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Autore: grenade_    02/07/2014    2 recensioni
Alzai lo sguardo sui suoi occhi scuri, sorrisi amaramente. «Non riesco a capirlo, sai? Sembra quasi mi detesti, critica ogni cosa che faccio o dico e non ne so neppure il motivo. Penso che non me ne importi niente invece ci sto male, e tutto quello che vorrei è essere solo un fratello maggiore degno di quel titolo.» feci una pausa, sospirando. Un ricordo mi attraversò la mente, e sorrisi istintivamente. «Forse ce l'ha ancora con me per via di Teddy.»
Lei assottigliò lo sguardo, confusa. «Teddy?»
«Sì, il suo orsacchiotto di peluche.» ricordai. «E' accidentalmente finito nel tritarifiuti.» mi giustificai, gli occhi fissi su di lei e un sorriso innocente con cui speravo di convincerla che non fossi stato io, a buttarlo lì dentro.
Mantenne lo sguardo indagatore fisso sul mio per qualche istante, poi si sciolse in un sorriso e scosse la testa. «Siete i gemelli più strani che conosca.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il fatidico giorno era arrivato. Il giorno che quasi tutte le ragazze del mio stesso anno avevano atteso con così tanta ansia era finalmente giunto, e avrebbero potuto sfoggiare i loro abiti costosi, le acconciature più azzardate e il trucco più pesante, consapevoli che sarebbero comunque sembrate delle innocenti adolescenti al loro ballo scolastico.
Provai a concentrami, e ad immaginare Stephanie in quell’esatto momento. Chissà se stava indossando l’abito o l’aveva già indosso, se stava provando a camminare sui tacchi per esercitarsi oppure stesse sbuffando davanti allo specchio, stufa che i suoi capelli non mantenessero mai una piega un po’ più mossa del suo liscio naturale.
Mi sarebbe piaciuto restare ad osservarla in quel momento, bearmi delle smorfie sul suo viso e ammirare il suo vestito, dirle quanto fosse bella. Perché ero certo lo fosse, la più bella di tutte, e chiunque fosse stato il suo accompagnatore avrebbe dovuto considerarsi più che fortunato a tenerle la mano e ballare tendendola stretta a sé quella sera, osservare il suo splendido sorriso illuminare l’intera stanza.
Ero estremamente geloso. Geloso di chi l’avrebbe stretta, di chi avrebbe riso con lei dei suoi balletti goffi, di chi l’avrebbe vista sorridere sinceramente e di chi l’avrebbe solo toccata, perché quel qualcuno avrei dovuto essere io. E, probabilmente, non fossi stato così stupido da rovinare tutto o così codardo da non provare a rimediare al danno, in quel momento sarei stato segregato in camera mia a cercare di annodarmi una cravatta al collo, come sapevo stava facendo Martin.
Dopo quella strana discussione nella palestra non l’avevo mai cercata, ma avevo passato ogni secondo del mio tempo a pensarla. Pensavo intensamente a lei, ai momenti passati insieme, e un inevitabile senso di malinconia mi affliggeva puntualmente, lasciandomi a rimuginare su quanto lei mi mancasse.
Ogni piccolo dettaglio di lei mi mancava, come se in quel periodo di tempo fosse diventata un imprescindibile elemento delle mie giornate, di cui non avrei mai saputo o voluto fare a meno. Lei riempiva quelle giornate coi suoi sorrisi, i suoi abbracci e i suoi baci, e il suono della sua voce, ed io sentivo di avere il bisogno impellente di averla attorno, di poterla stringere senza un vero motivo  ma solo per la voglia di farlo, di farla sorridere e restare a contemplarla come fosse la cosa più bella che avessi mai visto, di respirare il suo profumo e sentirlo sulla mia stessa pelle, dopo aver trascorso la notte insieme. Avevo bisogno del suo tocco delicato, dei suoi sussurri, delle sue carezze e dei suoi occhi perdersi nei miei, così che sarebbe stato del tutto inutile parlare. Il mio stesso corpo e mente la reclamavano con una tale bramosia che era stato difficile dovermi trattenere dall’impulso di telefonarle o di piombare a casa sua, quando sentivo che non avrei potuto sopportare il senso di nostalgia.
La verità era che non mi ero mai accorto di quanto odiassi dormire da solo, finché non avevo scoperto com’era dormire accanto a lei. E pensare che non avrei mai più sentito il suo respiro unito al mio, le sue dita cercare le mie durante la notte e il suo corpo stringersi al mio, mi faceva star male. Così male che non avrei mai potuto immaginare che la lontananza da lei potesse arrecarmi così tanta tristezza.
D’altronde non era mai stato il mio prototipo di ragazza ideale, detestavo lei e il suo innato senso di superiorità, come se la gente attorno a lei non la meritasse, e non avrei mai pensato che un giorno potessi arrivare ad amare ogni piccolo dettaglio, esserne addirittura geloso.
Avrei voluto essere un ragazzo migliore per lei, avrei voluto poterla amare come meritava, e avrei voluto essere il suo accompagnatore per quella sera, com’avevamo prestabilito, ma quando mi era ormai parso chiaro che lei non avrebbe mai accettato di venire al ballo con me, avevo chiesto a Martin di invitarla al mio posto, così che lei potesse godersi la serata ed io potessi stare in parte tranquillo che nessuno oltre mio fratello le si sarebbe avvicinato.
Alzai gli occhi al cielo e sospirai desolato, osservando le prime stelle che si facevano spazio nel cielo, nel giardino di casa mia. Stavo seduto sui gradini della porta sul retro, quando sentii uno scricchiolio di scarpe avvicinarsi, e poi una figura fare ombra e ribaltarsi sull’erba, così che potessi percepirla.
Mio fratello se ne stava in piedi, dietro di me, con indosso lo smoking e la cravatta annodata un po’ troppo forte, un paio di scarpe eleganti in cui non sembrava affatto star comodo.
«Quindi hai deciso di non venire, alla fine?»
Per parecchio aveva insistito che io partecipassi a quel ballo. La stessa sera del litigio con Stephanie, più meno un paio d’ore dopo la mezzanotte, avevamo fatto una lunga chiacchierata, in cui gli avevo spiegato il trascorso degli ultimi mesi e l’improvvisa sfuriata di Stephanie in palestra, che mi aveva ridotto ad uno straccio. Lui se ne era accorto, e nonostante pensassi che avrebbe voluto picchiarmi per aver fatto soffrire la sua migliore amica non l’aveva fatto, non mi aveva rivolto un rimprovero o una ramanzina, era rimasto semplicemente ad ascoltarmi per tutta la notte, mentre gli raccontavo del mese più importante della mia vita e di come lo avessi distrutto in pezzi. Mi sembrava quasi provasse uno strano moto di pietà nei miei confronti, tanto che aveva persino perso l’abitudine di piombare in camera mia e tentare di distrarmi, mentre il mio solo unico diversivo era stato lo studio. Era un comportamento strano il suo, ma francamente non avrei retto anche una delle sue sfuriate, per cui mi andava bene così.
Sospirai silenziosamente e poi annuii, premendo le labbra le une contro le altre con forza, in un comune  segno di nervosismo. «E’ tardi, dovresti andare.» lo ammonii infine.
Mio fratello inspirò profondamente, quasi si stesse rassegnando alla mia decisione in quel momento, dopodiché lo sentii voltarsi e fare qualche passo.
«Martie» lo richiamai, prima che potesse tornare in casa.  
Lui si voltò nuovamente  ed aspettò, in attesa di cosa dovessi dirgli.
Ci riflettei qualche secondo, poi sollevai automaticamente le labbra in un sorriso mesto.  «Falle passare la serata più bella della sua vita.»
 
Quando misi piede nella palestra, mi resi conto di quale incredibile lavoro io e le mie compagne avessimo svolto nell’ultimo mese. Quella che prima era stata una palestra inutilizzata, ora non sarebbe più stata riconoscibile, con la moquette e la nuova pittura alle pareti, festoni e palloncini ad addobbare quello che era stato il mio obbiettivo nell’ultimo periodo.
Mi diedi uno sguardo tutt’intorno e notai la sala strapiena di miei coetanei, già intenti a fare qualche ballo in pista o prendere un cocktail, nonostante fosse solo passata una scarsa mezz’ora dall’inizio dell’evento. A quella visione non potei fare a meno di sorridere, perché sapevo finalmente che i miei sforzi erano stati ripagati, e quella fosse la sala da ballo studentesco più bella che avessi mai visto – anche se l’unica.
Martin, al mio fianco, alzò lo sguardo sulla sfera di cristallo che trasmetteva luci stroboscopiche sulla sala, e sorrise. Tornò a puntare lo sguardo sul mio, e «E’ fantastica!» commentò, dando anche lui un’occhiata intorno.
Ricambiai il suo sorriso, grata. «Grazie!»
Mi strinse la mano e si diede un’ulteriore occhiata intorno, poi si voltò nuovamente a guardarmi. Si avvicinò al mio orecchio e «Vuoi qualcosa da bere?» mormorò.
Scossi lievemente la testa, consapevole che le uniche bevande presenti fossero solo alcolici e non avevo intenzione di berne come avevano già cominciato a fare alcune mie compagne, e Martin mi sorrise comprensivo.
Faceva così male vederlo sorridere, perché la mia mente non poteva fare a meno di associare quello stesso sorriso ad un altro, appartenente alla persona che da sempre avevo desiderato fosse al mio fianco in quel momento. E Dio solo sapeva quanto quel sorriso mi mancasse, sebbene odiassi ammetterlo.
Avrei potuto negarlo all’infinito e a tutti quanti, ma non avrei mai saputo negare a me stessa quanto in realtà sentissi la mancanza di Zack. Mi ero decisa ad accantonarlo, a non sprecare nemmeno un secondo del mio tempo a pensare a lui, ma non riuscivo a tener fede a questa promessa per un’ora che il trascorso dell’ultimo mese cominciava a ripetersi freneticamente nella mia testa, i ricordi a tamburellare persistenti, quasi volessero rammentarmi quanto fossi ipocrita a costringermi a dimenticare. Non avrei saputo dire se dimenticare fosse la scelta giusta, ma certo era fosse l’unica cosa che potessi fare, visto che non avevo alcuna intenzione di ritornare con lui dopo che mi aveva mentito così spudoratamente.
Non riuscivo a credere mi avesse realmente tradito. Avevamo passato dei bellissimi momenti insieme – o almeno credevo – ed ero persino riuscita ad innamorarmi, per la prima volta in vita mia, ma tutta quella magia era scomparsa esattamente quando mi ero resa conto di quanto fosse importante, e adesso mi sentivo vuota. Come se, avendo cacciato lui dalla mia vita, avessi anche cacciato la felicità che si era instaurata ultimamente dentro di me. Avevo passati i giorni dopo quella sfuriata in palestra a studiare, parlare con Martin, fingere di star bene e poi piangere, quando nessuno avrebbe potuto vedermi e giudicarmi.
Avevo giurato che non avrei mai pianto per un ragazzo, ma evidentemente non sapevo ancora cosa fosse l’amore, quali sensazioni provocasse, e ora che finalmente ne avevo scoperto l’aspetto più piacevole, ecco che mi veniva sbattuto in faccia l’aspetto negativo, quello triste, che ti rendeva noiosamente apatica e depressa, anche se, a dirla tutta, lo ero sempre stata. Non mi aveva sorpreso che mia madre avesse immediatamente intuito che qualcosa non andava, quando ero tornata ad essere la Stephanie asociale e diplomatica, ma non le avevo parlato sul serio, perché ricordare faceva male. L’unica persona con la quale ero riuscita a confidarmi davvero riguardo la mia rottura con Zack era stato proprio suo fratello, e lui stesso mi aveva garantito che sarebbe riuscito a farmi dimenticare.
«Zack non è venuto.»
Fermai lo sguardo su un punto fisso della sala, dove una coppietta era intenta a ballare goffamente e ridere l’una dell’altra, e sentii una strana sensazione allo stomaco quando Martin pronunciò quel nome, deglutii di conseguenza, come a scacciare l’ansia. «Non mi interessava saperlo.» minimizzai, tentando di mantenere un atteggiamento distaccato.
Martin esibì un mezzo sorriso, quasi divertito. Sapevo che non mi aveva creduto.
 
Passammo metà serata a ridere insieme e a ballare – se il nostro avrebbe potuto considerarsi tale – , e dovetti ammettere a me stessa che avevo fatto più che bene a partecipare al ballo alla fine, nonostante non ne avessi alcuna voglia. Era stato Martin ad insistere, convincendomi che se avessi passato la serata a casa avrei finito col deprimermi, e poi lui non aveva un’accompagnatrice, anche se dubitavo fortemente volesse davvero far parte di eventi del genere.
«Ne è valsa la pena venire alla fine, visto?» commentò una volta riuscito a trovare un piccolo spazio libero dove poterci sedere, sorridente.
Annuii vigorosamente, d’accordo con lui.
«Ho la gola secca, vado a prendermi da bere, ti porto qualcosa?»
«Un po’ d’acqua, se c’è.»
Il mio migliore amico mi rivolse un tenero sorriso e mi intimò un “resta qui, eh”, prima di alzarsi e dirigersi tra la folla, alla ricerca del bancone dei cocktail. Io portai le mani sulle ginocchia e presi a picchiettare con i tacchi sulla moquette annoiata, mentre mi guardavo intorno curiosa di come la serata stesse procedendo. Potevo ritenermi abbastanza soddisfatta comunque, tutti sembravano divertirsi e mi stavo divertendo anch’io.
La musica si abbassò di volume d’un tratto, e quando rivolsi lo sguardo sul palchetto notai la preside salire i gradini e sorridere agli studenti, che si erano fermati a rivolgerle attenzione. Un applauso si alzò dalla folla di studenti, e la preside lo placò con un umile gesto della mano, prendendo poi in mano il microfono quando ebbe ottenuto abbastanza silenzio. Picchiettò con l’indice un paio di volte, poi prese parola.
«Buonasera ragazzi, spero vi stiate divertendo!» iniziò, provocando i fischi e alcune urla da parte del suo pubblico, «Mi dispiace interrompere la serata, ma è giunta l’ora di nominare i nomi del re e della reginetta del ballo.» annunciò, visibilmente eccitata. E anche gli studenti lo erano, perché esplosero in grida di approvazione. «Vorrei chiamare qui sul palco l’organizzatrice del ballo, Stephanie Gilbert.»
Assunsi d’un tratto un ‘espressione pressoché seria, e gli sguardi dei presenti vagarono per la stanza, per poi posarsi su di me e sorridermi incoraggianti. La stessa preside mi sorrideva, incitandomi ad avvicinarmi al palco con un gesto della mano. Io deglutii e dovetti assumere un colorito rossastro a causa dell’imbarazzo, mi alzai traballando sui tacchi e sperai vivamente di non inciampare e fare una figuraccia, poi quando ebbi stabilito un certo equilibrio camminai verso il palco, salendo i tre gradini per raggiungere la preside, salutarla con dei consueti baci sulle guance.
Lei scatenò un applauso per la sottoscritta da parte della folla, poi mi passò una busta di color argento, suggerendomi di leggere i nomi uno per volta.
«Tocca alla reginetta, adesso.»
Tutte le ragazze presenti trattenevano il fiato, incrociavano le dita, dicevano qualcosa sottovoce ed erano nervose o ansiose. Quel comportamento mi sembrò ridicolo, perché infondo diventare reginetta del ballo scolastico non avrebbe avuto nessun valore, ma comunque tenni per me i miei commenti personali e mi limitai ad aprire la busta.
«Amelia Williams.» lessi il nome sul cartoncino, voltando poi lo sguardo sulla sala finché non individuai una ragazza dai capelli rossi stretta in un vestitino rosa, che abbracciava colui che probabilmente doveva essere il suo accompagnatore. Sorrideva esageratamente, e la invitai a raggiungermi sul palco, così che la preside potesse metterle in testa la coroncina. Successivamente toccò al re.
Anche stavolta lessi il nome del cartoncino, annunciando il nome di Tyler Mitchell. Un ragazzo dai capelli corvini e con un grosso papillon sorrise e si avvicinò repentino al palco, salendone i gradini con dei saltelli. La ragazza gli allacciò le braccia al collo immediatamente, ed io sorrisi, riconoscendo il ragazzo che aveva abbracciato anteriormente. In effetti credevo d’averlo già visto, e mi ricordai di lui solo quando lo associai a Zack, come compagno della sua squadra.
«Viva il capitano!»
Un coro si innalzò dal centro della sala, proveniente da un gruppetto di ragazzi, e presto si estese fino a riempire la stanza, delle grida continue che facevano ridere il ragazzo sul palco.
Dovetti avere un momento di esitazione, perché stetti a sentire quei cori e poi aggrottai la fronte, confusa. Mi avvicinai a Tyler, e «Sei tu il capitano della squadra di basket?» gli domandai, afferrandolo per una spalla. Quello annuì sorridente, riservandomi anche un’occhiata lievemente perplessa.
Ed io capii d’aver fatto una cazzata.
 
Sbuffai, delusa dal constatare che non trasmettevano un solo programma decente alla tv, quella sera. Avevo fatto zapping tra circa un centinaio di canali, e non avevo trovato niente di meglio di qualche replica di film e alcuni cartoni.
Incredibile come la televisione diventasse terribilmente inutile la domenica. Ripensandoci,  forse avrei fatto meglio ad andare coi miei alla cena a casa dei Turner, almeno avrei avuto qualcosa da fare, anche se convincere mio padre ad andarci era stata un’impresa. Al contrario di mamma però, che aveva insistito un’intera settimana perché mio padre si comportasse decentemente e non combinasse guai a quella cena, mia sorella Kirsten non voleva assolutamente che lui vi avesse partecipato, ed io non la biasimavo affatto: chi mai avrebbe voluto che le facesse fare una figuraccia col suo nuovo ragazzo, Tom?
Scossi la testa divertita, ripensando alla cattiva condotta di mio padre con i fidanzati di Kirs, e non mi sorprendeva affatto che, ora che era quasi sicura fosse qualcosa di serio, mia sorella non lo volesse tra i piedi. Lui era geloso, irritante, ed estremamente imbarazzante in alcune occasioni, tanto che ero convinta che, fosse stato per lui, le sue “piccole” non avrebbero mai dovuto avere un fidanzato, né sposarsi. Ci avrebbe tenuto strette nelle sue braccia fino alla vecchiaia, ostinandosi a chiamarci con l’appellativo di “principessa”.
Dopotutto era dolce. Era dolce che mio padre fosse così protettivo e geloso nei nostri confronti, ma non credevo che io o Kirsten avremmo finito col rispettare il suo volere di tenerci zitelle a vita, e lui non ne sarebbe stato contento, come dimostrava la sua faccia quando avevano lasciato la casa per recarsi dai Turner.
Chissà come sarebbe stato con me. Se io avessi avuto un fidanzato e glielo avessi fatto conoscere, come si sarebbe comportato? Sarebbe stato gentile, tentando di non farmi fare delle figuracce? Oppure si sarebbe comportato al suo solito, sfoderando il suo lato più imbarazzante?
Trattenni una risata, pensando ad un eventuale incontro tra mio padre e Martin. Lui non avrebbe spiaccicato parola, troppo timido e rispettoso per parlare ed esprimere un’opinione personale, magari anche timoroso. E mio padre l’avrebbe classificato come il tipico ragazzo della porta accanto, incapace di lottare per i propri obbiettivi.
Invece non lo era affatto. L’avevo pensato anch’io all’inizio, ma avevo dovuto rimangiarmi ogni parola quando mi aveva baciata.
Sentii un forte nodo allo stomaco e d’istinto increspai le labbra, come a rivivere quel momento. Fino ad allora, non avevo mai pensato a Martin come a qualcuno che potesse avere tanto coraggio e una tale faccia tosta, come non avevo mai pensato che potesse essere interessato a me in quel modo.
Non avevo la più pallida idea del perché di quel bacio. Non lo comprendevo, non lo concepivo, e mi era sembrata la sensazione più strana che avessi mai vissuto, quando per quei pochi istanti aveva posato le sue labbra sulle mie, facendomi irrigidire quasi fossi un blocco di marmo.
Perché l’aveva fatto? Mi aveva baciata così, senza un motivo preciso, oppure il motivo c’era, solo che io non l’avevo capito? Perché era incredibile come fossi passata dal volerlo abbracciare al volerlo allontanare da me in pochissimo tempo, come se ad un tratto le cose tra noi fossero cambiate ed io non me ne fossi accorta.
Perché mi aveva baciata?
Ronnie aveva sostenuto sin dall’inizio che Martin provava un forte interesse per me, ma io l’avevo negato, e non solo perché ero convinta che le sue fossero solo fandonie, ma perché ero io stessa a non volerlo. Non volevo assolutamente che lui potesse provare qualcosa di più rispetto al forte senso di amicizia che provavo io, perché non avrei saputo ricambiarlo. Esattamente come quel bacio, io non sarei stata in grado di ricambiare i suoi sentimenti, di renderlo felice, perché io non ero innamorata di lui.
Ma lui era innamorato di me? Cos’aveva significato quel bacio, esattamente, per lui? Significava che voleva fossimo più di semplici amici, o forse era stato solo uno stupido impulso al quale non aveva saputo resistere? Per chissà quale motivo poi. Trovavo improbabile che potesse provare qualcosa per me.
Ma se fosse stato così? Se lui provasse qualcosa per me, un sentimento più forte della nostra amicizia? In quel caso, ero stata davvero un idiota a non accorgermene. Anche se lui non me ne aveva mai dato la prova… oppure sì?
«Dannazione!» sbraitai, prendendomi la testa tra le mani. La sentivo pesante, gonfia, troppo incasinata da permettermi di pensare lucidamente.
La reazione di Nate dovette essere simile a quella di una persona che assiste ad atti di pazzia, perché sgranò gli occhi e si bloccò sul posto, riservandomi un’occhiata più che stranita. «Cosa è successo?» mormorò, scandendo bene le parole, quasi fosse stato spaventato.
Sospirai ed alzai lo sguardo su di lui, assottigliando gli occhi. Mio fratello alzò le mani come a voler indicare di non volersi impicciare, e proseguì verso la cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Ma lui era una ragazzo. Forse lui avrebbe potuto capire meglio di me il gesto di Martin, spiegarmelo.
«Nate, vieni qui, devo chiederti una cosa.»
Mio fratello bloccò la mano a mezz’aria che andava ad afferrare il pacchetto di patatine, e si voltò alzando gli occhi al cielo, venendo poi a raggiungermi sul divano. Si sedette, e prese a guardarmi in modo confuso. Io giocherellavo nervosamente con le dita.
«Come ragionate voi ragazzi?» sparai, puntando lo sguardo dritto sul suo.
Mio fratello corrugò la fronte e mi riservò un’occhiata chiaramente perplessa. «Scusa?»
«Intendo nel campo sentimentale, come ragionate? Come agite, secondo quali criteri, perché?»
Nate mantenne quell’espressione, quasi stesse avendo a che fare con una pazzoide – di nuovo – ed infine assunse un’espressione più normale, come se riflettesse. «D’impulso, credo.»
«Impulso?»
Annuì lievemente e voltò lo sguardo davanti a sé, a fissare nel vuoto la parete. «Di solito i ragazzi agiscono d’impulso, non pensano alle conseguenze delle loro azioni.»
Quindi quello di Martin avrebbe potuto essere un semplice impulso? Magari non era innamorato di me, non provava assolutamente nulla, aveva solo avuto un impulso.
«E di solito, dietro a questi impulsi, c’è una vera ragione? Nel senso, se tu fai qualcosa, c’è alla fine una ragione per la quale l’hai fatta?»
Nate aggrottò la fronte tornando a guardarmi, visibilmente perplesso. «Ma di che diavolo parli?!» sbottò.
Sospirai, esasperata. Ovviamente Nate non avrebbe potuto essermi d’aiuto, d’altronde non lo era mai stato in tutti gli anni della mia vita.
Lui socchiuse gli occhi e si lasciò andare ad un piccolo sospiro. «C’entra un ragazzo?» mi domandò.
Puntai gli occhi sui suoi ed annuii, inspirando profondamente.
«E cos’ha fatto?»
«Mi ha baciata.» dissi, lasciando che mio fratello assumesse la notizia – qualcosa nella sua espressione mi suggeriva che non se l’aspettava.  «Ma il problema è» ripresi, «che non so perché l’ha fatto! Siamo amici, non ho idea del perché mi abbia baciata. E’ strano come comportamento, no?»
Nate si lasciò a qualche secondo di silenzio, come se ci stesse pensando. «Gli hai parlato?» mi chiese.
Mi morsi il labbro, come afflitta da un leggero senso di colpa, e scossi la testa. La realtà era che lo evitavo, lo avevo ignorato perché non avevo il coraggio di affrontarlo dopo l’accaduto.
Mio fratello curvò le labbra in un sorriso, quasi intenerito. «Allora dovresti chiederglielo, è l’unico modo per scoprire qualcosa.»
«Tu dici?» domandai, incerta.
Annuì, sorridendomi incoraggiante.
«Ma io non ne sono tanto sicura, potrei rimanerne delusa in qualche modo…» mormorai, lasciandomi accoccolare al petto di mio fratello come una bambina insicura, mentre lui mi stringeva un braccio attorno alle spalle, protettivo.
«Prendere delle scelte fa parte dell’essere grandi, e adesso tocca a te.» mi rassicurò, sorridendo dolcemente «Se non altro avrai le idee chiare.»
Sospirai, ma mi convinsi che d’altronde quella era la scelta giusta. Avrei dovuto parlargli, chiedergli il perché di quel bacio, e se avevo avuto il coraggio di parlare con Nate e chiedergli un consiglio allora niente avrebbe dovuto farmi paura.
Gli sorrisi, grata che mi avesse aiutata. «Me lo dai uno strappo fino a scuola?» 


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D'accordo, sono al capitolo 29 e ne manca solo uno alla fine e l'ho già scritto e non sono pronta ad abbandonare questa storia............. ma preferisco tenere il discorso strappalacrime per domani, quando pubblicherò il capitolo 30. E' che avevo programmato un capitolo intero, ma sono uscite millemila pagine di word, e quindi ho deciso di dividerlo in due parti, e di mettere 30 capitoli così faccio cifra tonda (?). 
Finalmente il ballo tanto atteso è giunto! Riassunto della situazione:
- Zack è depresso;
- Stephanie è stupida;
- Emma è confusa.
Martin sarà presente nel prossimo capitolo, che sono sicura vi piacerà :)
Intanto, spero voi vi siate goduti questo capitoli e aspettiate con ansia il prossimo. 
A domani :)

 
 
  
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