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Autore: babykit87l    05/07/2014    2 recensioni
un piccolo momento fluff dei miei adorati Klaine
potrebbe essere la prima OS di una raccolta di OS per cui per ora la lascia aperta poi vedremo ^_^
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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NDA: Ebbene nonostante siano passati secoli, dopo il primo capitolo, sono tornata a occuparmi di questa raccolta. Questa OS in particolare è davvero un esperimento perché non ho mai scritto AU e questa lo è, spero davvero di aver fatto un buon lavoro.
Perché riprenderla adesso?? Per festeggiare una grande donna, che da un po' di tempo mi fa da beta, un vero piccolo angelo a cui voglio un mondo di bene e che oggi compie gli anni. 

 
Nessie86 questa è per te!!!


Because we are endgame and our love is meant to be eternity

 
 


Era davanti a quel foglio bianco da ore. Avrebbe dovuto disegnare un’intera collezione entro una settimana e ancora non aveva tracciato nemmeno una riga. Quel blocco era ancora intonso. Eppure non aveva mai avuto problemi a disegnare, soprattutto i suoi modelli. Quello era il suo campo, lo faceva da una vita. Il più giovane stilista di New York, ricercato e conteso dalle migliori case di moda per il suo talento e il suo estro. Così lo dipingevano, dacché era arrivato.
 
Si era trasferito a New York sette anni prima, appena diplomato, da quella cittadina sperduta in mezzo all’Ohio di nome Lima, scappando da una mentalità ristretta e bigotta, piena di pregiudizi e con uno dei più alti tassi di omofobia di tutti gli Stati Uniti. Approdato nella grande mela, la metropoli che non dorme mai, aveva tirato subito un sospiro di sollievo. Nessuno lo guardava male, nessuno lo insultava o lo spingeva per il gusto di fargli male. Si era sentito per la prima volta libero. Dopo aver trovato un loft, aveva traslocato con la sua amica storica, Rachel Berry, anche lei a New York per studiare nella prestigiosa scuola d’arte della NYADA e insieme avevano arredato l’ambiente. In appena una settimana, attraverso un annuncio letto per caso, era riuscito ad avere un colloquio per un posto da stagista presso niente meno che Vogue.com! Si era subito preparato un portfolio con tutte le sue creazioni, fotografando ogni outfit e si era presentato davanti al gigantesco edificio. Da lì, era stata tutta in discesa: la redattrice capo, Isabelle Wright aveva visto in lui un enorme talento e l’aveva lanciato nel firmamento della moda. In breve, tutti conoscevano i suoi modelli. Tutti lo volevano. Era passato da una casa di moda all’altra, facendosi un nome nell’ambiente e ora, dopo sette anni di duro lavoro, finalmente aveva la possibilità di creare una sua personale collezione, la KH, com’era solito firmarsi, che ne sarebbe diventato il logo.
 
L’unico problema era rappresentato dal fatto che da giorni la sua mente era completamente tabula rasa. A malapena era riuscito a creare un insulso cappellino di una banalità disarmante. Stava iniziando a credere di aver esaurito il suo estro, lavorando per gli altri. No! Così non poteva proprio continuare. Stare chiuso tra quelle quattro mura stava distruggendo la sua creatività. Meglio uscire, si disse, vestendosi al volo e portandosi dietro fogli e matita. Probabilmente stare all’aria aperta, per quanto piena di smog e di rumori molesti, e vedere gente, anche se non riusciva a scorgere un viso amichevole neanche a pagarlo, gli avrebbe riacceso l’inventiva e avrebbe creato nuovamente dei modelli geniali, come quando aveva cominciato.
 
Dopo ore e ore in giro per la città, tra cui una passeggiata a Central Park – che si era rivelata una pessima idea dopo che un carlino fin troppo affettuoso gli si era avventato addosso, sporcandogli gli stivali alti bianchi di Alexander Mcqueen, un piccolo regalo che si era concesso dopo il primo vero stipendio – nessuna idea, nessuna illuminazione l’aveva colto. Forse avrebbe fatto meglio a rimandare la deadline al prossimo mese. O anno.
 
Sconsolato, si stava nuovamente dirigendo verso casa, quando s’imbatté in un piccolo locale, con le vetrate ampie e la luce soffusa che rendeva l’atmosfera calda e intima. Si guardò intorno e si rese conto che c‘era qualcosa di diverso in quel posto. Il palazzo era basso e probabilmente vi era un solo piano sopra il bar ed era incastonato tra due grattacieli, tanto da sembrare una specie di angolo fuori dal tempo e dallo spazio, racchiuso nel centro della città. Decise di entrare e subito assaporò l’aria calda e accogliente di quel paradiso. Le pareti erano color crema e con delle colonne a coprire alcuni angoli, mentre una serie di mattoni copriva la metà bassa; diversi tavolini con alcune sedie, quasi tutte vuote, adornavano il locale semi-deserto. Al lato destro era sistemato il bancone, sul quale posò il blocco, dopo essersi messo seduto su uno sgabello.
 
Diede un’occhiata più approfondita: alle pareti vi erano diversi quadri e di fronte al bancone varie mensole, sulle quali facevano mostra di sé, diverse bottiglie di liquori e altri alcolici. A dispetto di ciò che si sarebbe aspettato da un posto del genere, era tutto molto pulito, sia a terra sia sul piano su cui si era accomodato. Stupito, prese la penna e iniziò ad abbozzare qualche linea senza senso, tanto per vedere se l’ispirazione gli avrebbe fatto visita in quel luogo magico, continuando a scrutare l’ambiente. Lo sconforto che aveva sentito fino a qualche minuto prima stava lasciando il posto a una piacevole sensazione di pace e tranquillità.
 
“Ti piace questo posto?” Una voce dietro di sé lo fece sussultare all’improvviso. La linea che stava tracciando cambiò rotta dallo spavento. “Scusa… Ti ho spaventato?” Kurt si portò la mano sul petto e prese a fare dei respiri profondi, tentando di calmare il battito cardiaco. Alzò lo sguardo verso quella voce e vide un ragazzo, un gran bel ragazzo, anzi probabilmente uno dei più bei ragazzi di New York. Capelli scuri come la pece, con appena una leggera velatura di gel, forse per domare quei ricci ribelli che sembravano incredibilmente morbidi, e due occhi grandi e penetranti, di un colore che Kurt proprio non riusciva a identificare, a prima vista poteva sembrare marrone, ma poi scrutandoli meglio si potevano notare delle sfumature verdi e ocra che rendevano il colore più simile al caramello o al miele. Quegli occhi sembravano nascondere un intero universo al loro interno. Si rese conto che lo stava fissando, quando notò quanto si erano alzate verso l’alto le sue folte sopracciglia, dall’innaturale forma triangolare, segno dello stupore sul suo volto.
 
Forse è meglio rispondere e non rimanere così come un pesce lesso.
 
“È che non ti ho visto arrivare…” Disse poi in un sussurro. L’altro sorrise, permettendo al castano di constatare come il suo sorriso fosse tanto luminoso da illuminare tutto il volto, con labbra carnose, splendide per essere baciate, e una dentatura perfetta, i denti bianchissimi. Era sempre stata una sua fissa quella dei denti: una bella dentatura era segno di cura e attenzione al proprio aspetto e alla propria saluta. Ecco perché si faceva sempre la pulizia ogni sei mesi e si lavava almeno due volte al giorno. Accidenti, stava divagando e non aveva nemmeno sentito quello che il ragazzo gli stava dicendo. Riprenditi Hummel!
 
“Come scusa?” Chiese allora, scuotendo la testa. Il sorriso si allargò ancora di più sul suo viso.
 
“Ho chiesto se vuoi qualcosa da bere…” Ripeté il ragazzo, poggiandosi sul bancone davanti a sé. Solo allora Kurt si accorse che era il barman del locale, aveva persino il grembiule addosso ma era stato talmente abbagliato dalla sua bellezza da aver oscurato tutto il resto.
 
“Sì, g-grazie…” Rispose, arrossendo per la figura che stava facendo. Sicuramente il ragazzo lo considerava un idiota totale.
 
“Che ti faccio?” Kurt spalancò gli occhi, poi li richiuse capendo cosa gli stava chiedendo. Da bere, Kurt, cosa ti fa da bere… Che mi sta succedendo? Di solito era spigliato e aveva imparato a flirtare più che bene, eppure con questo ragazzo non riusciva nemmeno a pensare. Si sentiva come un adolescente alla sua prima cotta.
 
“Quello che vuoi…” Mormorò, imbarazzato. L’altro annuì, poi si voltò e in breve preparò un cocktail. Quando glielo porse, vide che era un Martini bianco con una ciliegina che galleggiava in superficie.
 
“Un Martini?” Chiese, divertito.
 
“Sì! Sai a prima vista sembri uno di quelli che non beve molto, che magari prende uno Shirley Temple, ma ti ho osservato da quando sei entrato e credo tu abbia iniziato così ma vivendo qui hai imparato ad essere un tipo più sofisticato e quindi… Martini!” Kurt lo guardò sorpreso. Non solo perché l’aveva inquadrato alla perfezione, ma perché aveva appena confessato che era stato il soggetto della sua attenzione. Ovviamente non poteva di certo dare a vedere che la cosa lo lusingava.
 
“Io sono sempre stato sofisticato… Ma sono colpito. Non sembri come tutti quei baristi idioti che circolano in locali del genere.”
 
Ed ecco che il Kurt Hummel sarcastico e con la battuta pronta era tornato. Il ragazzo rise di gusto, poggiandosi con i gomiti al bancone. Poi tese una mano verso di lui.
 
“Mi chiamo Blaine!” Il castano guardò quella mano e con un sorriso gliela strinse.
 
“Kurt!”
 
“Allora cosa stavi facendo prima che ti spaventassi?” Kurt abbassò lo sguardo sui suoi fogli, accorgendosi che se ne era completamente dimenticato non appena aveva incontrato quegli occhi incredibili.
 
“Cercavo l’ispirazione per disegnare…” L’altro lo guardò stupito.
 
“Sei un artista?” Chiese, incuriosito.
 
“Più o meno… Sono uno stilista…”
 
“Mmm avrei dovuto capirlo da come sei vestito…” Disse il moro, squadrandolo da dietro il bancone. Kurt si sentì immediatamente giudicato.
 
“Che intendi scusa?” Chiese allora, allarmato e pronto all’attacco.
 
“Intendo che hai dei begli abiti alla moda e si vede che ci tieni al tuo aspetto. Deve essere bello, probabilmente è il lavoro dei tuoi sogni, vero?” Rispose con tono tranquillo. Kurt annuì, tranquillizzandosi subito. Non doveva stare sempre così sulla difensiva.
 
“E tu? Immagino che questa non fosse la tua aspirazione nella vita…” Blaine alzò le spalle, con un sorriso di sbieco.
 
“Mi piace incontrare sempre gente nuova… E poi questo lavoro è temporaneo.” Rispose poi, poggiando la testa sulla mano.
 
“Temporaneo?” La curiosità di Kurt aveva sempre la meglio in questi casi.
 
“Sì! Vorrei vivere della mia musica…” Kurt sussultò al suono di quelle parole.
 
“Sei un musicista?”
 
“Esatto, suono la chitarra e il pianoforte, la batteria e lo xilofono.”
 
“Wow!” Si guardò intorno per vedere se il locale aveva qualche strumento, ma non era uno di quei bar. “Mi piacerebbe sentirti suonare.”
 
“Magari un giorno…” Disse il moro, ammiccando.
 
Rimasero a chiacchierare per ore, parlando di tutto, da argomenti più frivoli – “Game of Thrones è la miglior serie televisiva creata dall’uomo” “Stai scherzando spero? C’è una moria di gente che neanche nel peggior film di guerra. Forse sarò anche un inguaribile romantico ma preferisco le storie d’amore…” – a quelli più profondi – “Essermene andato dall’Ohio è stata la scelta migliore della mia vita, anche se ho dovuto lasciare mio padre e la mia famiglia” “Vorrei avere un rapporto migliore con mio padre, ma non rinnegherò mai il mio essere, solo per questo. Sono fiero di quello che sono!”. Parlare con lui era così facile, così naturale, che gli sembrava di conoscerlo da sempre. Non si accorse nemmeno che era arrivata l’ora della chiusura.
 
“Oddio ti ho fatto perdere tutta la serata a parlare con me, scusa…” Blaine si grattò dietro il collo, un po’ in imbarazzo. Kurt sorrise, trovandolo adorabile.
 
“Non devi chiedere scusa, sono stato bene stasera. Mi hai fatto svagare.”
 
“Ma non hai disegnato neanche un modello…”
 
“Non fa niente… Ho ancora tempo prima della consegna.” In realtà non era vero, ma non sapeva perché ma aveva l’impressione di aver trovato la sua ispirazione.
 
 
***
Quando tornò a casa, prese il blocco da disegno e iniziò a tracciare qualche linea, la mente invasa dalle immagini di quell’angelo dagli occhi di fuoco, Blaine… Dio, era bello persino il suo nome. Ed era così sexy. Disegnò tutta la notte e non appena le prime luci dell’alba apparvero, illuminando il loft, si rese conto di aver creato dei modelli davvero validi. Ed era tutto merito di quel ragazzo. Doveva rivederlo.
 
Quella sera tornò al locale, che scoprì chiamarsi Courage, e si sedette sullo stesso sgabello della sera prima, i fogli sul piano davanti a sé. Si guardò intorno e notò che vi erano molte più persone, probabilmente perché era venerdì, e si sentì un po’ un pesce fuor d’acqua, lì da solo mentre tutti chiacchieravano tra loro e di Blaine nemmeno l’ombra.
 
Poi lo vide e tutto il mondo intorno sparì, i loro occhi incatenati l’uno all’altro. Un sorriso smagliante fece capolino sul volto del moro, il quale, dopo aver pulito uno dei tavoli, si avvicinò, andando dietro il bancone.
 
“Sei tornato…” Kurt annuì, sorridendo a sua volta. Senza nemmeno chiederlo, gli portò la coppetta con il Martini, stavolta però con un’oliva al posto della ciliegia.
 
“Perché l’oliva?” Chiese dopo il primo sorso.
 
“Perché ti piace cambiare.” Rispose prontamente Blaine, con uno sguardo malizioso.
 
Rimasero a chiacchierare esattamente come la sera precedente, anche se ogni tanto il moro dovette allontanarsi per servire qualche cliente. Kurt gli fece vedere ciò che la sera precedente aveva creato e Blaine rimase stupito dalla bravura del ragazzo. Parlarono ancora e ancora. E di nuovo arrivò il momento di chiusura.
 
Andò avanti così per tutta la settimana: ogni sera, Kurt si presentava al bar e rimaneva lì a parlare con Blaine fino alla chiusura del locale; ogni sera Blaine gli preparava un cocktail diverso, stupendolo non poco, e riusciva a strappargli sempre più di un sorriso. Grazie a queste serate, Kurt stava creando una collezione che, a sua insaputa, sarebbe diventata il più grande successo degli ultimi anni e avrebbe fatto parlare di sé per gli anni a venire.
 
Quel mercoledì era la sera prima della consegna e la serata stava passando come sempre, eccetto che Blaine era fin troppo impegnato col lavoro e non riuscivano a parlare se non per pochi secondi. Chissà come mai, quel giorno l’affluenza era davvero tanta e continuò così fino alla chiusura del locale.
 
Uscì insieme a Blaine e quest’ultimo abbassò la serranda del bar, chiudendola con il lucchetto; stavolta però non si separarono lì davanti, ma continuarono a camminare l’uno vicino all’altro, in un tacito accordo, chiacchierando ancora e ancora, come se volessero recuperare il tempo che avevano perso in quella serata. Kurt gli spiegò che era ormai arrivato il grande giorno e sperava che i suoi modelli sarebbero stati apprezzati, Blaine sembrò adombrarsi solo per  qualche secondo ma si riprese e gli assicurò che sarebbe stato un successo, perché aveva potuto appurare quale grande talento fosse. E alla fine si ritrovarono sul portone di casa di Kurt.
 
“Io abito qui” disse indicando il palazzo alle sue spalle.
 
“Bene… Allora, buonanotte?” Non sapeva come mai l’avesse posta come una domanda. L’altro sorrise, abbassando lo sguardo verso i piedi.
 
“Buonanotte!” Rispose il castano, voltandosi e salendo i gradini dello stabile. Stava quasi per entrare quando si sentì afferrare il polso. Si girò di nuovo, trovandosi il viso di Blaine a pochi centimetri dal suo.
 
“Ti rivedrò ancora?” Era solo un sussurro, ma a Kurt sembrò che stesse urlando. Si scoprì non essere in grado di formulare nessuna risposta coerente, così annuì appena. Blaine sorrise e con uno slancio di coraggio che non sapeva nemmeno di avere, poggiò piano le labbra su quelle del ragazzo. Era appena una carezza delicata, non c’erano irruenza o urgenza, solo un lieve sfioramento. Kurt chiuse gli occhi e assaporò quel momento, allacciando le braccia al collo del ragazzo. Mai prima di allora aveva provato sensazioni così intense con qualcuno appena conosciuto, eppure sentiva che quello era ciò che aspettava da sempre.
 
Quando il bacio si interruppe, Blaine gli sfiorò la guancia, leggero. Kurt aprì gli occhi e sorrise.
 
“Mi togli il fiato…” Riuscì a dire, sospirando.
 
“Oh Kurt, è così anche per me…” Gli disse il moro, con un leggero tremore nella voce.
 
“Davvero?” Chiese, continuando a tenere le braccia sulle sue spalle. Blaine annuì, improvvisamente timido.
 
“Kurt, io… Ti cerco da una vita… E ora, eccoti qua…”
 
“Anche io, aspettavo solo te…” Rispose, posando nuovamente le labbra sulle sue.
 
Rimasero ancora per qualche minuto lì, assaporando il sapore dell’altro, poi per Kurt arrivò il momento di salire in casa.
 
“So che ci conosciamo solo da pochi giorni ma… Ti andrebbe di accompagnarmi domani alla mia dimostrazione?” Chiese Kurt, con gli occhi chiusi, pregando perché l’altro accettasse e non pensasse che fosse un folle.
 
“Certo! Mi farebbe piacere…” Rispose Blaine, con un sorriso luminoso.
 
***
La sfilata fu effettivamente un successo. Kurt era al settimo cielo e fu attorniato da giornalisti e stilisti che si complimentarono con lui per l’ottima qualità dei modelli e soprattutto per il colore che aveva proposto, decisamente geniale e audace, chiedendogli cosa lo avesse ispirato e come avesse deciso che quello era la tonalità da usare. Kurt tenne stretta a sé la mano di Blaine e rispose a tutti che era merito del ragazzo che aveva accanto, che era stata la sua ispirazione. Il moro rimase stupito dal sapere di aver contribuito a quelle meravigliose creazioni.
 
A fine serata, quando tornarono all’appartamento di Kurt, erano sdraiati sul divano, intenti a baciarsi e a festeggiare il trionfo del castano, quando quest’ultimo si ricordò di una promessa fatta quella sera in cui si erano incontrati. Si alzò dal divano e trascinò il moro con sé.
 
“Dove mi porti?” Chiese Blaine, divertito e incuriosito. Entrarono in una stanza, dove al centro vi era un enorme pianoforte nero. Gli occhi del ragazzo si allargarono e immediatamente capì.
 
“Mi avevi promesso che mi avresti fatto sentire qualcosa, se avessi avuto uno strumento nelle tue mani.”
 
Blaine si avvicinò al piano, con riverenza e timore, poi si sedette sullo sgabello e sfiorò i tasti. Dopo qualche nota, una melodia ben nota risuonò nella stanza.
 
 
You think I'm pretty without any make-up on
You think I'm funny when I tell the punch line wrong
I know you get me, so I let my walls come down, down
 
 
Kurt trattenne il fiato non appena sentì Blaine cantare. La sua voce era così calda e potente da riscaldare il suo cuore.
 
Before you met me, I was all right
But things were kinda heavy, you brought me to life
Now every February you'll be my valentine, valentine
 
 
Mentre cantava, teneva gli occhi fissi sul ragazzo davanti a lui, cercando di infondergli tutte le emozioni che provava.
 
Let's go all the way tonight
No regrets, just love
We can dance until we die
You and I, will be young forever
 
 
Kurt si avvicinò al pianoforte e iniziò a piangere, perché nessuno aveva mai cantato per lui, nessuno l’aveva mai fatto sentire così, come se valesse davvero qualcosa.
 
You make me feel like I'm living a teenage dream
The way you turn me on, I can't sleep
Let's runaway and don't ever look back
Don't ever look back
 
I'ma get your heart racing in my skin-tight jeans
Be your teenage dream tonight
Let you put your hands on me in my skin-tight jeans
Be your teenage dream tonight
 
Quando la canzone terminò, Blaine si alzò e andò immediatamente a circondargli i fianchi, abbracciandolo stretto.
 
“Grazie” fu il sussurro appena accennato di Kurt, ma tanto basto per Blaine.
 
Forse non sarebbero durati molto, o forse sarebbero stati insieme tutta la vita. Magari ci sarebbero stati litigi e incomprensioni. Sarebbero stati comunque insieme perché si erano trovati e questo era l’importante.
 
   
 
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