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Autore: _joy    01/07/2014    3 recensioni
«E di me ti fidi?»
«Posso fidarmi?» rispondo «Dimmelo tu» 
«Sì» risponde senza esitazione. 
 
Gin/Ben
[Serie "Forever" - capitolo IV]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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La situazione va peggiorando.
 
Non vorrei sembrare paranoica o magari ossessiva, ma mi scopro a guardare Ben con occhi nuovi nei giorni seguenti e quello che vedo – mi spiace dirlo – non mi aggrada.
 
Affatto.
Ma neanche un po’.
 
Sì, certo, lo so cosa state per dire: Gin paranoica.
Gin che ascolta Destiny invece del suo ragazzo.
Gin con il continuo complesso di inferiorità, che riesce sempre a sabotarsi da sola e a mandare tutto all’aria.
 
Queste cose le so anche io.
Ma…
 
Tre giorni fa Ben aveva una cena di lavoro a suo dire molto importante.
L’invito non si estendeva ai partner degli attori coinvolti, quindi gli ho fatto il nodo alla cravatta e l’ho salutato con un bacio, raccomandandogli di farmi sapere come andava.
«Prega per me!» mi ha detto.
Certo.
È quello che faccio sempre.
Secondo voi si è ricordato di chiamarmi?
 
Ah, certo, cosa significa, direte voi.
Non è che si può stare sempre con il cellulare in mano.
Non abbiamo mica 15 anni.
Non è che può stare sempre lì a pensare a me: sta lavorando.
Certo, io mi aspetto che cinque secondi per scrivere un sms, nel lasso di tempo tra le 19 e le 5 di mattina, uno li trovi… Ma sono dettagli.
Sono dettagli anche il fatto che, a quanto pare, tempo per avvisare Tom e cricca di come era andata li ha avuti, eccome.
Mentre io preparavo la colazione, da brava fidanzata zerbino, e il signorino dormiva, sono entrati (in modalità Attila che tutto distrugge) una pletora di amici di Tom e Ben che hanno fatto irruzione in camera nostra e lo hanno tirato giù dal letto.
Poi lo hanno trascinato in soggiorno, festeggiando la meravigliosa notizia lavorativa di Ben.
Quale, vi state chiedendo?
Ottima domanda: me lo chiedevo anche io, mentre stavo lì, da una parte e non considerata da alcuna anima vivente nella casa.
E, colmo dei colmi, finita la festicciola improvvisata Ben se ne è anche tornato a letto.
 
 
Due sere fa siamo stati all’ennesima festa insipida, fatta di alcool, droghe e modelle anoressiche.
Ben è stato risucchiato nel vortice delle sue conoscenze e, dopo poco, io sono rimasta indietro.
Sono rimasta lì, impalata, con un sorriso finto stampato in faccia, mentre osservavo il mio ragazzo ridere e parlare con gente di cui io nemmeno conosco il nome e che lui invece tratta come fratelli ritrovati.
Lo so, qui usa così.
All’improvviso mi è sembrato di soffocare e sono uscita.
Sono andata in giardino e, poi, presa da una determinazione improvvisa me ne sono andata.
Ho chiamato un taxi e sono tornata a casa.
Era mezzanotte e mezza.
Ben se ne è accorto alle 6 di mattina.
Il cellulare che suonava mi ha svegliata.
Ho risposto, mezza addormentata.
«Gin, dove sei?» mi ha chiesto.
«A casa» ho biascicato, mezza addormentata.
«A casa? Ma perché? Stai male?»
«No… ero stanca»
Una pausa.
«Ah» ha detto poi, freddo «Bè, potevi dirmelo. Mi sono accorto che non c’eri e mi sono spaventato»
Ho guardato l’ora.
«Ben, sono andata via più di cinque ore fa. Grazie per aver notato che mancavo ed esserti preoccupato per me, amore»
Lui è rimasto in silenzio di fronte al mio tono acido.
«Bè… Toccava a te avvisarmi. E poi c’è un casino di gente qui e io non…»
Non so esattamente cosa “lui non” perché gli ho attaccato il telefono in faccia.
E, per fortuna, sono rimpiombata nel sonno, così per qualche ora ho evitato di pensare.
 
 
Il giorno dopo non ne abbiamo neppure parlato, perché lui ha dormito, poi si è fatto una doccia, poi siamo usciti di nuovo.
Siamo finiti all’ennesimo party di merda.
E, alla lista di cose che non sopporto, se ne è aggiunta una nuova: le donne che gli si strusciano addosso.
Ma seriamente.
Senza proprio nessun pudore.
Lo fanno con tutti, a dir la verità, ma capite come la cosa mi consoli poco.
Ben è mio e guai a chi osa toccarlo.
Però evito di dirlo.
Mi sembra che anche lui potrebbe defilarsi, invece di rimanere immobile e ridere come un cretino, cosa che ha fatto per tutta la festa.
Oh, dai, sono ingiusta: alla fine si è animato.
 
Quando è arrivata Amanda, per la precisione.
 
*
 
È a questo che penso oggi, mentre mangio dell’ananas e mi impiastriccio le mani di succo.
Sto guardando un film in lingua, in modo da restare concentrata il più possibile per capire le parole.
Al momento, mi sembra vitale.
Temo che se mi deconcentrassi, anche solo per un secondo, finirei per spaccare tutto quello che mi trovo sotto mano.
 
Quando Ben rientra, sto ancora guardando la tv.
Mi saluta e mi dà un bacio distratto in testa, poi va in camera.
E la realtà mi colpisce ancora più forte.
Quando mai Ben non mi ha chiesto come stavo?
O non si è interessato a cosa stavo facendo, per quanto fosse una cosa banale?
Da quando Ben non ha due minuti per me?
Da quando non si accorge se io gli sono attorno o no?
Ed è questa la cosa che mi sembra più offensiva di tutte: se non trovi tempo per una persona, vuol dire che di quella persona non te ne importa nulla.
 
Finisco il film, poi mi alzo, mi lavo le mani in cucina e vado in camera.
Ben è seduto sul letto e parla animatamente al cellulare.
Io vado in bagno e mi faccio una doccia.
Quando esco, sono avvolta nell’asciugamano.
Lui mi lancia un’occhiata distratta, io apro l’armadio.
Tiro fuori dei jeans e un top.
Finisco di asciugarmi e faccio cadere a terra il telo, quindi prendo la crema per il corpo.
Mentre me la spalmo, sento una delle sue mani – le sue mani calde ed eleganti - che si posa sul mio fianco.
Sta ancora parlando al cellulare.
Mi scosto bruscamente.
Vado a lavarmi le mani e, quando torno, mi faccio una treccia.
Ben saluta e attacca, poi si mette alle mie spalle e mi dà un bacio sulla spalla nuda.
«Ciao» mormora.
Mi stringe, ma io gli scosto le braccia.
«Ciao» dico, atona.
Infilo la biancheria e mi contorco per chiudere il reggiseno.
Lui viene ad aiutarmi.
«Che c’è?» chiede.
«Niente»
Mi allontano e prendo i jeans.
«Sicura?»
«Certo»
«Oh… ok. Fa caldo per i jeans. Metti un vestito»
«No, vanno bene questi»
E poi ho la cellulite Ben, come le tue care amichette non smettono di osservare compiaciute.
«Ma c’è una festa in piscina… Secondo me saresti più comoda con un vestito»
«Non vengo» rispondo, lapidaria, aggiustandomi addosso il top.
Poi prendo gli orecchini.
«Cosa?» fa lui «Perché?»
Io scrollo le spalle e inizio a truccarmi gli occhi.
«Gin! Cosa c’è?»
«Mmm… non saprei» rispondo, come se non fosse importante «Magari non mi va di vederti mentre altre donne ti si strusciano addosso, ti abbracciano e trovano ogni scusa per toccarti. O magari la compagnia fa schifo. O magari sarà l’ennesima serata di merda noiosissima e io preferisco farmi due passi da sola, che dici?»
Lui sgrana gli occhi.
«Cosa? Ma… Sei arrabbiata?»
 
Alzo gli occhi e incontro i suoi nello specchio.
«Dovrei?» chiedo, tranquillamente.
«No! Cosa ho fatto?»
«Non hai fatto niente? Sicuro? Benissimo»
Prendo la borsa ed esco.
 
Lui mi corre dietro.
«Cos’è successo? Cosa ho fatto?»
«Scusa, non hai appena detto che non hai fatto niente?» chiedo.
«Ehi!» mi prende per un braccio «Cosa sono questi giochetti? Cosa vuoi dire?»
Scrollo le spalle.
«Niente. Lasciami il braccio»
«No! Senti, sono stanco, è stata una giornata pesante e…»
Non mi trattengo.
«Oh, povero piccolo tesoro, ma certo. Sarai stanchissimo, a forza di essere invitato a pranzi e cene varie. E i party! Che vita stressante, povero amore…»
Ben inarca le sopracciglia.
«Cosa vorresti dire?» ripete, gelido.
«Quello che ho detto. Che sei sempre stanco, che ti lamenti in continuazione dello stress, ma ti farei presente che la massima fatica che fai è andare alle feste. Ora, ostinati pure a sostenere che questa è la vita vera, ma io ti faccio presente che ti sbagli di grosso. Nella vita vera si lavora, si sta con gli amici e con la propria fidanzata. Cosa invece tu stia facendo, ormai, io non lo so più» 
Ben sembra furioso.
«Senti, sono stanco» ribatte «Se è per questo tu sei sempre di malumore, ma mi sembra che la tua massima fatica sia quella di guardarti un film o fare una passeggiata. Ah, certo, anche lamentarti»
 
Io faccio un passo indietro, come se mi avesse dato uno schiaffo.
«Se mi lamento è perché odio questa città! E se ben ti ricordi, ci sto solo per te!»
«Se è tanto un sacrificio e devi lamentarti ogni giorno, detestare i miei amici e la mia vita, allora forse non è il caso che ti fermi oltre!»
 
«Ehi! Cosa succede? Perché urlate?»
Tom è comparso nell’ingresso e ci guarda perplesso.
Ben non gli risponde.
Mi tende una mano, probabilmente perché si rende conto di quanto mi abbiano fatto male le sue parole.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime e mi volto per aprire la porta.
Esco in strada; Ben mi segue.
Mi afferra il braccio, io mi divincolo.
Mi cade la borsa mentre mi metto a correre e lui si ferma per prenderla, poi mi corre dietro.
Non sono arrivata alla fine dell’isolato che mi ha già acchiappata.
Mi stringe il braccio mentre io singhiozzo.
Mi copro la bocca con una mano e cerco di calmarmi, di pensare lucidamente, ma tutto quello che sento è il mio pianto e il nodo che mi chiude la gola.
Ben mi prende per le spalle e poi mi abbraccia.
Mi accarezza la schiena.
«Mi dispiace» mormora, mentre io piango e i miei singhiozzi vengono attutiti dalla sua maglietta sgualcita dal caldo.
«Non volevo, davvero»
La sua voce è calda e rassicurante, mi tocca i capelli e il suo corpo aderisce al mio.
Normalmente mi rifugerei nel suo abbraccio, ma stavolta no.
 
Quando riesco a riprendere fiato, gli mollo un pugno sul petto.
Lui fa una smorfia, ma non dice nulla.
Cerca di prendermi la mano, io arretro.
«Gin, non volevo, te lo giuro» mi prende il viso tra le mani «L’ho detto per rabbia, lo giuro! Perdonami!»
Io tiro su con il naso ed evito il suo sguardo.
«Scusa, piccola, scusa. Ti prego, non piangere» ripete, baciandomi la fronte.
Mi bacia le palpebre e poi le lacrime che ancora mi scendono dagli occhi.
Io resto inerte.
«Dai, torniamo a casa…»
Non mi muovo e lui sospira, ma mi riprende tra le braccia.
Restiamo lì, immobili, non so dire per quanto tempo.
Ben mormora scuse per tutto il tempo e mi accarezza la schiena.
 
Quando alla fine mi prende la mano e mi indirizza verso casa, io mi muovo automaticamente, senza alzare lo sguardo da terra.
Le sue parole continuano a rimbombarmi in testa.
Mi muovo come un automa e mi accorgo che siamo in casa solo quando Ben mi fa sedere con dolcezza sul letto.
Si inginocchia davanti a me e posa le mani sul materasso, circondandomi i fianchi.
«Gin» dice «Guardami»
 
Forse dovrei.
È che, davvero, al momento è più semplice fissare il pavimento.
 
Lui accosta il viso al mio, le labbra alla mia fronte.
«Ti prego» mormora.
Io resto zitta.
Dopo un po’ sospira e dice:
«Ascolta, ho detto una cosa imperdonabile, ma ti giuro che non dicevo sul serio. Mi è uscita. Perdonami. Ti va se usciamo, beviamo qualcosa e ne parliamo?»
Dopo un attimo, scuoto il capo.
«Vai via» gli dico «Voglio stare sola»
«No, Gin, ti prego… non punirmi, dai»
Mi copro gli occhi con la mano.
Sono stanchissima, all’improvviso.
«Vai» ripeto.
«Ma tu cosa fai?»
Sembra allarmato.
Io scuoto il capo.
«Dormo. Ho sonno. Per favore, lasciami in pace»
Lui non si decide.
«Ascolta, mi giuri che ti metti a letto? Che non te ne vai?»
 
Rinuncio a chiedergli se invece non ne sarebbe contento.
Un problema in meno.
 
Non rispondo e crollo all’indietro, sulle coperte.
Mi copro gli occhi con un braccio.
Ben esita, poi si alza e va in bagno.
Quando esce lo sento trafficare con i cassetti, poi sento il materasso abbassarsi quando si siede accanto a me.
Sento le sue labbra sul viso.
«Torno presto, piccola. Ti porto qualcosa? Vuoi mangiare?»
Continuo a non rispondere.
Fingo di perdermi in questo stato di ottundimento.
Non è neppure così male.
Mi evita di pensare, se non altro.
 
«Gin, ti amo» mi dice, in un ultimo tentativo di richiamare la mia attenzione.
Io non rispondo.
Lui mi solleva le gambe sul letto e mi appoggia la testa sul cuscino.
Poi posa le labbra sulla mia guancia.
«Dormi, amore mio. Domani parliamo… è tutto a posto, te lo giuro»
 
Mi volto sul fianco.
Mi addormento fissando il muro, apaticamente.
 
 
La mattina dopo mi sveglio e Ben non è nel letto.
Non mi arrabbio neppure.
Guardo l’ora.
Ho dormito dodici ore.
Mi sembra che i pensieri riprendano a scorrere dal momento esatto in cui si sono fermati ieri.
Ben. Ben. Ben.
 
Non provo rabbia.
Credo non sia neppure delusione.
Ma mi sento spossata.
Come se avessi lottato inutilmente.
Ho dormito vestita: mi spoglio e faccio una doccia, quindi infilo un vestito ed esco.
 
Mi godo il sole caldo sulla pelle e cammino senza meta per le strade.
È presto, la città dorme ancora.
Entro in un bar e chiedo un succo.
Mentre aspetto mi guardo attorno e poso gli occhi sulla grande televisione a parete.
Stanno trasmettendo uno di quei Tg per celebrità così in voga.
E il servizio di grande richiamo riguarda la nuova coppia di Hollywood: Ben Barnes e Amanda Seyfried.
 
Non capisco le parole.
Fisso solo lo schermo, in cui campeggia un fermoimmagine di Ben e Amanda che si baciano.

***
Buongiorno!
La situazione tra Gin e Ben si va complicando ogni minuto che passa, come potete vedere...
Fatemi sapere cosa ne pensate, io intanto vado a prendermi una brioche! :)
Per qualsiasi necessità mi trovate qui:
 https://www.facebook.com/Joy10Efp?ref_type=bookmark
Buona lettura,
Joy
 

   
 
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