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Autore: LightsTurnOff    04/07/2014    1 recensioni
Infilò il cellulare di nuovo in tasca e poi si affidò totalmente alla musica mettendo le cuffiette e premendo il tasto play senza neanche far caso a quale canzone fosse in riproduzione: qualunque essa fosse avrebbe fatto male in ogni caso.
Stava tornando a casa, tornava da Jimmy.
Love, love will tear us apart... again.
Ecco, quel brano faceva parte del mucchio di stronzate che Matt gli aveva infilato nel lettore portatile, lui e quella fottuta musica di merda.
Love, love will tear us apart... again. [...]
Il dolore della consapevolezza di essere fragile, di potersi rompere da un momento all'altro come una bottiglia di birra.
Tornava il dover dimostrare a se stesso che lui non si sarebbe infranto, voleva sentirsi invincibile e lo faceva così, distruggendosi; si distruggeva perché sapeva che qualcuno l'avrebbe salvato, che Jimmy non l'avrebbe lasciato affondare nel mare della disperazione, lui ci riusciva sempre a tirarlo su.
“Bri, forse dovresti fare una pausa, non per fare il guastafeste ma domani c'è l'anniversario di matrimonio dei tuoi, lo sai come ci tengono.”
“Oh fanculo Jimmy, lo sai che tanto andrà tutto bene.”
|Bratt|AU|Teenage!verse|
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Music
Capitolo due




La sveglia suonò puntuale alle sette del mattino, troppo presto dopo una sera passata sulla spiaggia a bere con i suoi amici, ma proprio perchè era troppo presto Matt aveva tutto il tempo per darsi una sistemata. Alla fine era rimasto a dormire da Zacky, che come al solito non aveva esitato a dargli un tetto che non fosse quello della macchina, come faceva ogni volta che Matt voleva scappare dal trambusto di casa Sanders. Pensandoci, ancora non gli sembrava vero che fosse finita, che finalmente avrebbe avuto una sua casa, con una sua vita e che presto avrebbe persino lasciato Huntington Beach per andare in un'università che era il suo sogno, che non aveva neanche sperato entrasse a far parte della sua vita.
"Già in piedi Matt? Ma come cazzo fai?" mugulò Zacky aprendo appena un occhio per vedere la figura del ragazzo eretta davanti a sé, intento a cercare il suo portafogli e le chiavi della macchina.
"Inizio a portare le cose nel nuovo appartamento così le sistemo subito, tanto avevo detto che andavo presto," rispose lui con un sorriso chinandosi verso l'amico e scompigliandogli i capelli, con risultato che quello mugugnò qualcosa e si rigirò nel letto, tirandosi ancor più su il lenzuolo che lo copriva.
"Dai Zack, io vado, ti chiamo non appena mi sono sistemato, ok?" gli disse entusiasta Matt mentre raccoglieva le ultime cose sparse in stanza, quali cuffie e sigarette, e sistemandosi per uscire di casa.
"Va bene Matt, in bocca al lupo!"
Matt non rispose ma sorrise all'amico che ancora poltriva a letto e che,probabilmente,  avrebbe continuato per un bel po', avviandosi poi verso la macchina, chiudendosi alle spalle la porta della stanza di Zacky prima, quella di casa Baker poi, pronto a partire per quella nuova piccola avventura che era certo non lo avrebbe deluso.
Quindi si chiuse in macchina, musica di sottofondo, e si avviò verso l'incrocio fra la Sesta e Walnut Avenue, dove ad aspettarlo ci sarebbe sicuramente stato qualcuno. Guardò l'orario all'orologio per controllare che non fosse eccessivamente presto: otto e mezza, non era improponibile come orario suvvia, si poteva fare.
Quando scese si fermò in una pasticceria prima di andare a casa, così per fare un attimo colazione e mettere qualcosa in quello stomaco che stava iniziando a digerirsi da solo, reclamando a gran rantoli cibo. Era a pochi metri dalla palazzina in cui sarebbe andato ad abitare di lì a breve e constatò poi che facevano dei muffin al cioccolato squisiti; ci sarebbe venuto spesso, già aveva deciso! Lasciò sul tavolo il conto e se ne tornò alla macchina, solo per prendere la scatola, quella preziosa con la lettera della Columbia, i suoi lavori e la sua musica, e avviarsi verso casa. La riconobbe subito, come se fosse stata la millesima volta che ci andava. Suonò il citofono e venne aperto, nessuno chiese "chi è" quindi pensò che i due coinquilini avessero capito che era lui e l'ipotesi si rafforzò quando, bussando alla porta, una voce urlò "arrivo subito" senza chiedere nuovamente nulla.
Se avesse avuto modo di passare più tempo con Johnny e Jimmy si sarebbe reso conto prima che la voce non era di nessuno dei due ma di un ragazzo che non conosceva; non avendo però avuto quest'occasione se ne rese conto soltanto quando, aperta la porta, se lo trovò davanti.
Capelli neri non troppo corti, scompigliati sul volto spigoloso, più basso di lui, labbra sottili e occhi nocciola e... Tatuaggio sul pettorale sinistro, corporatura nella media con i musicoli scolpiti, non quanto i suoi ma non era messo male.
Arrossì di botto quando si rese conto che lo fissava senza dire nulla già da diversi secondi, le labbra appena socchiuse per la sorpresa.
"Ehm, forse ho sbagliato appartamento," disse subito cercando di riprendersi dalla figura di merda che si era appena sparato e ansioso di levare le tende appena possibile. Ecco, troppo sicuro di sé come sempre!
Il moro sorrise divertito prima di fargli largo sulla porta, come ad inivitarlo ad entrare, fissando curioso il ragazzo imbarazzato e spaesato che si ostinava a restare sulla porta, indeciso sul da farsi.
"No, sei il ragazzo nuovo no? Jimmy mi ha chiesto di aspettarti, la coppietta felice è scesa a fare la spesa," gli disse facendogli cenno con la testa per farlo entrare. Lo fissava attentamente cercando di cogliere ogni espressione che potesse nascere sul viso del ragazzo, incuriosito dalla reazione che avrebbe avuto a quelle parole; voleva conoscere il nuovo malcapitato, così incosciente da voler vivere con quei due.
"Stanno insieme?" Chiese Matt sorpreso, entrando e avviandosi verso la sua stanza per posare la scatola e tirare fuori una manciata di fogli a cui avrebbe dedicato la sua attenzione in attesa del ritorno dei due. Il ragazzo scoppiò a ridere a causa della smorfia che fece capolino sulla faccia del giovane; bene, era uno a cui non piaceva fare il terzo in comodo e probabilmente non amava neanche le coppiette.
"Ovvio che no, idiota, volevo solo vedere la tua reazione," lo canzonò prima di sparire nella cucina. Andò pure lui, portandosi dietro i fogli, irritato un po' dall'atteggiamento del tipo che lo aveva accolto in casa. Era diverso dai due coinquilini, era molto più irritante e sfacciato lui, sembrava non conoscesse la cordialità eppure era sicuramente un loro amico e si chiedeva come facesse uno come lui ad andare d'accordo con quei due, che sembravano molto più allegri e socievoli. Lui era solo un arrogante, questa era la sua prima impressione e non è che si sbagliasse poi così tanto Matt, ma c'era un mondo dietro quegli occhi di cioccolato che ancora doveva scoprire e imparare a conoscere.
Arrivato in cucina trovò due tazze di caffé piene sul tavolo e il tipo era intento a zuccherarsi la sua, ovvero a riempire di una quantità di zucchero eccessiva la tazza mentre girava di tanto in tanto, con una sigaretta già posizionata fra l'indice e il medio della mano destra.
"Non l'ho zuccherato, fai pure; comunque sono Brian," disse il moro senza neanche veramente guardare Matt, preso dal bere il suo caffé e buttare la tazza nel lavandino, senza troppa cura. Perfetto, era a casa sua e quel tipo lo trattava come un ospite del cazzo. Era un atteggiamento che lo stava innervosendo non poco quello di Brian.
"Matt," rispose semplicemente prendendo il caffé così com'era, non gli piaceva zuccherato, e buttandosi a capofitto nelle carte. La prima cosa che fece fu leggersi la lettera di accettazione della Columbia e perse un battito mentre leggeva le righe che motivavano l'ammissione, assaporando già il suo futuro, e questo lo spinse a riprendere il suo lavoro lasciato a metà.
Brian lo guardava da fuori al balcone, lo osservava anzi, cercando di capire quel ragazzo a tratti timido, a tratti pieno di personalità. E poi era bello, decisamente bello. Gli occhi verdi erano espressivi e anche il volto, che non riusciva a trattenere le emozioni celate.
Fumava la sua Marlboro con naturalezza, quella che denota i gesti abituali, e si perdeva in quelle osservazioni, rientrando dopo pochissimo tempo per prendere il posacenere e, non riuscendo a trattenere la curiosità, si sporse oltre la spalla di Matt per vedere che leggeva con tanto entusiasmo.
"Columbia eh? Attento secchioncello che potresti togliere il lavoro a Johnny," gli disse con un sorriso dandogli una pacca sulla spalla. Matt storse il naso e probabilmente lo avrebbe zittito se non avesse visto Brian fargli un occhiolino e capendo che forse era il suo modo per complimentarsi.
"Sono stato solo fortunato," rispose accendendosi anche lui una sigaretta.
Non gli piaceva molto che gli si facessero queste osservazioni, non gli piaceva molto essere al centro di una conversazione con un perfetto sconosciuto a dire il vero ma non riusciva a replicare come si deve, cercava solo di far cadere in discorso. Non capiva bene perché, forse perché si sentiva a disagio in un ambiente che non era suo, forse perché quel ragazzo lo teneva stretto in un'invisibile morsa da cui non riusciva a sganciarsi, forse perché non gliene fregava nulla delle parole che uscivano dalla bocca di Brian, spiegazione molto più plausibile delle altre alla fine, di fatto. O almeno non glien'era fregato niente finché non si era reso conto che il giovane si stava studiando i suoi appunti con attenzione, soppesando i pensieri con la sua matita in mano, il piede che batteva ogni tanto a terra mentre la matita faceva curve in aria se non segnava qualcosa sui suoi fogli.
"Ma che cazzo stai facendo?" Chiese con un filo di rabbia nella voce riprendendosi con scatto deciso il foglio e allontanadolo dal moro che lo guardò con espressione accigliata.
"Oh scusami, solo che mi piace un sacco quello che hai scritto; colpa mia," rispose alzando le mani e posando la matita sul tavolo. Si alzò e sparì dalla cucina, lasciando Matt solo a friggere nella sua stessa incazzatura.
"Che idiota," borbottò mettendo da parte la lettera della Columbia per cancellare il pastrocchio che sicuramente aveva fatto quel coglione. Ma quando abbassò lo sguardo sul suo testo non vide correzioni, cancellature o annotazioni, come si aspettava da uno che si credeva un genio, come lui l'aveva etichettato in quei pochi momenti di compagnia, e rimase sorpreso nel vedere il testo diviso in battute, con sopra la notazione di qualche accordo e qua e là la scritta riff o solo, accompagnato da qualche distorsione appuntata in piccolo al lato dei versi.
Non stava facendo altro che dare la voce alle sue parole!
Mentre Matt era intento a decifrare la scrittura di Brian e a immaginarsi cosa gli stesse frullando nella testa, Brian si era rifugiato nella stanza di Jimmy cercando di capire cosa aveva sbagliato con il nuovo arrivato; non lo digeriva, di questo era sicuro, ma non capiva il perché! Lui era sempre lo stesso Brian, inutile dire che il problema era proprio quello e che lui ovviamente non ci arrivava. Arrivava però al fatto che aveva sbagliato a non farsi gli affari suoi ma era stato più forte di lui, mentre leggeva quelle parole la sentiva dentro la musica adatta a quel testo e non voleva dimenticarla. Aveva imparato in ogni caso un'altra cosa, Matt sapeva scrivere testi fantastici, ora capiva perché la Columbia lo voleva nella sua elite di studenti.
"Suonala."
La voce di Matt arrivò chiara e limpida alle orecchie di Brian, una voce che trovò musicale e pulita. Una voce che non sarebbe dovuta restare nascosta dietro un testo, secondo la sua non modesta opinione.
"E perché dovrei Matt?" Ribatté lui guardando il giovane statuario senza muoversi dalla sua posizione, mento sui pugni e gomiti sulle gambe.
"Perché mi hai scarabocchiato tutto il foglio e prima di cancellare voglio sapere cosa mi perdo," rispose allora prendendo una chitarra che stava su un tre piedi vicino alla scrivania di Jimmy.
"Non suono con quella schifezza," gli disse Brian alzando gli occhi al cielo e sparendo un attimo per tornare con un amplificatore e in spalla una fodera che conteneva sicuramente la sua chitarra.
Ne estrasse una Gibson Les Paul bianco ghiaccio, molto semplice ed elegante nel suo design, che attaccò al piccolo amplificatore, settato sul momento per avvicinare il più possibile il suono reale a quello della sua testa. Prese il foglio che gli aveva dato Matt e ne fece una rilettura veloce, notando che per alcune distorsioni gli sarebbe servita la sua pedaliera, che non aveva con sé. Lo fece notare anche al giovane e si scusò, ma questi con un sorriso gli rispose: "vorrà dire che la prossima volta te la porti."
"Vorrà dire che non puoi cancellare i miei scarabocchi."
"Per qualche giorno posso tollerarli!"
Brian scosse la testa e con un mezzo sorriso si chinò sulla chitarra, iniziando a suonare quello che in parte aveva scritto sul foglio.
Le dita correvano sulla tastiera improvvisando qualche piccolo riff sulla scala che aveva scelto per le strofe, donando intensità al pezzo che Matt aveva scritto, volendo trasmettere le emozioni di cui aveva letto e quelle che in lui aveva suscitato. Fra le note pulite, prive delle distorsioni che avrebbe voluto inserirci, si sentiva la voglia del cambiamento, l'oppressione di una vita diversa da quella che si era costruito, la speranza che tutto potesse essere diverso e, poi, quel qualcosa che Matt non capiva; un desiderio imminente, un desiderio di fuga e di comprensione. Ma era ovvio che Matt non potesse capire di cosa si trattava, non poteva che capirlo il musicista, intrappolato in una routine da cui voleva disperatamente uscire ma da cui non aveva il coraggio di scappare. Si accontentava di sopravvivere, non riusciva a vivere. Aveva anche lui i suoi desideri ma erano stati distrutti e da allora non riusciva più a provare nuovamente per paura di perdere ancora una volta. E quelle parole lo avevano colpito perché quel ragazzo spuntato dal nulla nella sua vita lottava per raggiungere i suoi obiettivi, come una volta aveva fatto lui e come ormai aveva smesso di fare.
Si fermò all'improvviso e staccò la chitarra dall'amplificatore, prendendo piuttosto la sua maglietta bianca per rimmetersela.
“Sarà meglio che vada.” disse Brian alzandosi con la chitarra in mano, che ebbe poi cura di rimettere nella custodia. Anche Matt scattò in piedi insieme all'altro ragazzo, non riuscì neanche a rendersi conto del perché, sapeva soltanto che non aveva voglia di rimanere da solo in una casa che non ancora conosceva.
“Ma Jimmy e Johnny non sono tornati,” ribatté, “Aspetta ancora un po', solo per salutarli.”
“Mi dispiace, ma devo andare da una ragazza che abita ad un paio di isolati da qui, lezione di chitarra.” spiegò issandosi lo strumento sulle spalle e uscendo dalla stanza.
Nel frattempo, però, un rumore in corrispondenza della porta fece capire ad entrambi che gli altri coinquilini erano tornati.
“Bri? Matt è già arrivato?”
La voce di Jimmy era lievemente frammentata a causa del respiro pesante, aveva trascinato le buste della spesa fin lassù. Johnny invece si fermò per un istante in camera sua, prima di raggiungere gli altri; lanciò le chiavi ed il portafoglio sulla scrivania e poi fece la sua apparizione nell'altra stanza.
“Sì, sono qui!” rispose Matt, rivolgendo un sorriso amichevole ai due ragazzi appena arrivati.
Johnny iniziò subito a sistemare parte della spesa in frigo, compreso un considerevole numero di bottiglie di birra che tintinnavano ad ogni contatto. Le sistemò come meglio riuscì tentando al tempo stesso di chiudere lo sportello.
“Stasera festa di benvenuto per il neo-coinquilino, ci sarai vero Haner?” chiese Jimmy mentre cercava il caffè nella dispensa. Il diretto interessato sorrise debolmente grattandosi la nuca con una mano.
“Mio padre mi ha trovato un ingaggio in un locale, non posso disertare o mi ammazza.”
Il suo sguardo si era lievemente accigliato, gli si leggeva negli occhi che non era uno che adorava seguire gli ordini, le feste comandate, e qualsiasi imposizione di altro genere.
La chitarra era tutta la sua vita, ma la sola idea di aprire la propria anima ad un pubblico che a malapena lo avrebbe ascoltato lo irritava; i locali in cui facevano suonare i principianti erano quelli in cui la musica non veniva considerata come l'attrazione principale, nessuno ci faceva caso o, almeno, smetteva di ascoltare non appena arrivava il momento di ordinare.
“Ragazzi, non fate quelle facce.” aggiunse Brian, notando le espressioni supplichevoli sui volti di Jimmy e Johnny. “Ci vediamo in questi giorni. Mi raccomando ragazzino, studia.”
Fece l'occhiolino in direzione di Matt e si allontanò verso la porta d'ingresso. Il viso dell'altro sembrò appuntirsi, non gli era piaciuto il modo in cui lo aveva trattato.
“Non farci caso,” Johnny intervenne subito, “Si diverte a punzecchiare le persone, soprattutto quelle che non conosce.”
Matt guardò il suo nuovo amico ma non rispose, non gliene importava niente delle abitudini di Brian, sapeva solo che non gli piaceva che qualcuno si rivolgesse a lui con quel tono, e soprattutto non accettava certe cose da uno che aveva la sua stessa età.
“Ecco il caffè!” esclamò Jimmy dopo qualche minuto di silenzio e con un largo sorriso sulle labbra tentando di smorzare la tensione. Lasciò a Johnny il compito di versarlo nelle tazze, lui era troppo occupato a cercare qualcosa nella tasca anteriore dei pantaloni.
“Ti dispiace se fumo?” chiese quando con la mano libera prese l'accendino vicino ai fornelli. Lo usavano per accendere il gas, visto che la manopola non c'era più.
Matt fece cenno di no con la testa e anzi, gli allungò il suo pacchetto che era stato lasciato sul tavolo. Il ragazzo prese una sigaretta ma, con grande sorpresa dell'altro, tentò di aprirla così da poter prendere un po' di tabacco. Johnny nel frattempo si era seduto e sorseggiava il suo caffè lentamente, sembrava quasi assaporarne ogni singola goccia con estrema devozione, aveva desiderato un attimo di relax per tutto il tragitto dal supermercato a casa.
“Jo vado a prendere un filtro in camera tua.”
Jimmy non attese neanche una risposta che subito sgattaiolò via, ma i due non fecero in tempo ad accorgersi della sua assenza che era già di ritorno; girò la canna mentre tornava in cucina e osservò soddisfatto la sua opera.
“A te l'onore di accenderla, coinquilino.” annunciò, porgendo a Matt anche l'accendino.
“Oh ehm...” rispose il diretto interessato con un filo di imbarazzo nella voce. “Fa' tu Jim, preferisco fare un tiro più tardi.”
“Ho capito amico, devo istruirti.” concluse James, facendogli l'occhiolino.
Gli altri due risero e Matt per un istante sentì che quella casa fosse davvero anche sua, che presto avrebbe saputo cosa nascondessero tutti i cassetti della dispensa e che, il suo ripiano del frigo, sarebbe stato riempito dai suoi cibi preferiti; sul tavolo, ogni mattina, ci sarebbero stati il suo bicchiere, il suo pacchetto di sigarette e le sue cicche nel posacenere, piatti della sera prima nel lavabo compresi. Erano dettagli quasi irrilevanti, per un osservatore poco attento, ma potevano significare il mondo per un ragazzo che aveva iniziato ad accarezzare la propria libertà solo da qualche ora.
“Continuerai gli studi, Matt?” chiese Johnny, forse riagganciandosi all'ultima frase di Brian.
“Sì, sono stato preso alla Columbia!”
L'enorme sorriso che gli illuminò il volto lasciavano trasparire l'emozione e l'entusiasmo che aveva provato dal primo momento in cui aveva letto con i propri occhi il contenuto della lettera che gli era stata recapitata, lettera che giaceva ancora lì, sul tavolo, e che mostrò agli altri due con estrema soddisfazione; gli diedero il cinque entrambi, uno alla volta, poi Johnny aprì il frigorifero e ne estrasse una bottiglia di vetro verde, certe notizie andavano festeggiate con della birra fredda.
“Tira, avanti,” lo incitò Jimmy, “non si va mica alla Columbia tutti i giorni!”

Il resto della giornata era trascorso tranquillo con un Matt alle prese con gli scatoloni ed i vestiti da sistemare nell'armadio; i suoi genitori non si erano fatti sentire e questo non poteva che giovare al suo buonumore che aumentava esponenzialmente al passare delle ore. Persino il fastidio che aveva provato quando Brian era andato via gli era ormai scivolato addosso e a malapena ne conservava un minimo ricordo; non l'aveva raccontato neanche a Zacky quando era passato a trovarlo, troppo preso com'era da tutte le cose che aveva da dirgli. L'altro ragazzo si era subito appropriato del suo letto e lo aveva osservato mentre sistemava la stanza e non poteva far a meno di prenderlo in giro quando notava l'enorme entusiasmo che aveva nella voce. Gli era dispiaciuto però non aver potuto conoscere Jimmy e Johnny i quali erano entrambi a lavoro, ma ne avrebbe senz'altro avuto l'occasione durante la festa di benvenuto di Matt: era il suo unico vero amico, non avrebbe mai potuto mancare.
Intorno ad ora di cena il ragazzo aveva deciso di rendere onore alla sua prima serata in quella casa con un pacchetto di patatine ed una birra, poi però Johnny fece capolino dalla porta d'ingresso con in mano tre cartoni di pizza.
“Volevi davvero cenare con quelle?” gli chiese subito, con un largo sorriso sulle labbra.
Matt non era riuscito a dire nulla se non a sorridere, sia lui che Jimmy lo conoscevano da appena ventiquattr'ore e sembrava quasi che condividessero lo stesso appartamento da anni; lo si percepiva dai gesti, dal tono della voce, dai sorrisi complici che non avevano bisogno di parole.
Fecero appena in tempo ad apparecchiare la tavola che anche il terzo ragazzo rientrò a casa stanco e sudato, corse ad infilarsi sotto la doccia senza neanche salutare.
“Quindi appena dopo l'estate ci abbandonerai?” chiese Jimmy un paio di ore dopo, quando erano tutti e tre seduti in veranda su tre sedie di plastica bianca. Anche il tavolino era dello stesso materiale, c'era un buco da una parte, ma a loro bastava che mantenesse il posacenere.
Le guance dei ragazzi erano tutte arrossate dall'alcol e dall'umidità, si stava facendo tardi ma la temperatura era a malapena scesa di qualche grado: Huntington Beach non aveva nessuna intenzione di dar tregua ai suoi poveri abitanti disidratati.
“Mi dispiace, ma non posso proprio rinunciare alla Columbia!” rispose l'altro ridendo, prima di far cadere un po' di cenere sui pantaloncini. “Merda, mi cicco sempre addosso.”
Gli altri due ridacchiarono, poi Jimmy si alzò in piedi e tirò su entrambe le braccia per stiracchiarsi.
“Altro giro?”
Johnny fece di sì con la testa mentre Matt decise di passare, d'altronde doveva ancora finire l'altra bottiglia che aveva in mano, ne erano rimasti ancora un paio di sorsi.
Non avevano chiacchierato intensivamente durante la serata o meglio, il nuovo arrivato si sarebbe aspettato una serie di domande infinite sulla sua vita privata che in realtà non erano arrivate; lo avevano lasciato parlare, interagivano e si raccontavano a poco a poco, era come spogliarsi vicendevolmente ma con lentezza, senza la preoccupazione di dover per forza dire qualcosa di cui non si aveva voglia di parlare.
“Jim, tu suoni la chitarra?” domandò Matt ad un certo punto, ricordandosi di aver visto lo strumento nella sua stanza, sul tre piedi.
“Suonare è un parolone, diciamo che la strimpello; suono la batteria... cioè, la suonavo. È ancora dai miei, devo trovare il modo per farla passare dalla porta e, soprattutto, trovarle un posto in casa.”
Rideva Jimmy, lui lo faceva sempre, il suo tono della voce era allegro e coinvolgente, anche la lista della spesa recitata da lui riusciva a strapparti un sorriso. Johnny, nel frattempo, avrebbe voluto dire a Matt che l'altro suonava anche il piano ed un'altra decina di strumenti, ma si limitò a stare zitto perché sapeva che a James non piaceva mettersi in mostra cercando sempre in un modo o nell'altro di sminuirsi.
“Tu invece suoni qualcosa, Jo?”
“Oh sì, il basso, da qualche anno ormai.”
Ad ogni secondo che passava, quella casa gli piaceva sempre di più. Per un attimo Matt ebbe la tentazione di andare nella sua stanza per prendere alcuni degli ultimi testi che aveva scritto così da mostrarli agli altri due, poi però se ne vergognò un po' e decise di lasciar perdere; non permetteva neanche a Zacky di leggerli, non ancora, li trovava continuamente incompleti. E poi non era abituato a farsi guardare dentro in quel modo, arrossiva al solo pensiero.
“Io canto, più o meno. Non ho mai preso lezioni, ma mi hanno detto che me la cavo.”
E alla Columbia avrebbe potuto farlo, avrebbe potuto scrivere e cantare durante il laboratorio di musica, perdersi tutto il giorno tra libri e spartiti.
Non vedeva l'ora.
“Sarebbe un onore poterti ascoltare, Matthew.” disse Jimmy in tono teatrale e con gli occhi lucidi, accennando anche un inchino.
Matt scosse la testa ridendo, i suoi occhi erano lucidi per la birra e ogni cellula del suo corpo si opponeva a quella richiesta: non avrebbe mai cantato davanti a loro, fine della storia.
“Dovrai accontentarti di sentirmi sotto la doccia, scusa amico.”

***

Brian aveva passato tutta la serata con le dita sulle corde, si era dilettato in decine di cover ma senza troppo entusiasmo, in realtà aveva solo aspettato che il tempo passasse e che arrivasse l'ora di rimettere la chitarra nella custodia. Ormai suonava con la luce negli occhi dei primi tempi solo quando era solo, nel silenzio della sua stanza, o in compagnia di Jimmy. Improvvisavano jam session con il batterista che provava a suonare con gli utensili da cucina più disparati. Sentiva quasi di aver perso la motivazione, la voglia di suonare così da raggiungere uno scopo; muoveva le dita sulla tastiera per liberarsi dalle pressione della vita quotidiana, e nient'altro.
Il testo che aveva letto quel giorno però, quello scritto da Matt, lo aveva fatto sentire come se qualcuno gli avesse dato un colpo in testa svegliandolo dal torpore: quelle parole, il ritmo che aveva creato nella sua mente, sembravano avere il sapore della libertà e di una vita che valeva la pena di essere vissuta. Conosceva appena quel ragazzo, aveva avuto la possibilità di leggere solo poche righe, eppure sentiva che c'era tanto lì sotto, lì dentro, che Matt la musica la custodisse davvero.
Non gli era mai capitato di provare stima per musicisti locali della sua età, Jimmy a parte, eppure una parte di lui sentiva che in quel ragazzo si nascondeva una vena artistica che meritava di essere smascherata; d'altronde non era stato preso alla Columbia per niente.
Sorrise amaramente, quando chiuse lo sportello dell'auto di suo padre il quale mise subito in moto per tornare a casa, almeno qualcuno stava correndo verso i propri obiettivi.





 

Corner:

Ed eccoci anche con questo secondo capitolo, finalmente i due si sono incontrati *^* Eravamo tutte ahdbhsbdcyhed per questo capitolo ahahah
Bene, ringraziamo di cuore viriginiaaa e CathleeneGinger6661 per le recensioni lasciateci, in più le tre persone che hanno preferito e le sei che hanno seguito.
Speriamo che sia anche questo capitolo di vostro gradimento, così da continuare al meglio questo percorso autrici-lettrici che si è creato!
Fateci sapere ok? ;)
See you next time!
 

 

   
 
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