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Autore: Etiell    30/06/2014    1 recensioni
[Un piccolo tentativo di immaginare la terza stagione.]
Tutt'intorno il buio. Unica fonte di luce una timida e pallida luna piena, intenta ad illuminare gli spigolosi profili degli alti ed imponenti alberi, distinguendo così una foresta in tutta quell'oscurità. Ed all'interno di quel fitto bosco si faceva strada un piccolo sentiero, ricoperto di terra e foglie morte che emanavano odore di decomposizione. I sentieri sono fatti per essere percorsi e lungo quella tenebrosa via camminava Will Graham, alla ricerca di qualcosa, alla ricerca di qualcuno o più semplicemente, alla ricerca di una risposta.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Hannibal Lecter, Jack Crawford, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Will Graham
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve gente! Dunque, faccio una breve introduzione alla storia per farvi capire cosa mi ha spinto a scriverla. 
Ho uno smodato bisogno della terza stagione. Non è umanamente possibile far finire serie tv in tal modo! Non è sano per coloro che le seguono. Per cui in un giorno monotono al mare, ascoltando musica sotto al torrido caldo, mi è venuta una specie di illuminazione (non immaginate chissà cosa) e ho cominciato la sera a buttare giù qualche riga. L'idea nella mia mente non è malvagia ma vedremo cosa ne salterà fuori scrivendola. Ho preso alcuni spunti dai libri e il resto è frutto della mia mente malata. D'altronde dovevo colmare il bisogno della nuova stagione, in un modo o nell'altro! ^^" Spero comunque che vi possa piacere e... niente, buona lettura! :)


 
CAPITOLO 1


Tutt'intorno il buio. Unica fonte di luce una timida e pallida luna piena, intenta ad illuminare gli spigolosi profili degli alti ed imponenti alberi, distinguendo così una foresta in tutta quell'oscurità. Ed all'interno di quel fitto bosco si faceva strada un piccolo sentiero, ricoperto di terra e foglie morte che emanavano odore di decomposizione. I sentieri sono fatti per essere percorsi e lungo quella tenebrosa via camminava Will Graham, alla ricerca di qualcosa, alla ricerca di qualcuno o più semplicemente, alla ricerca di una risposta.
Il silenzio faceva da padrone nell'aria, nessun rumore, nessuno strano movimento a parte la sua lenta andatura, come quella strana e precaria calma che precede gli ultimi attimi di vita della gazzella prima dell'attacco del leone. Era quasi come se il nulla lo avvolgesse in quella insolita processione . Ma qualcosa, all'improvviso, accompagnò la cadenza dei suoi passi, un sospiro di resa che proveniva da destra, un sospiro flebile, sofferente. Ed eccolo lì, anch'esso illuminato per metà dalla flebile luce lunare, un cervo, lo stesso e ricorrente cervo che dominava la sua mente. Stava a terra, agonizzante e stremato, intento ad esalare il suo ultimo alito di vita. Con calma si avvicinò a quell'animale tanto potente quanto indifeso. Osservò il petto ondeggiare, si concentrò su quei sospiri che mano a mano diventavano sempre più rari ed insicuri. Fin quando non si spensero. Will fece per toccare quell'ispida pelliccia,ma qualcosa lo bloccò. Altre gambe si stavano facendo strada attraverso quella fitta vegetazione. Eccolo arrivare, il predatore con passo famelico, che lo costrinse a voltarsi.
«Io ti perdono, Will…» Quella voce che oscillava tra l'umano e il demoniaco, scatenò un brivido lungo la sua spina dorsale. In piedi, di fronte a lui e dritto come una statua di marmo, trovò quell'uomo, il suo psichiatra, che coperto di sangue lo fissava negli occhi, quasi come volesse nutrire il suo caloroso sguardo rubando la vita da quello di Will.
«Tu mi perdonerai?» La domanda fu secca, diretta, quasi come un Déjà vu, la voce dell'uomo ovattata, lontana nonostante fosse terribilmente vicina. La già minima distanza fu presto ridotta ulteriormente dall'aggraziato avanzare del dottor Lecter. Si arrestò solamente quando fu a pochi centimetri dal volto di Will. Hannibal posò la mano sinistra a metà tra il mento e il collo, attirò così Will a sé, abbracciandolo con arrogante avidità, infinita lussuria e un pizzico d'ira. Il tutto fu breve ma maledettamente intenso. Quando lo psichiatra si fermò, lo fissò un'ultima volta in quegli scuri occhi azzurro ghiaccio prima di pugnalarlo al ventre. Will urlò per il dolore.


Improvvisamente il buio si accese, quel cupo cielo notturno lasciò il posto ad un candido soffitto, insopportabilmente illuminato da grandi luci al neon. Tutto svanì, l'unica cosa che rimase di quell'incubo furono le dolorose grida di Will Graham.
Si svegliò in un letto d'ospedale, dopo dieci giorni d'incoscienza dovuti all'innumerevole quantità di sangue perduto. Era stata una profonda fitta al ventre a svegliarlo da quell'interminabile sonno, una raccapricciante ferita causata da un coltello da linoleum, ora ricolma di punti di sutura e ricoperta di grandi garze.
Will urlava, continuava a lamentarsi senza sosta, tanto che quelle grida furono udite dall'infermiera di turno che, con immediata prontezza, si precipitò dentro la stanza per controllare cosa stesse succedendo.
«Signor Graham, si calmi. Mi serve della morfina!» Urlò la giovane infermiera ancora sulla soglia della porta. «Si calmi, stia tranquillo!» Continuò a parlargli avvicinandosi. Quando gli fu accanto allungò le mani stringendogli le spalle nel tentativo di tenerlo fermo, per evitare che si strappasse la flebo ma lui la spinse via, rabbrividendo a quel semplice tocco che però riportò alla mente il suo ultimo e traumatico contatto umano.
«Dove sono? Dove s…» Continuò Will con voce scioccata.
«E' in ospedale, signor Graham, la prego si calmi.»
pochi secondi dopo, un'infermiera dall'aspetto più maturo entrò, in mano una siringa di morfina che non tardò ad iniettargli, sebbene risultò un'operazione più complicata del previsto a causa dei movimenti convulsi dell'uomo.
Il farmaco impiegò poco meno di un minuto per compiere il suo dovere, costringendo così Will ad una resa incondizionata. Fu in quel momento che cominciò a prendere lucidità, seppur annebbiata dall'effetto narcotico della morfina. Ricordò la strage avvenuta in quella grande casa, realizzò che sarebbe potuto essere l'ultimo sopravvissuto ed una morsa gli strinse il cuore al solo pensiero. Che ne è stato di Jack? Come sta Alana? Dov'è Abigail? Non posso averla ritrovata e poi perduta nuovamente per sempre, pensò.
«Cos'è successo?» Domandò Will con flebile voce.
«Mi dispiace signor Graham, ma non siamo tenute a dirle nulla. Tra poco le manderemo qualcuno che le spiegherà ogni cosa.» La giovane infermiera dai capelli castani, il cui nome scritto sul cartellino sembrava essere Susan, lasciò la stanza visibilmente combattuta.
Una forzata quiete tornò lentamente nella stanza, accompagnata dal veloce passo della ragazza che si allontanava lungo il corridoio. Will non era dell'idea di fare ipotesi, non voleva pensare a quali sarebbero potute essere le conseguenze di quel gesto tanto crudele, avrebbe fatto troppo male, un ulteriore dolore sommato a quello già vissuto. Tentò di concentrarsi su altro, ascoltò il battito del suo cuore, sentiva che era veloce, agitato, trepidante, non intendeva calmarsi. La mente voleva fuggire dalla realtà ma essa continuava ad attanagliare il petto, senza  lasciarlo andare. Lo confermava persino la linea verde che si muoveva irregolare sullo schermo dell'apparecchio per monitorare quell'imprevedibile muscolo. Così si guardò intorno, alla sua sinistra vide una grande finestra, ricoperta da pesanti tende grigiastre che impedivano alla luce naturale di far breccia nella stanza. Che ore sono, si chiese. Cercò così un orologio e lo trovò di fronte a lui, una piccola sveglia appoggiata sul tavolino davanti al letto. Segnava le sei e un quarto circa, quasi sicuramente del mattino, data l'insolita calma dell'ospedale.
Improvvisamente un leggero rumore lo costrinse a voltare la testa, verso destra, in direzione della porta, appena in tempo per vederla aprirsi. Una sagoma scura, apparentemente non molto grande, si stagliava eretta e rigida sulla soglia. Quando quella figura si decise a fare qualche passo avanti, la luce della stanza tradì la sua identità ed ebbe finalmente un nome.
«E' tornato tra noi, signor Graham.»
«Freddie!»

Freddie Lounds, sempre impeccabile in uno dei suoi colorati tailleur, si avvicinò al letto dell'agente speciale dell'FBI sedendosi su una scomoda e bassa sedia, indubbiamente di plastica, che si trovava al suo fianco. Gli occhi di Will erano immersi in quelli della donna e la supplicavano muti per la tanto aspettata risposta alla sua domanda. Non voleva riformularla, il motivo per cui la giornalista era entrata doveva sicuramente essere quello, così tacque, lasciando a lei l'onore della prima parola.
Freddie si schiarì la voce portandosi elegantemente una mano davanti alla bocca, dopodiché cominciò.
«Cosa pensa sia successo, Will?»
«Pensavo fosse venuta lei a dirmelo, signorina Lounds.» La morfina aveva indebolito il suo tono vocale, ma l'uomo si sforzò di renderlo comunque udibile, quasi normale.
«Lei entra nella mente degli assassini, signor Graham. Potrebbe tranquillamente entrare in quella del dottor Lecter e capire l'epilogo delle cose. D'altra parte era presente sulla scena del crimine, non dovrebbe risultarle difficile.»
«Signorina Lounds, non è il momento. Non voglio entrare nella sua mente, non più.» Quelle parole erano cariche di dolore e Freddie se ne accorse. «La prego, me lo dica.» Dovette infine implorare.
La giornalista inspirò, sempre mantenendo la sua freddezza, poi espirò cominciando a parlare.
«La polizia e i soccorsi sono arrivati venti minuti dopo la sua telefonata. Quando giunsero alla villa trovarono la dottoressa Bloom agonizzante nel cortile. Presentava diverse fratture tra cui alla colonna vertebrale. Dopo una caduta del genere c'era quasi da aspettarselo. Poi sono entrati ed hanno ritrovato lei ed Abigail quasi completamente dissanguati, lo stesso per Jack, non appena sono riusciti ad aprire la porta della dispensa. Così vi portarono in ospedale. La polizia provò a cercare il dottor Lecter ma di lui nessuna traccia. » Per qualche secondo il discorso cadde in un silenzio tombale. Ma Will voleva giustamente saperne di più.
«Che ne è di loro?»
Ora la voce di Freddie assunse un pizzico di rammarico «La dottoressa Bloom è morta il giorno dopo, causa le numerose fratture riportate. L'agente Crawford è ancora in coma. Ha perso parecchio sangue, ma non così tanto da rimanerne ucciso. La scheggia di vetro che gli hanno trovato nel collo ha rallentato la sua fuoriuscita salvandolo…» La signorina Lounds fece una pausa, come se temesse il seguito.
«Ed Abigail?» La voce di Will represse malamente un singhiozzo nel tentativo di spronarla a continuare.
«Aveva perso molto sangue. Il dottor Lecter aveva riaperto la cicatrice della ferita infertagli da Hobbs. Ha resistito… fino a poco fa. Se n'è andata prima che si svegliasse lei. Ero nella sua camera quando mi sono venuti ad avvertire del suo risveglio. Era una ragazza forte.»
Will Graham si portò le mani sul viso ma nessuna lacrima scese da quegli occhi feriti, avrebbero voluto ma non riuscivano, quasi fossero rassegnate. Incolpò se stesso per aver ripreso i sensi troppo tardi. Si sentì stringere il cuore per non essere riuscito a dirle addio.
«Perché sono ancora vivo?» Continuò sempre da dietro le mani.
«I medici sostengono che lei sia stato preso in tempo, ancora poco e sarebbe stato troppo tardi. Il dottor Lecter sapeva che sarebbero arrivati i soccorsi, li ha chiamati lui stesso dal telefono della dottoressa Bloom dopo essere uscito. Lui non la voleva morto, signor Graham. L'ha fatto di proposito.»
«Come una punizione.» Dedusse Will.
«Esattamente. Mi dispiace molto, signor Graham.» Freddie fece una pausa ma non poteva reprimere il suo animo da giornalista per cui non tardò molto a fare una domanda a Will, anche se parecchio sconveniente date le circostanze.
«Lei era al corrente che Abigail fosse ancora viva?»
«Ora le dispiacerebbe lasciarmi solo, signorina Lounds?» Rispose debolmente.
«Quando avrà voglia di parlare può chiamarmi al mio nu…»
«La prego, mi lasci solo.» Questa volta fu più persuasivo tanto che costrinse, anche se a malincuore, la ragazza ad uscire dalla stanza.
Will Graham fissava l'orologio sul tavolino. Guardava le sue lancette rincorrere l'infinito tempo in quel limitato cerchio bianco. Sperò con tutto se stesso che potessero cominciare a ruotare nel verso opposto.
  
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