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Autore: Black_Tear    02/07/2014    1 recensioni
La strada di una cacciatrice dal passato misterioso si incrocia per la seconda volta con quella dei fratelli Winchester, vecchi amici d'infanzia, che la aiuteranno ad ottenere la vendetta da lei agognata per tanti anni.
-Che fine ha fatto la ragazza dolce e timida che conoscevo?- chiese con un sorriso provocatorio stampato in faccia mentre si avvicinava di qualche passo.
-E' morta quella notte.-ribattei, più bruscamente di quanto avrei voluto, voltandomi verso la finestra per accertarmi che non ci fosse nessuno.
Con la coda dell'occhio vidi il suo sorriso incrinarsi in una smorfia.
Sentivo i suoi occhi su di me e fui travolta da un'ondata improvvisa di tristezza.
Deglutii cercando di sciogliere il nodo che si era formato in gola impedendomi di respirare.
-Ora è rimasta solo un cumulo di carne, sangue e rabbia- dissi con finto tono solenne, ma strinsi la pistola che avevo in mano mentre pronunciavo l'ultima parola.
-Non per migliorare la tua autostima, ma sei un po' più di questo- replicò serio.
-Cioè?- sospirai, tornando a guardarlo negli occhi, scettica.
-Sei un'irritante mozzarella sotuttoio- disse, una smorfia divertita sulla faccia.
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-Quindi…- stava dicendo Dean lanciando un’occhiata interrogativa al fratello -il signor Johnson ha visto un…un’ombra, la moglie  è stata fatta a pezzi da una “cosa” invisibile e non potevano chiamare aiuto o uscire di casa?-
-Per essere precisi, solo la moglie non poteva uscire di casa.- lo corressi, portandomi la tazza di tè alle labbra.
Eravamo seduti in quel ristorante da quattro sodi da più di un’ora: la cameriera di turno ci aveva chiesto se volevamo qualcos'altro almeno una decina di volte e aveva sbattuto le lunghe ciglia con aria civettuola verso Dean, che sembrava apprezzare le attenzioni della bionda e formosa ragazza.
Quella era la mia quinta tazza: gli agenti federali non bevevano alcool in servizio, e io dovevo sembrare uno di loro. Anche i due fratelli  avevano optato per del caffè invece della solita birra.
Avevo riportato per filo e per segno quello che aveva detto Johnson  e mi avevano ascoltata in silenzio fino alla fine, interrompendomi ogni tato per fare delle domande alle quali non risposi. Cercavo di essere più criptica possibile, e “per una mia incomprensibile distrazione” avevo tralasciato la parte del sale e del comportamento strano della signora. Non avevano mai incontrato un mostro del genere, per cui non sapevano della sua esistenza,  e la mia unica possibilità era sfruttare questa lacuna facendo credere loro che non fosse un caso soprannaturale, ma un semplice episodio di killer psicopatico e visionario.
Sapevo che probabilmente non avrebbe funzionato, ma intanto li avrei rallentati e avrei potuto trovare ed uccidere il mostro da sola o morire provandoci.
-Allora perché diavolo non è andato lui a chiamare aiuto?- sbottò Dean. Me l’ero chiesto anch’io: avrebbe potuto prendere la macchina e scendere in paese a cercare aiuto.
-Forse non voleva lasciare la moglie da sola. Era spaventato e preoccupato per la moglie e non avrebbe potuto lasciarla sola in quello stato- intervenne Sam, ma era chiaro che nemmeno lui credeva a quel che diceva.
-Oppure è stato lui, si è immaginato tutto, è andato fuori di testa e ha macellato la moglie- dissi, passandomi una mano sulla faccia.
Sospirai.
Speravo davvero che ci avrebbero creduto e che se ne andassero di lì. Il sapore amaro del thè senza zucchero e la tazza bollente tra le mie mani mi aiutavano a mantenere la calma e a non pensare al passato, ma la loro presenza rendeva tutto più difficile.
Bevvi un altro sorso di thè, spostando lo sguardo agli altri clienti del ristorante. Si voltavano uno alla volta o a gruppi di due o tre persone ad osservarci, per poi distogliere subito lo sguardo non appena si accorgevano che li guardavo. Non ci avevano tolto occhi ed orecchie di dosso da quando eravamo entrati e la cosa mi irritava parecchio, al contrario dei winchester che non sembravano farci caso. Come biasimare quai poveri paesani ficanaso? Lì gli stranieri erano più unici che rari e in un paese come quello in cui si conoscevano tutti era impossibile passare inosservati.
Fuori il tempo era peggiorato e stava per iniziare a piovere. Il sole era coperto da uno spesso strato di nuvole ed era buio, tanto che nel ristorante avevano acceso le luci tremolanti: erano le stesse da oltre vent'anni.
-Non saprei- rispose Sam. -Mancherebbe comunque il movente-
-Soldi, problemi coniugali, tradimento… oppure è semplicemente matto da legare- commentò Dean, alzandosi dalla sedia e afferrando la giacca.
–Non so voi, ma a me quel tizio sa tanto di stronzo- disse con noncuranza indossandola e gettando alcuni soldi sul tavolo.
Feci per estrarre il portafoglio, ma Dean mi fermò: –Offro  io- disse accennando un vago sorriso.
 
***

-Offro io- disse accennando un vago sorriso.
Rimasi immobile, osservando le sue mani veloci che gettavano dei soldi sul tavolo, accanto ad un bicchiere di birra e ad una tazza di tè, entrambi vuoti.
Probabilmente avrei dovuto insistere perché non lo facesse, ma mi sentii lusingata, e in parte anche sollevata, da quel gesto così gentile.
Non ero stata di grande compagnia nemmeno quella volta, come quella precedente e quella prima ancora, ma nonostante ciò, quel ragazzo dagli occhi verdi continuava a parlare con me.
Quella sera, ad esempio, avevamo parlato di musica, probabilmente l’unica cosa che avevamo in comune. Si era stupito quando gli avevo detto che mi piacevano gli AC/DC e i Metallica; per ripetere quello che aveva detto “non credevo che a ragazze come te piacesse questa musica” e non avrei saputo dire cosa intendesse con “come te”: sfigata, introversa, asociale, noiosa? Le opzioni erano tante.

Uscimmo dal bar e ci incamminammo per la strade buie di Jefferson City, verso casa mia.
Lo osservavo mentre camminava. Faceva passi lunghi,  le mani infilate nelle tasche della giacca di pelle per proteggerle dal freddo e le gambe leggermente arcuate coperte da jeans rovinati e strappati. Ogni volta che passavamo sotto un lampione la collana che aveva al collo brillava. Ma nessun gioiello avrebbe eguagliato i suoi occhi, di un verde luminoso e vivo, incastonati in un viso niente male: labbra rosee e carnose, zigomi alti e ciglia lunghe.
–A Sam sarebbe piaciuto restare, ma domani ha un test di scienze…o qualcosa del genere…-iniziò.
Eravamo usciti tutti e tre, insieme: eravamo andati al cinema e poi a bere qualcosa al bar, ma Sam era dovuto andare via prima.

-Credevo che il test fosse d’inglese-dissi.
-Bè, ci sono andato vicino-
-Non proprio- dissi sorridendo.
-Tu e Sam siete proprio una bella coppia di rompiscatole- disse, dandomi una spinta leggera, alla quale risposi con una gomitata.
Tra noi cadde silenzio. Camminammo un po’, ascoltando il canto dei grilli e dei gufi, mentre cercavo di soffocare una domanda che mi ronzava in testa dalla prima volta che li avevo visti arrivare su una vecchia Chevrolet assieme a loro padre.
-Da dove venite?- chiesi infine, prima di riuscire a zittirmi.
Rimase in silenzio per un po’ prima di rispondere. –Lawrence, Kansas.-
Non riuscii a trattenere una risatina, aggiudicandomi un’occhiataccia. Arrossii violentemente e fui grata al buio che impediva che lo notasse. -Voglio dire…perché attraversare mezzo Paese per venire in questo schifo di posto?-
Rise, mostrando denti bianchi e dritti.- Ti fa davvero così schifo vivere qui?-
-Non sai quanto-sbottai.
-Non è male…c’è un cinema e una scuola e credo di aver visto anche una libreria da qualche parte-
-Non puoi dire sul serio.-
-Sono serissimo.-
-Prova a viverci per quindici anni e mezzo e ti assicuro che cambierai idea.-
Per qualche secondo non rispose.
-Quindi immagino che te ne andrai appena potrai.-
-Già…-
-E dove andrai?-
-Ovunque. Voglio viaggiare, vedere il mondo e non fermarmi mai.-
-È davvero quello che vorresti? Non avere una casa, degli amici e una famiglia?-  C’era una nota strana nella sua voce, una sorta di malinconia, ma pensai che fosse dovuta alla stanchezza.
Riflettei un po’ su quello che aveva detto. -Prima o poi dovrò fermarmi, immagino…-mormorai.
-Già…- rispose, ma sembrava poco convinto. Solo allora mi accorsi che eravamo fermi davanti a casa mia.
Spinsi il cancello e mi voltai verso di lui. Aveva un'espressione strana, quasi triste, che mi confuse. Avevo detto qualcosa di sbagliato?
Gli sorrisi. -Grazie…di tutto.-
Sorrise anche lui e i suoi occhi tornarono luminosi. –Buonanotte, Jade- disse voltandosi e incamminandosi verso il motel a due isolati di distanza.
-Buonanotte, Dean-
Non mi accorsi che non aveva risposto alla mia domanda.
  
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