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Autore: Britomarti    28/06/2014    0 recensioni
San Francisco, 1949. Jim Donovan è un giovane scrittore spiantato che cerca la strada verso il successo. La sua vita è la scrittura e vorrebbe continuare su questa strada e perché no, tentare la vita della splendente Hollywood che dominava la notte Californiana. Ma la sua vita sembra dipanarsi fra sbronze solitarie, e malinconie silenziose, mentre il passato difficile del giovane continua a tornare a galla. L'incontro con una singolare ragazza, la cui vocazione è diventare attrice, cambierà profondamente la sua vita e il modo di vedere le cose.O forse no.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un rumore fastidioso si insinuò nella sua mente ancora profondamente addormentata.Stava sognando qualcosa di oscuro,intangibile,ma inquietante e quel suono rendeva il sogno ancora più strano.Che cosa poteva mai essere?
Il suono,però,non accennava a smettere.Dio,era fastidioso!Ed era sempre più forte,o era solo un'impressione?Forse si stava svegliando.
Sì,era sveglio.Si trovò seduto al centro del letto,con la maglia appiccicata addosso per via del sudore e il respiro corto.Qualsiasi cosa stesse sognando,doveva essere più terribile di quanto ricordava.
E quel suono non era parte del sogno.
Era il telefono.
Biascicando qualcosa a mezza bocca,si affrettò a scendere dal letto e raggiungere lo studio.Trovò il telefono e con la voce ancora impastata di sonno esclamò"Pronto?!"
La voce che rispose,seccata e un po' infastidita,era l'ultima voca che Jim avrebbe voluto sentire di prima mattina.Veramente era l'ultima voce che avrebbe voluto sentire in generale.
Era un po' come la concretizzazione di quel sogno che stava facendo.Solo che non lo spaventava,lo irritava oltre ogni immaginazione.
"James"rispose la voce rude di un uomo,dall'altra parte della cornetta.
"Papà"rispose lui,mettendosi a sedere sulla poltroncina di fronte alla scrivania.Non aveva voglia di parlare con lui.Non aveva neppure idea del perchè avesse chiamato.
Suo padre non lo chiamava mai.Non una volta da quando era andato via di casa,ed ormai era passato un bel po' di tempo.
Pensò che fosse accaduto qualcosa di brutto,di veramente brutto,per cui s'era quasi sentito cedere.
Si poggiò una mano sul petto,dove sentì il tumulto del proprio cuore.Suo padre taceva dall'altra parte del telefono.
"Ti sei appena svegliato immagino"riprese dopo un'altra breve pausa.La sua voce grondava rabbia.
Jim poteva quasi immaginare la sua faccia.Così simile alla sua,ma più indurita dal tempo e dalla fatica.E da una rabbia che solo il figlio maggiore poteva provocargli.
"Sì,cioè no,ero sveglio..."
"Sto chiamando da mezz'ora..e non hai mai risposto."
"Si può sapere che cosa vuoi?"domandò spazientito Jim.Si era sentito dire già parecchie volte da suo padre che era un buono a nulla,non aveva bisogno di sentirselo dire anche adesso.
"Devo parlarti di una cosa.Mi stai ascoltando?"
Jim sbuffò e alzò gli occhi al cielo in un'espressione esasperata"Sì,papà,ti ascolto.è per caso successo qualcosa?"
Suo padre trasse un brusco sospiro prima di continuare a parlare.Parve soppesare a lungo le parole che stava per dire,quindi proruppe dicendo"Sì e no,James."
Jim,non comprendendo cosa volesse dire e preoccupato più per mai per sua madre o i suoi fratelli stava per ribattere ma suo padre lo interruppe.
Alzò la voce,come era solito fare ogni volta che si irritava.Immaginava che stesse diventando rosso e gli si fossero gonfiate le vene sulle tempie.Era quella l'immagine che aveva di suo padre.
Il viso gonfio e rosso mentre gridava.
Questo perchè di solito quando parlava con lui era così che finiava la conversazione.
"Sembra proprio che tutti i miei figli debbano rivoltarsi contro di me.Gioventù ingrata,dopo tutto quello che ho fatto per voi.Mi sono spezzato la schiena in fabbrica per voi,per darvi un futuro ed è così che mi ripagate.Andandovene.E tu,tu,il mio primogenito sei la causa di tutto.Lo sfacelo della famiglia,dell'azienda di mio padre.Sta andando in malora ed è tutta colpa tua."
Quel lungo,tedioso discorso,gridato dall'altra parte della cornetta non scalfì minimamente Jim.Primo: l'aveva sentito troppe volte.Secondo : non aveva il benchè minimo senso di colpa per essersene andato.
Per cui,con molta calma mentre faceva girare fra le mani un portacenere di vetro,vuoto,aspettò che suo padre ebbe finito per rispondere.
"Spero che tu non mi abbia chiamato solamente per dirmi cose che hai già provveduto a dirmi almeno un centinaio di volte.Credevo di essere stato chiaro,non ho niente da dirti"
La risposta alla sfuriata fu così lapidaria che suo padre per un attimo tentennò.Lo sentì balbettare mentre un'altra voce,dall'altra parte del telefono sussurrava qualcosa: era sua madre.
"Quindi,se vuoi chiarirmi il senso della tua chiamata,bene fai pure altrimenti ho cose migliori da fare che stare a sentire te."

"Bè stammi a sentire : la cosa è che tua sorella ha deciso di venire da te.Partirà stasera e dovrebbe essere lì domani mattina.Fa in modo di andarla a prendere alla stazione e fa che non le accada nulla.Se vengo a sapere che qualcosa è successo a mia figlia puoi anche star certo che io..."
Ma suo padre non finì la minaccia.CI fu un leggero rumore di colluttazione e un attimo dopo una voce diversa prese a parlare.
Era sua madre.
Jim si raddrizzò sulla sedia,quasi come se quella voce l'avesse punto.Sua madre e i suoi fratelli erano l'unica cosa che gli mancava di casa sua.
"Mamma.."disse a mezza voce.
"Jim,Daisy ha deciso di venire a San Francisco.Non so che cosa le sia saltato in testa.è dall'altro ieri che non fa che gridare che vuole andarsene e venire da te.Ha preparato la valigia e siamo stati costretti a comprarle dei biglietti.La cosa non ti crea problemi,vero?Non è proprio possibile farle cambiare idea,altrimenti lo farei..."
Daisy veniva da lui?Le cose dovevano andare veramente male a casa.
Daisy era sempre stata bene ad Indianapolis ed aveva sempre aiutato un po' a casa e un po' a lavoro,per cui era anche indispensabile laggiù.
Perchè aveva deciso di andarsene?
"Ma certo,mamma,l'andrò a prendere domani mattina.Sapete più o meno a che ora arriverà?Per me non c'è nessun problema,anzi,sono felice..."
"Credo prima di mezzogiorno,Jim"rispose la madre.
Aveva la voce appena appena un po' tremula.Per il resto riusciva quasi ad immaginarla: una bella donna,nonostante l'età.I capelli raccolti,con qualche vago ciuffo argenteo frai le ciocche più scure e gli splendenti occhi verdi che Jim non aveva ereditato da lei.
"Ci sarò,certo."rispose.Avrebbe voluto dirle altro.Chiederle come stava,come andavano le cose a casa,ma non ne aveva la forza.
Fu lei a chiedere di lui."Come vanno le cose Jim?Hai trovato un impiego?Hai ancora i soldi dello zio Charlie?"
Jim sospirò"No,mamma non lavoro.Ma sì ho ancora i soldi di zio Charlie."Avrebbe voluto dirgli di Bill,del manoscritto,che forse aveva trovato qualcosa.Ma non lo disse.Se non se ne fosse risolto nulla,sarebbe stato come illuderla.
"Va bene,Jim.Se dovessi avere problemi lo sai che puoi sempre tornare."La sua frase fu quasi sommersa dalla voce tonante di suo padre.Ma lei lo ignorò,come faceva sempre.
"Grazie mamma"fu tutto ciò che Jim riuscì a dire.Non aveva nient'altro da dire.Era terrorizzato da lei,in un certo senso.Da quello che lei poteva pensare di lui.
"Mi raccomando,bada a Daisy una volta che sarà arrivata.Non dimenticare di andarla a prendere.Ci sentiamo,tesoro."
Jim stava per rispondere,ma lei aveva già chiuso la conversazione.
Posò la cornetta sulla forcella e rimase a guardare il telefono,senza capire.
Quella telefonata gli aveva rovinato la mattinata.Avrebbe voluto buttarsi nuovamente sul letto e svegliarsi direttamente la mattina dopo,ma non poteva.Si alzò,sbuffando e si diresse in salone,dove tirò fuori uno dei vecchi giradischi di suoi zio e lo mise su.Non appena le prime note cominciarono ad espandersi,si sentì meglio.
Afferrò il pacchetto di sigarette che aveva lasciato sul tavolino e se ne accese una,poi si diresse verso la finestra aperta.Il vento faceva muovere leggermente le tende.C'era il sole fuori...
Si affacciò poggiando i gomiti sul davanzale.Osservò il chiarore del cielo,mentre la musica addolciva un po' l'irritazione che gli aveva causato sentire suo padre al telefono.
Cominciò quasi a sentirsi bene,dopo alcuni minuti.Osservò le macchine sfrecciare,le ragazza passeggiare a gruppetti.Ogni tanto passava qualche ragazzo di corsa o qualche mamma con il figlioletto in braccio.I commercianti si affacciavano dalle soglie dei loro negozi a respirare l'aria estiva e incrociando le braccia guardavano la strada,proprio come lui.
Qualcuno alzava lo sguardo verso di lui e lo salutava o sorrideva.Lui rispondeva con un cenno del capo.
Sì,stava cominciando a sfumare quella sensazione di rabbia.Adesso subentrava quel senso di curiosità legato al motivo che spingeva sua sorella a mettersi in viaggio da Indianapolis fino a San Francisco.
Forse le cose andavano peggio di quanto pensasse lui,a casa.Probabilmente Daisy non ce la faceva più a dividersi fra la madre e il padre.In più era osteggiata da Charles,l'altro fratello,che era tutto per loro padre.Infatti,neppure lui gli rivolgeva parola da quando se n'era andato.
Un po',immaginava,che fosse perchè tutte le responsabilità fossero cadute sulle sue spalle.Ma d'altra parte,Charles non aveva mai mostrato la benchè minima intenzione di volersi costruire una vita altrove.Sembrava felice di starsene lì,nell'azienda di famiglia...
Jim sbuffò lasciando cadere nel vuoto il mozzicone di sigaretta e ritornò in salone,dove intanto la musica continuava ad andare avanti.
Doveva farsi una doccia,pensò passandosi una mano sul petto.Dopo di che sarebbe andato a fare una passeggiata.Non aveva intenzione di passare la mattinata in casa: era una così bella giornata!
**

Stava per imbrunire quando Jim tornò sui propri passi.Aveva intenzione di fare solo una piccola passeggiata,ma era finito col rimanere a pranzo fuori e allungare la cosa con una bevuta al bar insieme a Fred,che era rimasto solo dopo che Lisa era andata a trovare sua madre.
Avevano chiaccherato allegramente,come ai vecchi tempi e Fred sembrava ringiovanito.Non c'era più astio o tristezza nei suoi lineamenti,come quella sera in casa sua.
Gli spiegò,infatti,che lui e Lisa avevano chiarito tutto e che adesso le cose fra di loro andavano bene.Jim era felice,perchè per lui il benessere di Fred era ssenziale.E poi,voleva bene anche a Lisa,ed era contento di saperli rappacificati,finalmente.
Quindi,morale della storia,aveva tardato.Ma la cosa non lo infastidiva.
Ed adesso,tornava verso casa,con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e il cappello calcato in testa.Guardava distrattamente il cielo che si tingeva di indaco.
Era una bella serata estiva,e sarebbe stata una notte fresca.Un vago sorriso gli si impresse nei lineamenti.
Guardava distrattamente una coppia di ragazze che passeggiavano davanti a lui.
Non le aveva notate prima.
Si tenevano a braccetto e ondeggiavnao un po' sui tacchi: una portava un vestitino bianco che lasciava scoperti i polpacci e i piedi infilati in scarpe altrettanto bianche e con un bel tacco.Aveva i capelli castano dorati,raccolti sulla nuca.
L'altra indossava un vestito cobalto e aveva i capelli ramati.Camminava con maggior sicurezza dell'altra.
Stavano parlando ma non sentiva ciò che dicevano,se non le risate che ogni tanto facevano piegare un po' all'indietro la testa della ragazza in bianco.
Poi,improvvisamente,accadde qualcosa.
La ragazza in bianco lanciò un gridolino,seguita subito dall'amica dai capelli ramati e un attimo dopo finivano entrambe a terra,con un tonfo sordo.
Fecero voltare qualche testa,ma la strada non era molto trafficata,per cui l'unico a vedere perfettamente la scena,anche un po' ridicola,fu proprio Jim.
Si precipitò verso di loro.Le due ragazze(che ancora ridevano) erano semidistese a terra in un groviglio di vesti e di braccia.
La ragazza dai capelli ramati rideva un po' irritata"Santo cielo,June,ma che ti prende?"
June,la ragazza in bianco,rideva preoccupata mentre si tastava una gamba,dove probabilmente aveva battuto cadendo."Oh,credo siano i tacchi...Dio,fa che non si siano rotti"E le sue mani scattarono verso la scarpetta bianca.Tastò il tacco e stessa cosa fece per l'altro,poi rise"Oh per fortuna è tutto apposto"

"Serve una mano?"
La voce di Jim le fece sussultare.Come se si fossero rese conto di essere ancora sedute sul marciapiede,cominciarono ad arrossire.La ragazza dai capelli ramati fu la prima a voltarsi verso di lui.Aveva un viso largo,occhi verdi e un po' di lentiggini.
Sorrise mentre lui le offriva la mano per aiutarla.La prese,ringraziando mentre si voltava a guardare June,rimasta ancora a terra.
"Si  èfatta male signorina?"le chiese Jim,poichè lei ancora tentennava a terra,tastandosi le ginocchia.
"Oh,no,stavo solo...no grazie"
Jim le tese la mano e la ragazza esitando appena la afferrò.Aveva le mani un po' fredde nonostante fosse caldo.Jim la aiutò ad alzarsi e lei gli rivolse un sorriso un po' impacciato.
Lui notò che evitava di guardarlo in viso,per cui non riusciva a vederla bene.
"Grazie per averci dato una mano"disse l'altra ragazza ridacchiando mentre June si rassettava il vestito attorno alle gambe.
"Ma si figuri."rispose lui con una scrollata di spalle.Continuava a guardare la ragazza di nome June,che per tutto il tempo aveva evitato il suo sguardo.NOn era neppure riuscito a vedere di che colore fossero i suoi occhi.
"Sì,grazie mille.Adesso...noi andiamo.Grazie ancora."Disse quest'ultima alla fine.
Alzò il viso verso di lui e Jim potè finalmente vederla in faccia.
Il viso magro,pallido,era reso luminoso da un paio di occhi ambrati,orlati di folte ciglia nere che rendevano vagamente ammaliante lo sguardo.Aveva una bocca piccola,atteggiata ad uno strano sorriso contrito.Ma era indubbiamente molto bella,nonostante la buffa espressione.
Le guancie si imporporarono violentemente quando i suoi occhi incontrarono quelli di lui.Girò sui tacchi,afferrando l'amica per un braccio e riprendendo a cammianre.
"Che strana tipa"pensò lui fermandosi davanti il portoncino di casa sua.
  
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