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Autore: Tomi Dark angel    25/06/2014    4 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La vita a volte, sa essere davvero meravigliosa. Dipinge d’incanto ogni giorno, ogni momento, ogni respiro, amplificando un banale battito di palpebre al più maestoso dei gesti. Ci si sente grandi, puliti, onnipotenti. È vita, questa.
Poi però, la medaglia gira, ruota a mezz’aria e la parte sporca si rivela, schiaccia di prepotenza la grandezza della sua pulitissima gemella. D’improvviso, la vita si capovolge, raccapriccia ogni suo aspetto, tingendo di film horror un incantesimo di pura magnificenza. È allora che ci si piega in due dal dolore, dalla paura, rannicchiati su se stessi come piccoli insetti in presenza del più possente degli elefanti. Si diventa fragili, tremanti, deboli di grida sofferenti e lacrime versate.
John non ha la forza di urlare, stavolta. Semplicemente osserva, sbarra gli occhi, non si rialza nemmeno dal terreno sul quale si è rovinato dolorosamente, leggero come piuma e ormai fragile di porcellana. I suoni sono attutiti, il mondo pare ripiegarsi su se stesso, lasciando intatto nient’altro che quel corpo prostrato, pesante di catene e reti metalliche le quali, mefitiche, lo inchiodano al terreno.
Gli angeli non si ingabbiano. Gli angeli appartengono al cielo.
Ma l’uomo non rispetta nulla, neanche le meraviglie più lucenti dell’universo. Le uncina dolorosamente, le trascina giù senza pietà, senza curarsi di danneggiare di dolore ciò che di benefico ha sempre baciato la terra.
Come poteva John credere in qualcosa di buono per l’uomo quando l’unico male inquinante al mondo è l’uomo stesso? Ha voluto guardare oltre, ha voluto darsi una speranza illusionistica che sapeva di bisogno, di luce, di domani. Ha sempre necessitato di qualcosa, di un barlume di pace, e ha scelto di riporre fiducia in ciò che di malato ha saputo devastare il mondo.
L’uomo vero è già morto da tempo, e ai morti non si danno speranze.
Sherlock artiglia il terreno, serra le labbra per trattenere la sfera di oscura materia fulminante che rischia di esplodergli dalle labbra. John le vede sanguinare, ricoprirsi di tagli profondi ad ogni piccola scintilla che fuoriesce, scottandogli la pelle. Eppure, Sherlock insiste, si trattiene, non reagisce.
E allora, John esplode al posto suo.
-REAGISCI!!! COMBATTI, SHERLOCK!!!- urla devastato mentre le persone attorniano la Furia Buia, inchiodandolo al terreno con uncini e nuove catene. Sherlock si schiaccia al suolo, freme di dolore ad ogni peso che gli scaricano sulla spalla ferita, ma non emette un suono. Semplicemente, si volta, guarda John.
-Perché?- esala l’umano, tendendo una mano tremante verso di lui.
È allora che Sherlock sorride sbilenco, con la sua magnifica arroganza, col suo ammiccare lucente d’occhi cristallini. Sanguina, ha i capelli scompigliati e le labbra coperte di tagli, ma non riesce ad apparire meno bello di una divinità ultraterrena. John li vede nei suoi occhi, i momenti vissuti insieme.
Guarda quella coda immobile, incatenata al suolo, e ricorda tutte le volte che gli ha avvolto le caviglie, capovolgendolo a mezz’aria senza sforzo.
Guarda quelle corna ricoperte di corde e uncini, e ricorda quando si sono incastrate nel muro della sua stanza, bloccando Sherlock sul letto. John ha riso tanto, in quel frangente… si è sentito felice.
Guarda allora quelle mani, quel viso, quelle scaglie. Li ha toccati, li ha riscoperti, per brevi istanti li ha sentiti suoi. Poi, l’uomo ha calato su di loro la sua ombra malata, ferita di rabbia e odio represso, e tutto s’è frantumato.
L’uomo non merita pace. L’uomo non merita pietà.
-Perché…?-
Da sotto l’ammasso imponente di catene e calci che violenti cominciano a piovere sul suo corpo, Sherlock tende una mano artigliata verso di lui. Sorride ancora, fiducioso di una forza che non interverrà in suo aiuto, ma grande di una serenità intoccabile, che rivede finalmente un John sano e salvo.
Gli basta uno sguardo, un battito unisono di cuori così simili, così vicini, per lasciare che John capisca. Sherlock non combatterà. Ha tutta la forza per spaccare quelle catene, rimuovere quegli uncini, esplodere l’intera arena, ma non muoverà una zampa. Quello è il popolo del suo John. Quelle sono persone vive, figlie di una guerra cominciata secoli addietro. Forse, non tutte le colpe appartengono a loro. Forse, quelli sono soltanto colpevoli innocenti.
“Me l’hai insegnato tu”, dicono gli occhi di Sherlock, e John vorrebbe non averlo fatto. Se solo avesse lasciato al cielo la sua stella, adesso questa non sarebbe inchiodata a terra, circondata di misero marciume.
-Vi prego…- mormora impotente, troppo debole per reagire, ma nessuno lo ascolta. Poi, improvvisamente, la mano tesa di Sherlock si ricopre di guizzi luminosi, velocissimi come lingue di serpente. Poco a poco, quei fasci luminosi si materializzano, si solidificano nella loro essenza di fiamma oscura, intrisa di lingue bluastre e fumo argentato. S’avvolgono sinuose intorno a dita sottili di giovane re, s’inerpicano fino al polso, distendono le propaggini di fiamma verso John, bisognose come una richiesta di aiuto.
Sherlock soffia forte, agita appena la mano come per scrollarsi il fuoco di dosso… ed effettivamente, così accade. Le fiamme si rannicchiano in un’unica sfera infuocata, danzano maestose intorno a un concentrato fluttuante di nero e azzurro.
Sherlock lascia che cada per terra prima di schiacciare il suo operato con una mano artigliata. Mormora qualcosa, una preghiera forse, prima di abbandonare il capo al suolo e rovesciarsi su un lato. Chiude gli occhi, ma continua a sussurrare rivolto al cielo, al mondo.
-Prendete Watson!- grida Donovan con gli occhi fuori dalle orbite e il viso traboccante di graffi.
John indietreggia, ma non osa scappare. Sherlock è lì, e questo Donovan lo sa. Ha capito che senza il suo drago, John non vorrà allontanarsi.
È indifeso, debole, fragile di dolore. Guarda impotente alcuni soldati corrergli incontro ad armi spianate, i volti stravolti di rabbia e confusione. John non scappa, non ci riesce. Ha appena la forza per rialzarsi, ma i suoi occhi sono puntati su Sherlock, ormai immobile al suolo, ricoperto di catene e reti di ferro. Non si rialzerà per ora.
Poi d’improvviso, accade il miracolo.
Si ode uno scatto, il rumore dell’ultimo filo metallico che cede, e il pezzo di arena rimasto in piedi crolla tra John e i soldati, abbattendosi al terreno con tanta violenza da sollevare un imponente ondata di polvere nerastra.
-Watson, vada via!- urla qualcuno, e voltandosi, John vede una folla di persone gettarsi a capofitto nella mischia, frapponendosi tra lui e le forze armate. Uomini, donne, bambini, anziani. Tutti schierati, tutti pronti al sacrificio, al mondo che quel bizzarro scrittore di blog ha saputo promettere. Ognuno di loro spera, prega, lotta, ma nessuno si piega. Spalancano tutti le braccia, fieri come leoni, fermi come pilastri inamovibili. E si schierano dalla sua parte, soltanto per difendere l’unica speranza che forse ha la capacità di riportare indietro la vita, quella vera.
-Vada.- mormora qualcuno al suo fianco, e allora Philip Anderson lo affianca, rudemente gli urta una spalla per oltrepassarlo a testa alta. Non dice altro, non lo guarda, ma sorride. Ha in mano una pistola, e la userà per difendere la sua gente secondo i suoi ideali, secondo l’unico motivo che l’ha spinto ad essere lì.
Lui è un guerriero della pace, ma l’aveva dimenticato.
Lui è protettore e guardiano degli innocenti, e adesso lo ricorda.
La vita può riscattarsi, se qualcuno sa accoglierla e combattere per riaverla indietro. C’è speranza, c’è un domani se si impara a lottare per la pace e non per la violenza. Anderson adesso sa, e per questo si ritorce violento contro i suoi stessi compagni d’arme. Sarà affianco al suo popolo fino alla fine, ma lo proteggerà come ha sempre sognato di fare. Il suo posto è quello.
Sherlock socchiude gli occhi, quasi per caso li posa annebbiati sul viso di Anderson. Si squadrano con sospetto, si studiano. Poi, il cervello di Sherlock fa ciò che ha sempre fatto, e deducendo, studiando, memorizzando, capisce che entrambi appartengono alla stessa fazione. Non lotterà accanto a quel banale, fragile umano. Non gli piace. Però, Anderson difende John, e per questo, Sherlock può aiutarlo.
Un’ombra oscura il cielo mentre Mrs Hudson, Molly, Greg e Mike si stringono a John.
Grandi ali violette si distendono, stiracchiano fiere muscoli e tendini d’acciaio.
-Adesso!- urla Anderson, ed è allora che la folla carica i militari, li fronteggia senza paura, senza esitazioni. Ognuno lotta, ognuno si trasforma in arma per la pace.
È proprio quando i militari spianano le armi per sparare su innocenti che Sherlock fa la sua mossa: pianta le unghie nel terreno, sbuffa dalle narici e finalmente, risveglia ogni arto assopito.
Le ali si stiracchiano, sollevando senza sforzo il mare incessante di catene, reti e calcinacci. Gonfiandosi di possente splendore, le ali oscurano il cielo, ricoprono di mefitici avvertimenti i militari che d’improvviso, si voltano. Hanno appena il tempo di alzare gli occhi al cielo, quando Sherlock scrolla le ali e con un unico battito, rovescia sugli uomini ogni catena, ogni rete, ogni uncino. Li stordisce, li guarda accasciarsi e urlare mentre la marea montante di gente li coglie alle spalle, abbattendoli senza ucciderli. È Anderson a guidare la carica, è lui a difendere i suoi uomini da chiunque cerchi d’impugnar arma contro di loro. Non uccide mai, ma i suoi colpi precisi di proiettili fanno in modo che i suoi avversari non possano mai più sorreggere una pistola.
Intanto dal cielo piove un’ombra violetta, trascinando con sé le forze impetuose del vento che, ad ogni battito d’ali, spazzano via detriti, persone, erba bruciata. Noah s’accosta al suolo, sbatte le ali furiosamente per non atterrare definitivamente e stringere tra le zampe anteriori Mrs Hudson e Mike. Poi, ignorando gli altri, risale in veloci spirali. Non guarda John, ignora Sherlock: semplicemente, svolge il suo compito e si innalza al cielo, stringendo i fragili corpi di due persone urlanti di terrore che tuttavia non osano dimenarsi.
Noah sale ancora, poi si allontana senza voltarsi indietro, ma è in quel momento che dal nulla emergono altri due draghi, sfondando le nubi con masse gigantesche di rettili maestosi, padroni del cielo.
John riconosce subito le scaglie vermiglie di Irene, ma rivolge l’attenzione alla bestia che la affianca: massiccia, con gigantesche corna ricurve e squame di bronzo. È grande il quintuplo di Irene, e John crede di non aver mai visto una bestia così grossa, dopo quella che ha quasi ammazzato Sherlock.
Quel drago, i cui occhi serpentini rispecchiano chiari un colore indistinto, abbraccia l’intera Londra semplicemente stiracchiando le ali sottili, traslucide, ma possenti come un’eruzione vulcanica.
John non conosce quel drago, ma gli è familiare.
Indietreggia, cade di schiena e resta immobile mentre Irene cala su di lui e lo stringe delicata tra gli artigli, afferrando anche una Molly urlante e forse prossima a vomitare. Una volta risalita, l’altro drago cala semplicemente ripiegando appena le ali che, ad ogni piccolo movimento, spazzano vie intere aree della città. La sua zampa è grande quanto tutta l’arena, ma appare delicata quando, con estrema precisione, avvolge Lestrade con gli artigli, strappando insieme a lui anche una zolla di terra.
Sbatte le ali una volta, e metà della città vibra come scossa da una bufera improvvisa, violentissima, che spazza via alberi e persone.
Solo Sherlock Holmes torna ad accasciarsi al suolo esausto, con la ferita alla spalla che di nuovo sanguina. Respira piano, con serenità. John è al sicuro, adesso. Va tutto bene.
 
Non ha la forza di agitarsi, John. È stanco, abbandonato, come marionetta senza più fili. Non si bea della carezza del vento sulla pelle, del respiro lento e armonioso dei draghi che come scudo lo attorniano, volando pacifici e senza fretta verso l’unica meta disponibile: casa Holmes.
Quando atterrano, le creature mantengono le ali spalancate, ferme per contrastare il vento e mantenere l’equilibrio mentre depositano gentili i piccoli corpi umani al suolo.
John sente l’erba fresca di rugiada accarezzargli la guancia e le mani. È così diversa dalla terra bruciata che popola Londra. Quelle piante respirano, vivono e, nonostante siano circondate da draghi sputafuoco, non riportano il minimo segno di annerimento.
John respira piano, resta immobile finché mani gentili non lo afferrano delicatamente per le braccia e lo tirano a sedere.
-John caro… stai bene?- dice Mrs Hudson, studiandolo da vicino per cogliere il più basso segno di instabilità. Gli posa le mani sulle guance, gli accarezza le guance coi pollici callosi da donna anziana, matura. Mani da madre.
-John…- mormora Molly, inginocchiandosi al suo fianco. Lo stringe tra le braccia, e allora John cede: serra forte gli occhi e piange, singhiozzando contro i seni della sua più cara amica.
Ha toccato la felicità, l’ha abbracciata per qualche istante. Poi gliel’hanno portata via, hanno soffocato quanto di bello aveva rischiarato la sua oscurità. E nuovamente, John si sente lacerato, fatto a pezzi, senza più anima. Piange per se stesso, per Sherlock, per la disperazione che padrona dilaga nel mondo, negli animi di chi la accoglie pur dimenticando la speranza. Ha guardato l’uomo lottare, ribellarsi all’oppressione del buio, ma non è bastato. Senza Sherlock, John si sente inutile. Chi hanno protetto quei civili, esattamente? Una dannata marionetta, un corpo senz’anima? Dovevano liberare Sherlock, dovevano restituirlo al cielo. Almeno, qualcosa di bello e puro il mondo l’avrebbe ancora avuto.
-Signor Watson.-
Quella voce, John la conosce bene. Solleva gli occhi, incrocia quelli inespressivi di Mycroft, le cui ali ancora non si ritraggono nel corpo. Stringe tra le mani il suo fedele ombrello scuro e alle sue spalle, in tutta la sua bellezza, Anthea sta immobile, silenziosa come ombra guardiana. John si guarda intorno, ma non vede più draghi nelle vicinanze.
C’è solo Noah, tornato bambino e adesso inginocchiato al suo fianco.
C’è solo Irene, appoggiata all’albero più vicino, splendida nella sua sfacciata nudità.
Ci sono solo Mycroft e Anthea.
John ragiona, ricollega il muso schiacciato del drago di bronzo, i suoi occhi piccoli e inespressivi e le sue ali massicce a Mycroft. Tutto avrebbe pensato, fuorché quello: è stato Mycroft Holmes a salvarlo, ad avere pietà di lui. Ha abbandonato Sherlock al suo destino, gli ha voltato le spalle per l’ennesima volta. Forse per ereditare la sua carica, forse per appropriarsi di un trono che non gli appartiene. Ma l’ha lasciato solo.
-Tu…- ringhia John, alzandosi lentamente in piedi. Stringe i pugni, serra forte i denti per combattere una rabbia incontrollabile, animale, che ad ogni istante cresce, si dilata come veleno nel suo petto.
Avanza di qualche passo, fronteggia Mycroft Holmes con fierezza leonina, ferma, irta di rancore. Sta per levare un unico pugno ben mirato al naso, ma una voce lo ferma.
-Io non lo farei, se fossi in lei.-
Passi misurati , lenti, leggeri come d’elfo fluttuante. La porta di casa Holmes si spalanca lentamente, cigolando con forza per rivelare una figura alta ed elegante d’uomo fatto e finito. È magro, ben piazzato, con spalle larghe e fianchi stretti. Ha capelli lunghi legati in un codino, pelle pallida, occhi intelligenti di piccolo grande genio. John con quello sguardo ci ha avuto a che fare tante e tante di quelle volte da aver perso il conto. Lo ricorda bene, al punto da poterlo dipingere su tela, nonostante le sue scarse capacità da pittore.
Quello sguardo ha incarnato spesso la sua unica ragione di vita. Quello sguardo ha respirato attraverso i suoi sogni più beati, dove splendida Furia Buia ha saputo estrapolarlo dalle ombre per restituirlo alla luce.
John non può credere a ciò che sta per dire, ma c’è una sola creatura ancora in vita degna di possedere quello sguardo.
-Lei è… il padre di Sherlock?- domanda con voce appena insicura, e l’uomo sorride. Ha piccole rughe intorno agli occhi, ma anche quelle riescono ad apparire affascinanti. Avanza lentamente, muovendosi come un gatto, silenzioso ed elegante, quasi danzando nel suo incedere regale, da re.
Re.
È questo pensiero a scatenare in John delle domande. Dovrebbe inchinarsi? Che appellativo utilizzano i draghi riferendosi ai rispettivi sovrani?
Quasi cogliendo le sue insicurezze, Edarion Holmes solleva una mano per porre un freno alla confusione di John. Si fa da parte, lasciando libero accesso a casa propria.
Gli altri umani presenti, guardano John e chiedono conferme, permessi, sicurezza. Infondo, l’ex soldato può capirli almeno un po’: escludendo Molly, per gli altri è tutto nuovo. L’ambiente, i draghi, il mondo intero. Dopo una vita trascorsa a barricarsi tra le mura grigie della città, Greg e gli altri scoprono qualcos’altro, una terra nuova che sa ancora di vita, di luce e colori. Infine, i draghi tanto temuti, tanto reputati così simili a bestie e così poco umani, li salvano, parlano la loro lingua, palpitano di umanità.
-Dio mio…- mormora Mike, e la sua è forse la reazione più fredda che si possa avere. Al suo fianco, Mrs Hudson scoppia in lacrime e abbraccia forte Greg, che a stento trattiene il pianto. Solo Molly sorride timidamente, pur mantenendo gli occhi bassi così come ha sempre fatto.
È una vita riscoperta, quella. Adesso, tutti loro sanno che da qualche parte, oltre il nero della guerra, esiste la luce pacifica, serena, viva di palpitazioni all’apparenza quasi utopiche. Il mondo respira ancora, e loro lo scoprono dopo anni di sofferenze, lotte intestine e perdite immotivate.
-John… è questo che…- mormora Greg, e John sorride esausto. Gli poggia una mano sulla spalla, lo abbraccia forte, fedele d’amicizia così come è sempre stato.
Greg l’ha coperto fino all’ultimo, e a causa sua ha perso il lavoro.
Greg l’ha aiutato a crescere, a diventare un soldato vero, di quelli che combattono per la pace.
-Grazie… amico mio.- mormora John, ed è sincero, Greg lo sente. Si aggrappa al maglione dell’altro, soffoca i singhiozzi contro la stoffa. Piange per una vita sbocciata tra violenze e battaglie senza volto, senza motivo. Piange per tutti i giovani decaduti, per gli anziani sofferenti, per le famiglie devastate. Gregory Lestrade, piange per il mondo.
-Entrate, non c’è molto tempo.- dice allora Mycroft, e oltrepassandoli entra in casa, seguito dagli altri draghi. Solo Noah si attarda per arrampicarsi in braccio a John, che se lo stringe al petto e gli scompiglia i capelli sbuffando scherzoso dal naso. Noah è un pezzo di famiglia, il figlio che non ha mai avuto. Qualcosa di buono forse, gli è rimasto.
-John, dobbiamo parlare.- dice allora Greg. Ha la voce ferma, ma i suoi occhi non si staccano da Mycroft, intento a raggiungere il salotto con passo felpato. L’ambiente è pacifico, silenzioso, come addormentato. Attende paziente che qualcosa accada, che qualcosa cambi. Forse sarà così, ma John non può fare tutto da solo. Ha bisogno d’aiuto, e il sostegno più valido che abbia mai trovato è lì in quel momento, davanti ai suoi occhi: persone disposte a lottare, a mentire, a schierarsi per una pace reale, tangibile, che l’uomo pareva aver dimenticato.
-Sì, Greg… dobbiamo parlare.-
È allora che John si abbandona, parla liberamente e senza vergogna di come tutto è cominciato. Ricostruisce pazientemente quei momenti vissuti, quella storia all’apparenza così lontana, così irreale. Sembrano passati anni da quando un John diverso e ancora soldato così come lo voleva la società odierna, sparò a una splendida creatura talmente veloce da apparire e sparire in un battito di ciglia. A volte, John pensa che sia stata fortuna, destino forse: un colpo del genere non va a segno con tanta semplicità, non su un bersaglio così veloce. È stata fortuna, quella.
Poco a poco, con l’avanzare della storia, delle realtà più nere che hanno condotto a quel traguardo di pace ricercata, gli amici umani di John cominciano a capire. Poco a poco, le facce di Greg, Mrs Hudson e Mike si sconvolgono, contraendosi di dolore palpabile, reale, soverchiante. Adesso capiscono, adesso sanno di aver buttato via tempo, vite, momenti mai vissuti. Tutto per un malinteso che non li riguarda più da secoli.
Mrs Hudson scoppia in lacrime, non si contiene più: singhiozza forte, quasi urla di dolore per tutte le perdite subite, per tutto il sangue versato. Nessun domani assicurato, nessun barlume di luce. Lei è invecchiata così.
Greg si copre gli occhi con una mano, respira profondamente per mantenere il controllo. –Tutti quegli anni… tutte quelle vite. Dio santo, cosa abbiamo fatto?-
La voce gli trema, il corpo è scosso dai brividi. Capisce adesso i suoi errori, ma allo stesso tempo, comprende ciò che ha protetto. Hound non è mai stato un terrorista: Hound era speranza, e lo è ancora. Finché John vive, la gente crederà nel domani. Alcuni l’hanno ascoltato, hanno reagito difendendolo, proteggendo quell’unico barlume di vita che abbia mai rischiarato Londra da anni. C’è una possibilità, c’è una speranza. Forse.
Guarda Mrs Hudson, incontra gli occhi improvvisamente decisi di Molly e Mike. Gli parlano in silenzio, confermano le sue idee, decidono con lui come unico uomo.
Adesso basta. La guerra di vittime, ne ha già avute tante. Forse è ora che qualcuno tocchi la vita, quella vera. E se sacrificarsi in nome di una causa senza senso è ritenuto giusto, perché non dovrebbe esserlo credere in un’utopia lontanamente realizzabile?
Si raddrizzano tutti insieme, fieri come antichi eroi, decisi come vittime offertisi volontariamente al patibolo. Per i defunti, per i vivi, per chi ancora nel domani ci crede ancora. Si erigono adesso i grandi del presente, forti di convinzioni rinnovate e verità scoperte intorno a un unico fulcro di luce che si scopre in due grandi occhi di umano ex soldato.
-Cosa dobbiamo fare?- dice allora Molly, e la sua voce non potrebbe apparire più ferma di così. Ha il viso alto, la postura eretta, fiera di leonessa. Non si tirerà indietro, qualunque sacrificio richieda il futuro.
-Hai qualcosa nella tasca, John.- risponde invece Mycroft, fissando il diretto interessato con la solita aria di superiorità. John trasale appena, automaticamente appoggia una mano martoriata sulla tasca dei jeans… e la sente calda, quasi bollente. Eppure, la pelle sottostante non risente affatto di quel calore.
Intasca la mano, fruga, ma non trova nulla. Abbassa gli occhi nello stesso istante in cui ritrae il braccio, e subito i suoi occhi si spalancano di meraviglia e timore: si sarebbe aspettato di trovare qualsiasi cosa in tasca. Le chiavi di casa, il cellulare, qualche banconota. Tutto, tranne quello.
La sua mano è avvolta dalle fiamme. Azzurrine, morbide di carezze prima calde e poi tiepide. Guizzano di bagliori argentati, lucenti di riflessi arcobaleno tra lingue nerastre come diamanti oscuri.
John quelle fiamme le conosce bene, le ricorda. Chiude gli occhi, si bea del loro odore e di quel calore così simili a quelli di Sherlock.
Un pezzo d’anima, una scintilla di vita: le Furie Buie non se ne separano mai, così disse Noah. È una cosa personale.
-John…- dice infatti Noah, fissando come incantato le fiamme che gli abbracciano mano e polso. –quello è… insomma…-
-Mio figlio non smetterà mai di sorprendermi.- interviene Edarion. Ha le sopracciglia corrucciate e la bocca stirata in una linea tagliente. –Un pezzo d’anima, la parte più recondita di se stesso… l’ha donata a te. Tra tanti pezzi, tra tanti momenti, ha voluto regalarti questo.-
Tutti lo guardano, nessuno capisce, a parte Mycroft.
-Che… che vuole dire?-
-Non posso spiegarti ciò che non comprendo in prima persona, John. Sappi solo che hai tra le mani qualcosa di prezioso. Se avrai il coraggio di andare fino in fondo, affidati a mio figlio. Altrimenti, serra il pugno e le fiamme spariranno.-
Edarion lo fissa, con occhi intelligenti scava nella sua anima, nei suoi ricordi, nei suoi pensieri.
John tuttavia, non stacca gli occhi da quelle fiamme. Sono bellissime, morbide come seta, eleganti più della ballerina più aggraziata. Eppure, nascondono qualcosa di grosso, qualcosa di importante che Sherlock ha voluto affidare a lui e a lui soltanto. È un regalo, è un pezzo del puzzle. Forse, è ora che anche quello scivoli al suo posto.
-Mi chiede se mi fido di Sherlock, signore?- sorride allora John, alzando finalmente gli occhi dalle fiamme. Incrocia lo sguardo interrogativo di Edarion, la sua espressione corrucciata così simile a quella del figlio.
-Affiderei a Sherlock quanto ho di più caro al mondo. L’anima, il corpo… sono solo oggetti per me. In mano a lui però, sento di poter essere riplasmato. Perciò, egoisticamente forse, ogni più piccola parte di me l’ho posta nelle sue zampe, l’ho sentita rinascere, sbocciare di nuovo. Mi fido di Sherlock? La risposta è sì. E lo urlerei al mondo perché lui è quanto di più importante abbia mai sfiorato in vita mia. La risposta è sì perché semplicemente, io lo amo.-
 
Angolo dell’autrice:
Ritardo. Ancora. E porca miseria. Ok, chiedo venia, ma mia madre mi ha incollata al letto per due sere di fila perché voleva guardare Sherlock in mia compagnia. Valle a mascherare le faccine diaboliche ogni volta che la gente affermava quanto fossero gay Sherlock e John. La fatica del secolo.
Sher: non hai mascherato niente, hai indossato una maschera.
Non è vero!
Sher: non hai esattamente il naso di Alan Rickman, quindi sì.
Ehm… sì, dicevo? Ok, ringrazio velocemente causa mancanza di tempo gli splendidi angeli che hanno contribuito alla realizzazione di questo nuovo quanto faticoso capitolo. Dedicato a voi, che avete la pazienza e la gentilezza di leggere e recensire questi orrori. Mi date quel po’ di fiducia che non ho mai avuto, e ammetto che una volta conclusa la storia… sì, mi mancherete tutti. Grazie ancora, dal profondo del cuore a:
Kimi o Aishiteiru
Sonia_0911
Fatelfay
Wibbly Wobbly Timey Wimey

Grazie davvero e a prestissimo!

Tomi Dark Angel

 
  
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