Note dell’autrice: eccomi, sono tornata con il nuovo capitolo
della storia; mi scuso per aver impiegato un po’ di tempo, ma visto, come
al solito, che mi occupo di due fanfiction originali in contemporanea,
nonché della stesura del mio libro, ho sempre poco tempo per
aggiornare^^’
mAd wOrLd grazie per il tuo commento, senza contare che sei una new
entry nel gruppo! Che dire, la storia non sarebbe affascinante se non ci
fossero alcune interruzioni sul più bello stile ‘Beautiful’,
no?
owarinai yume mi dispiace per aver
fatto terminare il capitolo così, ma avevo già deciso che Maddy
venisse costretta a salire sulla carrozza di quel nobiluomo,
perciò… spero di averti soddisfatta in questo:D
shandril non ti preoccupare
per Will, non creerà altri problemi, forse…
Maddy rapita? Non ho scritto niente del genere nello scorso
capitolo! °_°’
Grazie per gli auguri, spero di finire il libro prima di
dicembre, è anche troppo tempo che me lo trascino dietro, ormai. XD
Bychan ringrazio tantissimo
anche te per i complimenti, e pensare che a volte mi sembra di scrivere delle
vere porcherie!! Evidentemente lo percepisce solo la mia mente distorta!!XDD
Anche tu parli di rapimento? Ma no, se è questo che
pensate allora scordatevelo! Maddy non è stata rapita… non
esattamente, almeno -.-‘
Summers84 anche a te piacciono i
romanzi storici? Allora siamo in due!:D
Ormai sta diventando una domanda di repertorio, ma non posso fare
a meno di domandare: Hai ma letto ‘La Straniera’? se la tua
è una risposta è ‘no’, allora ti consiglio di cercare
questo libro, anche solo per dare un’occhiata alla trama; ne vale la
pena, te l’assicuro ;) … anche se a dirlo è una pazza
fanatica per questa serie!XD
Eiby, ciao!^^
Be’, credo che qui la pensiamo tutti così a
proposito di Will, ma se lui si fosse comportato in modo retto, tenendo a freno
i propri istinti… Maddy lo avrebbe sposato, invece di… ops,
rischiavo di dire più del necessario!! °.°’
Be’,
contando anche Rayne, le new
entry stavolta sono addirittura tre,
wow!:D
Grazie per i complimenti e anche per aver inserito questa storia
tra i tuoi preferiti che, con mia grande gioia, hanno raggiunto la quota 16. Grazie mille vi amo con tutto il
cuore!!^^
Visto che
l’altra volta vi ho snocciolato delle nozioni storiche che avrebbero
fatto dormire anche un insegnante della suddetta materia, questa volta non
dirò niente, e vi lascerò alla lettura immediatamente;
però prima sarei curiosa di sapere una cosa.
Qualche settimana fa
mi è arrivata una mail da un indirizzo che portava il nome buffy1984@yahoo.it
Ho risposto a questa mail per sapere con chi stessi parlando, ma
non mi è ancora giunta una risposta. Se per caso uno di voi lettori
è il proprietario di questo indirizzo e-mail, allora vi prego di
contattarmi, sarei felice di parlare nuovamente con voi^^
Redarcher
VI
Fanny
Fuori imperversava una tempesta che, con la sua forza
demolitrice sembrava volesse cancellare ogni cosa; dentro, la carrozza veniva
squassata e tremolava come un pudding al latte a causa della strada accidentata
e scarsamente agibile. Ero seduta vicino all’uomo basso e tarchiato che,
sceso dalla carrozza sotto ordine del proprio padrone, aveva dato una mano al
cocchiere, dalla parte opposta della carrozza, il nobiluomo senza volto si
accaparrava l’intero sedile rivestito di velluto rosso scuro ricco di
decori dorati incomprensibili ai miei occhi, io invece dovevo farmi piccola piccola per impedire al grassone accanto a me di inglobarmi
dentro al suo corpo flaccido.
I vestiti stavano iniziando ad
asciugarsi ma io ero completamente infreddolita e perciò non fu colpa
mia se mi sfuggì uno starnuto, allarmando la palla di grasso accanto a
me che sobbalzò e si appiattì contro la parete del veicolo, quasi
avesse voluto fuggire da un’appestata. Be’, almeno adesso avevo un
po’ più di spazio… ma non potevo permettermi di starmene
tranquilla e rilassata come se niente fosse. Quello sconosciuto mi stava
portando chissà dove e io lo avevo seguito, mossa unicamente da un
improvviso moto di paura verso quell’uomo di cui, a causa della penombra
che regnava nella carrozza, non riuscivo nemmeno a vedere il volto.
Deglutii pesantemente e i miei
occhi inquieti si soffermarono sul cupo paesaggio fuori dal finestrino,
completamente battuto dalla pioggia e illuminato unicamente dalla caduta di un
fulmine e seguito poi dallo scoppio di un tuono, a volte troppo vicino, per i
miei gusti. Fu difficile tenere calmi i miei nervi, già fortemente
provati, quando cadde l’ultimo… troppo vicino per i miei gusti.
Cacciai un urlo allarmato e saltai sul sedile, coprendomi istintivamente le
orecchie con le mani e chiudendo gli occhi, sperando che una volta riaperti, mi
sarei ritrovata nel nostro cottage dimesso, nella mia stanza piena di spifferi,
dentro al mio letto sgangherato, finalmente al sicuro.
<< Non temete un
attacco da parte di una banda di briganti… >> La voce sorpresa e
cavernosa di quell’uomo mi costrinse ad aprirli. << … Ma di
un semplice tuono sì? >>
Era esterrefatto, come se non potesse credere a ciò che i suoi occhi
vedevano.
<< I tuoni mi fanno paura,
signore >>, ammisi con un sussurro strozzato, sfregandomi le braccia
l’una con l’altra, tentando di scaldarmi.
<< Hm. >> Fu
l’unica cosa che disse, poi si zittì, lasciandomi quasi credere
che avessi parlato da sola.
L’ennesimo sobbalzo
della carrozza mi gettò dal mio posto, mandandomi dritta contro
l’uomo corpulento seduto accanto a me, che lanciò uno strillo
soffocato, scansandomi brutalmente con le mani grasse come salsicce. Si
sistemò la parrucca incipriata e diede un violento colpo al tettuccio
della carrozza.
<< Laurent per l’amor
del cielo! Vuoi andare più piano?
>> gridò rabbioso verso il cocchiere.
In tutta risposta
arrivò un colpo dal tetto, seguito poi da una serie di parole che non
riuscii a capire, ma non c’era alcun dubbio che fossero insulti verso
l’uomo imparruccato e incipriato.
<< Vostra grazia >>,
iniziai, la voce il più bassa possibile.
<< Cosa? >> Sussultai, sentendo la sua voce bassa e rabbiosa.
<< Io… io devo
tornare a casa >>, dissi, cercando il mio coraggio da qualche parte,
dentro di me. << La mia famiglia ha bisogno di me, io devo andare…
>>
Con un gesto insofferente mi
indusse al silenzio e, nonostante mi sentissi fortemente umiliata, la paura mi
azzittì.
<< Non mi interessa
>>, disse dopo un lungo silenzio, dandomi a intendere che la
conversazione era terminata.
<< Ma io… >>
<< Non hai sentito Lord Cumbrae
(1), ragazzina? >> esclamò spazientito l’uomo grasso.
<< Non gli interessa, perciò vedi di startene zitta! >> E
con uno sbuffo spazientito si accomodò meglio sul sedile imbottito di
velluto rosso, facendo ondeggiare la carrozza e facendo sì che da fuori
provenissero altri rimbrotti nella lingua sconosciuta del cocchiere.
Attesi in silenzio qualche
minuto, cercando di trovare un modo per sfuggire dalle grinfie di
quell’uomo che, con ogni probabilità, avrebbe potuto abusare di me
per soddisfare le sue voglie, e poi gettarmi nuovamente in mezzo alla strada,
senza troppi rimpianti. La mia mente pensava a vuoto, perché onestamente
non vedevo nessuna soluzione possibile all’infuori di…
Stringendo convulsamente i pugni
mi alzai con uno scatto improvviso, e il grassone ebbe appena il tempo di dire:
<< Che…? >>
Mi lanciai verso la maniglia
della portiera e con dita svelte e agili – nonostante tremassi da capo a
piedi, e non solo per il freddo – e appena la sentii aprirsi, mi raccolsi
le gonne… e saltai.
*
L’impatto con il
terreno fu meno disastroso di quanto mi fossi aspettata, atterrai in mezzo ad
un cespuglio dall’odore pungente mescolato a quello dell’acqua e
del fango, sulla lingua sentivo il disgustoso sapore di fango e erba, sputai in
un angolo più volte, cercando di togliermi quel sapore orrendo dal
palato, ma sembrava intenzionato a restarmi sulla lingua, perciò alla
fine decisi di ignorarlo.
I miei abiti si erano inzuppati di nuovo,
ma prima che questo pensiero potesse sfiorarmi la mente, ignorando i dolori che
sentivo in tutto il corpo, mi alzai in piedi, barcollando e sentendo il terreno
mancarmi sotto i piedi; raccogliendo i capelli completamente infangati dentro
al cappuccio del mantello, mi raccolsi le gonne inzaccherate di fango e acqua e
arrancai fuori sulla strada, liberandomi qualche minuto dopo delle scarpe;
completamente inutili, visto che non facevano che venire inghiottite dalla
poltiglia fangosa e impedendomi di muovermi come avrei voluto.
Riuscii a raggiungere il sentiero,
anche se alla cieca, visto che era talmente buio da non riuscire a vedere a un
palmo dal mio naso, mi diedi una rapida strizzata ai lembi della gonna, pensando
a cosa avrei potuto raccontare a casa, per spiegare l’attuale stato dei
miei abiti. Una luce fioca distante da me qualche metro attirò la mia
attenzione, sembravano delle lanterne… una locanda? Ashington?
Con il cuore gonfio di
speranza zoppicai lungo la strada piena di fango, senza accorgermi dei tuoni
che squarciavano il cielo e l’ululato del vento che squassava gli alberi
sul sentiero, camminavo a fatica e i miei movimenti sembravano quelli di una
papera ubriaca, ma se avessi raggiunto Ashington, se avessi trovato
Fletcher…
<< Eccola, è qui!
>>
Sentendo quella voce mi
sembrò di sprofondare ancora di più nel fango, pensando
‘Mio Dio, perché?’
Non riuscii nemmeno a girare
su me stessa e trovare una macchia di cespugli in cui nascondermi… venni
riacciuffata. Sentii delle dita grandi e grosse come salsicce agguantarmi le
braccia e trascinarmi verso le luci soffuse della carrozza, senza mollare la
presa nonostante scalciassi come un puledro recalcitrante e gli urlassi di
lasciarmi andare; borbottando parole per niente gentili, mi spinse nuovamente
dentro la carrozza, picchiai le ginocchia contro il pavimento e sentii qualcuno
pungolarmi con il bastone, mentre le gelide parole: << Rimettetevi seduta
>> mi gelavano il corpo con la stessa intensità di una bufera di
neve.
Fu per un semplice impulso, se
afferrai l’estremità del bastone da passeggio di Lord Cumbrae, e
guardando nel modo peggiore possibile, gli dissi:
<< Non sono uno dei vostri
cani, milord >>, dissi con voce cupa.
Mi sentii strattonare
all’indietro e lanciai un gridolino strozzato, quando incontrai il viso
paffuto e malevolo dell’uomo che, all’improvviso, iniziai pensare
fosse il maggiordomo di Lord Cumbrae.
<< I cani di Lord Cumbrae
sono mille volte meglio di te, stracciona.
>> La sua voce sibilò con disgusto quella parole, che vibrò
dentro al mio cuore con la stessa intensità di una stoccata al petto.
Mi dimenai come una trota
dalle sue mani grosse e grasse, appiattendomi poi contro la parete della
carrozza.
<< Sarò anche povera
>>, dissi con lo stesso odio, << ma non sono una stracciona.
>> Alzai il mento con fare superbo, come se fossi stata una gran dama, o
comunque di un rango superiore di quell’uomo odioso.
<< Come ti permetti,
maledetta… >>
L’uomo fece per saltarmi
addosso e scaraventarmi fuori dalla carrozza, che nel frattempo aveva ripreso
la sua corsa… ma la voce cavernosa e terrificante del padrone
richiamò il maggiordomo al silenzio.
<< Fa’ silenzio,
Tatcher >>, gli intimò il Lord con voce brusca.
<< Ma signore, io…
>>
Ogni protesta del maggiordomo
fu sepolta nel silenzio con un solo sguardo di quell’uomo, che con
un’ultima occhiata di disprezzo verso di me, si mise sul sedile,
finalmente in silenzio.
Stavolta il maggiordomo mi
costrinse a sedermi dalla parte opposta, lontano dalla portiera: <<
Così non ti verrà in mente di scappare >>, disse burbero
mentre si sistemava la parrucca bianca e incipriata.
Tanto ci proverò di nuovo
fu il mio improvviso pensiero, mentre cercavo un modo per congedarmi da
quell’uomo inquietante che era Lord Cumbrae.
Lord Cumbrae…
mmm… perché quel nome non mi suonava nuovo? Dove l’avevo
già sentito?
Mentre cercavo di ricordare
dove avessi sentito nominare quel nome, la carrozza si fermò sotto
incitamento del cocchiere. I cavalli probabilmente slittarono sul terreno,
perché il veicolo impiegò qualche istante buono, prima di
fermarsi completamente; io mi alzai in piedi in automatica e, senza pensare che
la carrozza fosse ancora in movimento, persi l’equilibrio, battendo la faccia
contro il sedile opposto.
<< Vuoi stare ferma, ragazzina? >> Tatcher mi
afferrò per l’orlo logoro della gonna e con uno strattone
cercò di rimettermi in piedi.
<< Che diavolo state
facendo? >> Afferrai a mia volta la sottana, cercando di staccare le sue
dita grasse dal mio vestito. Uno spiacevole rumore di stoffa strappata
ferì le mie orecchie, mentre un pezzo della mia gonna cadeva a terra.
<< Il mio vestito…
>>
<< Avreste dovuto lasciare
andare la presa, invece di tirare a vostra volta. >> La voce altera e
superiore di quell’uomo insulso e odioso mi dava ai nervi.
<< Mi avete strappato il
vestito, dannazione! >> Avrei afferrato volentieri il bavero della sua
giacca di alta sartoria e farla a pezzi davanti ai suoi occhi, ma il buon senso
ebbe il sopravvento e io mi chiusi in un silenzio ostile, temendo molto di
più le frustrate che avrei potuto beccare, usando insubordinazione sul
servitore di un nobile. Elisa si sarebbe arrabbiata, e parecchio, ma la sua
lingua non feriva allo stesso modo di una frusta.
<< Siamo arrivati. >>
Lord Cumbrae disse solo quelle poche parole e, appena il cocchiere aprì
la portiera al proprio padrone, scivolò fuori dalla carrozza, svanendo
come se fosse stato un fantasma. Tatcher scese dopo di me e mi diede uno
spintone ben calcolato, facendomi finire lunga distesa sul pavimento della
carrozza. Imprecando tra i denti, cercai di rialzarmi in piedi, incespicando
tra le gonne e le sottogonne del mio vestito.
Una mano dalle dita lunghe e
affusolate venne tesa verso di me e, risalendo il braccio magro, avvolto in una
giacca dal taglio di alata sartoria, incontrai un pallido viso affilato, mentre
due occhi scuri come la notte sembravano esprimere rammarico. Senza sapere bene
come comportarmi, accettai la mano e l’uomo – il cocchiere, supposi
– dimostrò molta più forza di quanta immaginassi, dato il
fisico mingherlino e la statura considerevole.
Comportandosi da vero
gentiluomo mi aiutò a scendere dalla carrozza, come se fossi stata una
donna dell’alta società.
<< Je suis désolé, mademoiselle >>, mi
sussurrò, una volta scesa dalla carrozza. Non avevo mai sentito una
lingua simile, e dubitavo fortemente che fosse inglese, nonostante i dialetti
dell’Inghilterra variassero fortemente da contea a contea. I miei occhi
curiosi si soffermarono un istante sul suo viso affilato, gli occhi piccoli e
scuri, il naso lungo e all’insù, le labbra sottili, il mento
sfuggente… no, quell’uomo non era inglese, ne ero sicura.
<< Venez a l'intérieur, vous êtes
tout mouillé >>, disse poi,
spingendomi verso l’entrata di quella che riconobbi come una locanda. Non
tanto grande e dall’aria dimessa, alcune candele però erano
accese, e davano un’aria di benvenuto e accoglienza ai viandanti stanchi.
Molto meglio che quella carrozza buia e fredda, in ogni caso.
<< Vite, vite >>, mi incitò il cocchiere, vedendomi
indugiare all’ingresso. Mi lasciai spintonare dentro, capendo ormai che
ogni mio tentativo di fuga sarebbe stato inutile.
All’interno,
l’aspetto della locanda non migliorò. Una scala dall’aria
sgangherata e fragile conduceva al piano superiore, mentre il pianterreno
fungeva da taverna e da sala in cui mangiare o fare bagordi fino a tardi,
bevendo birra e cantando ad alta voce. Non avevo idea di che ore fossero, ma
doveva essere tardi, visto che, apparte la moglie del locandiere, non
c’era nessuno ancora sveglio.
Lord Cumbrae stava conversando con
lei, mentre Tatcher stava accanto al suo datore di lavoro come un cane fedele
in attesa di un ordine, qualche volta vidi voltarsi nella mia direzione e,
nonostante la luce fornita dalle candele fosse poco più che un bagliore
soffuso, riuscivo a vedere senza problema la luce ostile che brillava nei suoi
occhi porcini.
<< Maudit porc anglais >>, borbottò l’uomo accanto
a me, guardando nella stessa direzione di Tatcher.
<< Laurent, vieni qui.
>> La voce cavernosa di Lord Cumbrae risuonò spettrale
nell’androne della locanda, un brivido mi percorse tutta la schiena,
facendo rizzare ogni singolo pelo del mio corpo.
<< Oui Monsieur! >> Svelto come una lepre, Laurent
sgambettò in direzione del padrone, pronto ad ubbidire agli ordini del
suo signore. In fondo; non tanto diverso tanto da Tatcher pensai acida,
osservando il cocchiere accogliere gli ordini con attenzione.
Con un movimento
rapido, Lord Cumbrae si girò verso di me, e io sobbalzai come un
coniglio spaventato.
<< Voi >>, disse
spazientito, indicandomi con il bastone, << venite qui. >>
Avrei tanto
voluto non farlo, ma sapevo bene cosa mi aspettava, se mai avessi deciso di
disubbidire. Trascinando lentamente i piedi nudi sul pavimento sporco e pieno
di polvere, raggiunsi il mio rapitore e chinai il capo, aspettando che dicesse
chissà cosa.
<< Dite a questa donna il
nome di vostro fratello. >>
<< Come? >> Alzai gli
occhi verso quell’uomo che, potei constatare, al buio e avvolto nel
proprio mantello, era un vero e proprio gigante. << Perché lo
vuole sapere? >>
Non avevo idea
del perché lo volesse sapere, ma qualcosa dentro di me urlava di stare
zitta, di non ubbidire a quell’ordine.
<< Cosa volete da mio
fratello? >>
Quando Lord
Cumbrae si voltò a guardarmi in tutta la sua altezza, sentii come una
vertigine, mentre un blocco di ghiaccio si formava dentro al mio stomaco,
gelandomi fino alla punta delle dita. I suoi occhi erano azzurri come un cielo
estivo… ma freddi come l’inverno. Non sembrava esserci vita, dietro
quelle pupille chiare.
<< Fate come vi dico
>>, ringhiò a mezza voce, intimandomi di ubbidire.
<< No! non farò
niente di quello che dite, almeno finché… >>
La locandiera di
intromise nella conversazione, interrompendo il mio inevitabile disastro. <<
Vostra grazia è stato così gentile da propormi di mandare qualche
garzone ad avvisare tuo fratello, per dirgli che state bene, e che non deve
preoccuparsi. >> Non riuscii a distinguere i contorni del volto di quella
donna, ma la sua voce era dolce e materna, come se avesse voluto rassicurarmi.
Ancora reticente, e meno che
convinta a fidarmi di quell’uomo, alla fine borbottai ‘Fletcher
Newbery’, mentre stropicciavo senza interruzione le falde del mio
mantello impillaccherato di fango e ancora bagnato.
<< Molto bene. >> Con
un rapido turbinare di sottane, la donna sparì dietro una porta, che io
notai solo in quel momento, per tornare qualche minuto dopo con una lanterna
accesa e un ragazzino sui dodici anni che la seguiva a ruota, ondeggiando e
sbadigliando come se fosse appena stato tirato giù dal letto, e forse,
era davvero così.
Senza dire una
sola parola, Lord Cumbrae gettò una moneta alla donna che lo
ringraziò e uno scellino al ragazzino, il quale fece un inchino servile,
prima do sparire fuori dalla porta d’ingresso, la lanterna in mano e
avvolto in un mantellaccio sdrucito e sporco.
<< Vorrei una camera
per stanotte, Mrs. La migliore che avete. >> Il gentiluomo accennò
a sfilarsi il mantello dalle spalle, e subito Tatcher si prodigò a
sfilarglielo, prendendolo lui stesso in consegna
<< Da questa
parte, milord. >> Con una candela in mano, la donna iniziò a
salire le scale, che cigolarono pericolosamente sotto il suo peso e quello di
Lord Cumbrae.
<< Tu resta qui,
Tatcher. >>
Nel caso tenti di
nuovo la fuga pensai mestamente mentre, sfilandomi a mia volta i mantello,
avanzavo all’interno della locanda, camminando alla cieca.
Avvalendomi del
tatto, individuai una panca e usando il mantello come cuscino, mi ci sdraiai
sopra. Sentii Tatcher borbottare qualcosa, ma non riuscii a capire le sue
parole; solo quando sentii il mio corpo farsi sempre più pesante e le
palpebre sempre più difficili da tenere aperte, mi resi conto di quanto
fossi stanca.
Lasciai chiudere
i miei occhi sempre più pesanti, mentre in lontananza, un tuono cadeva
dal cielo.
*
Sognai di essere
seduta in un campo pieno di fiori in boccio, i quali ad ogni mio passo
fiorivano all’improvviso, aprendosi come sei io fossi stata il sole,
mostrandomi i loro colori vivaci e piacevoli a vedersi: rossi, gialli,
arancioni, bianchi… tutto era ricoperto dai fiori in boccio, e io ero
testimone di quella magnificenza.
Fui strappata bruscamente dal mio
sogno da un paio di mani che, afferratami per le spalle, iniziarono a scuotermi
con violenza. Aprii gli occhi di scatto ed ebbi l’impulso di spingere
lontano il mio aggressore, decisa poi a darmela a gambe appena avuta occasione…
tuttavia dovetti desistere.
<< Coraggio, tesoruccio. È
ora di alzarsi. >>
Non conoscevo il
viso di quella donna, ma quando sentii la sua voce provai un moto di sollievo:
la moglie del locandiere.
<< Mmm… >> Mi
alzai a sedere e soffocando uno sbadiglio, mi stropicciai velocemente gli
occhi, levando la patina di sonno e gli ultimi residui di sonnolenza.
<< Coraggio, coraggio. È
ora di alzarsi, piccina >>, mi incitò lei, strattonandomi
leggermente per il braccio, affinché mi alzassi.
Mi passai
lentamente una mano tra i capelli, sentendoli innaturalmente rigidi e pieni di
nodi. Solo quando mi rimase in mano un mucchietto di fango secco, mi resi conto
di quanto fossi sporca.
Mi guardai
attorno con occhi circospetti, cercando individuare la massa di grasso di
Tatcher, o la figura imponente di Lord Cumbrae, magari imboscati da qualche
parte, in attesa di intercettare la mia prossima fuga.
Con le imposte aperte e la luce
del giorno – di un bel giorno,
per essere precisi – la locanda non aveva quell’aspetto abbandonato
o usurato; certo, dovevano essere mesi che la moglie del locandiere non dava
una spazzata per terra oppure non toglieva le ragnatele dal soffitto, ma nel
complesso era molto simile alla locanda gestita da Mr Cameron…
L’improvvisa
fitta che sentii al petto mi lasciò indispettita e infuriata, sia con
quel traditore di Will… sia con me stessa. Decidendo finalmente di
prendere il toro per le corna, guardai la locandiera.
<< Dov’è Lord
Cumbrae, mistress? >> domandai sospettosa.
<< Oh, se n’è
andato >>, disse lei.
<< Andato? >> domandai
istupidita, vedendo la sua figura tonda ancheggiare per la stanza comune,
recuperando da qualche parte una vecchia scopa e iniziando a togliere la
sporcizia lasciata durante la notte.
<< Ma dove? Cioè, mi
ha lasciata qui? >> Non riuscivo a comprendere perché fossi
così sorpresa dalla piega che gli eventi avevano assunto. Dopo tutto non
poteva che essere una fortuna, per me. Adesso potevo tornarmene a casa, e avevo
la possibilità di dimenticare la notte passata…
<< È tornato nel Cumbrae,
nei suoi possedimenti. A quanto mi ha detto, era solo di passaggio da queste
parti. >>
<< Oh, d’accordo.
>>
La notizia che
quell’uomo vivesse in un’altra contea era un motivo di gioia, per
me. Con il morale rinnovato mi alzai dalla panca, pensando solo in quel momento
che, di sicuro, quella donna avrebbe preteso di essere pagata, visto che avevo
dormito nella sua locanda.
<< Oh, non ce n’è
bisogno, tesoro >>, disse allegramente, quando glielo chiesi.
Inclinai la testa
con fare interrogativo. << Perché? >>
<< Sua grazia ha
pagato anche per te, cara. >> Detto questo, mi disse che se volevo c’era
un pezzo di pane sul bancone e una tazza di tè caldo, nel caso avessi
avuto fame.
Una volta
considerato portato a termine il proprio compito, la donna riprese a spazzare
il pavimento.
Bevvi avidamente
la tazza di tè caldo, temendo che magari la donna decidesse all’improvviso
di cambiare idea, fui talmente veloce a mandare giù quel liquido
corroborante che nemmeno feci caso al sapore, poi, nascosta la pagnotta nelle
tasche dell’abito, ringraziai la locandiera e uscii fuori.
Nonostante il temporale furioso
della notte precedente, quel giorno si prospettava soleggiato, e caldo, molto
caldo.
Passeggiando per
le strade del villaggio in cui mi trovavo, non potevo fare a meno di domandarmi
come avrei potuto fare per tornare a casa, a Bedlington; quel villaggio non mi
era famigliare e non mi sembrava di esserci mai stata, le strade erano
già affollate di contadini e mercanti, mentre le donne passeggiavano per
strada con secchi pieni di acqua fresca o con dei panieri, bambini sporchi e
scalzi correvano per strada brandendo bastoni e urlando a squarciagola, mentre
quelli più grandi aiutavano i genitori con il lavoro.
Non era tanto
diverso dal mio villaggio, eppure non potevo fare a meno di provare una
sensazione di estraniamento, come se fossi stata una straniera, in mezzo a
tutta quella gente.
Pensando che non
avesse senso continuare a indugiare, presi il coraggio a due mani e fermai una
donna per strada.
Aveva le guance scarne e i capelli
sporchi erano raccolti sotto una cuffia, solo qualche ciocca scura era sfuggita
fuori, mi guardò ostile per qualche istante, ma vedendo il mio aspetto
cencioso e sporco sembrò rabbonirsi.
<< Che vuoi? >> mi
domandò, usando una voce scortese.
<< Mi sai dire dove siamo? >>
domandai senza tanti giri di parole, guardandola dritta negli occhi.
<< Che? >>
<< Che villaggio è,
questo? >> domandai, indicando con le braccia allargate i gruppi di case
irregolari e dimesse e altri edifici che lo compensano.
La donna si
pulì il naso nella manica del vestito sporco. << Questo è
Newbiggin (2) >>, disse senza emozione.
Senza aspettare
ulteriori domande, riprese a camminare per la propria strada.
Newbiggin? Ma era da tutt’altra parte, rispetto ad Ashington…
Imprecando fra i
denti, iniziai a domandare a chiunque avesse un carretto, se potesse portarmi
fino a Bedlington, in caso contrario, magari fino a metà strada.
Non ho idea di
quanto tempo rimasi nella piazza del villaggio, ripetendo in giro quella stessa
domanda; stavo iniziando a pensare che avrei dovuto farmela interamente a piedi
(impiegando almeno una giornata intera prima di arrivare almeno nei pressi di
Bedlington, non potevo mancare da casa un altro giorno e pensare che Papà,
Elisa, Fletcher ed Erial non si preoccupassero per me), qualcuno mi strattono
appena per la manica del vestito.
Era una ragazza piccola e graziosa
come un fiore, il viso ricoperto di lentiggini e i lunghi capelli biondi cenere
nascosti sotto ad un fazzoletto colorato, gli occhi brillanti come due stelle e
un sorrisetto vispo sulle labbra.
<< Ho sentito che devi
andare a Bedlington >>, mi disse senza perdere tempo.
<< Sì, infatti.
>>
Il suo sorriso si
allargò ancora di più. << Io sono diretta lì. Se vuoi,
puoi venire con me. >>
<< Ti ringrazio >>,
dissi, lasciando trasparire la mia sorpresa. << Sei davvero gentile.
>>
<< Mi auguro che tu abbia
dei soldi, con te. >>
Ah, già. Per
forza era stata così gentile; anche la bontà d’animo aveva
un prezzo dopo tutto.
Cercando di non
mettermi a ridere, le feci vedere meglio il mio vestito. << Tu che dici? Pensi
che possa avere del denaro, con me? >>
Lei fece un gesto incurante della
mano. << Niente soldi, niente passaggio. >> E fece per andarsene.
<< Aspetta! >> Agguantai la
manica del suo vestito – non ridotto meglio del mio –
<< Posso pagarti >>, le
dissi.
<< Oh, davvero? >> La sua
voce suonava annoiata, come se in realtà sapesse che non avevo nemmeno
uno scellino con me.
<< Se ti accontenti di un pezzo di
pane, posso pagarti con quello. >>
I suoi occhi
sembrarono accendersi, e io capii che non avrebbe rifiutato la mia offerta. Nonostante
il denaro fosse più importante, nessuno si sarebbe rifiutato di prendere
anche un pezzo di pane, come pagamento. Che fosse una cosa positiva o no, tutti
i poveri ragionavano allo stesso modo, e quella ragazza non era da meno.
Trattenendo un
sorrisetto trionfante, tirai fuori dalla tasca il pezzo di pane bianco che mi
aveva dato la locandiera, le sue labbra tremolarono un istante, mentre le sue
mani si allungavano verso il pagamento.
<< Non così in
fretta. >> Io però fui più svelta. Prima che potesse
succedere qualsiasi cosa, nascosi il bottino dentro le tasche del mio vestito. <<
Ti pagherò quando avrò raggiunto Bedlington. >>
Non mi facevo imbrogliare
così facilmente, non l’avrei lasciata scappare con il pane senza
darmi quello che aveva promesso.
La giovane
serrò le labbra indispettita, ma poi fece il gesto di seguirla. <<
Andiamo, ho perso già abbastanza tempo. >>
Mi lasciai condurre da quella
ragazza, mentre la speranza sbocciava dentro al petto, e la voglia di rivedere
la mia famiglia si faceva sempre più urgente.
*
Mi guidò
attraverso una serie di stretti viottoli maleodoranti, pieni di sporcizia,
liquami e immondizia varia. Normalmente non mi sarebbe importato di camminare
in mezzo a tutta quella sporcizia, ma si dava il caso che le mie scarpe, le mie
uniche scarpe, in quel momento fossero disperse chissà dove nella
brughiera, perciò feci molta attenzione a quello che calpestavo.
<< Comunque io sono Fanny
>>, disse di punto in bianco, voltandosi poi verso di me, un mezzo
sorriso sulle labbra. << Fanny Hayes. >>
Non vedendoci
nulla di male nel dirle il mio nome, decisi di rispondere. << Madelaine
Newbery. >>
Fanny in tutta
risposta fece un lungo fischio di ammirazione. << È un nome da
cortigiana. >>
Cercando di
controllare il rossore di disagio che stava spuntando sulle mie guance, cercai
di trovare una risposta. << Tutti mi chiamano semplicemente Maddy
>>, dissi infine.
<< Come vuoi, Maddy. >>
Camminammo per
qualche minuto buono, poi, all’improvviso, Fanny svoltò in un
altro vicolo e io dovetti raccogliere le gonne per riuscire a starle dietro. Il
posto in cui mi ritrovai era lo squallore fatto a persona. Le case davano segno
di decadenza e anzi, sembravano quasi disabitate, non c’era nessuno in
giro, apparte la figura piccola e scattante della ragazza avanti a me.
<< Che posto è
questo? >> le domandi, una volta raggiunto il suo passo svelto.
Fanny si strinse
nelle spalle, con fare incurante. << Semplicemente, è la zona
più degradata del villaggio. >>
<< Oh. >>
<< Noi viviamo un po’ lontano,
rispetto alla maggior parte dei cittadini, i quali vivono nei pressi della
piazza. È una zona abbastanza tranquilla, per quanto povera che sia.
>>
Non sapendo cosa
dire, rimasi zitta, lasciando che lei mi guidasse in quei vicoli sporchi e
maleodoranti.
Si fermò
davanti a quella che, una volta, doveva essere una bottega. Delle grosse travi
di legno adesso sprangavano l’entrata nel locale; un cavallo sauro dall’aria
irrequieta batteva con insistenza gli zoccoli sul terreno sporco, mentre le
grosse mandibole mangiucchiavano il morso, un uomo dalla corporatura massiccia
stava sistemando delle cose dentro al carro; agitando allegramente la mano,
Fanny lo chiamò.
<< Abel! >>
Sentendo chiamare
il proprio nome, Abel girò la testa, e i suoi occhi parvero illuminarsi,
appena vide Fanny. Lei gli gettò le braccia al collo e lui la
afferrò per la vita e le scoccò un sonoro bacio sulla bocca;
cercando di farmi gli affari miei, distolsi timidamente lo sguardo. Fanny era
così giovane, non avrei mai immaginato che fosse già sposata.
<< Maddy, muoviti! >>
Vedendo che mi stava chiamando, raggiunsi Fanny, che mi presentò a suo
marito.
Abel mi sorrise
con gentilezza e, presa la mia mano piena di calli e sporca di fango, vi
premette leggermente le labbra, in segno di saluto e galanteria.
Rimasi interdetta
da quel gesto, nemmeno Will lo aveva mai fatto… no, non dovevo più
pensarci! Il fidanzamento era sciolto, l’unica cosa che mi interessava
adesso era tornare a casa da Papà e dagli altri.
<< Sono Abel Hayes, il
marito di Fanny. >>
Era difficile
riuscire a guardarlo negli occhi, vista la sua corporatura massiccia e la sua
altezza allarmante, tuttavia non era difficile pensare che fosse un bell’uomo.
I capelli crescevano lunghi e trascurati fino alle spalle, dividendosi in
morbidi riccioli castano chiaro, i suoi occhi verde slavato invece sembravano
esprimere gentilezza e bontà.
<< Ehi, ehi,
giù quegli occhi da civetta da mio marito! >> Quasi avesse voluto
fargli da scudo, Fanny si frappose tra me e lui, scatenando l’ilarità
del marito.
<< Allora, cosa hai
combinato questa volta? >> le domandò bonario, riferendosi
ovviamente a me.
<< Devo raggiungere
Bedlington, e tua moglie si è offerta di darmi un passaggio, visto che
vi state recando là. >> Frugai brevemente nelle tasche della gonna
e tirai infine fuori il pane.
<< Non ho soldi con
me, ma se vi va bene, posso pagarvi con questo tozzo di pane. >>
Abel scrutò
con attenzione il pane che reggevo tra le mani, mentre Fanny sembrava fremere
dalla voglia di afferrarlo e metterlo al sicuro; suo marito scosse brevemente
la testa, riprendendo a sistemare un poco il carro.
<< Non ti
ruberò il pane di bocca. >>
<< Cosa?! >>
Fanny lo afferrò per la manica della camicia, cercando di farlo voltare.
<< Ma che stai dicendo, Abel? Abbiamo bisogno di cibo, ci serve! >>
<< Sì, hai
ragione >>, i suoi occhi scivolarono su di me, << ma intendo
comportarmi come un ladro. >>
L’ombra di
un sorriso comparve sul suo viso. << Ti accompagneremo gratuitamente a
Bedlington, rimetti pure via il tuo cibo. >>
Feci come mi
aveva detto; Fanny scosse mestamente la testa, rilasciando un sospiro. <<
Sei troppo buono, Abel. L’ho sempre detto. >>
<< Ma è proprio
per questo, che mi ami. >>
<< Ti prego, non me lo
ricordare. >>
Note:
1)
Il Cumbrae (o Cumbria) è una contea
dell’Inghilterra confinante con il Northumberland. Visto che non riuscivo
a trovare niente di meglio per il nome del nostro lord, ho deciso di dargli
questo nome. La mia è pura negligenza professionale!
2)
Newbiggin è un villaggio facente parte del Wansbeck,
tuttavia, visto che non ho idea di quanto disti da Bedlington, non fate caso
alle distanze che Maddy percorrerà prima di tornare a casa, ecc. visto
che il suo nome completo ricorda un posto di mare, dovrebbe essere quella la
sua collocazione, mentre Bedlington penso sia più nell’entroterra…
comunque sia, vi prego di non farci troppo caso, okay? ^^’