Una maschera. Solo un’altra maschera.
Qual è il tuo vero volto?
Sei in classe. Accanto a te c’è la tua migliore amica. O almeno, questo è ciò che crede lei.
Lei non è tua amica: è amica di un’altra te stessa, l’amica di quella tua maschera dolce e compiacente.
Godi della sua ignoranza, ti piace l’idea che gli altri non sappiano chi sei veramente.
Ti fa sentire sicura, protetta.
Nessuno
può dire di
conoscerti veramente,
forse nemmeno colei
che
ti ha messo al mondo
forse nemmeno tua
madre.
Mentre così rifletti, la professoressa fa scorrere l’indice accusatore sul registro.
In cuor tuo speri che quella ragazza che siede accanto a te sia interrogata.
Lo sai che non ha studiato.
Lo sai che ieri era in giro con il suo nuovo ragazzo.
Quello che avrebbe
dovuto
essere tuo
In cuor tuo lo speri, ma non osi nemmeno pensarlo.
Appena il pensiero si affaccia nella testa, lo scacci con brutalità.
Perché sai che è una cosa cattiva e non vuoi accettare di desiderarlo veramente.
Hai cominciato ad
indossare maschere anche con te stessa
Come punizione per i tuoi sentimenti crudeli, senti il tuo nome pronunciato dalla donna con gli occhiali seduta dietro la cattedra.
Hai paura. Nemmeno tu hai studiato ieri e non c’è nessuno che ti possa aiutare.
Sei sola davanti allo sguardo indagatore dell’insegnante.
È la fine.
Non puoi tornare a
casa
con un brutto voto.
Ti chiede di elencare i verbi irregolari latini.
Non ne hai la più pallida idea.
Resti un attimo a bocca aperta, boccheggiando come un pesce che è stato tirato fuori dall’acqua. Senti il bisogno di aria, il cuore accelera il battito, diventando insopportabile; stai per dire qualcosa, una reminescenza della lezioni precedente, ma poi ti chiudi in un vergognoso silenzio, decidendo che è meglio fare scena muta.
Abbassi gli occhi, trattenendo le lacrime.
No, non sei
così
debole.
Non vuoi essere
così
debole.
Va tutto bene...
Va tutto bene...
Indossa solo
un’altra
faccia, un’altra maschera.
Alzi gli occhi, non più lucidi, ma decisi. Sulla bocca un debole sorriso.
“Prof, non ho studiato. Ieri non ho avuto tempo.”
La professoressa ti scruta come se tu fossi un insetto particolarmente disgustoso.
“Male, ti metto un Impreparato, e vediamo se riuscirai a rimediarlo, signorinella. C’è poco da scusarsi, lo sai quando ho assegnato questa lezione? Una settimana fa! E io dovrei accettare come scusa il fatto che ieri non avevi tempo? Devi imparare ad organizzarti, lo sai che a latino hai delle grosse difficoltà, non puoi permetterti di lasciare questa materia per ultima!”
La paternale è dolorosa.
Tanto più che ti sta offendendo davanti a tutti.
Tutta la classe ti osserva.
Sei l’unica con tre a latino, l’unica deficiente in una classe di secchioni e figli di papà. L’unica macchia nera in un mondo candido e lindo, fatto di vestiti costosi, diplomi comprati e amicizie influenti. L’impegno non conta nulla in questo mondo già tutto predisposto.
Ricaccia dentro le
lacrime.
Non
c’è nulla da
piangere.
Va tutto bene...
Va tutto bene...
Ormai le parole della anziana docente non ti sfiorano più.
Non l’ascolti nemmeno, ti limiti ad osservarla fingendo di bere ogni lettera.
E dentro di te urli le peggiori maledizioni.
Sfoghi la tua rabbia torturando ferocemente un elastico da capelli.
Finché la campanella non pone fine al tuo supplizio.
Ma tu continui a sorridere.
Quante finzioni, quante maschere dovrai indossare?
Ha mai qualcuno visto il tuo vero volto?
Per quanto ancora fingerai che va tutto bene, mentre dentro di te la tua anima si sta infrangendo?
La seconda, piccola
crepa.
La seconda lacrima
gelata negli occhi.
Il secondo singhiozzo
morto in bocca.