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Autore: Tomi Dark angel    01/07/2014    5 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Affondare tra le pieghe del Mind Palace, è un po’ come sognare ad occhi aperti. John l’ha sentito nominare, immaginandolo come semplice tecnica mnemonica, una scaletta di pensieri e dati incanalati in una mente ben più che geniale. Semplice, coinciso. Ma non ha mai avuto a che fare con la mente di una Furia Buia.
John non sa quando ha chiuso gli occhi, non sa quando si è distaccato dalla materialità del corpo per giungere lì, attraverso voci sussurranti e ombre soffuse che come spiriti guardiani lo attorniano, camminando indisturbati nella pace di una mente placida, schematica, dove ogni ricordo, ogni dato, conosce bene la sua postazione.
Il corpo di John perde peso, s’alleggerisce come piuma trasportata dal vento mentre bassi sussurri arcani sibilano tutto intorno a lui, abbracciandolo di un mormorio segreto, nascosto come confidenza privata. Affonda tra le pieghe di migliaia di ricordi, ma John non ne riconosce nemmeno uno. Si accorge di galleggiare tra secoli e secoli di esperienze vissute che nell’oscurità muovono i loro passi, avanti nel tempo, trascinandolo al momento predestinato da Sherlock stesso.
L’oscurità si infittisce e John affonda ancora e ancora. Qualcuno grida da qualche parte, una donna piange, un bambino ride. Suoni, sensazioni che poco a poco vanno costruendosi.
Coi suoni, giunge in seconda entrata il tatto. Il vento soffia leggero su di lui, profumato d’erba fresca e umidità di rugiada. Odore di vento, profumo di migliaia di fiori, animali, creature sconosciute. Perfino l’acqua che scroscia in chissà quale ricordo ha un odore tutto suo. I piedi di John toccano qualcosa, un suolo liscio e levigato che nell’oscurità appare invisibile. La caduta finisce lì.
Gusto. Sulla lingua di John cominciano a susseguirsi sapori sconosciuti, differenti l’uno dall’alto: alcuni risultano amari, altri dolcissimi, altri ancora assurdamente disgustosi.
Ultimo senso. Vista.
John si trova su una grossa sporgenza rocciosa, sulla fiancata di una montagna. Dall’alto di quella posizione, riesce a vedere il mondo intero, con le sue propaggini verdeggianti punteggiate dell’oro di foglie avvizzite. Autunno.
A nord dovrebbe erigersi Londra, ma della massa grigiastra della città non vi è traccia. Soltanto la luna bacia d’argento il panorama, rischiarando di pallida luce le due figure che velocemente si avvicinano, sbattendo le ali immense, abbastanza ampie da coprire il cielo di metri e metri.
John indietreggia mentre le figure si avvicinano. Vorrebbe nascondersi, sparire, ma non sa quale sia il posto più giusto per passare inosservato. Guarda in alto, si prepara a combattere, a difendersi come il soldato che è sempre stato. Se non puoi evitare un pericolo, affrontalo frontalmente.
Ma non ce n’è bisogno.
John quelle ali gigantesche, intrise di luce oscura, le conosce bene. Le ha viste catturare il giorno e la notte, riflettere ogni bagliore nel più splendente degli spettacoli mai visti.
-Sherlock?-
John lo chiama più e più volte mentre la Furia Buia si avvicina, ma improvvisamente ammutolisce quando vede ciò che Sherlock si trascina dietro, sbattendo faticosamente le ali. All’inizio, John non l’ha notato, ma adesso che la luce della luna bacia con maggior forza quel corpo, una nuova realtà gli si palesa agli occhi.
E John Watson, improvvisamente capisce l’entità di quel pezzo di storia.
Non vuole guardare, non vuole sapere. Fa male, brucia come lava nelle vene. Ma guarderà, perché così Sherlock ha voluto, perché quello è forse il suo ultimo dono.
-Resisti! Starai bene, lo so… starai bene.-
Una voce bassa, profonda, tremante di dolore e maledetta consapevolezza. Sherlock Holmes atterra, incespicando sui suoi passi, trascinando i piedi di una debolezza soverchiante. Sembra più giovane, con quel viso meno spigoloso, le ali più sottili, le corna più piccole e gli occhi ancora da ragazzo, privi dell’antichità che lo Sherlock odierno ha sempre dimostrato. Zoppica vistosamente e il sangue argentato, prezioso più dell’oro gli imbratta il corpo nudo, le mani, il viso sconvolto.
-Tieni duro!-
Si trascina dietro un corpo abbandonato, dalle ali gigantesche, che piovono oltre il crepaccio come oscure cascate di meraviglia.
John è così preso dalla scena che a stento si accorge di essere invisibile ai loro occhi. Semplicemente, fissa ipnotizzato il piccolo Sherlock, lo guarda accasciarsi al suolo esausto, stringere al petto la madre sanguinante, che poco a poco rallenta il suo ansito affannato, traboccante di sofferenza. Si aggrappa alla vita, squarcia con artigli disperati quella piccola speranza per respirare ancora, per guardare il mondo, per abbracciarlo un’ultima volta.
Non lì, non davanti a suo figlio.
Non vuole morire tra le braccia di Sherlock, glielo si legge negli occhi chiari di cristallo. Sa che il suo bambino non andrà avanti senza di lei, sa che qualcosa nel suo piccolo petto andrà in frantumi insieme al giovane cuore di madre che guarderà spaccarsi, interrompere ogni battito.
Sherlock si accascia, già conosce il responso di quella ferita che fora il petto di sua madre da parte a parte. Non vuole crederci, non riesce ad accettarlo. È sbagliato, è tutto sottosopra. Non doveva andare così.
-S… er…-
Nevora chiama, implora al cielo il nome eternamente incompleto di suo figlio. Le manca il fiato, le forze scalano insieme al sangue che, velenoso, sottrae forze e respiri alla sua giovane esistenza. Le sembra così poco, il tempo trascorso lì, in quel mondo ancora giovane, ma già prossimo ad ammalarsi. Ha cercato di rattoppare il dolore che sarebbe seguito, ha provato ad arginarlo con tutte le sue forze.
È una lottatrice, Nevora. Lo è sempre stata. Dalla nascita, fino alla morte che di lì a poco sarebbe seguita. Ha riflesso la luce della pace, si è sforzata di indirizzare il mondo verso un cammino sereno, senza grida e sangue. Sa adesso, che quella via è sbarrata.
Il mondo cadrà, e ad ucciderlo saranno i suoi stessi compatrioti. Nessuno accetterà l’ipotesi del perdono, della pace, della speranza. Alla carezza verrà sostituito il pugno e allora, i draghi si trasformeranno in reali bestie da incubo, così simili a quelle che affollano le leggende più nere degli umani ancora primitivi. 
Una lacrima sfugge dalla gabbia delle lunghe ciglia nere e scivola lungo la guancia, sporcandosi di sangue e terra. Questo accadrà anche a suo figlio, al suo bambino. Sherlock non è pronto, non può combattere questa guerra da solo. È forte, Nevora lo sa bene, ma per quanto possenti, le sue ali non sosterranno il peso di una guerra mondiale. Cadrà in ginocchio, soffrirà senza versare una lacrima poiché quelle che vede adesso sul viso del figlio saranno le ultime gocce di dolore che Sherlock si consentirà di versare.
-Coraggio, mamma. Andrà tutto bene, posso guarirti… guarirai, e torneremo a casa, da papà, da quell’antipatico di Mycroft.-
-Non… par… lare così di tuo… fratello.- mormora Nevora con un sorriso che all’istante si riflette doloroso sul viso del figlio. Nei suoi occhi, Nevora legge ormai la morte. Nonostante la moribonda sia lei, sa bene che col suo ultimo respiro, si spegnerà l’intera famiglia Holmes.
Sarà Sherlock a cadere per primo, senza tuttavia spezzarsi del tutto. Arrancherà nel fango, ma non si lascerà andare, non totalmente. Come sua madre, lotterà fino alla fine.
-Tesoro… vieni qui.- mormora lei, e allora Sherlock la guarda con occhi di cristallo ancora giovani, ancora fragili e pronti a spaccarsi in mille incubi d’inferno. È soltanto un ragazzino, e vedrà morire sua madre.
-Vieni…-
L’ennesimo richiamo, l’ennesima preghiera. Nevora tende le braccia deboli, tremanti di dolore e sangue. Non piangerà più, davanti a suo figlio. Deve essere forte un’ultima volta, per tutti e due.
Alla fine, dopo istanti di esitazione, Sherlock si abbandona contro il suo petto. Abbraccia entrambi con le ali fragili, deboli di stanchezza, ma abbastanza grandi da coprirli, proteggendoli dal mondo, ma non dal tempo che infame continua a scorrere, a sbrindellare piccoli pezzi di quella famiglia ormai devastata.
Nevora è stanca, non ce la fa più: abbraccia suo figlio come ultimo atto, gli bacia i capelli e lascia che pianga sulla sua spalla, ripulendo il suo sangue sporco con lacrime di ragazzino innocente, troppo giovane per dover sopportare questo. Il mondo non è giusto, non si cura dei suoi figli. Continua a girare, va avanti e lascia che ogni storia compia il suo corso. Ormai, il libro della vita di Nevora è alle ultime pagine. Una matita invisibile sta già tracciando la parola “Fine”, ma lei non può abbandonare tutto al caso: non lascerà suo figlio, non così.
-Tesoro…- mormora con un filo di voce. -… guarda il cielo.-
Sherlock obbedisce perché non può fare altro, perché si sente inutile e ascoltare le ultime indicazioni di sua madre lo aiuterà forse a stare meglio. Egoista, inutile ragazzino. Mycroft direbbe così.
Entrambi osservano il cielo, lasciano che il bagliore delle stelle si specchi nei loro occhi di cristallo. Sono così simili, così vicini. Entrambi sudici di sangue e lacrime, entrambi deboli, feriti, ma ugualmente maestosi e tristi come splendidi angeli dalle ali spezzate.
-Sai cosa accadrà adesso, tesoro mio.-
Non è una domanda.
-Il mondo sprofonderà nel buio, dimenticherà i suoi valori, la sua luce. Sarà notte dopo il crepuscolo, ma sai… per giungere all’alba, non c’è altra via che l’oscurità. Basta solo saper affrontare il buio a testa alta, camminarci in mezzo, avanzare senza ostacoli, senza dubbi. So che non è facile, tesoro, ma spesso, la via più difficile è anche la più giusta. Abbi il coraggio di affrontare i tuoi demoni, e saprai ritrovare l’alba.-
Sherlock trema, singhiozza più forte. Si sente fragile, a pezzi, come se qualcosa di grosso e tagliente avesse spezzettato quanto c’era di sereno in lui per disperderlo al vento.
-Non posso farlo, mamma! Sono debole, Mycroft me lo dice sempre: affidati a lui, non a me. Non ho speranze di risollevare un regno in caduta libera.-
Nevora ridacchia dolcemente, gli scompiglia i capelli con quella gentilezza che solo una madre può esercitare. Ama suo figlio, ha fiducia in lui. Sherlock è quella parte importante della sua storia di sovrana che nei momenti più bui l’ha aiutata ad andare avanti, a lottare.
-Puoi farlo, tesoro. Sei un grande, e nemmeno lo sai. Puoi innalzarti al cielo e volare lassù, fino alla luna, mentre gli altri riuscirebbero a oltrepassare soltanto la prima stella più vicina alla Terra. Sei diverso, e questo lo sappiamo entrambi. Lo sono anche io, sai? Lo sono sempre stata. Però non è così brutto. Trova qualcuno che ti accetti, qualcuno che ti dia la forza.-
Sherlock singhiozza più forte, si raggomitola al punto di diventare piccolo, all’apparenza innocuo. Inspira il profumo della madre, memorizza quei piccoli momenti di serenità che nel giro di brevi istanti si frantumeranno in un fiume di dolore silenzioso, inascoltato, non visto. Crescerà Sherlock, e lo farà da solo. Andrà avanti, lotterà, ma lì muore un pezzo della sua stessa anima. Nevora è la sua famiglia, tutto ciò che possiede. Adesso, quell’unica ancora di salvezza, viene a mancare.
-Nessuno potrebbe accettarmi. Io sono un mostro!-
Allora, Nevora alza gli occhi e per brevi istanti, sofferma lo sguardo in quello spaventato e commosso di John. Lo guarda, scava nella sua anima al punto da farlo barcollare. Fissare negli occhi quella creatura è come osservare in un istante il veloce scorrere di interi millenni. È un peso enorme, che piega in ginocchio anche i più grandi re del passato.
Quando Nevora abbassa nuovamente lo sguardo, sorride di nuovo e John torna a respirare. La donna sembra aver visto in lui quella risposta a lungo cercata, quell’angolo di paradiso che l’umano risulterà per suo figlio. È serena adesso, sta bene. È ora di andare.
-Riprenditi il trono, tesoro.- mormora debolmente, e poco a poco la sua mano scivola via, esausta sbatterebbe contro il terreno se Sherlock, sollevatosi in ginocchio, non l’avesse afferrata.
-Mamma?-
Nevora tossisce un grumo di sangue argentato, ma non annulla il sorriso che gentile le stiracchia le labbra carnose, così simili a quelle del figlio. Labbra che hanno baciato, parlato, vissuto. Labbra che a breve, non si muoveranno più.
-Riprenditi il trono. Sei… l’unico che possa costruire il futuro.-
-Non posso! Non senza di te!-
Nevora gli stringe la mano, con le ultime forze fa un cenno che Sherlock interpreta giustamente. Singhiozzando, si china verso la madre e lascia che lei gli baci la fronte con dolcezza e amore incondizionati, senza tempo né storia.
-A te dono la successione del domani, Sherlock Holmes. Sia tuo il mio trono, sia tuo il domani del mondo. E, per ultimo, sia tua la mia benedizione di trovare la tua alba. Cercala a lungo, Sherlock, negli occhi di chi sa osservarti veramente. Capirai da solo quando sarà il momento di andare… ma solo non sarai quando verrà il momento di affrontare i tuoi demoni. Qualcuno al tuo fianco saprà rialzarti e amarti per ciò che sei sempre stato. Vivi, tesoro mio, e riporta la luce alla sua terra.-
Sherlock sbarra gli occhi mentre la luce della luna si riflette benigna sul viso della madre. John la guarda mentre cala le palpebre e stringe il figlio in un ultimo, dolce abbraccio che sa di fiducia, di amore ed estremo saluto. Va via serena, pacifica, col sorriso ancora sulle labbra. Quando appoggia definitivamente il capo al suolo e abbandona la mano che finalmente cala sul terreno, ogni cosa s’immobilizza. Gli alberi non frusciano più, i corsi d’acqua si interrompono, il vento smette di soffiare. Improvvisamente, il mondo intero s’inginocchia a una delle sue più grande perdite e in silenzio, piange l’avvenire distruttivo che l’aspetta.
-Mamma?- L’unica voce che squarcia il silenzio, l’unico richiamo ancora inconsapevole che qualcosa è cambiato, che Nevora non respira più. Sherlock la scuote con dolce insistenza, continua a chiamarla per ore, senza mai stancarsi. Non piange più, ma poco a poco sbarra gli occhi, capisce, realizza.
-Mamma… dobbiamo andare a casa. Mamma?- Sherlock si alza in piedi, la tira per un braccio inanimato, freddo come il ghiaccio. –Dai, Mycroft e papà ci aspettano. Mamma. Non scherzare, dobbiamo alzarci. Io ho freddo, e tu hai bisogno di riposare in un letto comodo. Mamma? Alzati. Mamma!-
Poco a poco, la voce di Sherlock cresce, muta, si fa più acuta e spaventata. Ignora l’immobilità della madre, il suo silenzio, il gelo del suo corpo. Insistente, continua a tirarla per tutta la notte, la spintona con le ali, la stuzzica con la coda come cucciolo incosciente che ancora non realizza l’accaduto.
John si accorge di piangere quando il primo singhiozzo gli sfugge prepotente dalle labbra. Si copre la bocca, combatte contro l’impulso di stringere Sherlock al petto con tutta la forza che possiede. Capisce adesso l’antichità di quegli occhi, la falsa giovinezza di quel viso che tanto ha vissuto e troppo ha sopportato. Solitudine, dolore. Poi, il peso del mondo intero.
Forse, non ha mai conosciuto Sherlock per davvero. Però, sente di amarlo sempre di più, ad ogni più piccolo pezzettino che scopre di lui.
Sherlock Holmes urlerà per tutta la notte, fino al mattino del giorno dopo. Con mani e viso imbrattati di sangue e lacrime, così lo troveranno i suoi simili. Nessuna pietà, nessun perdono per quella giovane anima che da sola sosterrà il peso del pianeta e di una responsabilità non sua, che non avrebbe mai dovuto appartenergli. Avrà le ali spezzate, pur continuando a volare, ma sigillerà quei ricordi dietro una porta per lungo tempo dimenticata, sigillata nella sua testa. Così sopravvivrà Sherlock Holmes.
-Sherlock…- John lo chiama, avanza di un passo. Poi, la testa comincia a girargli, gli manca l’aria e qualcosa lo afferra per un braccio.
-Basta così.- mormora una voce profonda che John riconosce e desidera più di ogni altra cosa. Si lascia strattonare e tra quelle braccia sicure sviene, perde i sensi e si abbandona all’oscurità.
 
Silenzio, pace, serenità. C’è la luce, la si intravede adesso, attraverso le palpebre calate.
John spalanca gli occhi lentamente, quasi timoroso di ciò che potrebbe trovare. Sbatte le palpebre diverse volte, fatica a mettere a fuoco l’ambiente. Respira aria pulita, fresca, profumata di fiori selvatici appena sbocciati. È un odore forte, ma non fastidioso.
Gli basta un’occhiata per capire dove si trova: ha visto quel posto pochi istanti prima, certo, ma in condizioni decisamente differenti. Casa Holmes è forse, in quelle vestigia di splendore e grandezza, l’ottava meraviglia del mondo.
La biblioteca. È lì che è atterrato John. La guarda stendersi intorno a lui come un gigantesco mastodonte sconfinato di scaffali d’ebano, tavolini di cristallo e magnifici tomi dall’aria antica, giovane, fragile e possente. Se al vederla la prima volta nella realtà, John pensava che fosse della casa la sua parte più simile al vecchio splendore distrutto, adesso sa di sbagliarsi. Quella biblioteca è immensa, pulita, limpida di raggi solari che piovono come fasci dorati dal soffitto a cupola, incastonato di gemme preziose. Dall’alto, piove un gigantesco candelabro rifinito in una statua di drago che, contorto, spalanca ali gigantesche, di vetro, sull’intera biblioteca per rifletterla di minuscole sfaccettature colorate. Ha una zampa sollevata e, su di essa, appoggia una scintilla guizzante di fiamma bluastra che John conosce bene. Forse è stata quella particella a condurlo lì.
Lungo l’intero perimetro dei muri ricoperti di fiori rampicanti, stanno altre statue di drago. Marmoree, fiere, alte dieci metri, ossia fin quasi alla cupola di vetro sulle loro teste. Hanno il capo ritto, e tutte loro siedono composte, erette, immobili come creature reali pietrificate secoli e secoli addietro. L’unica cosa che le differenzia, sono le gemme incastonate sulle fronti. C’è chi arreca uno zaffiro, chi un diamante, chi ancora un rubino e così via. Probabilmente, ognuna di quelle gemme, grosse quasi quanto John stesso, valgono più dell’intera Londra.
-John?- chiama una voce, e allora John si immobilizza, irrigidisce i muscoli e quasi non crede alle sue orecchie. Si volta lentamente, con cautela, cercando di non spezzare con ansito affaticato d’emozione la pace serafica dell’ambiente.
Sherlock è lì, fermo dinanzi all’arco d’entrata dai bordi intarsiati d’oro e argento. John lo guarda, e il respiro gli si blocca in gola. Non avrebbe mai creduto che Sherlock potesse apparire ancora più bello, ancora più nobile e splendente, non più come una stella, ma come la luna stessa.
Quella è una versione sconosciuta di Sherlock Holmes, un pezzo inesplorato della sua vita trascorsa, dissipatasi al vento, che John aveva pensato di non vedere mai.
Sherlock indossa una lunga veste nera, percorsa da venature bluastre. È di seta, slacciata sul petto e abbastanza lunga da nascondergli i piedi. I bordi sono percorsi da intarsi argentati, le maniche larghissime, tagliate sulle spalle in modo da lasciar intravedere le squame splendenti come punti luce. Gli avambracci sono avvolti da bracciali argentati, finemente lavorati e sulle spalle poggia un mantello lieve come acqua, quasi trasparente, come tinto di pallido argento puro. In vita brilla una cintura fatta di curioso diamante nerastro, al cui centro s’intarsia un intrico di venature azzurrine che convergono verso un unico, grande zaffiro. Appare molto simile al collare sottile e poco invadente quanto al diadema che gli cinge la testa, impreziosendo la fronte di nere volute argentate che abbracciano armoniose un piccolo zaffiro centrale.
Quello Sherlock è così diverso, eppure così simile alla creatura conosciuta da John. Bello oltre ogni immaginazione, coi suoi capelli scompigliati ad arte che quasi coprono il diadema e quegli occhi penetranti, intelligenti, di purissimo cristallo lucente. La sua pelle pare rilucere di pallido bagliore soffuso e le corna sono cinte da anelli d’argento, due per parte. Infine le ali, massicce come cappa oscura alle sue spalle, sbucano invadenti da sotto il mantello, abbandonate al suolo come il più lungo e infinito degli strascichi preziosi.
-Ti consiglio di chiudere la bocca, John: rischi di sembrare più stupido di quanto già appari agli occhi del mondo.-
Sherlock avanza silenzioso, le mani giunte dietro la schiena e la postura eretta, aristocratica. Al suo accostarsi, John si sente piccolo, stranamente insignificante, come misero credente al cospetto del suo dio.
-Cosa… tutto questo è reale?- domanda allora, e Sherlock arriccia un angolo delle labbra in una parvenza di sorriso.
-Non fare domande stupide, John. Sei qui per mio volere, ma bada a non inquinare di stupidità la mia testa.-
-Vuoi dire che… sta accadendo davvero?-
-Questo ti sembra un ricordo?-
-Ehm… no, decisamente no. Però la casa…-
-L’ho ricostruita, è vero. Ma non racchiude stralci di memorie, come puoi vedere. È soltanto una biblioteca.-
Sherlock lo oltrepassa, lo sfiora con le immense propaggini delle ali, che invadono per intero tutto il corridoio alle sue spalle e si perdono a vista d’occhio come morbidi drappi nerastri.
-No, non lo è.-
 Sherlock si volta, fissa John con un sopracciglio inarcato e l’aria curiosamente interrogativa. Non è da lui porsi delle domande, ma John riesce a sorprenderlo ogni volta, in ogni istante della sua breve vita da umano. Anche in quel momento, mentre fa vagare gli occhi brillanti di emozione lungo la biblioteca, sui libri, sui tavolini di fragile cristallo. Appare rapito, lontano, come se stesse guardando qualcosa che Sherlock non riesce a vedere. E in effetti, è proprio così.
John fissa i tavolini, si immagina un piccolo Sherlock seduto su una delle eleganti sedie di cristallo. Lo vede col naso affondato tra le pagine di un libro, il capo chino e le piccole spalle ingobbite. Poi sposta gli occhi lungo gli scaffali e quasi lo vede camminare, già cresciuto, tra i tomi tanto amati come eterea presenza tangibile ma silenziosa. Quello Sherlock ancora giovane, stringerebbe tra le mani il suo violino e suonerebbe lì, solo perché Mycroft sarebbe nelle vicinanze, concentrato su qualche libro particolarmente impegnativo.
-Tu qui ci sei cresciuto.- afferma John con un sorriso rapito. –Hai ragione, è tutto nella tua testa… ma a questa biblioteca tu ci sei affezionato davvero. Lo capisco dai particolari. Solitamente, troveresti noioso inalberare uno scenario inutile allo scopo, se il tuo unico desiderio era quello di parlare con me. Eppure siamo qui.-
Sherlock corruga le sopracciglia, stringe forte le labbra per combattere il bizzarro impulso di avvicinarsi, di guardare più da vicino quello strano umano che ancora una volta osa leggergli il pensiero, che ancora una volta pretende di sapere… sapendo effettivamente.
Sherlock deve ancora abituarsi. Si è sempre ritenuto una macchina, frutto intramontabile di un passato senza pietà, senza famiglia. È sempre stato solo, e tale ha pensato di restare fino alla fine. Adesso però, quello strano umano si volta, lo guarda con occhi scintillanti d’ammirazione, fiducia e… cos’è quello scintillio? Affetto? Sherlock non se ne intende.
-Sherlock?-
-Mh?-
John si avvicina con cautela, fa scivolare le braccia intorno al torace della Furia Buia, lascia che le dita scorrano lungo l’attaccatura delle ali che squarcia la veste sulla schiena in due lacerazioni perfettamente simmetriche.
Sherlock si lascia sfuggire un sospiro, freme contro le dita dell’umano. John non ha mai sentito Sherlock emettere un suono del genere, così fuori controllo, così… vulnerabile. Eppure, quello è forse il verso più dolce che John abbia mai sentito.
Si scosta appena per guardarlo negli occhi, ma Sherlock evita il suo sguardo. John sa di averlo disarmato, messo in difficoltà. Non è abituato a certi atteggiamenti.
-Tutto questo è reale?-
-John, non farmi ripetere.-
-È reale, Sherlock? Ricorderemo entrambi, dopo?-
Sherlock lo guarda, un sopracciglio inarcato e lo sguardo leggermente confuso.
-Abbiamo entrambi un pezzo di questo posto. Quindi sì, ricorderemo.-
E John non ha bisogno di sentire altro: gli abbraccia la nuca con un’unica grande mano e spinge le loro labbra a coincidere, come due perfetti pezzi di puzzle. Non è un bacio pretenzioso, non si spinge troppo in là. Ma è personale, è bello, pulito come sorriso di neonato ancora in fasce.
John assapora quelle labbra, le sfiora gentile con la lingua per saggiarne il gusto speziato. Respira attraverso quel contatto, vive grazie ad esso e poco a poco, si sente completo, nuovo, ricostruito.
Lentamente, John si allontana, guarda negli occhi ancora confusi di Sherlock e gli accarezza i capelli, salendo con le dita fino all’attaccatura delle corna.
-Fidati di me. Puoi farlo?-
Sherlock attende qualche istante, per un po’ non risponde. John comincia a temere di aver sbagliato, ricorda con terrore il primo bacio donato a quella creatura schiva, difficile da accostare. Quella volta, Sherlock scappò via. Se lo facesse di nuovo?
-L’ho sempre fatto, John. Non fare domande stupide, te lo ripeto.- sorride infine la Furia Buia, e da quel momento, John slaccia ogni contatto con la realtà, col buonsenso, col pudore.
È gentile quando lascia che i loro corpi coincidano perfettamente, è gentile quando scivola un ginocchio tra le gambe di Sherlock e lo sente ringhiare piano, trattenuto. Gli bacia il collo, si abbandona al pavimento stranamente caldo di tepore quasi umano mentre poco a poco gli solleva la tunica, scorrendo le dita lungo le cosce, i fianchi, su fino al petto. Non inorridisce quando ode lo strappo d’artigli atroci che gli squarciano prima il maglione e poi i pantaloni. Sulla sua pelle non resta neanche un graffio, e John sorride per l’accortezza di ogni gesto, di ogni elegante movenza di Sherlock.
-Non mi farai del male: non l’hai mai fatto.-
Sherlock chiude gli occhi, abbandona il capo al suolo mentre con la coda, circonda entrambi all’altezza della vita, stringendoli in un unico, inscindibile abbraccio di squame e punte affilate. Chiude le ali sulle loro teste, abbracciando l’intera biblioteca, su fino al soffitto. Anche in uno spazio così ampio, le ali appaiono troppo grandi. Potrebbero stringere il mondo intero, circondarlo e proteggerlo, ma miracolosamente, hanno scelto di salvaguardare un solo, fragile umano.
John accarezza Sherlock, risveglia di tocco angelico ogni angolo del suo corpo, ogni millimetro di morbida pelle alternata a squame affilate. Si taglia più volte le dita, ma non si ferma mai: sfiora gentile il suo sogno più bello, si fonde con esso, respira dei suoi ansiti, dei suoi bassi ringhi animali. È qualcosa di magnifico, pulito. L’aria profuma di vaniglia mentre morbide volute argentate sfiorano i loro volti, sigillando le loro labbra coperte di baci, i loro corpi coperti di brividi.
Sulle loro teste, lungo le ali di Sherlock, si sprigiona il cielo che John ha visto poco tempo prima, nell’arena: costellato d’aurora boreale e stelle luminose come punti luce. Nessuno ha mai visto un cielo così bello, ma John non sa che quelle ali rispecchiano la volta celeste della Creazione del mondo stesso. È il primo umano a vederlo, l’unico al quale sia concesso questo privilegio. E a cedergli il consenso è la stessa creatura che adesso lo accarezza, che fa scorrere delicati artigli sulla schiena, causandogli brividi incontrollati, meravigliosi.
John si china di nuovo, bacia la spalla ferita di Sherlock e rabbrividisce al freddo dei bracciali metallici che ancora indossa all’altezza degli avambracci. Li sente scorrere sulla pelle, lungo la spina dorsale.
Con dolcezza, si separa appena da lui per guardarlo in viso. Sherlock ha la pelle quasi argentea a causa del sangue di drago che la percorre e gli occhi brillano lucidi di piacere pulito, meraviglioso.
-Sei… quanto di più bello mi sia mai capitato, Sherlock. Sei il mio presente, il mio futuro. In qualunque modo si risolva questa storia, io sarò con te, fino alla fine. Al tuo fianco, finché tu lo vorrai.-
Sherlock sorride appena, senza superbia stavolta. È il primo vero sorriso che si concede, l’unico che abbia mai svelato da quando era bambino.
-Lo so.-
E allora John unisce entrambi in un’unica danza di promesse, amore e nomi sussurrati sotto un cielo stellato tinto su ali di sogno che, anche se inizialmente ferite, hanno saputo trasportare entrambi lontano, in un mondo loro e loro soltanto, dove la guerra non esiste.
Tra gli ansiti, Sherlock rinasce.
Tra i brividi di piacere, John sigilla la sua promessa di fedeltà. Sarà mantenuta, fino alla fine.
Poi, tutto finisce e le ali si riaprono, rivelando il bagliore dei cristalli sulle loro teste.
John afferra il mantello abbandonato di Sherlock, avvolge entrambi e automaticamente, stringe a sé il corpo affusolato della Furia Buia, che docile appoggia il capo sul suo petto.
Respirano piano, abbracciati dalla tranquillità. John si sente completo, sicuro. E improvvisamente, realizza di aver abbracciato la speranza vera, palpabile, di un domani che ancora respira proprio lì, al suo fianco.
Finalmente, e almeno per ora, va tutto bene.
 
Angolo dell’autrice:
Dunque, momento di serietà: questo capitolo, in specie la parte dei ricordi del nostro giovanissimo Sherlock, è qualcosa di veramente importante per me. Da quasi un mese ormai, combatto contro un principio di depressione. Fatico molto a scrivere, a concentrarmi, ad andare avanti. Ma nella mia miserabile fragilità, abbandono ogni pensiero, ogni barlume di dolore o serenità faticosamente guadagnata qui, in questo scritto. Così come Sherlock ha trovato la forza per rialzarsi, così toccherà fare anche a me. Ora, io parlo di me stessa, è vero, ma voglio appellarmi ad ognuno di voi, a chiunque legga queste parole.
Combattete.
Fatelo per voi stessi, più che per gli altri. Andate avanti, cercate la vostra luce e, se faticate a trovarla… cercate ancora. Scrivo per inviarvi questi messaggi, per pregarvi di non mollare mai. E voi, pur inconsapevolmente, ricambiate con la gentilezza delle vostre recensioni, sempre bellissime, sempre immancabili. Per questo vi ringrazio di cuore. Grazie. E un ringraziamento speciale va a colei che con le sue parole mi ha fatta piangere nel cuore della notte, mentre leggevo la sua recensione: Bbpeki.
Spazio ai ringraziamenti, adesso!
Kimi o Aishiteiru: che è successo ora?! Ma stai facendo un abbonamento all’ospedale? Mi sa che ormai ti conoscono bene, dottori e infermieri/e. Seriamente, stai bene? Non farmi preoccupare. Ehi, guarda che Edarion un po’ cerca di aiutare. Un po’. Ma che vuoi farci, gli Holmes sono difficili nei rapporti sociali quanto in quelli familiari. XD ahahahaha! Mi raccomando, aspetto presto tue notizie! E grazie per il commento!
Bbpeki: che altro dovrei dire? I ringraziamenti generali te li ho già fatti e sì, ho pianto davvero leggendo il tuo commento. Ancora non capisco come i miei scritti possano piacere alle persone. Sinceramente, ho sempre paura di pubblicare perché credo che siano tutte stupidaggini. Però, se davvero le mie storie ti fanno sognare, se realmente ti piacciono e ti offrono un seppur misero angolo di serenità… allora sì, continuerò a scrivere. Lo faccio all’insaputa di chiunque da quando avevo otto anni e non credo di poter smettere tanto facilmente. A maggior ragione, leggendo le tue parole, non potrei fermarmi comunque. Per questo ti ringrazio di cuore, perché in un momento difficile mi hai aiutata, inconsapevolmente. Grazie davvero, e non smetterò mai di ringraziarti. A presto!
Sonia_0911: oddio, come è andato l’esame? Spero benissimo! Comunque, Sherlock e Anderson non potranno mai sopportarsi. Credo che sia una legge fisica, ormai. Posso ingentilire Anderson, ma non posso sperare che Sherlock lo sopporti come tutti speriamo. Sono troppo diversi ed entrambi troppo testardi per andare d’accordo. Non so se si riempiranno di mazzate entro la fine della storia, sai? XD sto considerando la cosa. A presto, e grazie per il commento!
Wibbly Wobbly Timey Wimey: John è sempre adorabile. È una sua prerogativa. Non per niente sembra un dolcissimo riccio XD comunque, a te è andata bene perché dopo la seconda stagione, mia madre ha dedotto tutto su come è sopravvissuto Sherlock. Da sola. Senza guardare la terza stagione. Mia madre è un fottuto detective, maledizione! Eheh, Donovan avrà quello che si merita. È l’unica che non ho mai mandato giù, di tutta la serie. Ma come si fa ad essere tanto imbecilli, dico io! Ok, mi sono sfogata. A presto, e grazie per il commento!

Tomi Dark Angel
 
  
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