Fu un
weekend orribile.
E una liberazione l'inizio della
settimana e delle lezioni.
Laurel insegnava Storia e Filosofia nel liceo cittadino, in un vecchio palazzo
che risaliva ai primi anni dell'800.
Laurel ricordava quando l'avevano costruito, non viveva ancora in città. Aveva
scelto l'Italia e quell'angolo di Veneto sconosciuto, tantissimi anni prima,
secoli.
Le era piaciuto il nome,
E poi il Montello le ricordava l'Eriador, colline ordinate e vigneti e il fiume
vi scorreva lento e tranquillo.
Abitando appena fuori città, aveva inforcato la bicicletta per andare a scuola.
Il mese di ottobre stava finendo e voleva godersi gli ultimi giorni di sole.
Ma la serata passata con Barbara non le abbandonava la testa.
Si era chiusa in casa, entrando in una specie di trance. Il viso di quel
ragazzo era sempre davanti a lei. E con lui i ricordi di un passato che pensava
morto e sepolto in fondo al cuore.
Era andata avanti con la sua vita, una vita lunghissima, nella quale aveva
imparato a non affezionarsi troppo a niente e a nessuno.
La vita degli esseri umani era breve, l'arco di una stella cadente nel cielo.
Barbara era l'unico legame che avesse avuto dopo tantissimo tempo.
Aveva sofferto molto in passato. Non era semplice vedere tutto quello che avevi
imparato ad amare, trasformarsi o invecchiare e poi morire.
Aveva rivelato ad un suo vecchio professore, sul suo letto di morte, la sua
reale natura.
Il professore aveva sorriso e le aveva detto.
-Adesso si spiegano un sacco di cose, Laurel- e aveva teso la mano ossuta e
consumata dal cancro verso il suo viso, in ultima carezza alla sua allieva
preferita.
Era stata l'ultima volta che aveva pianto.
Parcheggiò la bici e salutò il portinaio.
Salì veloce le scale e entrò in classe.
Giusto con quel quarto d'ora abbondante che le faceva mettere giù la borsa e la
giacca e raggiungere Barbara alla macchinetta del caffè.
-Non hai risposto ad una sola telefonata!-
Barbara la stava aspettando sul piede di guerra, con i centesimi in mano. Il
lunedì era il suo turno.
-Caffè e cioccolato, grazie... - annuì abbassando gli occhi.
-Mi vuoi spiegare cosa cavolo ti è successo venerdì sera, sembravi in preda ad
una crisi di panico... -
Barbara si scottò la lingua come al solito, ingollando il suo caffè nero tutto
in un colpo.
Tacque per pochi istanti e poi
ritornò all'attacco.
-Ma insomma! Ci stavamo
divertendo, bella gente, musica...e tu scappi?!-
Laurel strinse le spalle, ma non
poteva dirle niente. Proprio niente.
Bevve il caffè in silenzio e poi
guardò l'orologio sopra la macchinetta dei caffè.
-Ho la prima ora...Ci sentiamo-
E imboccò le scale che la
portavano in classe. Le ore passarono veloci, Rivoluzione Industriale da una
parte, Immanuel Kant dall'altra...
Uscì di corsa da scuola, non
voleva quasi incontrarla Barbara, poi si ricordò che l'amica aveva anche il
pomeriggio e si sentì una sciocca ad essersi comportata così.
Venti minuti e era a casa. Una
doccia veloce, un'insalata con il tonno, due biscotti con il caffè. Un sacco di
verifiche da correggere e da preparare la lezione per i giorni successivi.
Accese lo stereo, un po' di
musica, Loreena McKennit...
Il campanello di casa suonò...
Laurel si alzò dalla scrivania, un
fattorino con dei fiori.
-Per me?!- Lo stupore negli occhi
e il naso invaso dalla fragranza del gelsomino e delle rose. Insolito.
Un bigliettino bianco e poche
righe, vergate con una grafia che erano secoli che non vedeva.
-GUARDA FUORI DALLA
FINESTRA...-
Appoggiato, un ragazzo, al vecchio
tiglio del viale, ma lei vedeva solo dei lunghi capelli neri. Il cuore le balzò
in gola, aprì di scatto la porta e si impose di non correre.
Era alto e sorrideva.
-Narbeleth,Laurel,laiss
dannar...Eledhrim dorthar-*
-Chi sei?- Gli occhi
di Laurel brillavano come due fiamme azzurre.
-Sono Dani-el... ma forse tu ricordi Elladan...-
*Ottobre, Laurel le foglie cadono...gli elfi restano-
Grazie a chi legge e a chi recensisce! Benvenuti a quelli che hanno messo questo piccolo esperimento fra i preferiti.
Mi scuso per gli errori di ortografia !!!
Ciao