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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    05/07/2014    0 recensioni
[Crossover Harry PotterOnce upon a timeDisneyDragon TrainerLe 5 leggendeStand by meSherlock]
Emma Swan non crede nella magia.
Emma Swan non crede assolutamente alla magia.
Allora come è finita nella Scuola di Magia più famosa dell'Inghilterra?
[Partecipa al contest a turni "Un anno speciale a Hogwarts" indetto da Dragone 97]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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Le settimane erano passate, un po’ meno lente e un po’ meno gravi.
Certo, le lezioni erano sempre dannatamente noiose, gli insegnanti pretenziosi nei loro ruoli quanto delle prime donne, e i rapporti di Emma con i Tassorosso erano a livelli catastrofici, tanto che una volta un ragazzo non si era fatto troppi scrupoli a dirle in faccia che lei non si meritava affatto “la loro nobile Casa”. Emma aveva seriamente pensato di dargli un calcio in quel posto, ma Neal aveva tanto insistito perché lo ignorasse.
“Smith è e sarà sempre un cretino”, aveva commentato scuotendo la testa. “Sfracellandogli i gioielli non farai altro che dargli un pretesto per farti mandare dalla McGrannit”.
Ma ora che c’era Neal, con lei, non era più tanto male. Il ragazzo compensava perfettamente i suoi difetti con i suoi pregi, era tanto riflessivo quanto lei era impulsiva e tanto calmo quanto lei era impetuosa. Se lei era troppo arrabbiata per riflettere, Neal era pronto a ricordarle di agire con calma. Se Neal si dimostrava troppo tenero con chi gli ricordava crudelmente che “suo padre l’aveva abbandonato”, Emma era pronta a far emergere il lato selvaggio del ragazzo.
Le sere le passava ormai davanti al fuoco della Sala Comune, seduta su una poltrona con le gambe penzoloni lungo la poltrona troppo alta per lei, a parlare di tutto ciò che le affollava la mente senza filtri. Neal la ascoltava, senza commentare, scuotendo ogni tanto la testa per indicare che aveva capito e invitarla ad andare avanti, fino a che non aveva finito. Poi alzava un angolo della bocca e faceva qualche commento stupido che, però, riusciva sempre a farla sorridere.
Era strano avere qualcuno con cui parlare, e altrettanto strano avere qualcuno di cui sentiva di potersi fidare. Certo, non si era mai del tutto sfogata con lui (le sue difese avevano e avrebbero sempre fatto fatica a crollare) ma era una sensazione piacevole, dopo una giornata passata a scuotere la testa davanti alle più mirabolanti prove che la magia esistesse, conversare con qualcuno che sembrasse, almeno un minimo, normale.
“Come mai non ci credi?” le aveva chiesto una volta Neal, interrompendola per la prima volta da quando si erano incontrati durante una delle sue filippiche.
Emma aveva aggrottato le sopracciglia, indecisa se ridere o meno, e aveva commentato, secca:
“Scherzi? Perché dovrei credere in qualcosa che non esiste?”
Neal aveva alzato le spalle, come chi la sapeva lunga.
“Il fatto che tu sia troppo cocciuta per vedere la verità non la rende meno vera, ti pare?”.
La bambina aveva aperto la bocca, pronta a replicare, ma poi aveva scosso la testa contrariata, senza aggiungere altro.

Era un giorno come tanti, o così sembrava, quando l’aveva scontrato.
Come al solito, era in ritardo. Non che fosse stata una cosa voluta, quella volta: Verne l’aveva trattenuta mezz’ora sulla porta dell’aula di Storia della Magia chiedendole se aveva degli appunti da prestargli.
“Oh, ma andiamo, devi pure averli!”. Il suo tono supplicante le dava enormemente sui nervi, non c’era che dire. Non riusciva a capire come Neal riuscisse a sopportarlo per dieci secondi.
“Spiacente, Tessio” aveva tentato per la millesima volta, il tono ormai ridotto a quello di un padre che canta per la milionesima volta la stessa cantilena a suo figlio o come quello di un insegnante che cerca di far entrare nella testa dei suoi studenti un concetto particolarmente difficile.
“Ma ho bisogno di quegli appunti per la verifica di Storia della Magia di venerdì!!!”. Ora era veramente disperato. Emma non si sarebbe stupita se fosse scoppiato a piangere o cose simili.
“Non potevi farteli da solo, Tessio?”. Era certa che, se non se ne fosse andato al più presto, gli avrebbe spaccato qualcosa in testa. Odiava i ragazzini piagnucolosi.
“Li ho fatti”, aveva spiegato lui, guardandola implorante. “Ma ho dovuto prestarli a Teddy perché ha detto che servivano anche a lui…”
Emma l’aveva guardato come chi fissa un gattino particolarmente stupido.
“Li hai dati… A Duchamp?”
Verne aveva annuito con quell’espressione disperata ancora dipinta sul viso, il labbro proteso in quella richiesta e gli occhi spalancati come quelli di un pesce palla.
Emma aveva annuito, appoggiando la testa allo stipite della porta.
“Sacrosanto, Tessio, non ti facevo così idiota…”.
Emma correva disperata stringendosi i libri al petto, il fiato corto per la velocità a cui stava procedendo. Non avrebbe mai creduto di poter essere così in ritardo in tutta la sua carriera scolastica in quella scuola. Immaginava già il viso di Piton aprirsi in un sorriso crudele mentre la rispediva soddisfatto a Kensington Garden, e il pensiero parve dargli nuova forza: la bambina scattò lesta, tentando di ignorare il dolore al petto…
E poi qualcosa le arrivò addosso, con la forza di un’onda che arriva contro uno scoglio, e la sbalzò a terra con i libri e i fogli degli appunti scritti fitti fitti. Al contatto con il pavimento sentì un tonfo secco, come di qualcosa che si spezzava dolorosamente, e richiuse gli occhi.
Per un istante i suoi sensi furono attutiti completamente dalla sensazione ovattata che la circondava, come una pellicola trasparente. Poi una voce strascicata penetrò la pellicola, e i suoi sensi si riattivarono tutti, mentre qualcuno le chiedeva “Tutto bene?”.
Il palmo bruciava come mille fuochi, e Emma non fu shoccata di vedere un graffio superficiale attraversarlo tutto. Ma non era granché, in fondo. Il danno maggiore doveva essere alla guancia con cui aveva sbattuto a terra, perché quando provò a staccarsi dal pavimento un gemito le uscì dalla gola: era come non avere più pelle a proteggere la bocca, come se la mascella fosse totalmente esposta alle intemperie, come se non ci fosse davvero più una guancia.
Riuscì a girarsi solo dopo alcuni istanti. La prima cosa che entrò nella sua visuale fu una mano tesa verso di lei, decisamente più grande della sua e dall’aria molto più rozza. Le dita erano grosse e coperte di tagli e taglietti vari, come se il suo proprietario se li fosse fatti tentando di usare un rasoio.
La seconda cosa che vide fu un viso: occhi scuri, capelli castani spinti all’indietro, un sorriso sardonico e scaltro di chi se ne frega e ne va fiero. Aveva lo stesso sguardo impertinente di Sherlock, ma al contrario del suo, che era lo sguardo intimidatorio di chi sembrava conoscerla più di quanto lei stessa si conoscesse, quello dello sconosciuto era lo sguardo di chi si sente forte ma in realtà ha ben poco da offrire. Ne aveva conosciuti talmente tanti, all’orfanotrofio…
A quella vista, la rabbia le montò dentro con una forza assurda. Non sapeva perché, ma sentiva già di odiarlo immensamente.
Si alzò in piedi col mento alto e gli occhi infiammati di forza distruttrice, dimenticando il dolore a guancia e mano. Appena vide la sua ferita, il ragazzo fece un passo indietro esclamando scherzoso:
“Whoo! E io che volevo chiederti di uscire con me…”. Tentò una risata, ma Emma non gli diede il tempo di finire: la sua mano partì prima che potesse fermarlo e lasciò l’impronta dello schiaffo sulla pelle del ragazzo.
Emma non si era mai sentita più in collera con qualcuno: l’aveva fatta cadere, e le aveva fatto anche male. E aveva quel dannatissimo sguardo di chi è troppo sicuro di sé, come di un conquistatore che sa già di aver preso la patria prima di averla toccata anche solo col piede. Sentiva il suo corpo tremare tutto come se lo sentisse dal di fuori, e la rabbia infervorarla completamente e bruciare lì, sulla guancia, nel punto dove faceva più male.
Il ragazzo parve rimanere un istante interdetto a quella sua reazione, sfiorandosi anche la pelle vittima dello schiaffo con la mano, ma quando la guardò tutto ciò che fece fu sorridere divertito e produrre un suono rauco e ironico che doveva essere una specie di risata.
“Sei focosa, eh?” commentò, passandosi la lingua sul labbro superiore. Emma notò che c’era un po’ di sangue, e non poté fare a meno di dirsi soddisfatta.
“Bene”, continuò lui, guardandola da capo a piedi e esaminandola con attenzione. “Mi piacciono le focose…”.
Emma tentò di mantenersi calma ma divenne comunque rossa di imbarazzo.
“Sono del primo anno” si affrettò a specificare, premurandosi di tenere il mento ben alto. Probabilmente la sbucciatura sulla guancia non era un bello spettacolo in quel modo, ma era l’unica maniera che Emma conoscesse per mostrarsi superiore a qualcuno.
Con una smorfia di disgusto (probabilmente per la ferita), il ragazzo disse, pensandoci ben bene un istante:
“Beh, non mi fa grandi problemi. Siete molto più interessanti, voi bambine”.
Emma spalancò gli occhi, completamente sconvolta: nessuno le si era mai rivolta così. Kensington Garden non era certo un paradiso di santi, ma era pur sempre un orfanotrofio: era pieno di suore, e qualsiasi volgarità che riuscissero a percepire era tacitata da un ceffone da far volare la testa e un giorno di digiuno. Emma ricordava ancora con chiarezza allucinante il giorno in cui aveva dato della “stronza” a Suor Mary, senza neppure sapere che volesse dire.
Si costrinse a non mostrarsi toccata da quella sua nota di volgarità e gli intimò, con forza:
“Mi hai fatto cadere, chiedimi immediatamente scusa!”.
Il ragazzo non disse nulla, ma iniziò a passarsi pigramente un dito lungo il labbro sanguinante.
“CHIEDI scusa!” esclamò per la seconda volta Emma, infervorata.
Il ragazzo portò le mani avanti e, con tono divertito, le fece notare:
“Ehi, ehi, ehi, ehi! Non ero io quella che correva a duecento all’ora lungo i corridoi”.
Emma era lì lì per controbattere, ma poi lo sguardo del ragazzo la zittì: la guardava come chi guarda una preda succulenta, come chi osserva un pesce comprato al mercato e ne esamina la consistenza. Su quel corpicino di quattordicenne l’effetto era decisamente spassoso.
La bambina si lasciò scappare un sorriso, e il ragazzo sconosciuto fece altrettanto, malizioso.
“Bene…” disse allora, continuando a mantenere quel sorrisetto. “Allora direi che non ci resta che presentarci…”.
Gli tese la mano sana, con lo sguardo più innocente che potesse assumere, e proseguì, melliflua:
“Emma Swan, Tassorosso”.
Il suo tono dolce e zuccheroso pareva aver insospettito il ragazzo, ma l’ombra di dubbio che gli aveva visto negli occhi scomparve un attimo dopo quando lei gli sorrise più provocante che riusciva. Di certo l’effetto doveva essere alquanto comico, ma a Emma non importava. Ciò che contava era che funzionasse.
Il ragazzo parve confortato dal suo sguardo accondiscende: aprì la bocca in un sorriso che mostrò tutti i denti (uno di loro, notò Emma con stupore, era addirittura d’oro) e, porgendole la mano, esclamò:
“Killian Jones, Serpeverde, Battitore di Quidditch e molto amante delle ragazze!”.
Una risatina decisamente ebete gli uscì dalla gola, ma fu subito zittito quando strinse la mano di Emma: una scossa violenta lo percosse tutto da capo a piedi in un singolo istante, e Killian cadde riverso sul pavimento, spiazzato e sconcertato, con la bocca semi aperta e il respiro lento.
Stavolta fu Emma a ridere, avvicinandosi al suo corpo misurando attentamente ogni passo.
“Questi aggeggini…” commentò, mostrandogli con cinismo il palmo: vi era attaccato una specie di bottone, nero e all’apparenza completamente innocente, che Killian non aveva assolutamente notato. “Torna utile averne uno”.
Lo sguardo del Serpeverde andò prima al congegno poi a lei, poi di nuovo al congegno e poi di nuovo a lei. Sembrava così confuso che per un istante a Emma fece pena. Solo per un istante.
Poi una smorfia gli traversò tutto il viso, e la bambina constatò che era effettivamente una specie di sorriso storto.
“Ne hai di frecce al tuo arco, piccola…” commentò, guardandola con ancora una punta di malizia.
Emma si dondolò lievemente sul posto, segretamente gratificata da quello che doveva essere una specie di complimento.
“Sì, beh, non chiamarmi mai più ‘piccola’” lo avvertì lei, mentre Killian tentava di rialzarsi con malagrazia.
Il Serpeverde alzò un sopracciglio.
“Mi fulmineresti ancora con quell’affare?” domandò, sinceramente curioso.
Emma parve rifletterci un istante.
“Mi inventerò qualcosa” terminò infine.
Killian aprì le braccia, con fare teatrale.
“Beh, non mi sorprenderebbe affatto!” terminò, afferrando un libro che gli era evidentemente caduto quando gli era sbattuto contro.
Emma posò lo sguardo sul manuale, immaginandosi già uno dei titoli altisonanti e pomposi che avevano i libri di Neal. Ma non fu il nome ad attirare la sua attenzione.
Da una delle pagine, circospetta, spuntava una pergamena lievemente ingiallita, con disegnata sul bordo quello che sembrava una tarantola gigantesca. Emma aggrottò le sopracciglia, incuriosita come non mai.
“Cos’è?” tentò, indicandola a Killian. Prima che potesse anche capire a cosa di riferisse, l’aveva già afferrata con un singolo movimento del polso dal libro, e la esaminava con gli occhi che correvano da un capo all’altro della carta.
Killian tentò di strappargliela via di mano, con dei “Dai, su!” supplichevoli, ma la bambina era troppo svelta e, con due o tre movimenti delle braccia riuscì a un tempo ad allontanare il ragazzo e a leggere tutto ciò che era scritto sulla pergamena.
Quando alzò lo sguardo dal foglio, gli occhi erano, se possibile, ancora più grandi di quando Killian l’aveva stuzzicata malizioso.
Il Serpeverde si mordicchiò il labbro inferiore, come se fosse imbarazzato, poi giunse le mani, fischiettando e dondolandosi sui talloni. DECISAMENTE imbarazzato.
Emma tenne la pergamena alta sopra la sua testa e, agitandola, chiese con forza:
“Cos’è… QUESTO?”
Killian aprì e richiuse la bocca un paio di volte, come se non sapesse cosa dire. Poi, con quanta più naturalezza aveva esclamò, con finto fare gioioso:
“Il mio progetto su come entrare nella Foresta Proibita, mi pare ovvio”. Lo aveva detto tanto naturalmente che Emma ne rimase più sconcertata che se gli avesse detto una bugia assurda e palesemente falsa.
La bambina guardò più e più volte il foglio, rigirandoselo ben bene tra le mani, con aria semi critica.
“Pfff…” borbottò riconsegnandoglielo, “I miei piani per uscire dall’orfanotrofio erano migliori”.
Killian riafferrò la pergamena e, con tono tagliente, replicò:
“Ma tu non sei mai uscita da quell’orfanotrofio, giusto?”.
Lo sguardo che Emma gli lanciò fu tanto velenoso che il ragazzo alzò le mani come a fargli capire che scherzava.
“Potrei fare veramente meglio” commentò sibilante la bambina, raccogliendo un po’ alla volta i libri.
Killian parve pensarci un istante poi, con naturalezza, le chiese:
“Beh, perché non lo fai, allora?”.
Emma alzò lo sguardo da terra, fissandolo come fosse stato un alieno venuto dallo spazio. Ma il suo sguardo era tremendamente serio.
“Stai scherzando?” chiese, speranzosa quasi che dicesse di sì.
“No”. Era una constatazione sicura, non ironica né scherzosa. Killian le stava semplicemente facendo una proposta.
La bambina aggottò le sopracciglia, confusa.
“Cosa… Cosa dovrei fare, scusa?” domandò, improvvisamente interessata.
Killian unì le mani, come un imprenditore che sta per stipulare un contratto e le spiegò, con calma innaturale:
“Io questo sabato a mezzanotte avevo intenzione di mettere in pratica questo piano, il piano che tu definisci orrendo”. Calcò sulla parola con fare teatrale, ma Emma non mostrò di volersi scusare o di voler commentare ulteriormente su quel punto.
Killian riprese fiato.
“Ti propongo semplicemente di uscire nello stesso giorno dal tuo Dormitorio, di raggiungermi e di unirti a me nella mia esplorazione”. Lo diceva con una sicurezza assolutamente disarmante, quasi spaventosa.
Emma scosse la testa, per nulla convinta.
“Tu sei pazzo” sentenziò infine, prendendo gli ultimi libri da terra e dirigendosi a passo svelto verso l’aula di Piton.
“Può darsi” sentì la voce di Killian dietro di sé che l’immobilizzò sul posto. “Ma non hai detto di no, Swan”.
Emma rimase un attimo immobile, come se stesse riflettendo su qualcosa di importante.
Poi, a passo marziale, ricominciò il suo cammino verso l’aula di Pozioni.
Era assurdo, ma doveva ammettere che per un istante l’idea di entrare con Killian nella Foresta le era sembrata non solo possibile, ma anche allettante.

“TU VUOI FARE COSA?!?!?!”.
La voce di Neal rimbombò per tutta la Sala, e Emma dovette zittirlo intimandogli di fare silenzio. Dal suo posto poco lontano da lei Anna alzò lo sguardo dal testo su cui era china. La bambina le rivolse un sorriso riparatore per tranquillizzarla e quella rispose stirando lievemente le labbra.
L’urlo di Neal aveva attirato anche Belle French al suo tavolo, che rimase a fissarli sconcertati per un attimo anche lei. Al suo sguardo Emma non badò.
Si chinò velocemente verso Neal e, circospetta, spiegò a bassa voce:
“Senti… Io penso che non sarebbe una cattiva idea!”.
“Non una cattiva idea!” esclamò il compagno semi shoccato, alzando di nuovo la voce (Emma lo invitò ad abbassarla con un cenno della mano).
Dal suo posto, al tavolo dei Serpeverde, si udì un commento di Duchamp:
“Ehi, Cassidy!” rimbombò la sua voce nel silenzio della Sala. “La tua ragazza ti eccita o cosa?”.
La sua risata odiosa, quella specie di “eheeheheh” che sembrava un flauto stonato, fu seguita da quella di altri Serpeverde e anche da qualcuno agli altri tavoli. Emma notò con una punta di irritazione che anche Lachance dai Corvonero e Chambers dai Grifondoro si erano uniti a quella risata generale.
Neal divenne rosso fino alla punta delle orecchie, ma non disse nulla.
Emma invece non riuscì a trattenersi.
Si portò le mani alla bocca e, con tutto il fiato che aveva, urlò:
“Ehi, Duchamp!”. L’assenza dei professori parve infonderle ulteriore forza. “Hai controllato mica come sta il tuo flauto? Perché si vede da quaggiù che è moscio come la tua faccia!”
Un coro di “UUUH!” si alzò, incitato dallo stesso Teddy. Il ragazzino rideva sguaiatamente della battuta come fosse stata sua, gli occhi da pazzo che risplendevano dietro gli occhiali.
Emma scosse il capo, soddisfatta, e tornò a sedersi. Non c’era che dire: era bello quando i professori si allontanavano dalla Sala.
Neal, accanto a lei, era diventato lievemente rosso e teneva gli occhi bassi.
“Grazie…” commentò, a voce tanto bassa che Emma non l’avrebbe quasi udito, se non gli fosse stato così vicina.
Lei alzò le spalle, con fare ovvio.
“Quello se la tira da morire” commentò, guardando per un’ultima volta Duchamp al suo tavolo che aveva iniziato una cantilena che pareva da ubriachi.
“Ma Verne è suo amico” sussurrò Neal, come se lo dicesse solo per dire qualcosa.
Emma lo guardò per un istante attonita.
“Tessio… E Duchamp?”
Il Tassorosso annuì, con un sorriso che diceva “non ci credo nemmeno io”.
Emma alzò gli occhi al cielo, con un “Aaaah…” esasperato. Quel ragazzino doveva decisamente trovarsi nuovi amici.
“Comunque”, Neal tossì, tentando di cancellare il rosso sulle sue guance passandosi le mani sul viso. “Come sai che puoi fidarti di quel tipo, quel… Killian?”.
La bambina scosse la testa.
“Non ho detto che mi fido” ribatté, come per precisare. “Ma mi sembra un tipo…”.
Non poteva certo dire “a posto”. Non dopo il modo in cui ci aveva provato con lei. E non poteva neppure dire che fosse incredibilmente simpatico. Se la tirava quasi quanto Duchamp, decisamente.
“… Tosto”, affermò alla fine, sorprendendo sé stessa dicendolo.
Neal la guardò scettico, con l’aria di chi se ne intendeva.
“Tosto?” ripeté, il tono intriso di dubbio.
Lei si affrettò a annuire. Doveva pure trovare qualcosa di positivo in Killian, dato che molto probabilmente si sarebbe infilata nella Foresta Proibita con lui.
Il ragazzo si concentrò per un istante sul suo bicchiere di succo di zucca. Aveva le sopracciglia contratte e gli occhi come immersi in qualche pensiero strano.
“Perché me l’hai detto, Emma?” domandò, senza distogliere lo sguardo dal boccale. “Vuoi che ti dia la mia approvazione o cosa?”.
“Non ho detto questo” gli fece notare lei sicura. Strinse i pugni più forte che poteva, come se solo compiere quel gesto potesse darle abbastanza forza.
“E allora perché sprechi tempo con me, visto che hai già deciso di andare con quel tipo ‘tosto’?”. Il tono di Neal era tagliente come non era mai stato, il suo sguardo freddo e rabbioso a un tempo.
Emma rimase allibita da quella reazione: quando mai il ragazzo si era comportato in modo tanto aggressivo con lei? Quando mai si era permesso di rivolgersi a lei a quel modo? Quando aveva smesso di essere la parte calma tra loro due?
La bambina lo guardò riducendo gli occhi a due fessure minuscole. La rabbia ribolliva in lei con la stessa forza con cui aveva fatto quando aveva scontrato Killian: era la stessa, identica, sensazione a distanza di sole tre o quattro ore. Non si sarebbe mai aspettata di provare qualcosa del genere verso Neal.
“Se vuoi saperlo, te ne ho parlato solo perché volevo sapere cosa tu ne pensassi”. Il suo tono era asciutto e freddo, sebbene la voce le tremasse lievemente. Tentò di mantenerla più calma e neutra possibile mentre continuava, imperterrita:
“Per quanto mi riguarda puoi fare quello che vuoi, Neal” (sul suo nome prese una pausa). “Ma io andrò con Killian, e tu non potrai fare nulla per impedirmelo”.
Detto ciò, si alzò dignitosamente dal tavolo, senza degnare il compagno di uno sguardo, e salì velocemente le scale fino al Dormitorio.

Sabato arrivò anche troppo lentamente per i suoi gusti. Era assurdo quanto il tempo si comportasse male in certe situazioni: tanto più Emma sperava che il giorno prestabilito arrivasse in fretta, tanto più a lungo sembrava protrarsi l’attesa.
Le lezioni divennero, se possibile, un supplizio ancora peggiore, e la bambina le trascorreva osservando ogni strumento che potesse indicare tempo, fossero essi pendole o orologi, e contando i minuti e i secondi che la separavano dalla fine della lezione.
Il compito di Storia della Magia andò malissimo, tanto che perfino Tessio, che era riuscito a recuperare gran parte degli appunti da Lachance (per Emma era ancora un mistero come un ragazzo all’apparenza tanto intelligente potesse essere tanto amico di quel pappamolle e di quel folle di Duchamp) aveva conseguito risultati migliori dei suoi. Ma il suo interesse per le materie era andato scemando ancora di più, e oramai Emma non sentiva più alcun motivo per restare a Hogwarts se non l’uscita che l’aspettava sabato sera.
Lentamente l’idea di quella incursione le era penetrata nella mente, con una velocità sconcertante, e Emma si era trovata più volte a fantasticare su quella mitica meta proibita, su quel luogo misterioso e sul come i produttori di quel programma l’avessero progettata. Certamente doveva essere qualcosa di davvero grandioso e assurdamente pericoloso, se gli era così tassativamente proibito entrarci.
Certo, non poteva contenere creature magiche o pericoli mortali come aveva voluto fargli chiedere quel tizio con la barba il giorno dello Smistamento (oltretutto la barba che Frate Lawrence si metteva per fare Babbo Natale era decisamente più credibile di quella dell’attore), ma doveva esserci sotto qualcosa di grosso, decisamente.
Neal era uscito dalla sua vita con la velocità con cui vi era entrato: le loro serate davanti al caminetto della Sala Comune erano ormai un rito che pareva morto e sepolto, e Emma aveva iniziato a sedersi nella Sala Grande vicino a Anna. La bambina pareva essere estremamente interessata a conoscerla, ma la maggior parte del tempo era lei a parlare mentre Emma si limitava ad ascoltare qualche sprazzo di conversazione.
Dal poco che aveva realmente capito, la Tassorosso aveva una sorella maggiore Serpeverde, di nome Elsa, che però la ignorava stranamente da quando erano piccole. A suo avviso quel periodo a Hogwarts avrebbe potuto riconciliarle, o almeno così sperava lei. Emma non aveva mai trovato il coraggio di dirle che probabilmente il suo sogno non si sarebbe mai avverato.
Alla fine, nonostante tutta l’impazienza e l’ansia che aveva accumulato durante la lunga settimana, alla fine il sabato arrivò.
Per paura di non svegliarsi al giusto orario Emma rimase sveglia tutta la notte, il volto perso nella contemplazione del soffitto, l’adrenalina troppo alta per tentare anche solo di chiudere gli occhi. Sentiva che dormire sarebbe stato impossibile anche se l’avesse voluto.
Mezzanotte arrivò silenziosa e accogliente, come una mamma che accoglie i propri figli.
Lentamente, tenendo le pantofole tra le mani e camminando a piedi scalzi lungo il pavimento freddo (brividi freddi la pervasero tutta), la bambina riuscì ad attraversare il Dormitorio.
Solo quando fu di fronte alla catasta di botti che era l’ingresso della Sala Comune si concesse un sospiro di sollievo: la paura di venire scoperta l’aveva attanagliata ad ogni scricchiolio, ad ogni rumore, ad ogni movimento delle sue compagne.
Tirò fuori la bacchetta con quanta più delicatezza aveva, pronta ad uscire, quando un rumore acuto la fece voltare di scatto. Il suo viso divenne cereo quando si accorse che la porta del Dormitorio dei ragazzi si stava aprendo e un terrore sordo la prese tutta.
“Calma, Emma” si sussurrò, prendendo profondi respiri. Doveva riflettere. Doveva stare calma.
Prima che potesse escogitare qualcosa di decente, una voce familiare sussurrò, in un bisbiglio che rimbombò lungo le pareti, “Sono io”.
Emma spalancò gli occhi riconoscendola.
“Sono qui”.
La bacchetta, che si era alzata automaticamente (che idee idiote che aveva…), si abbassò in fretta.
“Neal?” domandò al buio, aggrottando le sopracciglia.
“Sì…” confermò la voce. La porta si richiuse senza neppure un gemito, e il viso di Neal le apparve, scuro nel buio, sicuro e deciso.
Un sorriso ironico le spuntò sulle labbra.
“Non avevi detto che non saresti venuto?”
Il ragazzo scese le scale con naturalezza, e stranamente non vi fu un solo scricchiolio da quelle.
“Non credo proprio” commentò lui. Ora le era davanti, le mani intrecciate e gli occhi bassi. Nel buio Emma poteva vedere la tunica da notte rossa che lo avvolgeva tutta e che lo faceva sembrare una specie di fantasma.
“Hai detto che potevo fare quello che volevo” sussurrò Neal, il tono tra il sicuro e l’incerto. “E io andrò con te”.
A quelle parole alzò lo sguardo, e Emma vide i suoi occhi brillare per un istante nel buio.
“E tu non potrai fare nulla per impedirmelo”.


Note d'autrice:
E anche questo capitolo è andato, YEAAAAH! Dunque ora mi pare chiaro chi sia il terzo membro del trio, giusto? Bene, questo vi fa capire che succederanno un sacco di casini!!!
In questo capitolo sono riuscita ad infilare anche Chris e Gordie, YEAAAAH!! Probabilmente avranno qualche scenetta, o una specie di "apparizione tributo" come quella di Sherlock e John: li amo troppo quei due ragazzini (gli ho pure dedicato un video, pensate che onore XD).
Mi pare che non ci sia molto da segnalare qui: prossimo capitolo, incursione nella Foresta Proibita. Pregate per me.

(Ah solo questo: nel file originale le "r" di Verne erano in corsivo perché ha la "r" moscia, ma questo cavolo di editor non me le fa mettere...)

 

 

  
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