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Autore: scapparsi    03/07/2014    11 recensioni
"[...] Vorrei solo potermi addormentare accanto a te e ritrovarti il mattino dopo, prepararti la colazione, svegliarti con baci e carezze e augurarti il buongiorno. Vorrei solo osservarti leggere uno dei tuoi libri mentre i tuoi occhi luccicano dall’emozione. Vorrei solo poterti portare al mare e ammirarti mentre la luce del sole mette in risalto i tuoi bellissimi occhi marroni. Vorrei solo farti perdere fra le mie braccia mentre guardiamo una delle solite commedie romantiche.
Da quando ti ho vista la prima volta colleziono sogni, desideri e speranze che resteranno tali perché sono uno stupido mortale che ha paura di affrontare la vita. Preferisco il mio piccolo angolino, lontano dal mondo, lontano dal resto, lontano da te. Ma, sai, voglio cambiare. Sono stanco, stanco, stanco e voglio lottare ma certe guerre non si combattono da soli. Ho bisogno di te, ma tu non ci sei. Il tuo cuore appartiene a lui."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo tre.

 
Ludovica adorava andare al parco per giocare, ma era molto difficile relazionarsi con i bambini perché rispetto agli altri era un po’ diversa e non riusciva a capire le cose che loro potevano.
Lei non capiva cosa le dicevano le persone; non capiva come si giocava o come poteva relazionarsi con gli altri. Ludovica non capiva cosa voleva dire “cambiamento di umore” e odiava quando intorno a lei c’erano troppe persone; non riusciva a capire, tutto intorno a lei girava: le persone significavano caos totale.
Non aveva nessun problema in particolare, è solo che il mondo proprio non le piaceva! Era così strano, bizzarro, folle.
Solo sua sorella non lo era, Alice, che però lei chiamava Lice. Lice era l’unica che la capiva e che capiva, forse perché era un po’ come lei: cercava di rendere magico ciò che non lo era.
 
“Lice, Lice!” urlò la bambina incominciando a correre verso la sorella che era intenta ad osservare dei passerotti che si erano fermati qualche metro più in là.
Trovava assolutamente interessanti gli uccelli, e a volte li invidiava tanto! Loro potevano andare lontano, viaggiare, scappare quando volevano e nessuno avrebbe potuto fermarli; potevano girare il mondo quante volte volevano e riposarsi nel posto in cui stavano meglio; le sarebbe piaciuto essere come loro, volare via da quel posto crudele insieme alla sua sorellina e cercare insieme a lei la vera “casa”.
La sorella si mise davanti a lei ed incominciò a saltellare finché non ebbe la sua attenzione.
“Guarda che cos’ho trovato!” strillò.
Alice prese il foglio che le porse la sorella tra le mani  e lo osservò attentamente, come ogni cosa che si poneva sotto il suo sguardo attento ma dolce. Era una lettera.
“Dov’è che l’hai presa?”
La bambina sorrise maliziosa e Alice capì che aspettava ansiosa quella domanda, quindi si alzò e dopo averla presa per mano si incamminarono verso il posto evidentemente adorato dalla piccola.
Camminarono per qualche minuto, l’aria era fresca e pulita e l’odore dei fiori invadeva l’aria rilassando entrambe. Adoravano i fiori e quando potevano li studiavano, così potevano parlare attraverso il loro significato senza che gli altri capissero; era il loro modo di comunicare ed era un modo per rendere felice Ludovica: amava le cose che agli altri non piacevano, i suoi genitori invece di chiamarla “piccola principessa” la chiamavano “piccola rivoluzionaria” e lei lo adorava.
Ludovica indicò il posto contenta.
Alice lesse la lettera, e fu trasportata ad un paio di giorni prima come per magia.
 
“Perché non vai da lei?”
Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime e fece per alzarsi, ma poi rimase seduto al suo posto. Voleva scappare, urlarle che non erano affari suoi ma quando si voltò vide in quella ragazza la salvezza.
Le raccontò tutta la storia che aveva saputo da una vecchietta che frequentava il parco; il paesino in cui abitavano era abbastanza piccolo e le voci giravano abbastanza velocemente.
“Eh, quella povera ragazzina! 19 anni, chiusa in ospedale, attaccata ad una macchina.. che brutta vita!” diceva uno; “Si dice che la madre è morta e il padre non le dava da mangiare.” Diceva un altro; “Era una brava ragazza, sempre gentile e sorridente!” dicevano altri ancora, anche se nessuno le aveva mai realmente rivolto la parola; lei era una ragazza che stava sempre sulle sue, e avevi paura addirittura di passarle accanto pensando che potesse distruggerti con quel suo sguardo perso.
“Mi dispiace” commentò semplicemente Alice non sapendo cosa dire. Sapeva semplicemente cosa passava il ragazzo, ma proprio non sapeva che fare perché il dolore viene vissuto in maniera diversa e cambia da persona a persona.
Tra loro calò di nuovo un silenzio, stavolta imbarazzante. Non sapevano che fare, erano persi entrambi chissà dove, come se non ci fosse un punto di ritorno.
Alice si alzò e guardò a destra e a sinistra per attraversare.
“Dove vai?” chiese lui alzandosi e imitando i suoi gesti.
“Torno a casa, e poi mia sorella sta per tornare da scuola e i miei sono fuori a pranzo.”
“Vuoi compagnia?”
La ragazza si girò verso di lui, e lo guardò come si guarda un alieno.
“È meglio non essere mio amico,- disse- fidati quando dico che non ne vale la pena.”
Un paio di auto si fermarono e lei attraversò senza girarsi per guardarlo una seconda volta, sarebbe stato meglio così per entrambi.
 
“Ludo, torniamo a casa -disse improvvisamente la sorella- devo fare una cosa importante.”
La piccola non fece capricci e seguì Alice fino a casa, era curiosa di cosa doveva fare la sua “Lice” ma non chiese nulla perché sapeva che le davano fastidio le persone che chiedevano troppo: “Le persone devono capire tutto dagli sguardi e dai gesti, Ludo, non fidarti di chi parla troppo! Ricordi cosa diceva la nonna? Chi cchiu' penza 'e sape' cchiu' e' 'gnurante: una persona che parla e pensa troppo, molto spesso non conclude mai nulla. Non scordare mai questo.”
Continuò a fissare la sorella che velocemente prendeva la borsa e tutte le cose che le sarebbero potute servire, dopodiché le diede un bacio sulla guancia ed uscì.
Chiamò un taxi e dopo che fu arrivato si diresse all’ospedale.
“Buongiorno- salutò con cortesia la donna che era alla segreteria- potrei vedere Naomi Clark?”
“È una parente? Sennò non posso farla entrare!”
“Sì, ehm, sono una cugina ma non di primo grado..”
La donna la guardò di sottecchi, si mise a scrivere al computer e dopo averla guardata storto sussurrò: “Entri, ma non dica nulla.. cerchi un certo Andrea: è mio nipote e si sta occupando lui della ragazza”
“Grazie mille, le sono molto riconoscente” quasi urlò dirigendosi verso la cosiddetta “zona risveglio”.

 

Un paio di ore prima …
 
Gli occhi si aprirono lentamente e ci misero del tempo prima di abituarsi alla luce.
Aveva la gola secca e una forte emicrania, le girava tutto e non riusciva a  capire dove si trovava.
La stanza era piccola e non molto accogliente: le pareti bianche e le lenzuola blu sporco rendevano quel luogo sconosciuto ancora più “spaventoso”. Non le piaceva per niente quel posto, non lo conosceva e si sentiva a disagio perché l’avevano trasportata lì senza che lo sapesse.
Non ricordava molto di quello che era successo, vedeva solo sé stessa che piangeva e un ragazzo che la prendeva in braccio, niente di più, niente di meno.
“Ti sei svegliata..” sussurrò un ragazzo entrando nella stanza.
Naomi si girò e quando lo fece sussultò e le pupille si dilatarono. Lui. Non poteva crederci.
“Tutto bene?” le chiese sedendosi accanto al suo letto.
La ragazza non rispose, incominciò semplicemente a sorridere come una cretina perché non poteva crederci che lui era lì con lei, ma soprattutto non poteva credere che le stesse parlando.
“Suppongo tu sia un po’ stanca.. hai dormito per una settimana. Sai, ti ho trovato per terra in mezzo alla strada! Ero uscito con la mia ragazza e ti ho visto in lontananza che cadevi sbattendo la testa, mi sono preoccupato e sono corso subito per aiutarti” disse per incominciare la conversazione, ma Naomi continuava a restare in silenzio. Succedeva sempre così quando lo vedeva: le brillavano gli occhi e restava senza parole di fronte “quello spettacolo”.
“Acqua?” chiese lei girandosi intorno.
Andrea si alzò, uscì dalla stanza e tornò subito con una bottiglina e del cibo ma lei prese solo l’acqua.
“Che ha fatto la tua ragazza?”
“Be’, si è preoccupata ed innervosita allo stesso tempo perché è dovuta tornare a casa da sola, ma non ti avrei mai lasciata lì!”
Si guardarono per qualche secondo senza dire nulla, nessuno dei due sapeva che dire ma a Naomi quel silenzio non dispiaceva, secondo lei in quel modo poteva “contemplarlo” meglio.
Ma, quella tranquillità fu interrotta dalla ragazza di lui che entrò con sfacciataggine fregandosene dei medici che le dicevano: “Signorina, non può entrare!”
“Amore! - urlò lei saltandogli addosso – mi sei mancato!”
Andrea ricambiò l’abbraccio, e la ragazza si fece ancora più piccola di quel che era già: vedere quelle scene era ogni volta estremamente doloroso. Lei lo sentiva suo ma in realtà non lo era e sicuramente non lo sarebbe mai stato; un ragazzo come lui non poteva mai scegliere Naomi, come se una star famosa si mettesse con un barbone.
“Sono stanca, lasciatemi sola” disse interrompendo quel momento di dolcezza fra i due con durezza; non aspettò neanche una risposta che, lentamente per i forti dolori, si girò verso la finestra mentre sentiva gli occhi che si riempivano di lacrime.
Andrea voleva controbattere, dirle che se la presenza di Sara le deva fastidio poteva cacciarla via: avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.. era una ragazza adorabile, diceva lui. Non le aveva mai parlato, ma a scuola stava sempre al centro dell’attenzione dato che era “la sfigata” preferita, avrebbe voluto difenderla un sacco di volte, portarla via da quelle persone cattive e dirle che lui l’avrebbe sempre difesa ma poi era restato al suo posto perché così le cose sarebbero solo peggiorate.
“Va bene.. quando posso torno a farti compagnia, per ora riposati un po’ che domani sarà una giornata pesante.” Le disse dolcemente mentre le accarezzò una guancia; Naomi rabbrividì al contatto e la pelle pallida divenne più rosata e Andrea sorrise notando quel cambiamento.
Sara lo prese per mano e uscirono dalla stanza, dopodiché lei si addormentò.

 
Camminava per i corridoi dell’ospedale mentre la colpì una forte malinconia: pensò alle persone che stavano male, a come potessero sentirsi dopo un risveglio o a come potessero sentirsi mentre delle macchine li tenevano invita, o come potevano sentirsi i parenti a dover scegliere per la loro vita: spengo o no la macchina? La stacchiamo questa spina?
Vide un ragazzo in lontananza, era abbastanza alto, aveva gli occhi verdi e i capelli ricci castani e parlava con un’infermiera di certo più esperta di lui.. intuì che si trattasse di Andrea, ma prima di avvicinarsi si soffermò davanti una stanza: c’era un signore anziano che aveva portato dei fiori ad una signora che, evidentemente, era sua moglie.
“Salve- la salutò l’uomo- è un’infermiera?”
“No, sono qui per far visita ad una mia amica..”
“Oh, io sono qui per mia moglie invece. È stata investita e si è risvegliata dopo un mese di coma” rispose mentre accarezzava i capelli dell’anziana che ancora dormiva.
“E ora come sta?”
“Bene, ma non si ricorda di me”, gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime mentre pronunciò quelle parole ma poi sorrise rispondendo: “Ma non fa niente, perché io di lei mi ricordo e ben presto le racconterò la nostra storia  e forse si ricorderà di ciò che siamo stati fino a qualche mese fa.”
“Oh, è una cos-..”
“Che ci fa lei qui?” la interruppe un ragazzo, Andrea.
“Sono, ehm, qui per Naomi.. sono una sua amica e mi manda ehm..”
“Si è appena svegliata, seguimi”
Raggiunsero presto la stanza di Naomi, era seduta sul letto d’ospedale che leggeva un libro; era molto piccola per essere una ragazza di diciannove anni, e il viso pallido e scarno la faceva sembrare un piccolo fantasma. Appena sentì i rumori, la paziente si girò e, Alice guardandola quasi trattenne un urlo, gli occhi marroni erano ancor più messi in evidenza dalle occhiaie violacee che aveva, mentre i capelli erano distrattamente legati in una coda di cavallo.
“Chi sei?” riuscì a dire con fatica.          
“Ciao, mi chiamo Alice, ho urgenza di parlarti” disse semplicemente la ragazza non aggiungendo altro. Parlò con lo sguardo, che per lei era molto meglio che utilizzare delle parole.
Naomi la guardò prima con paura, non la conosceva e la sua presenza le trasmetteva tensione, stava quasi per mandarla via quando i loro occhi si unirono e fu come se stessero parlando.. gli occhi di quella ragazza che era improvvisamente entrata nella stanza le sussurravano parole dolci e gentili, e la sua presenza divenne più piacevole.
“Dimmi” disse aspettando che incominciasse a parlare.
Alice non aprì bocca, bensì le passò un foglio, la lettera, che lei lesse subito.
Alzò lo sguardo e con gli occhi lucidi sussurrò: “Voglio vederlo.”


Naomi (foto)
Alice (foto)
Ludovica (foto)
Sara (foto)
Mattia (foto)
Andrea (foto
 


Salve lettori, dopo un altro estremo ritardo ho finalmente pubblicato il terzo capitolo! Olèè
Allora, devo dire che non so se vuole piacermi o meno haha, ci sono alcune parti che adoro mentre altre un po’ meno!
Comunque, come si può ben capire Naomi è anoressica, sono abbastanza informata sull’argomento, ma lo tratterò solamente nei prossimi capitoli essendo che questa malattia è abbastanza complicata preferisco parlarne in modo adeguato e non con superficialità.
Questo è semplicemente un capitolo di passaggio, ma lo trovo importante per lo svolgimento dei fatti …  sta solo a voi dire se vi piace uhuh
Per la lunghezza credo che ci siamo, ci ho messo un sacco per scrivere di più ma alla fine ci sono riuscita!
Lasciatemi qualche parere, dai!
Un bacio,
xxscapparsi☺

 

   
 
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