Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Peggotty    24/08/2008    5 recensioni
[Riveduto il capitolo 7] Inghilterra 1755, dieci anni dopo la Sommossa giacobita. Il Signore di Allenton è un uomo ricco, potente, oroglioso e crudele; un'orribile ferita riportata a Culloden gli deturpa gran parte del viso, adesso nascosto da una maschera. Nessuno sa come sia quella ferita, ma c'è chi sostiene ricopra gran parte del suo viso adesso deforme. Alcuni sostengono persino che Lord Cumbrae sia impazzito dal dolore causato da quelle cicatrici e dall'orrore che i suoi occhi hanno visto a Culloden. E' una figura avvolta nel mistero, ma nessuna persona normale vorrebbe incrociare il suo stesso cammino.
La giovane Madelaine è appena divenuta la sua sposa, e il solo pensiero che quell'uomo sia suo marito basta a spaventarla a morte...
Genere: Avventura, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note dell’autrice: eccomi, sono tornata con il nuovo capitolo della storia; mi scuso per aver impiegato un po’ di tempo, ma visto, come al solito, che mi occupo di due fanfiction originali in contemporanea, nonché della stesura del mio libro, ho sempre p

Note dell’autrice: eccomi, sono tornata con il nuovo capitolo della storia; mi scuso per aver impiegato un po’ di tempo, ma visto, come al solito, che mi occupo di due fanfiction originali in contemporanea, nonché della stesura del mio libro, ho sempre poco tempo per aggiornare^^’                                    

mAd wOrLd grazie per il tuo commento, senza contare che sei una new entry nel gruppo! Che dire, la storia non sarebbe affascinante se non ci fossero alcune interruzioni sul più bello stile ‘Beautiful’, no?   

   owarinai yume mi dispiace per aver fatto terminare il capitolo così, ma avevo già deciso che Maddy venisse costretta a salire sulla carrozza di quel nobiluomo, perciò… spero di averti soddisfatta in questo:D

shandril non ti preoccupare per Will, non creerà altri problemi, forse…

Maddy rapita? Non ho scritto niente del genere nello scorso capitolo! °_°’

Grazie per gli auguri, spero di finire il libro prima di dicembre, è anche troppo tempo che me lo trascino dietro, ormai. XD

   Bychan ringrazio tantissimo anche te per i complimenti, e pensare che a volte mi sembra di scrivere delle vere porcherie!! Evidentemente lo percepisce solo la mia mente distorta!!XDD

Anche tu parli di rapimento? Ma no, se è questo che pensate allora scordatevelo! Maddy non è stata rapita… non esattamente, almeno -.-‘

   Summers84 anche a te piacciono i romanzi storici? Allora siamo in due!:D

Ormai sta diventando una domanda di repertorio, ma non posso fare a meno di domandare: Hai ma letto ‘La Straniera’? se la tua è una risposta è ‘no’, allora ti consiglio di cercare questo libro, anche solo per dare un’occhiata alla trama; ne vale la pena, te l’assicuro ;) … anche se a dirlo è una pazza fanatica per questa serie!XD

  Eiby, ciao!^^

Be’, credo che qui la pensiamo tutti così a proposito di Will, ma se lui si fosse comportato in modo retto, tenendo a freno i propri istinti… Maddy lo avrebbe sposato, invece di… ops, rischiavo di dire più del necessario!! °.°’

   Be’, contando anche Rayne, le new entry stavolta sono addirittura tre, wow!:D

Grazie per i complimenti e anche per aver inserito questa storia tra i tuoi preferiti che, con mia grande gioia, hanno raggiunto la quota 16. Grazie mille vi amo con tutto il cuore!!^^

   Visto che l’altra volta vi ho snocciolato delle nozioni storiche che avrebbero fatto dormire anche un insegnante della suddetta materia, questa volta non dirò niente, e vi lascerò alla lettura immediatamente; però prima sarei curiosa di sapere una cosa.

Qualche settimana fa mi è arrivata una mail da un indirizzo che portava il nome   buffy1984@yahoo.it

Ho risposto a questa mail per sapere con chi stessi parlando, ma non mi è ancora giunta una risposta. Se per caso uno di voi lettori è il proprietario di questo indirizzo e-mail, allora vi prego di contattarmi, sarei felice di parlare nuovamente con voi^^

 

 

Redarcher  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VI

 

 

Fanny

 

 

 

Fuori imperversava una tempesta che, con la sua forza demolitrice sembrava volesse cancellare ogni cosa; dentro, la carrozza veniva squassata e tremolava come un pudding al latte a causa della strada accidentata e scarsamente agibile. Ero seduta vicino all’uomo basso e tarchiato che, sceso dalla carrozza sotto ordine del proprio padrone, aveva dato una mano al cocchiere, dalla parte opposta della carrozza, il nobiluomo senza volto si accaparrava l’intero sedile rivestito di velluto rosso scuro ricco di decori dorati incomprensibili ai miei occhi, io invece dovevo farmi piccola piccola per impedire al grassone accanto a me di inglobarmi dentro al suo corpo flaccido.  

   I vestiti stavano iniziando ad asciugarsi ma io ero completamente infreddolita e perciò non fu colpa mia se mi sfuggì uno starnuto, allarmando la palla di grasso accanto a me che sobbalzò e si appiattì contro la parete del veicolo, quasi avesse voluto fuggire da un’appestata. Be’, almeno adesso avevo un po’ più di spazio… ma non potevo permettermi di starmene tranquilla e rilassata come se niente fosse. Quello sconosciuto mi stava portando chissà dove e io lo avevo seguito, mossa unicamente da un improvviso moto di paura verso quell’uomo di cui, a causa della penombra che regnava nella carrozza, non riuscivo nemmeno a vedere il volto.

   Deglutii pesantemente e i miei occhi inquieti si soffermarono sul cupo paesaggio fuori dal finestrino, completamente battuto dalla pioggia e illuminato unicamente dalla caduta di un fulmine e seguito poi dallo scoppio di un tuono, a volte troppo vicino, per i miei gusti. Fu difficile tenere calmi i miei nervi, già fortemente provati, quando cadde l’ultimo… troppo vicino per i miei gusti. Cacciai un urlo allarmato e saltai sul sedile, coprendomi istintivamente le orecchie con le mani e chiudendo gli occhi, sperando che una volta riaperti, mi sarei ritrovata nel nostro cottage dimesso, nella mia stanza piena di spifferi, dentro al mio letto sgangherato, finalmente al sicuro.

    << Non temete un attacco da parte di una banda di briganti… >> La voce sorpresa e cavernosa di quell’uomo mi costrinse ad aprirli. << … Ma di un semplice tuono ? >> Era esterrefatto, come se non potesse credere a ciò che i suoi occhi vedevano.

   << I tuoni mi fanno paura, signore >>, ammisi con un sussurro strozzato, sfregandomi le braccia l’una con l’altra, tentando di scaldarmi.

   << Hm. >> Fu l’unica cosa che disse, poi si zittì, lasciandomi quasi credere che avessi parlato da sola.

L’ennesimo sobbalzo della carrozza mi gettò dal mio posto, mandandomi dritta contro l’uomo corpulento seduto accanto a me, che lanciò uno strillo soffocato, scansandomi brutalmente con le mani grasse come salsicce. Si sistemò la parrucca incipriata e diede un violento colpo al tettuccio della carrozza.

   << Laurent per l’amor del cielo! Vuoi andare più piano? >> gridò rabbioso verso il cocchiere.

In tutta risposta arrivò un colpo dal tetto, seguito poi da una serie di parole che non riuscii a capire, ma non c’era alcun dubbio che fossero insulti verso l’uomo imparruccato e incipriato. 

   << Vostra grazia >>, iniziai, la voce il più bassa possibile.

   << Cosa? >> Sussultai, sentendo la sua voce bassa e rabbiosa.

<< Io… io devo tornare a casa >>, dissi, cercando il mio coraggio da qualche parte, dentro di me. << La mia famiglia ha bisogno di me, io devo andare… >>

Con un gesto insofferente mi indusse al silenzio e, nonostante mi sentissi fortemente umiliata, la paura mi azzittì.

   << Non mi interessa >>, disse dopo un lungo silenzio, dandomi a intendere che la conversazione era terminata.

   << Ma io… >>

   << Non hai sentito Lord Cumbrae (1), ragazzina? >> esclamò spazientito l’uomo grasso. << Non gli interessa, perciò vedi di startene zitta! >> E con uno sbuffo spazientito si accomodò meglio sul sedile imbottito di velluto rosso, facendo ondeggiare la carrozza e facendo sì che da fuori provenissero altri rimbrotti nella lingua sconosciuta del cocchiere.

Attesi in silenzio qualche minuto, cercando di trovare un modo per sfuggire dalle grinfie di quell’uomo che, con ogni probabilità, avrebbe potuto abusare di me per soddisfare le sue voglie, e poi gettarmi nuovamente in mezzo alla strada, senza troppi rimpianti. La mia mente pensava a vuoto, perché onestamente non vedevo nessuna soluzione possibile all’infuori di…

   Stringendo convulsamente i pugni mi alzai con uno scatto improvviso, e il grassone ebbe appena il tempo di dire: << Che…? >>

Mi lanciai verso la maniglia della portiera e con dita svelte e agili – nonostante tremassi da capo a piedi, e non solo per il freddo – e appena la sentii aprirsi, mi raccolsi le gonne… e saltai.

 

*

 

L’impatto con il terreno fu meno disastroso di quanto mi fossi aspettata, atterrai in mezzo ad un cespuglio dall’odore pungente mescolato a quello dell’acqua e del fango, sulla lingua sentivo il disgustoso sapore di fango e erba, sputai in un angolo più volte, cercando di togliermi quel sapore orrendo dal palato, ma sembrava intenzionato a restarmi sulla lingua, perciò alla fine decisi di ignorarlo.

 I miei abiti si erano inzuppati di nuovo, ma prima che questo pensiero potesse sfiorarmi la mente, ignorando i dolori che sentivo in tutto il corpo, mi alzai in piedi, barcollando e sentendo il terreno mancarmi sotto i piedi; raccogliendo i capelli completamente infangati dentro al cappuccio del mantello, mi raccolsi le gonne inzaccherate di fango e acqua e arrancai fuori sulla strada, liberandomi qualche minuto dopo delle scarpe; completamente inutili, visto che non facevano che venire inghiottite dalla poltiglia fangosa e impedendomi di muovermi come avrei voluto.

   Riuscii a raggiungere il sentiero, anche se alla cieca, visto che era talmente buio da non riuscire a vedere a un palmo dal mio naso, mi diedi una rapida strizzata ai lembi della gonna, pensando a cosa avrei potuto raccontare a casa, per spiegare l’attuale stato dei miei abiti. Una luce fioca distante da me qualche metro attirò la mia attenzione, sembravano delle lanterne… una locanda? Ashington?

Con il cuore gonfio di speranza zoppicai lungo la strada piena di fango, senza accorgermi dei tuoni che squarciavano il cielo e l’ululato del vento che squassava gli alberi sul sentiero, camminavo a fatica e i miei movimenti sembravano quelli di una papera ubriaca, ma se avessi raggiunto Ashington, se avessi trovato Fletcher…

   << Eccola, è qui! >>

Sentendo quella voce mi sembrò di sprofondare ancora di più nel fango, pensando ‘Mio Dio, perché?’

Non riuscii nemmeno a girare su me stessa e trovare una macchia di cespugli in cui nascondermi… venni riacciuffata. Sentii delle dita grandi e grosse come salsicce agguantarmi le braccia e trascinarmi verso le luci soffuse della carrozza, senza mollare la presa nonostante scalciassi come un puledro recalcitrante e gli urlassi di lasciarmi andare; borbottando parole per niente gentili, mi spinse nuovamente dentro la carrozza, picchiai le ginocchia contro il pavimento e sentii qualcuno pungolarmi con il bastone, mentre le gelide parole: << Rimettetevi seduta >> mi gelavano il corpo con la stessa intensità di una bufera di neve.

   Fu per un semplice impulso, se afferrai l’estremità del bastone da passeggio di Lord Cumbrae, e guardando nel modo peggiore possibile, gli dissi:

   << Non sono uno dei vostri cani, milord >>, dissi con voce cupa.

Mi sentii strattonare all’indietro e lanciai un gridolino strozzato, quando incontrai il viso paffuto e malevolo dell’uomo che, all’improvviso, iniziai pensare fosse il maggiordomo di Lord Cumbrae.

   << I cani di Lord Cumbrae sono mille volte meglio di te, stracciona. >> La sua voce sibilò con disgusto quella parole, che vibrò dentro al mio cuore con la stessa intensità di una stoccata al petto.

Mi dimenai come una trota dalle sue mani grosse e grasse, appiattendomi poi contro la parete della carrozza.

   << Sarò anche povera >>, dissi con lo stesso odio, << ma non sono una stracciona. >> Alzai il mento con fare superbo, come se fossi stata una gran dama, o comunque di un rango superiore di quell’uomo odioso.

   << Come ti permetti, maledetta… >>

L’uomo fece per saltarmi addosso e scaraventarmi fuori dalla carrozza, che nel frattempo aveva ripreso la sua corsa… ma la voce cavernosa e terrificante del padrone richiamò il maggiordomo al silenzio.

   << Fa’ silenzio, Tatcher >>, gli intimò il Lord con voce brusca.

   << Ma signore, io… >>

Ogni protesta del maggiordomo fu sepolta nel silenzio con un solo sguardo di quell’uomo, che con un’ultima occhiata di disprezzo verso di me, si mise sul sedile, finalmente in silenzio.

Stavolta il maggiordomo mi costrinse a sedermi dalla parte opposta, lontano dalla portiera: << Così non ti verrà in mente di scappare >>, disse burbero mentre si sistemava la parrucca bianca e incipriata.

   Tanto ci proverò di nuovo fu il mio improvviso pensiero, mentre cercavo un modo per congedarmi da quell’uomo inquietante che era Lord Cumbrae.

Lord Cumbrae… mmm… perché quel nome non mi suonava nuovo? Dove l’avevo già sentito?

Mentre cercavo di ricordare dove avessi sentito nominare quel nome, la carrozza si fermò sotto incitamento del cocchiere. I cavalli probabilmente slittarono sul terreno, perché il veicolo impiegò qualche istante buono, prima di fermarsi completamente; io mi alzai in piedi in automatica e, senza pensare che la carrozza fosse ancora in movimento, persi l’equilibrio, battendo la faccia contro il sedile opposto.

   << Vuoi stare ferma, ragazzina? >> Tatcher mi afferrò per l’orlo logoro della gonna e con uno strattone cercò di rimettermi in piedi.

   << Che diavolo state facendo? >> Afferrai a mia volta la sottana, cercando di staccare le sue dita grasse dal mio vestito. Uno spiacevole rumore di stoffa strappata ferì le mie orecchie, mentre un pezzo della mia gonna cadeva a terra.

   << Il mio vestito… >>

   << Avreste dovuto lasciare andare la presa, invece di tirare a vostra volta. >> La voce altera e superiore di quell’uomo insulso e odioso mi dava ai nervi.

   << Mi avete strappato il vestito, dannazione! >> Avrei afferrato volentieri il bavero della sua giacca di alta sartoria e farla a pezzi davanti ai suoi occhi, ma il buon senso ebbe il sopravvento e io mi chiusi in un silenzio ostile, temendo molto di più le frustrate che avrei potuto beccare, usando insubordinazione sul servitore di un nobile. Elisa si sarebbe arrabbiata, e parecchio, ma la sua lingua non feriva allo stesso modo di una frusta.

   << Siamo arrivati. >> Lord Cumbrae disse solo quelle poche parole e, appena il cocchiere aprì la portiera al proprio padrone, scivolò fuori dalla carrozza, svanendo come se fosse stato un fantasma. Tatcher scese dopo di me e mi diede uno spintone ben calcolato, facendomi finire lunga distesa sul pavimento della carrozza. Imprecando tra i denti, cercai di rialzarmi in piedi, incespicando tra le gonne e le sottogonne del mio vestito.

   Una mano dalle dita lunghe e affusolate venne tesa verso di me e, risalendo il braccio magro, avvolto in una giacca dal taglio di alata sartoria, incontrai un pallido viso affilato, mentre due occhi scuri come la notte sembravano esprimere rammarico. Senza sapere bene come comportarmi, accettai la mano e l’uomo – il cocchiere, supposi – dimostrò molta più forza di quanta immaginassi, dato il fisico mingherlino e la statura considerevole.

Comportandosi da vero gentiluomo mi aiutò a scendere dalla carrozza, come se fossi stata una donna dell’alta società.

   << Je suis désolé, mademoiselle >>, mi sussurrò, una volta scesa dalla carrozza. Non avevo mai sentito una lingua simile, e dubitavo fortemente che fosse inglese, nonostante i dialetti dell’Inghilterra variassero fortemente da contea a contea. I miei occhi curiosi si soffermarono un istante sul suo viso affilato, gli occhi piccoli e scuri, il naso lungo e all’insù, le labbra sottili, il mento sfuggente… no, quell’uomo non era inglese, ne ero sicura.

   << Venez a l'intérieur, vous êtes tout mouillé >>, disse poi, spingendomi verso l’entrata di quella che riconobbi come una locanda. Non tanto grande e dall’aria dimessa, alcune candele però erano accese, e davano un’aria di benvenuto e accoglienza ai viandanti stanchi. Molto meglio che quella carrozza buia e fredda, in ogni caso.  

  << Vite, vite >>, mi incitò il cocchiere, vedendomi indugiare all’ingresso. Mi lasciai spintonare dentro, capendo ormai che ogni mio tentativo di fuga sarebbe stato inutile.

All’interno, l’aspetto della locanda non migliorò. Una scala dall’aria sgangherata e fragile conduceva al piano superiore, mentre il pianterreno fungeva da taverna e da sala in cui mangiare o fare bagordi fino a tardi, bevendo birra e cantando ad alta voce. Non avevo idea di che ore fossero, ma doveva essere tardi, visto che, apparte la moglie del locandiere, non c’era nessuno ancora sveglio.

   Lord Cumbrae stava conversando con lei, mentre Tatcher stava accanto al suo datore di lavoro come un cane fedele in attesa di un ordine, qualche volta vidi voltarsi nella mia direzione e, nonostante la luce fornita dalle candele fosse poco più che un bagliore soffuso, riuscivo a vedere senza problema la luce ostile che brillava nei suoi occhi porcini.

   << Maudit porc anglais >>, borbottò l’uomo accanto a me, guardando nella stessa direzione di Tatcher.

   << Laurent, vieni qui. >> La voce cavernosa di Lord Cumbrae risuonò spettrale nell’androne della locanda, un brivido mi percorse tutta la schiena, facendo rizzare ogni singolo pelo del mio corpo.

   << Oui Monsieur! >> Svelto come una lepre, Laurent sgambettò in direzione del padrone, pronto ad ubbidire agli ordini del suo signore. In fondo; non tanto diverso tanto da Tatcher pensai acida, osservando il cocchiere accogliere gli ordini con attenzione.

Con un movimento rapido, Lord Cumbrae si girò verso di me, e io sobbalzai come un coniglio spaventato.

   << Voi >>, disse spazientito, indicandomi con il bastone, << venite qui. >>

Avrei tanto voluto non farlo, ma sapevo bene cosa mi aspettava, se mai avessi deciso di disubbidire. Trascinando lentamente i piedi nudi sul pavimento sporco e pieno di polvere, raggiunsi il mio rapitore e chinai il capo, aspettando che dicesse chissà cosa.

   << Dite a questa donna il nome di vostro fratello. >>

   << Come? >> Alzai gli occhi verso quell’uomo che, potei constatare, al buio e avvolto nel proprio mantello, era un vero e proprio gigante. << Perché lo vuole sapere? >>

Non avevo idea del perché lo volesse sapere, ma qualcosa dentro di me urlava di stare zitta, di non ubbidire a quell’ordine.

   << Cosa volete da mio fratello? >>

Quando Lord Cumbrae si voltò a guardarmi in tutta la sua altezza, sentii come una vertigine, mentre un blocco di ghiaccio si formava dentro al mio stomaco, gelandomi fino alla punta delle dita. I suoi occhi erano azzurri come un cielo estivo… ma freddi come l’inverno. Non sembrava esserci vita, dietro quelle pupille chiare.

   << Fate come vi dico >>, ringhiò a mezza voce, intimandomi di ubbidire.

   << No! non farò niente di quello che dite, almeno finché… >>

La locandiera di intromise nella conversazione, interrompendo il mio inevitabile disastro. << Vostra grazia è stato così gentile da propormi di mandare qualche garzone ad avvisare tuo fratello, per dirgli che state bene, e che non deve preoccuparsi. >> Non riuscii a distinguere i contorni del volto di quella donna, ma la sua voce era dolce e materna, come se avesse voluto rassicurarmi.

   Ancora reticente, e meno che convinta a fidarmi di quell’uomo, alla fine borbottai ‘Fletcher Newbery’, mentre stropicciavo senza interruzione le falde del mio mantello impillaccherato di fango e ancora bagnato.

   << Molto bene. >> Con un rapido turbinare di sottane, la donna sparì dietro una porta, che io notai solo in quel momento, per tornare qualche minuto dopo con una lanterna accesa e un ragazzino sui dodici anni che la seguiva a ruota, ondeggiando e sbadigliando come se fosse appena stato tirato giù dal letto, e forse, era davvero così.

Senza dire una sola parola, Lord Cumbrae gettò una moneta alla donna che lo ringraziò e uno scellino al ragazzino, il quale fece un inchino servile, prima do sparire fuori dalla porta d’ingresso, la lanterna in mano e avvolto in un mantellaccio sdrucito e sporco.

    << Vorrei una camera per stanotte, Mrs. La migliore che avete. >> Il gentiluomo accennò a sfilarsi il mantello dalle spalle, e subito Tatcher si prodigò a sfilarglielo, prendendolo lui stesso in consegna

     << Da questa parte, milord. >> Con una candela in mano, la donna iniziò a salire le scale, che cigolarono pericolosamente sotto il suo peso e quello di Lord Cumbrae.

    << Tu resta qui, Tatcher. >>

Nel caso tenti di nuovo la fuga pensai mestamente mentre, sfilandomi a mia volta i mantello, avanzavo all’interno della locanda, camminando alla cieca.

Avvalendomi del tatto, individuai una panca e usando il mantello come cuscino, mi ci sdraiai sopra. Sentii Tatcher borbottare qualcosa, ma non riuscii a capire le sue parole; solo quando sentii il mio corpo farsi sempre più pesante e le palpebre sempre più difficili da tenere aperte, mi resi conto di quanto fossi stanca.

Lasciai chiudere i miei occhi sempre più pesanti, mentre in lontananza, un tuono cadeva dal cielo.

 

*

 

Sognai di essere seduta in un campo pieno di fiori in boccio, i quali ad ogni mio passo fiorivano all’improvviso, aprendosi come sei io fossi stata il sole, mostrandomi i loro colori vivaci e piacevoli a vedersi: rossi, gialli, arancioni, bianchi… tutto era ricoperto dai fiori in boccio, e io ero testimone di quella magnificenza.

   Fui strappata bruscamente dal mio sogno da un paio di mani che, afferratami per le spalle, iniziarono a scuotermi con violenza. Aprii gli occhi di scatto ed ebbi l’impulso di spingere lontano il mio aggressore, decisa poi a darmela a gambe appena avuta occasione… tuttavia dovetti desistere.

   << Coraggio, tesoruccio. È ora di alzarsi. >>

Non conoscevo il viso di quella donna, ma quando sentii la sua voce provai un moto di sollievo: la moglie del locandiere.

   << Mmm… >> Mi alzai a sedere e soffocando uno sbadiglio, mi stropicciai velocemente gli occhi, levando la patina di sonno e gli ultimi residui di sonnolenza.

   << Coraggio, coraggio. È ora di alzarsi, piccina >>, mi incitò lei, strattonandomi leggermente per il braccio, affinché mi alzassi.

Mi passai lentamente una mano tra i capelli, sentendoli innaturalmente rigidi e pieni di nodi. Solo quando mi rimase in mano un mucchietto di fango secco, mi resi conto di quanto fossi sporca.

Mi guardai attorno con occhi circospetti, cercando individuare la massa di grasso di Tatcher, o la figura imponente di Lord Cumbrae, magari imboscati da qualche parte, in attesa di intercettare la mia prossima fuga.

   Con le imposte aperte e la luce del giorno – di un bel giorno, per essere precisi – la locanda non aveva quell’aspetto abbandonato o usurato; certo, dovevano essere mesi che la moglie del locandiere non dava una spazzata per terra oppure non toglieva le ragnatele dal soffitto, ma nel complesso era molto simile alla locanda gestita da Mr Cameron…

L’improvvisa fitta che sentii al petto mi lasciò indispettita e infuriata, sia con quel traditore di Will… sia con me stessa. Decidendo finalmente di prendere il toro per le corna, guardai la locandiera.

   << Dov’è Lord Cumbrae, mistress? >> domandai sospettosa.

   << Oh, se n’è andato >>, disse lei.

   << Andato? >> domandai istupidita, vedendo la sua figura tonda ancheggiare per la stanza comune, recuperando da qualche parte una vecchia scopa e iniziando a togliere la sporcizia lasciata durante la notte.

   << Ma dove? Cioè, mi ha lasciata qui? >> Non riuscivo a comprendere perché fossi così sorpresa dalla piega che gli eventi avevano assunto. Dopo tutto non poteva che essere una fortuna, per me. Adesso potevo tornarmene a casa, e avevo la possibilità di dimenticare la notte passata…

    << È tornato nel Cumbrae, nei suoi possedimenti. A quanto mi ha detto, era solo di passaggio da queste parti. >>

     << Oh, d’accordo. >>

La notizia che quell’uomo vivesse in un’altra contea era un motivo di gioia, per me. Con il morale rinnovato mi alzai dalla panca, pensando solo in quel momento che, di sicuro, quella donna avrebbe preteso di essere pagata, visto che avevo dormito nella sua locanda.

    << Oh, non ce n’è bisogno, tesoro >>, disse allegramente, quando glielo chiesi.

Inclinai la testa con fare interrogativo. << Perché? >>

    << Sua grazia ha pagato anche per te, cara. >> Detto questo, mi disse che se volevo c’era un pezzo di pane sul bancone e una tazza di tè caldo, nel caso avessi avuto fame.

Una volta considerato portato a termine il proprio compito, la donna riprese a spazzare il pavimento.

Bevvi avidamente la tazza di tè caldo, temendo che magari la donna decidesse all’improvviso di cambiare idea, fui talmente veloce a mandare giù quel liquido corroborante che nemmeno feci caso al sapore, poi, nascosta la pagnotta nelle tasche dell’abito, ringraziai la locandiera e uscii fuori.

   Nonostante il temporale furioso della notte precedente, quel giorno si prospettava soleggiato, e caldo, molto caldo.

Passeggiando per le strade del villaggio in cui mi trovavo, non potevo fare a meno di domandarmi come avrei potuto fare per tornare a casa, a Bedlington; quel villaggio non mi era famigliare e non mi sembrava di esserci mai stata, le strade erano già affollate di contadini e mercanti, mentre le donne passeggiavano per strada con secchi pieni di acqua fresca o con dei panieri, bambini sporchi e scalzi correvano per strada brandendo bastoni e urlando a squarciagola, mentre quelli più grandi aiutavano i genitori con il lavoro.

Non era tanto diverso dal mio villaggio, eppure non potevo fare a meno di provare una sensazione di estraniamento, come se fossi stata una straniera, in mezzo a tutta quella gente.

Pensando che non avesse senso continuare a indugiare, presi il coraggio a due mani e fermai una donna per strada.

   Aveva le guance scarne e i capelli sporchi erano raccolti sotto una cuffia, solo qualche ciocca scura era sfuggita fuori, mi guardò ostile per qualche istante, ma vedendo il mio aspetto cencioso e sporco sembrò rabbonirsi.

   << Che vuoi? >> mi domandò, usando una voce scortese.

   << Mi sai dire dove siamo? >> domandai senza tanti giri di parole, guardandola dritta negli occhi.

   << Che? >>

   << Che villaggio è, questo? >> domandai, indicando con le braccia allargate i gruppi di case irregolari e dimesse e altri edifici che lo compensano.

La donna si pulì il naso nella manica del vestito sporco. << Questo è Newbiggin (2) >>, disse senza emozione.

Senza aspettare ulteriori domande, riprese a camminare per la propria strada.    

   Newbiggin? Ma era da tutt’altra parte, rispetto ad Ashington…

Imprecando fra i denti, iniziai a domandare a chiunque avesse un carretto, se potesse portarmi fino a Bedlington, in caso contrario, magari fino a metà strada.

Non ho idea di quanto tempo rimasi nella piazza del villaggio, ripetendo in giro quella stessa domanda; stavo iniziando a pensare che avrei dovuto farmela interamente a piedi (impiegando almeno una giornata intera prima di arrivare almeno nei pressi di Bedlington, non potevo mancare da casa un altro giorno e pensare che Papà, Elisa, Fletcher ed Erial non si preoccupassero per me), qualcuno mi strattono appena per la manica del vestito.

   Era una ragazza piccola e graziosa come un fiore, il viso ricoperto di lentiggini e i lunghi capelli biondi cenere nascosti sotto ad un fazzoletto colorato, gli occhi brillanti come due stelle e un sorrisetto vispo sulle labbra.

   << Ho sentito che devi andare a Bedlington >>, mi disse senza perdere tempo.

   << Sì, infatti. >>

Il suo sorriso si allargò ancora di più. << Io sono diretta lì. Se vuoi, puoi venire con me. >>

   << Ti ringrazio >>, dissi, lasciando trasparire la mia sorpresa. << Sei davvero gentile. >>

   << Mi auguro che tu abbia dei soldi, con te. >>

Ah, già. Per forza era stata così gentile; anche la bontà d’animo aveva un prezzo dopo tutto.   

Cercando di non mettermi a ridere, le feci vedere meglio il mio vestito. << Tu che dici? Pensi che possa avere del denaro, con me? >>

   Lei fece un gesto incurante della mano. << Niente soldi, niente passaggio. >> E fece per andarsene.

  << Aspetta! >> Agguantai la manica del suo vestito – non ridotto meglio del mio –

  << Posso pagarti >>, le dissi.

  << Oh, davvero? >> La sua voce suonava annoiata, come se in realtà sapesse che non avevo nemmeno uno scellino con me.

  << Se ti accontenti di un pezzo di pane, posso pagarti con quello. >>

I suoi occhi sembrarono accendersi, e io capii che non avrebbe rifiutato la mia offerta. Nonostante il denaro fosse più importante, nessuno si sarebbe rifiutato di prendere anche un pezzo di pane, come pagamento. Che fosse una cosa positiva o no, tutti i poveri ragionavano allo stesso modo, e quella ragazza non era da meno.

Trattenendo un sorrisetto trionfante, tirai fuori dalla tasca il pezzo di pane bianco che mi aveva dato la locandiera, le sue labbra tremolarono un istante, mentre le sue mani si allungavano verso il pagamento.

   << Non così in fretta. >> Io però fui più svelta. Prima che potesse succedere qualsiasi cosa, nascosi il bottino dentro le tasche del mio vestito. << Ti pagherò quando avrò raggiunto Bedlington. >>

   Non mi facevo imbrogliare così facilmente, non l’avrei lasciata scappare con il pane senza darmi quello che aveva promesso.

La giovane serrò le labbra indispettita, ma poi fece il gesto di seguirla. << Andiamo, ho perso già abbastanza tempo. >>

   Mi lasciai condurre da quella ragazza, mentre la speranza sbocciava dentro al petto, e la voglia di rivedere la mia famiglia si faceva sempre più urgente.

 

*

 

Mi guidò attraverso una serie di stretti viottoli maleodoranti, pieni di sporcizia, liquami e immondizia varia. Normalmente non mi sarebbe importato di camminare in mezzo a tutta quella sporcizia, ma si dava il caso che le mie scarpe, le mie uniche scarpe, in quel momento fossero disperse chissà dove nella brughiera, perciò feci molta attenzione a quello che calpestavo.

   << Comunque io sono Fanny >>, disse di punto in bianco, voltandosi poi verso di me, un mezzo sorriso sulle labbra. << Fanny Hayes. >>

Non vedendoci nulla di male nel dirle il mio nome, decisi di rispondere. << Madelaine Newbery. >>

Fanny in tutta risposta fece un lungo fischio di ammirazione. << È un nome da cortigiana. >>

Cercando di controllare il rossore di disagio che stava spuntando sulle mie guance, cercai di trovare una risposta. << Tutti mi chiamano semplicemente Maddy >>, dissi infine.

   << Come vuoi, Maddy. >>

Camminammo per qualche minuto buono, poi, all’improvviso, Fanny svoltò in un altro vicolo e io dovetti raccogliere le gonne per riuscire a starle dietro. Il posto in cui mi ritrovai era lo squallore fatto a persona. Le case davano segno di decadenza e anzi, sembravano quasi disabitate, non c’era nessuno in giro, apparte la figura piccola e scattante della ragazza avanti a me.  

   << Che posto è questo? >> le domandi, una volta raggiunto il suo passo svelto.

Fanny si strinse nelle spalle, con fare incurante. << Semplicemente, è la zona più degradata del villaggio. >>

   << Oh. >>

   << Noi viviamo un po’ lontano, rispetto alla maggior parte dei cittadini, i quali vivono nei pressi della piazza. È una zona abbastanza tranquilla, per quanto povera che sia. >>

Non sapendo cosa dire, rimasi zitta, lasciando che lei mi guidasse in quei vicoli sporchi e maleodoranti.

Si fermò davanti a quella che, una volta, doveva essere una bottega. Delle grosse travi di legno adesso sprangavano l’entrata nel locale; un cavallo sauro dall’aria irrequieta batteva con insistenza gli zoccoli sul terreno sporco, mentre le grosse mandibole mangiucchiavano il morso, un uomo dalla corporatura massiccia stava sistemando delle cose dentro al carro; agitando allegramente la mano, Fanny lo chiamò.

   << Abel! >>

Sentendo chiamare il proprio nome, Abel girò la testa, e i suoi occhi parvero illuminarsi, appena vide Fanny. Lei gli gettò le braccia al collo e lui la afferrò per la vita e le scoccò un sonoro bacio sulla bocca; cercando di farmi gli affari miei, distolsi timidamente lo sguardo. Fanny era così giovane, non avrei mai immaginato che fosse già sposata.

   << Maddy, muoviti! >> Vedendo che mi stava chiamando, raggiunsi Fanny, che mi presentò a suo marito.        

Abel mi sorrise con gentilezza e, presa la mia mano piena di calli e sporca di fango, vi premette leggermente le labbra, in segno di saluto e galanteria.

Rimasi interdetta da quel gesto, nemmeno Will lo aveva mai fatto… no, non dovevo più pensarci! Il fidanzamento era sciolto, l’unica cosa che mi interessava adesso era tornare a casa da Papà e dagli altri.

   << Sono Abel Hayes, il marito di Fanny. >>

Era difficile riuscire a guardarlo negli occhi, vista la sua corporatura massiccia e la sua altezza allarmante, tuttavia non era difficile pensare che fosse un bell’uomo. I capelli crescevano lunghi e trascurati fino alle spalle, dividendosi in morbidi riccioli castano chiaro, i suoi occhi verde slavato invece sembravano esprimere gentilezza e bontà.

    << Ehi, ehi, giù quegli occhi da civetta da mio marito! >> Quasi avesse voluto fargli da scudo, Fanny si frappose tra me e lui, scatenando l’ilarità del marito.

    << Allora, cosa hai combinato questa volta? >> le domandò bonario, riferendosi ovviamente a me.

    << Devo raggiungere Bedlington, e tua moglie si è offerta di darmi un passaggio, visto che vi state recando là. >> Frugai brevemente nelle tasche della gonna e tirai infine fuori il pane.

    << Non ho soldi con me, ma se vi va bene, posso pagarvi con questo tozzo di pane. >>

Abel scrutò con attenzione il pane che reggevo tra le mani, mentre Fanny sembrava fremere dalla voglia di afferrarlo e metterlo al sicuro; suo marito scosse brevemente la testa, riprendendo a sistemare un poco il carro.

    << Non ti ruberò il pane di bocca. >>

    << Cosa?! >> Fanny lo afferrò per la manica della camicia, cercando di farlo voltare. << Ma che stai dicendo, Abel? Abbiamo bisogno di cibo, ci serve! >>

    << Sì, hai ragione >>, i suoi occhi scivolarono su di me, << ma intendo comportarmi come un ladro. >>

L’ombra di un sorriso comparve sul suo viso. << Ti accompagneremo gratuitamente a Bedlington, rimetti pure via il tuo cibo. >>

Feci come mi aveva detto; Fanny scosse mestamente la testa, rilasciando un sospiro. << Sei troppo buono, Abel. L’ho sempre detto. >>

    << Ma è proprio per questo, che mi ami. >>

    << Ti prego, non me lo ricordare. >>  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

Note:

  

1)      Il Cumbrae (o Cumbria) è una contea dell’Inghilterra confinante con il Northumberland. Visto che non riuscivo a trovare niente di meglio per il nome del nostro lord, ho deciso di dargli questo nome. La mia è pura negligenza professionale!

2)      Newbiggin è un villaggio facente parte del Wansbeck, tuttavia, visto che non ho idea di quanto disti da Bedlington, non fate caso alle distanze che Maddy percorrerà prima di tornare a casa, ecc. visto che il suo nome completo ricorda un posto di mare, dovrebbe essere quella la sua collocazione, mentre Bedlington penso sia più nell’entroterra… comunque sia, vi prego di non farci troppo caso, okay? ^^’

 

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Peggotty