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Autore: MetalheadLikeYou    19/06/2014    1 recensioni
Chi mai avrebbe voluto una bambina di nome "Inferno"?
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Con il passare del tempo io, Ville e Alexi diventammo dei buonissimi amici, tanto che ci soprannominarono il Trio.
Allu era più chiacchierone, ti scaldava il cuore e ti trascinava con se in tutto e per tutto, mentre Ville era quello più riflessivo e solitario.
.
Per quanto mi sforzassi di mostrare ed ostentare una forza e un menefreghismo che non possedevo, dentro di me soffrivo.
Stranamente, era come se Ville mi avesse portato via una parte del mio cuore.
***
In questa storia ci saranno anche altri personaggi di altre band finlandesi.
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2



Per tutta la durata della serata rimasi sotto lo sguardo attento del Valo, che non toccò nemmeno una birra.
Un ragazzo, al bancone, forse troppo ubriaco e capendo che non gli avrei servito più nessuna birra o alcolico, iniziò ad urlarmi contro che me l'avrebbe fatta pagare e appena si alzò dallo sgabello, per venire da me fu bloccato dai due cantanti.
Li fissai spaventata e sorpresa.
Silenziosamente dopo aver mandato via il pazzo, il Valo tornò a sedersi insieme ai suoi amici mentre Alexi si sedette su uno sgabello.

"Davvero ti chiami Hell?" - domandò fissando la targhetta cucita sulla divisa del locale - "O è un soprannome?".
"No, mi chiamo davvero Inferno".
"Wow, mi piace perchè è figo".
"Grazie" - risposi sorridendo mentre il ragazzo mi fissava con attenzione.

Rimase un po li ridendo e ponendomi delle domande sui miei gusti musicali ed io rivelai di conoscere le loro canzoni ma imbarazzata, preferii non svelargli il mio amore incondizionato per il suo gruppo.
Lui sorrise in modo strano e iniziò a domandarmi quale fosse la mia canzone preferita ed io risposi che non ne avevo una, mentendo.
Fingendosi offeso se ne tornò dai suoi amici, mettendo il broncio e lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiataccia.
Scossi la testa ridendo.
Quando li vidi alzarsi per uscire, tirai un sospiro di sollievo sentendomi finalmente libera dagli occhi di Ville che non mi avevano mai lasciata nemmeno un secondo, soprattutto quando insieme ai suoi vi erano quelli del biondo.
Tony mi riaccompagnò a casa raccontandomi nel dettaglio ogni movimento dei due cantanti e ripetendomi quasi fino allo sfinimento che era rimasto sopreso da quegli strani comportamenti.
Si soffermò sul poeta che con quello sguardo mi aveva destabilizata, mi aveva annullata.
Appena rimasi sola ripensando con calma a quegli occhi mi girò la testa, sentendo poi un senso di malinconia e solitidine attanagliarmi il cuore.

Fissai la mia libreria, cercando i "Racconti dell horrore" di Edgar Allan Poe, rintanandomi nella mia solita posizione vicino alla finestra e dopo aver appurato che la neve aveva ricominciato a cadere sulle strade di Munkkiniemi, mi immersi nella lettura.
Era come se quel ragazzo dagli occhi verdi, fissandomi per tutta la serata e intercettando il mio sguardo, fosse ruscito a leggermi l'anima, catturando i miei soliti demoni e facendoli diventare suoi, proteggendomi.
Come se mi avesse portato via una parte di me.
Sbuffai, passandomi una mano nei capelli.
Per quanto mi sforzassi di non pensare a lui e concentrarmi sulle parole dello scrittore, la mia mente era ben ancorata al ricordo di quelle iridi verdi.
Passai la notte a combattere contro me stessa e per mia fortuna, il giorno dopo me ne rimasi a casa, dormendo fino a tardi e lasciando che un piccolo fuocherello che ardeva nel mio caminetto, mi riscaldasse.

Tornai anche a lavoro sperando che nessuno notasse la mia insolita agitazione lasciando che il dover servire i clienti mi occupasse la mente e mi riportasse un po con i piedi a terra.
Volevo ritrovare la mia calma e soprattutto di non pensare ancora a quella strana sensazione che avevo avuto quando avevo incrociato i suoi occhi e al batticuore che mi aveva incasinato la testa.
A calmare le mie continue domande furono quelle del biondino che si presentò per due sere di fila sedendosi al bancone e ordinando da bere, scherzando e parlando con me come se mi conoscesse da una vita.
Mi raccontò che stavano registrando e che di conseguenza tutto il gruppo era preso dal loro lavoro.
Dentro di me esultavo felice.
Mi piaceva parlare con lui perchè mi veniva naturale e non mi vergognavo assolutamente, certo era un pochino imbarazzante vedere le occhiate furiose di certe ragazze che mi dichiaravano guerra con lo sguardo.
Sorrisi.

Passarono un po di giorni, io iniziai a farmi mille domande e a sognare una possibile storia seria o di semplice amicizia con quel cantante, ricollegando poi il tutto all'anima da fan sfegatata che si celava dentro di me.
Sorrisi come una deficiente pensando a quanto mi piaceva la sua compagnia, la sua voce.
Tuomas iniziava a fare domande su domande notando il mio comportamento.
Eppure io non facevo o dicevo nulla di strano.

"Sorridi e sbavi come un cane appena lo vedi" - mi confessò una sera Tony, ridendo e prendendomi in giro.

A distrarmi dai miei stupidi sogni fu il mio cellulare che vibrava senza sosta nella tasca destra dei miei jeans.
Risposi al mio amico, scoprendo con mio sommo dispiacere che non sarebbe venuto a prendermi e che di conseguenza sarei dovuta tornare a casa da sola.
Eravamo all'orario di chiusura quando un nuovo cliente si sedette vicino al bancone, richiamando la mia attenzione.
"Salve, cosa vuole?" - domandai, senza nemmeno vedere chi avessi davanti, ma fissando gli innumerevoli cd che avevo messo quella sera.
Il silenzio del mio interlocutore mi costrinse ad alzare la testa.
Un colpo al cuore, un battito in meno, il respiro mozzato e quel ragazzo che mi osservava.
I suoi occhi verdi perforarono i miei.
"Vorrei un succo di frutta" - rispose, dopo un po, senza però distogliere il suo sguardo.
Mi girai di scatto riprendendo a respirare, prendendo una bottiglietta e riuscendo dopo qualche minuto e con le mani tremanti, ad aprirla.
Non beveva più alcolici, questo era certo.
"Bel tatuaggio" - disse con voce roca, calda e bassa.
Mi sentii avampare fissandomi i polsi.
Aveva visto.
Lo sentii ridere appena in quel suo strano modo e lo fissai azzardando io la prima mossa dell'incatenare i miei occhi nei suoi leggendoci stupore, euforia e allo stesso tempo, tormento, rabbia, paura.
Demoni.
"Grazie e grazie per l'altra sera" - risposi alludendo al tipo ubriaco, allontanandomi poi da lui e entrando nello stanzino, poggiandomi una mano sul cuore che rischiava un attacco cardiaco.
Aveva capito.
Fissai l'ora al piccolo orologio che stava appeso sulla parete, erano le 4.
Sbuffai.

"Che occhi".

Uscii dallo stanzino trovando il locale vuoto, così chiusi tutto abbassando la saracinesca e incamminandomi poi con le mani nelle tasche della giacca, verso la prima fermata.
Il silenzio regnava sovrano, in cielo le stelle brillavano rendendo la notte meno buia.
Eppure uno strano senso di inquietudine mi pesava sul cuore, rendendolo un macigno pesante e dolorante.

"Abiti a Munkkiniemi" - una voce mi fece girare di scatto pronta a tirare un ceffone a chiunque mi aveva seguita, ma la mia mano fu bloccata lontana dal viso da un'altra.
"Perdonami se ti ho spaventata" - disse il poeta fissandomi attentamente.
Presi un lungo respiro poggiandomi una mano sul cuore che batteva troppo velce, forse per la paura o forse per lui.
"Come fai a sapere che...".
"Ti vedo spesso da casa mia, vieni ti accompagno io" - tagliò corto lui, interrompendomi e con un tono che non ammetteva repliche.
Alzai le spalle poco convinta e notando forse per la prima volta, quanto fosse alto - "Una ragazza non dovrebbe mai andare in giro da sola" - aggiunse, sorridendo appena.
Lo scquadrai pensando che forse avrei rischiato di più andando via con lui ma, spinta da una forza e una fiducia che non credevo di possedere, lo seguii silenziosa verso la sua macchina come se fossi la sua ombra.
"Grazie" - azzardai con voce tremante e voltandomi verso di lui che stava fumando una sigaretta.
Aveva ai piedi delle Converse nere, dei jeans scuri, forse blu o neri, indossava un cappotto lungo fino alle ginocchia nero, che faceva risaltare la sua pelle bianchissima, i suoi occhi brillanti e quelle labbra.

"Hell non guardarlo".

Lottando contro me stessa rimasi a spiarlo con la coda dell'occhio, rimanendo incollata a lui che si girò verso di me sorridendo e facendo rischiare al mio cuore un altro arresto.
Arrivammo vicino la sua macchina una normalissima 5 posti nera.
Abbassai il viso coprendolo con i miei capelli rossi in modo da mascherare le mie guance infiammate.
"Come ti chiami veramente?" - domandò.
Mi girai di nuovo, osservando la sua figura che stava fumando di nuovo, poggiando le labbra sul filtro in una maneria decisamente troppo delicata e sexy.
Mi concentrai sulla domanda, prendendo un respiro e sperando vivamente di non sentire le solite risate.
"Hell" - sussurrai torturandomi una mano e giocando poi con un lembo della manica del mio cappotto.
"Inferno..." - pronunciò con un tono basso e decisamente troppo roco - "Come questa città".
Un brivido salì lungo la mia schiena facendomi tremare.
Lo vidi sorridere appena poi si mise a canticchiare una canzoncina che mandavano alla radio - "Non sei finlandese vero?".
"No, sono inglese".
"Noto una punta di amarezza, cos'è non ti piace come nazione?".
"No" - la mia risposta fu secca e ciò lo fece ridere di nuovo.

Rimasi in silenzio affondando le mani che iniziavano a diventare rosse per il freddo, nelle tasche del mio cappotto. 
Lo sentii sospirare e incapace di parlare lasciai che il nostro viaggio verso casa diventasse silenzioso.
Lo fissai ancora.

"Perdonami" - disse piano facendomi tornare alla realtà, fissai appena l'ora sul telefono era davvero tardi ed erano già 20 minuti che guidava.
"Per cosa?" - domandai incuriosita e girandomi verso di lui che si era appena fermato.
"Per aver riso".
"Oh n-non preoccuparti" risposi balbettando appena, lasciandogli credere che fosse per il freddo.
In verità ero a in imbarazzo.
Vidi in lontananza la via che portava alla mia casa ed inconsapevolmente sorrisi.
"Oh io sono arrivata" - dissi poco prima di entrare nella via, stranamente illuminata, senza fissarlo negli occhi - "Grazie per avermi accompagnata".
Lui sorrise appena poggiandomi una mano in testa e scompigliandomi un po i capelli, come fanno di solito i genitori ai figli ed io rimasi senza fiato, sentendo gli occhi pungere per colpa di quel fastidioso pensiero.
"Buona notte, Hell". 
"Buona notte" - risposi mentre la pressione della sua mano si allentava e mi lasciava libera di uscire da quel mezzo.
Mi incamminai verso casa sentendo ancora i suoi occhi su di me.









****** 
Buona seraaaaaaaa.
Come state? 
Oh bhe Ville ha fatto davvero la sua comparsa, così bello ma dannato.
Devo farvi una confessione....sugli HIM e su Ville in particolare ho scritto diverse storie, ma questa mi piace davvero tanto, spero sia lo stesso per voi.
Ci sto davvero mettendo il cuore.
Bene detto questo ringrazio:

Lea_love_Valo: ahahahah giuro i tuoi commenti mi hanno davvero resa felice e fatto ridere, spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento <3

Ringrazio anche chi sta leggendo.
Lasciatemi qualche commentino così mi fate felice e soprattutto mi fate capire se questa mia ff vi piace.
Un bacio e alla prossima.
  
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