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Autore: Hermione Weasley    27/06/2014    7 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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8

 

At the curtain’s call
It's the last of all
When the lights fade out
All the sinners crawl

(Imagine Dragons - Demons)

 

 

“L'obbiettivo è Boris Shostakov,” una serie di immagini, rubate ed ufficiali, comparvero sullo schermo alle spalle di Coulson. Il magnate russo era più atletico di quanto si sarebbe aspettato: ad occhio e croce doveva avere una cinquantina d'anni, fisico prestante, capelli biondicci, occhi scuri e labbra talmente sottili da sembrare inesistenti. Si rese subito conto che quella faccia non gli ispirava esattamente simpatia. Per un cazzo, ci tenne a ribadire a se stesso.

“Dobbiamo toglierlo di mezzo?”

“No,” fu Natasha a rispondere.

Erano passate circa due settimane e mezzo da quell'ultimo disastroso episodio che li aveva visti protagonisti, lasso di tempo in cui la ragazza l'aveva accuratamente e strenuamente evitato. Lo stava ignorando tutt'ora, guardandolo di sfuggita e solo quando era assolutamente impossibile non poter fare altrimenti. Non riusciva a fargliene una colpa, ha avuto paura, tutto qui.

“Pensiamo che abbia l'orecchio di qualcuno all'interno dello SHIELD.”

“Una talpa?” In mancanza di relazione, decise di rivolgersi direttamente a Phil.

“Cerchiamo di non arrivare a conclusioni affrettate, ma è possibile,” cautela sempre e comunque. Classico Coulson. “Lo SHIELD è stato una sua spina nel fianco fino a qualche mese fa. Pare che Shostakov sia coinvolto in certi minori atti terroristici nella zona centro-meridionale della Federazione Russa. E' lì che si trovano i suoi stabilimenti più importanti.”

Clint ricordava bene come lo SHIELD avesse contribuito a mettere in luce le continue e pesanti infrazioni dei diritti umani che avevano luogo in quel particolare territorio. Proprio in quella zona, uno dei loro aveva perso la vita nella missione che aveva sventato lo scoppio di una bomba. Tutti sapevano che dietro tutti quei complotti c'era Shostakov, ma nessuno ne aveva le prove. Il potere e l'influenza del magnate avevano comunque continuato a diffondersi a macchia d'olio, fino a raggiungere le vette dello SHIELD. Un qualche dirigente (o più di uno, stando alle poche informazioni di cui disponevano) corrotto sembrava avere ogni intenzione di assicurare al proprio paese una fornitura di energia illimitata a vita; in cambio, era disposto a chiudere un occhio sui crimini del suo benefattore. Se non puoi batterli...

“Quindi è un recupero di informazioni,” decretò, tirando autonomamente le fila del discorso.

“Prove,” confermò Phil. “Qualcosa che implichi Shostakov nelle sommosse del centro-sud o contatti coi regimi vicini.”

“Immagino sia una missione sotto copertura,” se avesse potuto scegliere, avrebbe ridotto le operazioni di quel genere al minimo.

“Lo è,” le fotografie sul monitor vennero sostituite da un articolo di giornale. Un evento super-esclusivo, una specie di gala dei più ricchi e potenti della Federazione Russa avrebbe avuto luogo in una delle ville di Shostakov, di lì a qualche giorno. Il russo di Clint era decisamente arrugginito, ma riuscì comunque a cogliere qualche parola qua e là sulla carta stampata.

“Una festa in maschera?” Domandò perplesso. La missione sotto copertura consisteva in una dannata festa di carnevale? Sperò ardentemente di aver capito male.

“A quanto pare il nostro Boris ha dei gusti piuttosto particolari,” Phil gli rivolse uno dei suoi placidi sorrisi. Natasha non aveva ancora detto una parola.

“Sarete Yuliya Filiminova e Dennis Taylor, l'ereditiera kazaka e la sua nuova fiamma yankee,” una fotografia piuttosto sgranata della coppia apparve alle spalle del supervisore che aveva ripreso a parlare. La somiglianza era tale che avrebbero potuto passare per quei due figli del petrolio senza troppi problemi. “Hanno declinato l'invito di Shostakov per via di un'inderogabile fuga d'amore in Indonesia, ma ci siamo assicurati che una rapida rettifica fosse recapitata a chi di dovere qualche giorno fa.”

Se non altro non avrebbero dovuto intercettarli per strada, legarli ed imbavagliarli e abbandonarli chissà dove per evitare che rovinassero loro la festa. Letteralmente.

“C'è un caveau nel livello sotterraneo della villa. Pensiamo che sia lì che Shostakov abbia nascosto informazioni, tabulati, accordi... qualsiasi cosa potrebbe rivelarsi utile.”

Pensiamo?” Clint aveva un pessimo presentimento.

“E' tutto ciò che sappiamo,” Coulson non fece segreto della propria preoccupazione, evidente su tutto il suo viso. “Dovrete essere in grado di coordinarvi sul campo, cambiare il piano in corso d'opera... per tutte le volte in cui sarà necessario.”

“Tasha?” Si voltò verso di lei: se dovevano imbarcarsi in una missione suicida voleva essere certo che Natasha fosse d'accordo, che ne comprendesse a pieno i rischi.

“Non abbiamo altra scelta,” fu la pronta risposta della ragazza, ancora apparentemente troppo interessata all'articolo di giornale in bella vista sullo schermo, per poterlo degnare di un'occhiata. “Se non lo rendiamo inoffensivo rischiamo di permettere che l'influenza di un noto criminale raggiunga i vertici dello SHIELD.”

Come aveva fatto a non pensarci prima? Con l'imminente nomina del nuovo vice-direttore, c'era tutto lo spazio per una manovra radicale: sostituire Fury, magari con qualcuno più disposto ad ascoltare le richieste di Shostakov e di chissà quanti altri pezzi di merda con mezzi e risorse non irrilevanti.

“Quando partiamo?” Si costrinse a distogliere lo sguardo dalla ragazza e a tornare su Phil.

“Domani sera,” annuì e poi parve ricordarsi improvvisamente di qualcosa. “Non avrete un piano d'estrazione.”

“Fantastico. Hai qualche altra buona notizia?” Domandò sarcastico.

“Avrete bisogno di vestiti adatti.”

Oh, merda.

 

*

 

Finì di appuntarsi la complicata acconciatura sulla nuca, dandosi un'ultima occhiata allo specchio. Dopo aver decretato che era abbastanza, si infilò la pelliccia bianca e soffice che lo SHIELD le aveva fornito, insieme all'abito più ingombrante che avesse mai avuto la sfortuna di indossare. Blu notte, la gonna ampissima, il corpetto stretto e le spalle scoperte. La perfetta replica di un collier di rubini che la giovane e viziata Yuliya Filiminova aveva ricevuto per il suo ventunesimo compleanno, le cingeva il collo, dandole un'aria... costosa.

Si decise ad uscire dal minuscolo bagno del quinjet che, nel frattempo, aveva cominciato la sua silente discesa in un punto non meglio identificato della steppa russa.

“Phil!” Clint era alle prese con il nodo del suo papillon, con risultati per altro piuttosto scarsi. “PHIL!”

A giudicare dalla sua postura, sembrava che il completo elegante in cui l'avevano costretto ad entrare, fosse fatto di aghi e spilli... o magari serpenti. Non credeva di averlo mai visto tanto a disagio.

“Qui,” prese un'improvvisa decisione e si fece avanti, richiamando la sua attenzione su di sé. “Coulson è occupato con il pilota,” aggiunse a mo' di giustificazione, evitando attentamente di non incrociare il suo sguardo mentre gli slacciava e riannodava correttamente il papillon.

“Non so perché si ostinino a mettersi questa roba,” lo sentì borbottare, imbarazzato forse, o solo scocciato da quell'assurda costrizione.

“Ogni situazione ha il suo codice d'abbigliamento.”

“Bè, questo codice è sbagliato,” ci tenne a sottolineare, mentre Natasha gli sistemava il colletto della camicia bianca e inamidata. Non riuscì ad impedirsi di lanciargli un'occhiata fulminante: si ricordò in ritardo di essersi ripromessa di limitare le interazioni al minimo. “Tu invece sei una favola,” Clint aveva deglutito e si era umettato le labbra prima di parlare.

“Se non altro puoi correre e muoverti senza troppi problemi,” si impegnò per stemperare il momento, ignorando volutamente il complimento. Alludeva ai tacchi stratosferici che stava attualmente calzando, e a quella gonna che avrebbe rischiato di incastrarsi in qualsiasi cosa.

“Però non respiro.”

“Vuoi fare a cambio col mio corsetto?”

“Non sono sicuro che mi starebbe altrettanto bene.”

“Non lo sapremo mai se prima non provi.”

“Una volta ho sognato di recitare nel Rocky Horror Picture Show, vale?”

“Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando.”

L'espressione di puro shock che Clint le riservò non aveva niente a che vedere con il suo attuale aspetto fisico. Era piuttosto sicura che fosse sul punto di lanciarsi in una accoratissima tirata sul come e perché non si fosse messa in pari con i film cult del glorioso paese che l'aveva accolta (discorso che aveva già sperimentato diverse volte e che ormai avrebbe saputo ripetere a memoria). Fortunatamente Coulson sopraggiunse a distrarlo.

“Un minuto all'atterraggio,” li informò, soffermandosi particolarmente su Clint. “Come hai fatto ad allacciarti il papillon?” Sembrava sorpreso da quell'insolito sviluppo, ma non abbastanza per soffermarsi ad aspettare spiegazioni. “Queste sono le vostre maschere.” Ne consegnò una ad entrambi insieme alle consuete trasmittenti. “Nessuna mossa azzardata,” li mise in guardia, concedendo una lunga, serissima occhiata ciascuno.

Quando Natasha si stava infilando il piccolo congegno nell'orecchio, un impercettibile sussulto li informò che il quinjet era atterrato con successo.

“La macchina vi aspetta,” Coulson sembrava doversi sforzare per apparire il meno preoccupato possibile. Sapeva benissimo che quella era una missione a rischio, che qualche pezzo grosso dello SHIELD, se l'affiliazione che avevano sospettato fosse di fatto esistente, avrebbe potuto essere presente, riconoscerli, far cadere miseramente la loro copertura. Dopodiché sarebbe andato tutto a puttane e solo un gran colpo di genio avrebbe potuto salvarli. Più che angosciata, però, si sentiva carica e pronta all'azione. Non aveva superato tutti i test dello SHIELD per essere relegata a missioni di minore entità: no, era per quelle complicate e impossibili che aveva combattuto e adesso che ne aveva ottenuta una, non si sarebbe di certo tirata indietro.

Nonostante tutto, però, ora più che mai, avrebbe desiderato che l'agente Hill le avesse assegnato un nuovo partner. Affiancò Clint all'uscita del quinjet, aspettando che la rampa che li avrebbe condotti all'esterno si abbassasse fino in fondo. Fossilizzarsi su quel punto e piangersi addosso per qualcosa che non avrebbe, di fatto, potuto controllare, sarebbe stato completamente inutile.

Ciò che aveva intenzione di fare era dedicare la sua incondizionata attenzione a quelle cose che, invece, aveva il potere di cambiare.

A cominciare da Boris Shostakov.

 

*

 

L'immenso salone era fiocamente illuminato da tre imponenti lampadari di cristallo: riverberavano una luce tenue e intima sul pavimento di marmo, lasciando le pareti e il soffitto nella penombra. Due lunghi tavoli di legno massiccio erano sistemati ai due lati della sala, mentre dal fondo proveniva la musica discreta di un quartetto d'archi.

“Non credo di aver mai visto tanti palloni gonfiati tutti insieme,” le confessò, accostando confidenzialmente le labbra al suo orecchio.

Natasha strinse leggermente la presa che aveva sul suo braccio, ma non disse niente. Non aveva avuto il coraggio di chiederglielo, ma era sicuro di aver notato qualcosa di strano nel suo comportamento. Qualcosa che non aveva necessariamente a che vedere con l'incubo che l'aveva fatta urlare nel bel mezzo della notte, o con il goffo modo in cui aveva lasciato il suo appartamento per impedirgli di vedere. Di vederla. La maschera non gli permetteva di avere una visuale decente – dettaglio che gli risultava particolarmente odioso – ma il modo in cui Natasha si era guardata attorno, gli aveva inspiegabilmente suggerito una certa familiarità. Era possibile che fosse già entrata in quella specie di pacchianissimo castello prima d'allora?

Di una cosa era sicuro: era bellissima. Uno dei domestici di Shostakov si era portato via il suo cappotto e la pelliccia di lei, concedendogli finalmente di guardarla in tutta la sua gloria. Il collo e le spalle scoperte, gli occhi resi più profondi e più verdi dal trucco, le forme strette in quel dannato vestito che aveva l'aria di essere scomodissimo, ma dio se le stava bene. Sembrava più grande e – soprattutto – più pericolosa. La maschera, poi, per quanto un inutile vezzo, le conferiva un'aria di mistero d'altro tempo, altro luogo, altra vita. Sapeva che quello della Vedova Nera era solo un inganno, un complicato specchietto per le allodole, che sotto il miele si nascondeva il peggiore dei veleni... eppure non poteva fare a meno di pensare che se avesse potuto scegliere come morire, cadere per sua mano non gli sembrava esattamente quello peggiore. C'erano cose ben più terribili da guardare un attimo prima di abbandonare questo mondo...

Recuperò un bicchiere di champagne dal vassoio di un cameriere in movimento, bevendone un microscopico sorso.

“Ti conviene restare lucido,” gli suggerì Natasha.

“Riesco a sopportare un po' di quest'acqua e bollicine.”

Ovviamente sei anche uno snob degli alcolici.”

“Non sono uno snob degli alcolici, dico solo che una birra è più pesante di questo. Lo champagne è praticamente succo d'uva!”

Si sentì trattenere per il braccio. Si preparò mentalmente ad una puntualizzazione sulla storia e sul processo di distillazione (si diceva?) dello champagne, che non arrivò mai. Natasha si era fermata ad osservare un enorme dipinto ad olio appeso alla parete a circa due metri d'altezza.

“Wow,” non riuscì a trattenersi dal commentare. “Non credo che la parola 'umiltà' esista nel vocabolario del nostro padrone di casa.”

La gigantesca pittura a dimensione naturale, ritraeva Borish Shostakov seduto su una poltrona di pelle, una coppia di cani da caccia accucciati ai suoi piedi. Natasha lo condusse un po' più avanti: un altro quadro. Stavolta il soggetto non era Shostakov, ma qualcuno che gli assomigliava. Forse un parente.

“Il figlio?” Si azzardò a supporre, fingendo di prestare attenzione al buffet gentilmente offerto dalla casa. Avrebbe di gran lunga preferito un cheeseburger con patatine a quella valanga di tartine al... caviale, o qualche altra schifezza altrettanto costosa. (Le stranezze dei ricchi e annoiati non facevano decisamente per lui.)

Natasha non rispose. Si limitò a voltarsi per passare in rassegna l'intero salone: gli invitati, riuniti in piccoli gruppetti o a coppie, parlavano sommessamente in lingue diverse, in maggioranza russo, inglese e francese.

“Credi che dovremmo socializzare prima di entrare in azione?”

“No.” Un uomo si muoveva nella loro direzione. “Shostakov ci sta raggiungendo. Lascia parlare me.”

Un ampio sorriso apriva l'inconsistente bocca del magnate russo in avvicinamento. Indossava un completo elegante bordeaux di straordinaria fattura, che non faceva niente per non mettere in mostra la sua forma fisica invidiabile. La camicia nera di seta sembrava fatta dello stesso materiale della maschera che gli copriva parte del volto. Gli occhi, neri e vispissimi, non esitarono a studiare entrambi. Clint non fu affatto sorpreso di constatare che era stata la sua compagna a catalizzare l'attenzione dell'uomo.

“Benvenuti,” li accolse affabilmente, odioso. Non esitò a stringere la mano che Shostakov gli aveva teso, un attimo prima che il padrone di casa si esibisse in un antiquato baciamano nei confronti della ragazza. (Clint rabbrividì quando le sottilissime labbra dell'uomo, sfiorarono il pallido dorso della mano di Natasha.) Lei gli concesse un sorriso straordinariamente genuino, riuscendo persino a far risalire un po' di colore alle proprie guance, a simulare imbarazzo. L'improvvisa consapevolezza di non aver mai visto la Vedova Nera in azione in quel particolare frangente, o comunque non così da vicino, lo colpì come uno schiaffo in pieno volto. Combattendo al suo fianco, aveva potuto constatare quanto fosse abile, armata e a mani nude, ammirare la straordinaria padronanza che aveva del proprio corpo, ma non assistere in prima persona alla creazione di una delle sue impeccabili illusioni. Stava tessendo la sua invisibile tela.

“E' sempre un piacere rivedervi,” Shostakov riprese a parlare, limitandosi all'inglese, probabilmente per estendere una cortesia all'americanissimo Dennis Taylor. “Ve la prendete se vi dico che sono contento che il vostro viaggio in Indonesia sia saltato?”

Natasha rise, una risata contenuta e discreta. “Non ce la prendiamo, Boris,” lo rassicurò, la voce più acuta del solito, passando improvvisamente al russo. “Lo sai che adoro le tue feste.”

“Oh, me ne sono accorto,” allungò una mano per sfiorare il collier di rubini che faceva bella mostra di sé sul decolleté di Natasha. “Il famoso regalo di papà?”

“Quello,” confermò orgogliosamente, “dicono che siano tra i rubini più grandi del mondo.”

“Sicuramente tra i più belli.”

A Clint, che era riuscito a cogliere più o meno tutti i punti salienti della conversazione (o quasi), veniva da vomitare.

“Ci ha fatto molto piacere ricevere il tuo invito,” intervenì, azzardando qualche parola di russo mentre le passava un braccio attorno alla vita.

“Yuliya, non mi avevi detto che il tuo Dennis si è finalmente messo a studiare il russo!” Esclamò Shostakov, sorpreso e divertito.

“Dennis è un tesoro.” Natasha gli rivolse uno sguardo adorante che gli fece arricciare lo stomaco. “L'ha fatto per me, vero amore?”

“Per te questo ed altro, pulcina.” Pulcina?! Prese mentalmente nota di non orbitarle attorno a missione conclusa: sospettava che – presto o tardi – un violento calcio nelle palle sarebbe arrivato a punirlo di tanto ardire. Finse totale nonchalance, posandole un bacio sulla guancia (com'è che non si era accorto di quanto fosse morbida la sua pelle?).

“Boris, mi potresti indicare il bagno?” Qualcuno doveva pur cominciare a mettere in moto gli ingranaggi dell'operazione. “Credo di aver bevuto troppo champagne mentre venivamo qui,” si giustificò. Natasha avrebbe potuto facilmente tenerlo occupato anche senza il suo aiuto.

“Certamente,” sembrò cercare qualcuno con lo sguardo e illuminarsi quando l'ebbe trovato. “Dimitri!” Richiamò l'attenzione di uno dei domestici in giacca nera che si muovevano per il salone. “Dimitri, ti dispiace accompagnare il signor Taylor alla toilette?” Il nuovo venuto si esibì in un mezzo inchino, invitando successivamente Clint a seguirlo. Era quasi dispiaciuto per il pessimo trattamento che sarebbe stato costretto a riservare al povero Dimitri: avrebbe avuto bisogno di pace per trovare rapidamente il caveau.

“A dopo, amore.” Natasha sembrava aver fretta di toglierlo di mezzo. Una sensazione spiacevole gli aveva preso lo stomaco: avrebbe voluto chiederle se era tutto a posto, se c'era qualcosa che non andava, ma sapeva di non poterlo fare. La copertura andava mantenuta fino alla fine, i problemi risolti in corso d'opera, Phil era stato chiaro.

La guardò per un'ultima volta, prima di decidersi a seguire Dimitri fuori dal salone.

 

*

 

Non esisteva niente di simile ad un caveau in quel dannato posto.

Tutto ciò che era riuscito a trovare era una cantina stipata di vini costosissimi e nient'altro: a meno che le prove di cui avevano bisogno non si trovassero sul fondo di una bottiglia di Pinot grigio da cinquantamila dollari, avevano fatto un enorme buco nell'acqua. Le informazioni che lo SHIELD aveva loro fornito non erano solo approssimative, ma completamente da buttare. Inservibili. La missione doveva essere abortita immediatamente, prima che le cose potessero complicarsi ulteriormente, prima che andasse tutto definitivamente a puttane.

“Phil. Phil rispondimi,” la muta risposta della trasmittente fece eco alle sue parole. Era la quarta volta che provava. Cazzo, cazzo, cazzo. Tornò rapidamente sui propri passi, percorrendo al contrario quei complicati corridoi che l'avevano condotto al piano interrato. La trasmittente non sembrava avere alcuna intenzione di funzionare. Superò la porta della toilette – scimmiottò mentalmente Shostakov – in cui Dimitri giaceva privo di sensi, legato e imbavagliato nella vasca da bagno.

Solo quando fu ormai in prossimità della festa (quanto cazzo è grande questo posto?!), si rese conto che il brusio che sentiva non erano altro che urla: più si avvicinava al salone, più le grida si facevano chiare ed insistenti.

La deflagrazione di due spari consecutivi riassorbì, improvvisamente, ogni altro rumore.

Natasha.

Impallidì, estraendo il piccolo coltello serramanico nascosto nella suola delle scarpe eleganti. Affrettò il passo, varcando senza esitazione la soglia della sala: se Natasha era in pericolo, aveva bisogno del suo aiuto. Subito.

Il silenzio si era fatto innaturale.

La maggior parte degli invitati doveva essere defluita all'esterno, il quartetto d'archi aveva frettolosamente abbandonato i propri strumenti a terra e il lampadario centrale oscillava proiettando mutevoli fasci di luce sul pavimento. Un flute pieno per metà di champagne era rotolato fino ai suoi piedi, urtando leggermente la punta della scarpa sinistra. Era solo uno dei tanti che erano caduti dal vassoio che adesso giaceva a terra, accanto al cameriere ormai cadavere – non l'unico a rimetterci la pelle – che li aveva trasportati.

Natasha era seduta sulla schiena di un uomo di cui Clint non riusciva a scorgere il viso. Tutto ciò che riuscì a capire, avendola di spalle, era che lo stava uccidendo: il sangue le scendeva copioso lungo le braccia bianche mentre la sua vittima gorgogliava sinistramente. Durò solo un paio di secondi e poi più niente. Avrebbe voluto seguire il suo istinto, accorrere vicino alla donna, scoprire se andava tutto bene, ma qualcosa glielo impedì. Il buon senso forse, o il fatto che la pessima sensazione che gli aveva stretto lo stomaco in una morsa fredda per tutta la serata era improvvisamente peggiorata. Si spostò leggermente di lato, avvicinandosi al corpo esanime del cameriere, l'uscita principale alle sue spalle.

“Natasha?” La voce gli uscì in un sussurro.

La donna si rimise in piedi, voltandosi lentamente verso di lui. I ciuffi di capelli sfuggiti all'acconciatura le ricadevano scompostamente sul volto imbrattato di sangue. Un lungo filo metallico – quello che riconobbe appartenere al finto collier di rubini – le pendeva da una mano, sgocciolando lacrime scarlatte che avevano creato una piccola pozza ai suoi piedi. La sua maschera giaceva poco distante, il nastro di raso che la teneva chiusa, strappato.

Cercò i suoi occhi e si pentì d'averlo fatto: verdi ed implacabili, lo fissavano come due pezzi di ghiaccio.

“Natalia,” lo corresse, la voce fredda ed incolore, “è sempre stato Natalia.”

Le circostanze erano del tutto diverse, ma la prima cosa che gli venne in mente fu la notte piovosa in cui aveva fatto la sua conoscenza. Deglutì a vuoto mentre la pelle gli si riempiva di brividi. Capì che non c'era alcun bisogno di informarla sulla necessità di abbandonare la missione.

“Shostakov?”

Il bacio gelido della canna di una pistola gli si posò poco sopra la nuca.

“Sono qui.” Non fece fatica a riconoscere la voce del padrone di casa, prosciugata di ogni calore. “Getta il coltello a terra,” gli intimò.

“Se non ti dispiace, preferirei tenerlo ancora per un po',” ribatté sarcasticamente.

I pochi secondi successivi si susseguirono rapidamente: gli assestò una violenta gomitata nello stomaco, ruotando su se stesso per approfittare del momento di smarrimento e disarmarlo con un rapido colpo al braccio. Gli si sarebbe avventato contro senza troppi complimenti se non si fosse accorto dello sciame di pallini rossi che gli costellava il petto: cecchini. Si immobilizzò immediatamente, sollevando istintivamente le mani a mezz'aria, a mo' di resa. Sollevò lo sguardo al soffitto: il buio pressoché totale gli aveva nascosto il ballatoio che percorreva il perimetro della stanza, una specie di terrazza interna che, dal piano superiore, si affacciava sul salone. Comprese improvvisamente che erano stati sotto tiro fin dall'inizio.

Inspirò a fondo e tornò a prestare attenzione a Shostakov. Natasha stava raccogliendo la pistola che giaceva tra il cadavere della sua vittima e quello di un altro domestico: se la rigirò tra le mani sporche di sangue prima di fronteggiare Clint, lentamente, lo sguardo vacuo e spento. Sentì lo stomaco sprofondare quando la donna sollevò il braccio, puntandogli l'arma contro con gelida fermezza.

“Natasha... c-che stai facendo?”

Il magnate russo le poggiò le mani sulla schiena, bisbigliandole nell'orecchio parole che non riuscì a distinguere.

“Mi dispiace, Barton,” sussurrò, un microscopico sorriso ad incresparle le labbra. “Sono a casa adesso.”

Uno sparo e la ragnatela si richiuse su di lui.

In trappola.

Poi, più niente.



****************

Data la conclusione del capitolo, mi riservo il diritto di non dire niente :P Mi limito a ringraziare l'Eli (stavolta per il betaggio e soprattutto per i deliri) e tutti coloro che hanno letto, commentato, sbirciato, in particolar modo a chi aspetta ogni aggiornamento <3 apprezzo tantissimo :3
Grazie e alla prossima!
S.
  
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