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Autore: Sad Angel    20/08/2008    1 recensioni
Ho pensato a quale potesse essere l'incubo più grande di Tom e, realizzandolo, di descrivere ciò che, secondo me, avrebbe potuto provare. Ovviamente non si tratta di nulla di violento. Solo molto triste.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Ein Alptraum: mein Leben ohne dich

Halloooo! Eccomi di nuovo qua e prima del previsto! Come Tom e Bill mi hanno fatto coerentemente notare, posso anche spezzarmi la schiena di meno sui libri e di più sul computer…Che carini, né? Ma che ci volete fare?!? Ognuno pensa sempre e solo ai proprio comodi…^^! Bene! Ci sentiamo domani allora e buona lettura!!!! Viel dank^^!

Per Darkviolet92: Ciao! Ho solo una domanda…In che senso inquietante?

Per Sbadata93: Halloooo!!! Come va? Bill? La sua crisi? Ma è dovuta alla mia ff??? Guarda il mio, se ne sta tranquillamente svaccato sul letto a giocare ai videogiochi con Tom…Sembra che la cosa non lo tocchi! (Bill: Per forza, finché nella realtà è al mio fianco, non vedo dove sia il problema… Tom: Giusto, Bruder! Ah.. Comunque, grazie per esserti distratto! Ho vinto io! Bill: Neeeeeein! Me:…keinen Wörten…) Ah! Per il resto ho passato il tuo messaggio a Tom ma lui ha storto la faccia…Mah…Speriamo in bene!!!! A presto! E grazie ancora per il tuo sostegno, sempre presente! Viel, viel Dank^^!!!!!

Per Eleonora483: Halloooo! Ehy, sbaglio o è da un po’ che non ci sentiamo?!? Bentornata!!! Spero che sia andato tutto bene!!!! Grazie per il tuo commento! Da quando Bill l’ha sentito, continua ad autodirsi di essere Billissimo!!!! Ahaha! Mi sa che fra un po’ Tom, lo mena… Cmq Il mio Tom è geniale come tutti i Tom! Nel senso che, essendo parecchio presuntuoso, pensa solo a se stesso e da lì nasce tutto (Me si volta verso Tom. Lui, seduto accanto a Bill, sorride. Tom: jaaaaaaaaaa!!!!) Comunque ancora grazie! Farò, anzi, io e Tom, faremo del mio meglio per non deluderti!!!! Kuss, kuss^^!!!

 

Ein Alptraum: mein Leben ohne dich

drei

 

Entrai in casa, gettando lo zaino nell’ingresso. Immersa nel buio e nel silenzio, la casa aveva un che di spettrale ma io camminai tranquillo fino al salotto dove, per prima cosa, spalancai la finestra e aprii le persiane. La luce invase la stanza, ma l’ambiente non migliorò di molto. Guardandomi attorno, mi resi conto che appariva triste senza le nostre solite cose, gettate in ogni angolo. Sospirai.

Ricordandomi che avevo poco tempo per frugare, prima che la mamma tornasse dal lavoro per pranzo, diedi un’altra occhiata attorno.

Il mio sguardo cadde sul mobile dove sapevo che i miei tenevano nascosti tutti i documenti. Non l’avevo mai aperto prima d’ora…, pensai,…più che altro perché non è che la cosa mi interessasse più di tanto...

Si prospettava una ricerca noiosa. Sbuffai.

Un secondo dopo ero a terra, le ante del mobile spalancate, chili di fogli sparsi sul pavimento, mantenendo un certo ordine. Evitare di essere scoperti era, e rimaneva sempre, una delle mie priorità.  All’improvviso ricordai una delle nostre prime marachelle. Sorrisi.

Io e Bill, che avevamo all’incirca 4 anni all’epoca, eravamo in vacanza in montagna con i nostri genitori ed i nonni quando, per provare la sensazione d’infrangere le regole e per il bottino, avevo convinto mio fratello a fare il palo mentre io rubavo le caramelle dal comodino del nonno. Senza essere scoperti avevamo diviso i dolci, ridendo come due cretini. Due giorni dopo, mio fratello, peccando di eccessiva ingenuità, aveva tentato di ripetere l’impresa ma, impaziente, non aveva aspettato il mio ritorno. Beccato sul fatto, i nostri genitori lo avevano punito, impedendogli di stare con me, per il resto del giorno, intimandogli di non uscire dalla nostra camera. In realtà, così facendo, intendevano punire anche me, consapevoli che il “mentore” di certe azioni, non potevo essere che io. Restare tutto il resto del giorno lontano da lui era stato più difficile del previsto, anche se cercavo di non darlo a vedere. Seduto in giardino, dopo aver perso tempo in tutti i modi possibili, cercando contemporaneamente di non far notare alla mamma che ogni tanto gettavo un’occhiata alla finestra del secondo piano, da dove Bill mi guardava, sconsolato, avevo spostato lo sguardo sulla nonna, seduta in veranda con lei, implorando la sua indulgenza. La nonna, mi aveva sorriso, accondiscendente, prima di tornare a lavorare a maglia, facendo finta di niente. Avevo atteso, impaziente, percependo lo sguardo di Bill costantemente addosso. Dopo qualche minuto la nonna aveva indotto la mamma ad entrare in casa con una scusa, liberandomi la strada. Appena l’avevo vista sparire nell’ingresso, avevo iniziato  ad arrampicarmi sull’albero, i cui rami davano direttamente sulla finestra. Bill, spalancandola subito, mi osservava preoccupato, dando suggerimenti. Giunto in cima, mio fratello mi aveva teso entrambe le mani e, afferrandole, avevo raggiunto la metà. Il cuore che batteva all’impazzata, per il pericolo appena corso, il sorriso sulle labbra, perché eravamo di nuovo insieme, nonostante tutto, ci eravamo abbracciati, un istante. Poi, prima di iniziare a giocare, ricordo che, come suo “mentore”, mi ero preoccupato che imparasse quelll’arte che, tante volte, in futuro, ci avrebbe salvato dalle meritate punizioni. L’arte del non farsi scoprire. Dopo avergli dato un paio di dritte, che io ritenevo scontate, perché intrinseche nel mio carattere, Bill aveva sorriso. Alla marachella successiva, mio fratello si era rivelato il migliore degli allievi…

Sorrisi ancora poi sospirai, tornando alla realtà. Dovevo smetterla di perdere tempo…, mi dissi,…prima sarei riuscito a scoprire qualcosa, prima lo avrei trovato, prima tutto sarebbe tornato come era giusto che fosse…Di nuovo insieme…

Cercando di focalizzare tutta la mia attenzione sulle carte, le feci passare, ad una ad una. Niente. Bollette, qualche multa. Analisi del sangue. Sbuffando, riordinai l’armadietto. La mamma non avrebbe notato nulla…, mi dissi, alzandomi.

Gettai un’occhiata veloce all’orologio. Avevo sprecato un’ora e mezza in quell’inutile ricerca. Mi guardai attorno, pensando a dove potevo frugare. Il salotto non era il luogo migliore dove trovare un indizio…, mi dissi, prima di gettare uno sguardo veloce all’unico mobiletto oltre quello dei documenti. Strapieno di videocassette, le tirai fuori, impalandole alla rinfusa. Qua non era necessaria molta prudenza, essendo armadietto comune. Estrassi la prima fila. Sulle cassette poste nella seconda, riconobbi la calligrafia di mia madre. “Fidanzamento” “Matrimonio” “Viaggio di nozze” “Battesimo”.

Le appoggiai sopra alle altre. Raggiunto il fondo, sospirai sconsolato, poi, al culmine della disperazione, battei con la mano contro la parete come se, in un comune armadietto delle videocassette, avesse senso costruire uno scomparto segreto. Ovviamente, la risposta era no…

Sospirando, ricominciai a rimettere dentro le videocassette, senza badare all’ordine. Molte della prima fila finirono nella seconda e viceversa.

Driiin!

L’ultima videocassetta in mano, mi voltai verso il telefono che, all’improvviso, aveva iniziato a squillare. Lentamente, mi alzai, avvicinandomi. Sperare che dall’altro capo ci potesse essere mio fratello era davvero illogico ma, nonostante questa consapevolezza, il mio cuore non si decideva a smettere di battere all’impazzata.

Un secondo dopo, me lo stavo già immaginando. Spaventato, seduto da qualche parte. Chissà quanto avrà pianto, rendendosi conto che non eravamo insieme…, mi dissi, un groppo che improvvisamente mi prendeva alla gola. Mentre afferravo la cornetta, rispondendo con voce titubante “Hallo?”, non dubitai nemmeno per un istante che Bill, proprio come me, potesse aver dimenticato il suo gemello.

Tom!” la voce della mamma mi riportò bruscamente alla realtà, spezzando le mie fragili ma accorate speranze “Grazie al cielo sei a casa! Ritira il bucato che ho stesso sul balcone! Sta piovendo!

Ok…” risposi in un sussurro.

“A dopo…” salutò la mamma, prima di riattaccare.

Sospirai, lasciandomi cadere un secondo a terra. Deglutii, fissando per l’ennesima volta il nulla, chiamando nella mente il nome di mio fratello, senza sosta.

 

La campana della chiesa, rintoccando l’ora, poco dopo, mi strappò dai miei tristi pensieri. Mi alzai, l’ultima videocassetta ancora in mano. Ricordandomi del motivo della telefonata di mia madre, la appoggiai vicino al telefono, correndo a ritirare il bucato, oramai completamente zuppo. Bagnandomi a mia volta, svolsi il lavoro, imprecando mentalmente. Rientrai, riportandolo in bagno, sbattendolo nuovamente all’interno della lavatrice, aggiungendo, come extra, i vestiti che indossavo. Mi asciugai in fretta, i rasta zuppi, mi ricadevano pesantemente sulla schiena. Sbuffai, legandoli in alto, il più lontano possibile. Mi rivestii, poi tornai in salotto.

Guardando l’orologio, imprecai ancora. Avevo solo mezz’ora e ancora non avevo trovato nulla. Al culmine dell’irritazione e della delusione, urlai a squarciagola “Scheiße!”, prima di prendere un bel respiro. Dovevo restare calmo…, mi dissi,…dovevo mantenere la calma…dovevo farlo anche per Bill

Passando accanto al telefono, presi la videocassetta, abbassandomi per riporla nell’armadietto.

Un istante. L’iscrizione sull’etichetta mi colpì.

“Battesimo?!?

Sbattei le palpebre, esterrefatto, poi deglutii. Doveva essere la videocassetta del nostro battesimo…, mi dissi,…doveva esserci per forza anche Bill!

Mentre la solita sensazione d’ansia mi riprendeva alla bocca dello stomaco, infilai la cassetta nel lettore, facendola partire. Mi sedetti sul pavimento, davanti allo schermo, respirando profondamente, cercando di calmarmi.

Non era un indizio su dove si trovava adesso mio fratello…, mi dissi…, ma vederlo di sicuro mi avrebbe aiutato a sentirmi meglio.

 

La navata di una chiesa protestante. La persona che stava girando l’inquadrò, poi spostò la telecamera sull’immenso organo che si trovava in alto, sulla sinistra.

“Non me ne frega nulla dell’organo!” mi lamentai, mandando avanti il filmato.

Qualche secondo, stoppai. Mia mamma stava entrando, reggendo un bambino. Di mio papà, che la seguiva, si intravedeva solo il viso. Davvero un grande regista quest’uomo…, pensai, mentre ricordavo che, nelle poche foto trovate a casa della nonna, era mio padre a tenere Bill in braccio, mentre mia madre teneva me.

La camera si spostò, seguendo mia madre, me in braccio, mentre si avvicinava al fronte battesimale.

“Come lo volete chiamare?” domandò un secondo dopo una voce fuoricampo. La telecamera infatti era fissa su di me, un bambino biondo, che si dibatteva a più non posso.

Thomas…” fu la risposta di mia madre.

Vidi una mano, versarmi dell’acqua sul capo. Il me neonato, mugugnò, continuando a dimenarsi, senza piangere. La telecamera poi si spostò, inquadrando mia madre. Sorrideva.

Il cuore in gola, in attesa che arrivasse il turno di mio fratello, fissavo lo schermo, immobile. Poi lo vidi. Sgranai gli occhi.

Mio padre si era avvicinato a mia madre, entrando nel raggio della telecamera. Sorrideva, ma le sue braccia erano vuote. Non sosteneva nessun bambino.

Un brivido mi percorse la schiena, risalendo fino al volto. Sentii i nervi del viso irrigidirsi.

“Non può essere!” esclamai, sconvolto, saltando in piedi.

Mi avvicinai maggiormente allo schermo, col telecomando, accelerai il programma, guardando tutto il video, alla ricerca di Bill. Nulla. L’unico bambino presente ero io, di mio fratello, nessuna traccia.

Mi morsi le labbra, ricacciando indietro le lacrime. Sospirai, portandomi le mani al viso, un secondo, cercando di mantenere il sangue freddo, riflettere, attaccarmi ad ogni possibile speranza, anche la più vana e incoerente. Infatti, mai avrei potuto credere che Bill non esistesse, mai, nemmeno di fronte a quel video che provava che mi mamma non mi aveva mentito.

 

 

Continua…       

  
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