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Autore: Gelidha Oleron    19/06/2014    2 recensioni
"Sai, Alison, la gente che viene qui spesso vuole solo essere confortata. Possono essere affetti dalla malattia più grave del mondo, ma ti basterà prendergli una mano e sussurrargli che va tutto bene e loro saranno felici.
Buffa la natura umana, vero? Perennemente in cerca di illusioni, possono tirare a campare anni interi dietro quelle che sembrano promesse di salvezza, nonostante abbiano la morte davanti agli occhi.
Il fatto è che diventano ciechi. Non riescono più a distinguere la realtà. E allora sperano, sperano di guarire anche quando sono spacciati, vorrebbero farcela anche quando hanno già esalato l'ultimo respiro, anche quando ormai gli effetti del disastro nucleare di St. Paul sono ormai intrinsechi nel loro DNA.
Ma sai che ti dico, piccola? Io sono uno di loro. Pur essendo un medico e conoscendo le conseguenze di certi tragici avvenimenti, anch'io spero che un giorno tutte le vittime delle calamità, tutti gli ammalati e i sofferenti, per tutti loro possa esserci un bellissimo e roseo miracolo dei ciliegi"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chopper, Hiluluk, Kureha, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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"Chi non lo capisce, questo, non capisce nulla.
Perché dove la vita brucia davvero la morte è un niente.
Non c'è null'altro contro la morte, solo quello,
far bruciare la vita davvero"
 
(Castelli di Rabbia - A. Baricco)



 
Il guaio dell'essere sensibili è che prima o poi l'emozione ti trova. Ti cerca instancabilmente, come se fosse un parassita, ti cattura, ti riempie, può durare una frazione di secondo oppure ore intere: è così quando le persone sensibili guardano un tramonto, è così quando vedono cadere una foglia o semplicemente alzano gli occhi verso le nuvole.
È un momento, una specie di trance che gli altri non potranno mai capire: il punto è che noi viaggiamo con l'immaginazione, ci ostiniamo a sognare e, talvolta, il mondo ci tocca ancora delle corde che credevamo assopite da molto tempo...
Ho sempre pensato che la lettura mi aiutasse molto in questo: dai personaggi dei classici avevo imparato tantissimo, erano ormai tutti così insiti in me che, quando mi capitava di vivere qualcosa di particolare, mi tornavano alla mente le parole lette, il capitolo di un certo libro e, in questo modo, l'emozione si raddoppiava.
Era esattamente questo che sentivo quel giorno di inizio novembre, dopo essere stati abbandonati dall'ultima brezza fresca e aver fatto spazio al rigido inverno inglese.
Dappertutto, attorno a me, gelo. Dappertutto, dentro me, ghiaccio sciolto, sole, estate che faceva da contrasto alla candida neve che cominciava ad accumularsi silenziosa, in punta di piedi, sui tetti spioventi della clinica.
Inutile dire che avevo quasi consumato l'ipod del dottor Law a furia di ascoltare le sue canzoni, ormai quasi ci dormivo assieme: stupido, infantile da parte mia, eppure in un certo qual modo me lo faceva sentire accanto.
Provavo ad immaginarmelo lì, nel letto accanto a me, a guardarmi con quegli occhi che sembrava avermi rubato, a parlarmi con il suo tono vellutato ma freddo.
"Questa clinica cadrà nel caos più totale non appena se ne andrà Law!" esclamò un giorno Brook, il pianista, che era venuto a pranzare con me nella mia stanza.
"Se ne andrà?" domandai cadendo dalle nuvole, lasciando il cucchiaio a mezz'aria, colmo di squisita pasta al sugo cucinata da Sanji.
"Yohoho, pensavo te l'avesse detto, fanciulla" rispose lui, come se nulla fosse, continuando a mangiare seduto sul mio letto "Tra qualche giorno partirà per la sua città natale e non si sa quando tornerà"
"E quale sarebbe la sua città natale?" chiesi ancora, allarmata.
"Manchester, ovviamente"
Seguì un momento di puro silenzio e riflessione, in cui mi balenarono nella mente troppe domande, il tutto scandito dai rumorosi modi di pranzare del mio amico. Abbassai lo sguardo e posai il mio pranzo sul letto "Mi è passato l'appetito"
 
 
 
 
 
 
 
Stavo leggendo Jane Austen. Mi ero coperta con uno scialle di lana prestatomi da Nami e mi godevo la pace del mio angolino di tranquillità, nel giardino interno.
Tutt'a un tratto, sentivo come se l'estate dentro me avesse subito un rallentamento: non sentivo più sbocciare i fiori, e dov'era finita quella sensazione di gaiezza infinita? Che l'inverno avesse deciso di gelare anche il mio cuore, assieme al mare che si vedeva dalla mia finestra? Oh, compagna finestra, luogo dove per troppo tempo avevo riposto i miei sogni, vetri su cui ancora giacciono i miei sospiri, venti delle mie speranze e sbiadite ombre di un amore che, soltanto in quel momento, capivo essere più forte che mai.
"Oh, scommetto che anche lei è una delle tante vittime del fascino del Signor Darcy" improvvisamente, la sua voce.
Mi alzai di scatto ed eccolo lì, eccolo apparire di fronte a me per l'ultima volta con il suo camice bianco e, nello sguardo, una nota d'amarezza.
"È venuto a dirmi addio?" feci qualche passo verso lui, chiudendo bruscamente il libro, occhi bassi, tono ferito.
Trafalgar Law, per tutta risposta, si limitò a guardarsi attorno: lo vidi godersi la bellezza dei fiori viola che, nonostante le tracce di neve fresca, continuavano a vivere imperterriti; lo vidi ascoltare deliziato il canto degli uccelli, in quell'angolo celestiale dove la primavera sembrava non avere mai fine.
"Ci siamo visti qui, la prima volta, ricorda?" mormorò sovrappensiero, continuando a guardarsi intorno "No, non può ricordarselo, era..."
"...quasi morta" gli completai la frase, sprezzante "E lei mi ha salvato la vita. Per la seconda volta"
Silenzio. Ci guardavamo, adesso. I nostri occhi si stavano comunicando qualcosa.
"Lei si è salvata da sola, signorina Smith" concluse, serio "Questo non può negarlo"
Avrei voluto gridargli che non era vero, che se ero riuscita a riprendermi e a ritrovare un senso per andare avanti era stato soltanto grazie alla sua presenza, che in questi mesi mi aveva insegnato tanto e mi aveva dato la sicurezza e la forza per affrontare ciò che sarebbe stato... ma tutto ciò che riuscii a dire fu un singhiozzato, tremolante "...tornerà, vero?"
Law si avvicinò a me, cercò d'infondermi ancora una volta sicurezza col suo sguardo e rispose, impassibile "Tornerò"
Oh, aulenti fate che avete dimora nel piccolo paradiso, venite a farmi socchiudere gli occhi solo grazie ad un suo sospiro, quasi riesco a sentire il calore del suo respiro sulla mia pelle, vorrei avvicinarmi al fuoco, non importa se brucerò: un desiderato, aspettato da troppo tempo, sperato bacio d'addio...
Avvicinai le mie labbra alle sue, la sua vicinanza m'inebriò e chiusi gli occhi. Ma avrei dovuto immaginare di essere respinta, perché il dottor Law non fece altro che sussurrarmi suadente "Abbia cura di lei", facendomi svegliare bruscamente dal sogno che ero intenzionata a trasformare in realtà, aggiungendo velenoso "E non legga troppi libri. Potrebbe essere controproducente"
Lo guardai allontanarsi delusa, quasi arrabbiata, e mi rimisi seduta a leggere il libro che aveva tanto disprezzato.
E se ne andò davvero, lasciando un grande vuoto dentro me, facendomi sentire, pungente, la sua mancanza nei giorni freddi, facendomi tornare a quel momento di quasi contatto ogni volta che ne avevo bisogno, ma nella mia immaginazione la scena cambiava: Law non si ritraeva, bensì mi stringeva a sé e ci baciavamo con passione, come se entrambi avessimo bisogno di sentire l'uno il calore dell'altra e non soltanto io.
"Non disperare, tornerà" cercò di consolarmi un giorno Nico Robin "Ha soltanto delle questioni urgenti da risolvere"
"Che tipo di questioni? Perché tutti sembrate saperne più di me?" proruppi, quasi piangendo, avviandomi all'ennesimo controllo in infermeria.
"Ti consiglierei di stare tranquilla, è solo..."
"Signorina Smith!" ci interruppe bruscamente il medico di turno, con mia grande sorpresa il dottor Hiluluk "Alison, vero?"
"Sì" risposi, un po' confusa "Lei cosa...?"
Fece un gesto svogliato con la mano e una smorfia con la bocca "Si rilassi, non sono più in servizio da un bel po', ormai! L'ho fatta portare qui semplicemente perché volevo chiacchierare un po' con lei"
Il mio sguardo si spostò in quello della mia amica, che mi rivolse un sorriso complice "Ti troverai molto bene con lui. Ci vediamo dopo"
"Grazie" la salutai debolmente, insicura ma allo stesso tempo anche terribilmente curiosa.
"Accomodati, piccola, gradisci qualcosa da bere?" mi fece strada l'anziano signore.
"Credevo fossimo in infermeria, non nel suo salotto" gli risposi con una punta di cattiveria.
Hiluluk scoppiò a ridere "Ah, quindi non hai soltanto gli occhi del dottor Law, eh? Anche questo sarcasmo tagliente non mi è nuovo!" commentò, passandosi una mano sotto la barba ispida e osservandomi compiaciuto.
Decisi di non fidarmi ancora "Come mai l'hanno lasciata a piede libero? So che di solito la Doctrine non le dà tregua"
Mi sorrise "Niente Doctrine, niente Law... e il dottor Chopper mi lascia passare più tempo qui" spiegò, semplicemente "Sai, soprattutto voi vittime di St.Paul avete bisogno di me"
"Davvero? Come mai?"
"Beh, ragazzina, io l'ho visto. Io ho visto la guarigione e, se permetti, ho più esperienza di te in merito"
Sospirai "Intravede qualche speranza?"
"C'è sempre speranza" si aprì in un largo sorriso "Sai, Alison, la gente che viene qui spesso vuole solo essere confortata. Possono essere affetti dalla malattia più grave del mondo, ma ti basterà prendergli una mano e sussurrargli che va tutto bene e loro saranno felici.
Buffa la natura umana, vero? Perennemente in cerca di illusioni, possono tirare a campare anni interi dietro quelle che sembrano promesse di salvezza, nonostante abbiano la morte davanti agli occhi.
Il fatto è che diventano ciechi. Non riescono più a distinguere la realtà. E allora sperano, sperano di guarire anche quando sono spacciati, vorrebbero farcela anche quando hanno già esalato l'ultimo respiro, anche quando ormai gli effetti del disastro nucleare di St. Paul sono ormai intrinsechi nel loro DNA.
Ma sai che ti dico, piccola? Io sono uno di loro. Pur essendo un medico e conoscendo le conseguenze di certi tragici avvenimenti, anch'io spero che un giorno tutte le vittime delle calamità, tutti gli ammalati e i sofferenti, per tutti loro possa esserci un bellissimo e roseo miracolo dei ciliegi"
Il suo discorso mi colpì profondamente, e allora incalzai "Lei è stato salvato dai ciliegi?"
"Precisamente" si sedette sulla barella e fece cenno di sedermi come lui, cosa che questa volta feci senza obiettare "Ho sempre sofferto al cuore, proprio non ha mai voluto funzionarmi" ridacchiò "...però, un giorno, proprio quando credevo di essere spacciato, mi sono arrampicato su una montagna. Sì, esatto, speravo di fuggire alla morte semplicemente scalando una stupida vetta e, anche se non ho trovato quello che mi aspettavo, devo dire che gli effetti sono stati più o meno quelli sperati: ho fregato la morte che mi correva dietro.
L'ho ingannata, ho scoperto la primavera: un rigoglioso ciliegio fiorito si stagliava davanti a me e ha lasciato stupefatto"
"Incantevole" non potei trattenermi dal commentare, estasiata, catturata dal suo racconto.
"Da quel giorno, piccola... beh, da quel giorno la mia malattia sembrò scomparire del tutto. Non avevo più nulla, come se non ci fossero mai stati problemi"
"Poi è riapparsa?"
"Beh, durante gli anni ho preso dei vizi, ho sviluppato cattive abitudini e quindi la vita ha voluto punirmi... ma francamente non importa, sono vecchio, non mi resta molto da vivere"
"E quindi ora lei vorrebbe mostrare il ciliegio agli ammalati?"
"Il vero punto è, Alison, che la morte è un fardello. La morte brucia, ti rincorre, cerca di catturarti: ma la vita deve essere più veloce, deve gettare acqua sulla morte e deve, almeno per un po', vincerla"
Alla fine di tutto, gli sorrisi anch'io "È davvero una bella persona, dottor Hiluluk. Sono tanto contenta che abbia voluto conoscermi"
E, a giudicare dai suoi occhi lucidi, anche lui doveva essere contento di aver appena conosciuto me.©
 
 
 
 

 
 
 
 
Arrivo in ritardissimo con questo capitolo (sessione estiva, è tutta tua la colpa!) ma spero che possiate apprezzarlo nonostante sia stato scritto in questo periodo un po' "turbolento"!
Comincio con il mio scrittore preferito ( <3 ), Baricco, con una citazione di uno dei suoi libri migliori, "Castelli di rabbia".
Ho parlato di sensibilità, di amore e, lo confesso, in questa storia mi sto lasciando proprio prendere la mano: in alcuni tratti sono davvero personale, mi sembra di scrivere di me stessa... ma non è del tutto una cosa negativa, riesco ad esprimere di più quello che prova la protagonista : )
Tentato bacio tra Law ed Alison ma no, vi farò aspettare ancora un po' perché sono sadica (Muahahah) no, perché ho in mente qualcosa di meglio per tutti e due! ; )
E infine dialogo con Hiluluk che riprende le parole dell'introduzione della storia, che mi piacciono tantissimo.
Spero piaccia anche a voi, fatemi sapere cosa ne pensate! A presto!
  
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