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Autore: Frances    17/08/2008    2 recensioni
Mio fratello mi odia.
Se ne andrà senza un solo commento.
E d'ora in poi, mi rivolgerà solo sguardi pieni di vergogna."
[ Byakuya & Rukia - Byakuya x Hisana ]
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Kuchiki Rukia
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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 II  Scene of a Mourning || Fragments { • Trembling fingers over tightened silk strings  • }

 

Capitava spesso che al calar del sole Rukia si sedesse sul porticato esterno, composta sui talloni davanti al giardino in stile zen che Ginrei Kuchiki aveva curato per anni sul lato ovest della magione, fino al giorno della sua dipartita.

Subito dopo la cerimonia di successione, Byakuya aveva esplicitamente richiesto che i propri alloggi fossero spostati in una stanza che affacciasse sul versante occidentale, ai piani superiori; poco prima che il tramonto terminasse, trovava gradevole osservare come il bagliore infuocato del sole discendente bagnasse le pietre candide e perfette disposte accuratamente – con precisione quasi maniacale – appena sotto di lui. E gli ricordava con una leggera fitta di nostalgia quando, molti anni prima, aveva visto la schiena di suo nonno china su quelle pietre, mentre con il rastrello tra le dita tracciava spirali e onde sulla sabbia bianca.

Fin da quando era giovane, quell’angolo di completa calma era spesso stato il luogo in cui, chiudendo gli occhi, aveva tentato di disperdere la tensione accumulata durante le giornate di intenso allenamento, quando sentiva i muscoli bruciare per la stanchezza, ed il sudore scivolargli lungo le guance accaldate, i capelli fradici che gli si incollavano sulla fronte e lungo il collo. Quando aveva bisogno di ritrovare sé stesso al termine di un estenuante scontro di shunpo con l’arrogante e sfuggente principessa del clan Shihouin, dopo che lei era apparsa dal nulla – come sempre faceva, senza motivo apparente – e aveva provveduto a provocarlo il tanto necessario da fare scoppiare la sua impetuosa e sfrontata collera.

Erano passati tanti anni da allora, eppure il ricordo dei consigli saggi di suo nonno e delle sue pacate abitudini – consumate in quel giardino di pietra – avevano ancora l’effetto di tranquillizzarlo.

Quando sentì la prima nota stonata e vibrante provenire dal piano inferiore, Byakuya dischiuse gli occhi mentre stava seduto fra le shoji accostate, la testa poggiata mollemente sullo stipite della porta scorrevole.

A volte Rukia si ritirava da sola in quell’angolo silenzioso dell’enorme tenuta, portando con sé un piccolo ed antico shamisen. Infilava le mani nel ghiaccio ingoiando bassi gemiti di dolore, e poi poggiava le dita intirizzite e tremanti sulle sottili corde di seta; le pizzicava con delicatezza, continuando a suonare fino a che i polpastrelli non le sanguinavano, fino a quando non smetteva di sbagliare e non riusciva a completare la composizione senza mancare una sola nota.

Byakuya la ascoltava ogni volta, seduto sul balcone della sua stanza, senza fare commenti: non era sicuro che Rukia si fosse mai resa conto di non essere sola. Anzi, temeva che la consapevolezza di avere un ascoltatore – e l’idea che l’ascoltatore fosse proprio suo fratello – l’avrebbe indotta a smettere di suonare, domandando scusa. E probabilmente lui non avrebbe mai più avuto modo di assistere a quelle sue timide esibizioni.

Era tradizione del clan Kuchiki che le donne sapessero suonare lo shamisen alla perfezione. Byakuya ricordava i movimenti aggraziati ed allo stesso tempo sicuri di sua madre, avvolta in un kimono cerimoniale fastosamente ricamato, sulle quelle tre corde tese, come in un rito sacro che lei sapeva compiere senza una sola incertezza. L’aveva sempre osservata pieno di ammirazione, senza essere capace di distogliere gli occhi dalla sua figura così bella, dalle sue dita, dal suo volto sereno e sempre sorridente anche in quella sua estrema concentrazione. Da quando se n’era andata, pochi mesi dopo la morte di suo marito, Byakuya aveva sempre sentito la mancanza del suono melodioso e palpitante che solo lei era in grado far scorrere fra le corde dello shamisen.

Rukia non aveva mai dimostrato particolari capacità; spesso i maestri se ne erano lamentati con Byakuya – a volte attribuendo il suo poco talento alle sue umili origini – ma lui li aveva sempre ripresi con cupa freddezza, invitandoli a non riferirsi mai più a lei con quel tono sfrontato.

« Rukia conserva l’onore del clan.» li ammoniva, lanciando loro occhiate glaciali « Se oserete ancora sminuirla, sarò costretto a prendere provvedimenti spiacevoli.» Questo bastava a farli tacere, nella maggior parte dei casi.

Tuttavia Rukia sembrava interpretare i propri continui insuccessi come un’offesa nei confronti del suo fin troppo generoso fratello maggiore: si allenava spesso, durante il tempo libero, quando non doveva indossare la tenuta da shinigami, tentando di colmare con l’esercizio le lacune dovute alla sua goffaggine ed all’inesperienza.

Capitava che Byakuya rimanesse immobile ad ascoltarla anche per ore intere, respirando lentamente, continuando a chiedersi il perché di quello strenuo sforzo a cui Rukia si sottoponeva ogni giorno. Ogni sua azione, ogni sua parola, ogni movimento che compieva impugnando la katana, ogni battito di ciglia: sembrava che tutta la vita di Rukia, sin da quando era stata adottata, scorresse in funzione di lui. In un continuo ed estenuante tentativo di renderlo fiero di averla come sorella, come per sdebitarsi per quel dono che le era stato offerto senza preavviso, senza pretendere nulla in cambio.

 

Perché lo fai, Rukia? Non devi dimostrarmi nulla.

Perché non riesci a capire?

 

…perché non riesco a fartelo capire?

 

Le dita di Rukia toccarono la corda sbagliata, troncando la lenta melodia che quella sera era già stata interrotta innumerevoli volte. Byakuya la sentì sospirare di frustrazione e poi riprendere da capo, con maggiore impeto. Anche se non poteva vederla, riusciva ad immaginarsi il suo cipiglio: conosceva molto bene la risolutezza che le si dipingeva in volto quando cercava di raggiungere un obbiettivo. L’unica sua espressione che gli era quasi del tutto sconosciuta era il suo sorriso.

Ebbe una sfocata rimembranza quando la musica riprese ad un ritmo più sostenuto. Il suono dello shamisen era inconfondibile e – sin da quella lontana fioritura dei ciliegi, cinquanta anni prima – gli provocava una profonda e dolorosa fitta al petto.

Rivide per un solo istante quella figura minuta e ricurva che si impegnava su quelle stesse corde, avvolta negli abiti pensanti, mentre il sole le inondava il volto leggermente incavato. Lo shamisen suonato da lei assumeva una tonalità diversa da quella che aveva caratterizzato le melodie eseguite da sua madre, ma gli aveva sempre e comunque suscitato un immenso piacere. Ricordava perfettamente quanto aveva amato ascoltarla, guardarla mentre si concentrava su quello strumento affusolato che accumunava tutte le donne della sua vita.

 

Byakuya deglutì piano, lasciandosi cullare dalla musica incerta prodotta dello shamisen impugnato da Rukia.

 

Era assurdo e struggente che, nella sua ricerca di perfezione, Rukia tentasse inconsapevolmente di assomigliare a sua sorella.

 

Quando i ricordi che la riguardavano tornavano nitidi ed intensi alla sua mente, gli era quasi impossibile smettere di pensarci.

 

Ma forse, in realtà, la memoria di Hisana non lo aveva mai abbandonato.

Neppure per un istante, da quando lei aveva chiuso gli occhi e lo aveva lasciato per sempre.


      {•  ***  •}

 

« E’ tutta colpa mia, Byakuya-sama…» distesa sul futon, la fronte imperlata di sudore, quelle erano le parole che le uscivano di bocca «…se solo fossi stata più forte…» abbassava lo sguardo, ansimando leggermente, cercando di trattenere le lacrime «…non avrei permesso che mi abbandonasse...»

Byakuya le rispondeva posando leggermente le labbra sulle dita tremanti, seduto al suo fianco:

« Pensa solo a guarire, Hisana. Il resto non ha importanza.»

Lei strizzava forte gli occhi, le lacrime che le inondavano il volto, mordendosi le labbra per non urlare.

Si sentiva colpevole e non riusciva a perdonarsi. Bastava un mancamento, un peggioramento di salute, ed entrambi vedevano i loro sogni sfumare in quella stanza da letto, vicino a quel futon dove lei stava distesa, al buio, in preda alla febbre, in preda al rimorso di aver deluso ancora – senza poter fare nulla – le aspettative di suo marito.

 

« La nobile Hisana non potrà più avere figli.»

 

Lei piangeva, mormorandogli le proprie scusa disperate, abbracciandolo, unendo le loro mani nell’addormentarsi al suo fianco. Byakuya la baciava, le sussurrava parole che riuscivano a calmarla come nessun’altra medicina; poi guardava il suo volto magro e le sue guance salate di lacrime, senza riuscire a chiudere occhio, stringendola a sé mentre respirava il profumo dei suoi capelli.

 

Finché poteva avere lei, non gli interessava nient’altro.

 

Amava il suo sorriso. Amava il taglio dolce dei suoi occhi.

L’aveva sposata per vederla sorridere durante ogni singolo giorno della sua vita.

 

“ State facendo un errore, nobile Byakuya.”

Erano le parole con cui tutti lo accusavano tacitamente, osservandolo mentre avanzava lungo i corridoi, silenzioso nel suo incedere impeccabile e maestoso; nessuno aveva mai smesso di opporsi, di ricordargli quanto era stato avventato in quella sua scelta. Di quanto era stata vergognosa la sua risolutezza, quanto insolente il suo oltraggio alla legge, di quanto disonore aveva portato sul buon nome della casata.

« Vi prego di smettere di tormentarmi con tali insensate parole.» era la risposta garbata che forniva a quelle accuse, quando non gli era più possibile ignorarle.

 

Hisana era sua. Era stata la sua unica pretesa, dopo tutti quegli anni trascorsi in un costante ed ubbidiente sottostare alle decisioni che altri avevano preso per lui.

 

“Diventerai uno shinigami”

 

“Indosserai gli hakama di chi pratica il kidoh”

 

“Sarai il prossimo capofamiglia del casato Kuchiki”

 

“Impugna la spada”

 

“Rispetta la legge. Proteggila con tutto te stesso, fino a quando non avrai più fiato nei polmoni”

 

“Studia, studia, studia. Tempra la tua anima. Diventa forte.”

 

“Non rispondere alle provocazioni.”

 

“ Sii freddo, sii posato, sii l’esempio ed il modello esemplare per l’intera Seiretei.”

 

“Sii l’uomo che il clan vuole che tu sia.”

 

Quando aveva indossato lo scuro kimono cerimoniale, il kenseikan intrecciato fra i suoi capelli, aveva accolto la mano tremante di Hisana nella sua senza prestare la benché minima attenzione agli sguardi pieni di disapprovazione che avevano seguito ogni suo passo, nel santuario, finché non si era seduto con lei davanti all’altare.

 

Il sacerdote vestito di bianco aveva fatto tintinnare gli anelli del suo shaku, assistendoli durante lo svolgersi di quella silenziosa e tesa cerimonia. Hisana aveva bevuto i suoi tre brevi sorsi di sakè poggiando delicatamente le labbra sul bordo delle tazze, la sua bocca rossa e piccola che le sfiorava timida laddove anche Byakuya, qualche istante prima, aveva posato la propria.

Lui aveva seguito i suoi gesti senza riuscire a distogliere gli occhi dalla sua figura, avvolta in quell’abito sfarzoso che era appartenuto a generazioni e generazioni di giovani spose Kuchiki, i fermagli preziosi che scintillavano fra i suoi sottili e lunghi capelli neri, acconciati secondo la tradizione del clan.

In quel momento Hisana gli era sembrata tanto bella e perfetta nel suo silenzioso sedergli al fianco, che tutte le motivazioni con cui i parenti gli si erano opposti avevano perso ogni significato. Nessuno di loro aveva il diritto di sminuire quella donna, sostenendo che il suo sangue non fosse degno di unirsi a quello di un Kuchiki.

 

Aveva recitato la formula rituale con voce decisa e profonda, senza avere una sola esitazione.

« Kuchiki Byakuya.» aveva concluso, poco prima che Hisana, inspirando, ripetesse le sue stesse parole, la voce melodiosa che fremeva:

« Kuchiki Hisana.»

 

Inchinandosi all’unisono, ripetendo in silenzio il nome dell’altro all’infinito come una solenne promessa, avevano offerto all’altare i rami di sempreverde che avrebbero suggellato la loro unione.

Non si era mai pentito per un solo istante di quella decisione, anche se aveva deluso le aspettative dell’intero clan. Anche se aveva infranto la legge a cui i suoi antenati si erano dedicati anima e corpo. Anche quando le continue pressioni lo spingevano al limite, bastava sfiorare con la punta delle dita la fede dorata che non toglieva mai dall’anulare per ritrovare la propria determinazione. Bastava che Hisana continuasse ad accoglierlo con il suo sorriso, dopo una lunga giornata di lavoro; bastava potersi distendere vicino a lei, la testa poggiata sulle sue gambe, con gli occhi chiusi, mentre lei gli carezzava il volto ed insinuava le dita sottili e morbide fra i suoi capelli. Bastava che lei parlasse.

« Nobile Byakuya.»

Lui dischiudeva le palpebre: il volto di Hisana era sereno:

« Avete voglia di conversare un po’ con me?» era sempre cortese, mentre lo sfiorava con il suo tocco delicato.

Sul volto di Byakuya appariva un’espressione quasi divertita. Forse sua moglie non aveva nemmeno la più pallida idea di quanto  fosse follemente innamorato di lei.

« Ti ascolto, Hisana.»

 

Non aveva mai domandato altro.

Voleva solo che nessuno gli negasse la presenza di sua moglie.

 

Era una richiesta così vergognosa…?

 

« Sua Eccellenza Byakuya …»

 

Quella sera, quando i medici erano venuti a cercarlo, cadeva una fitta nevicata. Il laghetto nel giardino era diventato un ampio specchio di ghiaccio, mentre le pietre e i rami spogli degli alberi sembravano pittoresche sculture punteggiate di bianco.

 

« Le condizioni di salute della nobile Hisana si sono aggravate...»

 

Le mani ed i piedi nudi di Hisana erano sempre stati freddi. Anche le sue guance e le sue labbra, a volte, quando lo baciava, erano esangui e gelide. L’avvolgeva fra le pieghe del proprio kimono, abbracciandola, sperando che servisse a farle ricolorare il volto. Lei aveva sempre soffocato qualche colpo di tosse, ringraziandolo e chiedendogli scusa, anche se il suo sorriso si faceva sempre più spento.

 

« …ha avuto un mancamento questa mattina…abbiamo dovuto somministrarle …»

 

A volte si erano seduti insieme fra i fusuma aperti, avvolti nello stesso spesso ed imbottito shikibuton, gli occhi rivolti al cielo che rifletteva le scintille multicolori dei fuochi d’artificio invernali. Quell’anno, Hisana aveva detto di averli apprezzati più del solito, ma Byakuya l’aveva sentita tossire con una violenza preoccupante. Anche se lei diceva di stare bene, lo spettacolo pirotecnico di quell’inverno non gli aveva suscitato altro se non una terribile inquietudine.

 

«…possiamo fare poco ormai, se non alleviarle la pena…»

 

Era stato un inverno particolarmente rigido. Uno dei più freddi e duri che Byakuya ricordasse.

 

«…la nobile Hisana potrebbe non raggiungere la fine della prossima primavera.»

 

Forse fu il più gelido inverno della sua vita.

 

Non si era allontanato dal suo capezzale neppure un istante. La guardava stringendole la mano inerte, mentre il suo petto si alzava ed abbassava con difficoltà ed il suo volto diventava sempre più magro, i suoi polsi sempre più esili. Le sorrideva debolmente quando la vedeva svegliarsi, chiedendole come stesse, sperando che la sua presenza potesse portarle conforto. A mano a mano che i giorni passavano, la veglia diventava sempre più penosa, sempre più difficile accettare l’idea che lei stesse davvero per andarsene.

 

Il giorno in cui lei aveva chiuso gli occhi per sempre, non era ancora iniziata la fioritura dei ciliegi. Quell’anno non aveva fatto in tempo a vederla.

Aveva abbassato le palpebre con le ciglia bagnate, lacrime di gratitudine che le solcavano le guance, ed era morta con il suo nome sulle labbra:

« …Nobile Byakuya…»

 

La mano di Hisana era diventata fredda ed immobile, abbandonata nella sua. Anche nella morte, il volto della donna che aveva amato con tutto sé stesso conservava una bellezza ed una serenità che sapeva di non poter dimenticare. Il gemito di dolore che gli era sfuggito dalle labbra era parso rimbombare nella stanza vuota in un eco senza fine, sovrastando anche il rumore del vento.

 

Per ironia della sorte, la fioritura dei ciliegi era iniziata il giorno del suo funerale. Avvolto nell’abito nero a lutto, Byakuya aveva guardato i petali scivolare via dai loro rami, mentre lo scampanellio provocato dagli ospiti gli riempiva le orecchie in una continua processione che si fermava davanti al feretro di Hisana.

 

Perché?

 

Quei cinque anni passati con lei erano trascorsi veloci come in un sogno. Ora che lei non c’era più, era difficile riabituarsi alla lentezza estenuante con cui i giorni avevano ripreso a susseguirsi.

Era diventato tutto più faticoso.

Più difficile sorridere, più difficile esprimersi, più difficile comunicare con gli altri.

Aveva dimenticato quanto potesse essere monotona e fredda la vita di un nobile.

 

Quarantanove giorni dopo il funerale – il mese più lungo che avesse mai affrontato – si era ritrovato a riaccostare i battenti del butsudan che onorava il ricordo di Hisana con mani tremanti, chiudendo forte gli occhi. Si era accasciato davanti al piccolo altare, la fronte premuta contro il legno smaltato, mentre i lembi dell’abito si distendevano attorno alle sue gambe, sul tatami.

 

Perché Hisana?

Perché mi hai lasciato?

 

Ogni volta che apriva le ante del butsudan e rivedeva il suo sorriso, immortalato nella sua dolcezza, era difficile richiuderle e andarsene. Batteva velocemente le palpebre, rifiutando quella profonda disperazione che lo assaliva quando ripensava a lei.

 

Ti ho amata, Hisana.

 

Un anno dopo, aveva trovato Rukia quasi per caso. Nell’attimo in cui l’aveva vista – così simile a sua sorella, così piccola nei suoi abiti accademici – gli era parso di assistere ad un miracolo. Le ultime parole di Hisana non gli avevano mai dato pace, ma in quel momento il suo cuore aveva ritrovato una tranquillità inaspettata.

 

Nobile Byakuya…

Vi supplico…

 

…trovate la mia sorellina

 

…usate il vostro potere per proteggerla…

 

Non ho il diritto di essere chiamata “sorella”…

 

…vorrei….

 

…che le permetteste di chiamarvi “fratello”.

 

Non sono stato in grado di proteggerti, Hisana.

Non ho saputo impedire che tu mi lasciassi.

 

Aveva risposto con silenzioso sprezzo alle proteste. Ancora una volta gli uomini che gli stavano attorno cercavano di impedirgli di fare come gli dettava il suo cuore.

Ma dopo che il destino gli aveva portato via Hisana, non avrebbe permesso che loro gli portassero via la sua unica via di redenzione.

 

Ti amo, Hisana.

 

Il santuario in cui riposavano i suoi nobili genitori era vuoto e silenzioso; seduto sui talloni, si era inchinato davanti alle loro due tombe affiancate fino a far toccare il volto contro il tatami, pronunciando sommessamente quelle parole che si era ripetuto tante volte dal giorno dell’adozione di Rukia.

 

Sarò la legge.

Sarò la giustizia.

Sarò un Kuchiki.

 

Quel solenne giuramento – e la promessa fatta a sua moglie – avrebbero guidato i suoi passi da quel momento in poi.

Hisana.

Non smetterò mai di amarti.

 

{•   ***   •}

 

Byakuya aprì lentamente gli occhi, mentre sentiva il calore del tramonto scivolare via lungo la linea spigolosa del proprio profilo, lasciando spazio al bagliore ceruleo della luna.

Rukia aveva ormai smesso di suonare.

 

{•   ***   •}

 

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