualche minuto, forse stufo di tutto quel silenzio, puntando verso uno dei capanni del custode.

Clint era lì lì per seguirlo, cercando di capire cosa fare, quando il telefono che teneva nella tasca dei pantaloni prese a squillare.

I suoi sensi entrarono all'erta, uno dopo l'altro. Aveva estratto il cellulare e notato sul display la risposta che attendeva.

Phil Coulson.

Ancora lui, tornato dal mondo dei morti. Ironico accadesse proprio in un cimitero.

Non attese ulteriormente... e, ignorando il rimescolio allo stomaco, rispose, quasi aspettandosi di non sentire niente altro che il tu-tu-tu, del cellulare.

“Dove sei?” la voce gli era uscita più rabbiosa di quanto immaginasse, quando si era reso conto che la linea era attiva... e vigile.

“Voltati.” dall'altra parte della cornetta una voce che non era affatto quella del collega e amico.

Clint fece esattamente ciò che gli veniva chiesto. E non represse un sussulto di sorpresa e frustrazione quando accanto a un albero frondoso, in tutto il suo oscuro splendore, stazionava il... direttore Fury?

“Non ci posso credere...” lo stomaco adesso era un groviglio di sconcerto e rabbia, “dannato figlio di...”

“Attento a come parli Barton.”

“E' uno scherzo?”, domandò Clint, riattaccando, dirigendosi come una furia nella sua direzione, “Mi dica che è uno scherzo!”

Fury aveva alzato le mani in segno di resa. Pronto a una spiegazione se solo Clint gliene avesse dato il tempo.

“E' stato lei? Per tutto questo tempo?”

Fury si limitò ad annuire, senza nemmeno tentare di nascondere la cosa. O di fargliela prendere meno negativamente.

“Perché?” una sola, diretta, rabbiosa domanda.

“Perché avevo bisogno di incontrarti e parlare con te in un luogo insospettabile, senza avere contatti diretti con nessuno dei dispositivi di cui lo SHIELD è a conoscenza.”

“E non poteva, che ne so... dirmelo a voce?”

“Non ero in città Barton, te ne sarai accorto anche tu. Inoltre questo era l'unico modo per convincerti a fare le tue ricerche. Sapevo che non avresti tardato.”

“Un modo subdolo e totalmente... da stronzo.”

“Barton.”

“Che c'è? Ho detto da stronzo, non ho detto che lei è uno stronzo, se si sente tirato in causa sono fatti suoi.”

Fury non sembrò prendere provvedimenti solo perché, forse, si era reso conto di aver calcato un po' troppo la mano. Gli porse il cellulare di Coulson, come a erigere una tregua. Clint glielò strappò quasi di mano.

“Barton, ci sono delle questioni di cui dobbiamo discutere.”

“Oh, certo, questioni. Ha messo in piedi un macabro teatrino per parlarmi di queste... questioni e allora sentiamole, le sue questioni!”

“Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.”

Clint cercò di reprimere la risposta sarcastica e totalmente fuori luogo che gli stava sgorgando dalle labbra.

“Per lei o per lo SHIELD?”

“Per me, Barton.”

Clint perse tutta la voglia di scherzare. Dacché conosceva Nick Fury, non si era mai sentito chiedere un favore personale.

“Se questo... è un altro scherzo, io...”

“Non ho mai voluto scherzare. Ti sembro uno che ha voglia di scherzare?”

“Devo risponderle?”

“Direi di no.”

Clint sbuffò e infine, solo infine... annuì.

“Che cosa... vuole che faccia?” gli domandò.

Fury si frugò nella tasca della giacca, tirando fuori una chiavetta USB.

“Trovi tutto qui dentro. E... mi raccomando.” gli lanciò uno sguardo che sapeva di ammonimento, “Non una parola con tuo fratello. La CIA non deve essere coinvolta.”

Clint fece una smorfia, ma annuì. C'era davvero bisogno di specificarlo? Si era preso la briga di mettere in piedi un piano tanto complicato e macchinoso per poi domandargli davvero di non farne parola con nessuno?

Il tempo di sentire il richiamo di Barney e voltarsi per un solo istante, nascondendo il cellulare, che Fury era già scomparso.

“Tutto a posto, Clint?”

Si infilò la chiave nella tasca dei pantaloni e annuì.

“Faceva troppo caldo al sole.” gli disse, come a giustificare il suo spostamento.

“Che si fa ora?” Barney alluse all'uso del GPS per la questione del cellulare.

“Ho di nuovo perso il segnale...”, mentì, “ma sai che ti dico? Questa storia mi ha fatto venire una fame...”

“Credevo non lo avresti mai detto! Si prova il Diner all'angolo? Se fanno panini schifosi lo riscattiamo e ci riapriamo la fumetteria.”

Clint sorrise.

“Ci sto.”

Si fece prendere per le spalle da Barney e trascinare fuori dal cimitero.

Le questioni di Fury potevano attendere ancora un mezzo pomeriggio.

 

___

 

N.d.A: Tadaaaaan, sorpresa? *Si appresta a schivare carote, pomodori, lattughe e patate (che bel minestrone!)* Lossò che forse qualcuno si aspettava davvero Coulson, ma sarebbe stato troppo facile. Almeno… per me. Invece, dopo un capitolo un po’ triste che ripercorre tutta l’infanzia di Clint ci confrontiamo con qualcosa che lo spedirà direttamente nell’inferno che ben conosciamo o, quantomeno, che conosciamo dal punto di vista di Captain America e di Agents of S.H.I.E.L.D, ma non da quello di Clint Barton (perché ce lo hanno fatto sparire dalle scene e, anche se è stato assicurato che tornerà e tutto sarà spiegato – e che mi auguro sarà investito di gloria e gesta so badass che verremo ripagati della sua lunga assenza - , io nel frattempo mi sono fatta mille idee a riguardo. Una delle quali verrà raccontata nel prossimo capitolo.)

Detto questo ringrazio al solito tutti ma proprio tutti, da chi legge, a chi è arrivato fino a qui, a chi commenta, e al solito a Sere (dai, che siamo alla fine). Io adesso vado a prepararmi psicologicamente e a fare un ripassone che domani sera c’ho il concerto dei Pearl Jam in quel di San Siro e sono molto eccitata a riguardo. Perché è dal millenovecentoenovantotto (sì, son vecchia) che desidero vederli live e cazzarola non mi è mai riuscito. Ed ora, il momento è arrivato. Sono tutta proiettata verso Eddie. Fine momento non richiesto di cavoli miei.

Ci sentiamo la prossima settimana!

  
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