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Autore: Benio Hanamura    05/07/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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  Il giorno dopo, come da miei propositi, mi diedi da fare sin dal primo mattino: innanzitutto, sebbene ovviamente non ce ne fosse la necessità, tirai fuori i miei kimono ed i miei accessori, e con l’assurdo pretesto che ultimamente avevo lasciato un po’ di disordine nell’armadio e nei cassetti mi misi a risistemare tutto; quindi annunciai che avrei voluto collaborare alla preparazione delle maiko per le prossime danze di primavera: mancava ancora tantissimo tempo, ma giustificai la mia idea col fatto che sicuramente per allora la guerra sarebbe finita e perciò la rappresentazione avrebbe dovuto essere ancora più bella del solito. E poi in quel periodo Keiko, che di solito era la principale organizzatrice, si consumava troppo per l’angoscia per via della partecipazione alla guerra del suo amato, perciò un sostegno le avrebbe fatto piacere: mai avrebbe potuto immaginare Keiko, che mi ringraziò caldamente per la mia offerta di aiuto, quanto bene potessi comprendere i suoi sentimenti!
   La okasan diede di buon grado la sua approvazione, così scongiurai il rischio che quel periodo meno fitto di impegni con i clienti potesse lasciarmi troppo tempo per restare sola con me stessa. Mi piaceva avere a che fare con le apprendiste, soprattutto le più giovani, anche se io non riuscivo mai ad essere troppo severa con loro. Prima o poi anche a me avrebbero potuto affidare l’educazione di una di loro, ma allora come mi sarei comportata? Possibile che sarei stata dura come Kikyo-san? Nel frattempo le bambine ricambiavano la mia simpatia ed io ero loro grata per l’allegria che la loro spensieratezza ancora mi trasmetteva. Nessuna di quelle che erano arrivate dopo di me a quanto pare condividevano un’esperienza come quella mia e di Miyuki: erano giunte all’okiya con la promessa di poter vivere per sempre in un posto caldo ed accogliente dove avrebbero potuto mangiare a sazietà ed avere tanti bei vestiti, ed ora erano felici, entusiaste di ciò che stavano imparando, ed ovviamente non potevano comprendere il dramma che c’era fuori, per via del coinvolgimento del Giappone nella guerra.
   Dopo qualche settimana giunse all’okiya Shinobu, insieme ad alcuni sottotenenti suoi coetanei in occasione della festa di compleanno di un loro superiore ormai troppo anziano per militare in prima linea, che mi riferì che Koji era giunto con i suoi commilitoni il 18 settembre alla baia di Laoshan. Mi espresse il suo profondo rammarico, se fosse stato un po’ meno giovane ed inesperto avrebbe potuto partire anche lui, potendo forse essere d’aiuto al suo amico così come Koji lo era stato per lui nei difficili anni dell’accademia. Ma io gli feci notare quanto dolore ed angoscia avrebbe causato ai suoi nonni, ai quali doveva così tanto. Ormai anche noi due eravamo diventati molto amici, e perciò mi aveva raccontato molte cose di sé, del tragico amore dei suoi genitori costretti a separarsi, dell’abbandono di suo padre poi scomparso all’estero, della sua infanzia, riscaldata dall’amore dei nonni ma comunque triste, ed anche del fatto che aveva una fidanzata, che gli era stata promessa fin dalla sua nascita e che ancora non conosceva. Quella sera anche lui era meno chiacchierone del solito, soprattutto perché era in pena per Koji, che era stato il suo primo vero amico, che non era gentile con lui soltanto per forma o per convenienza, come spesso avveniva fra rampolli di buona famiglia, ma era sempre stato con lui onesto e sincero; e poi taceva anche perché sia  lui che gli altri giovani con lui erano sinceramente rattristati dal fatto di non poter compiere il proprio dovere verso la patria. Ovviamente  come mio dovere io mostravo piena comprensione per ciò che dicevano i nostri ospiti, ma in realtà non riuscivo proprio a condividere certi sentimenti: è bella la lealtà verso il proprio paese, ma addirittura desiderare di combattere, andare al fronte, uccidere e forse farsi uccidere??? Eppure era così: se Shinobu pareva condividere in parte questo mio punto di vista, anche se nemmeno lui avrebbe mai potuto dirlo espressamente soprattutto per via della presenza dei suoi compagni, c’era qualcuno che pareva addirittura frustrato all’idea di doversene restare a casa. Effettivamente questa guerra era vista come un’occasione per il Giappone per poter ampliare la sua influenza politica in Cina, come avevo sentito dire qualche nostro cliente più illustre, che lavorava più a stretto contatto con l’imperatore, ma a quale prezzo? Per fortuna però nemmeno i nostri ospiti di quella sera volevano parlare troppo dell’argomento, che perciò cadde presto proprio grazie al festeggiato, che, da vecchio cliente ed amico della okasan chiese ed ottenne una sua esibizione canora, dopo aver raccontato a noi che eravamo troppo giovani per poterlo sapere, che anche se ormai lei si esibiva di rado, la sua voce era particolarmente apprezzata ai tempi della sua gioventù.
   Nelle settimane successive non ebbi altre notizie di Koji. Tornò qualche militare ferito, ormai non più capace di rendersi utile sul posto, ma trapelava soltanto che si stava ancora combattendo, niente di più. Nemmeno Shinobu si faceva vedere spesso: sapevo però che sempre più spesso era costretto a pernottare in caserma per via degli impegni sempre maggiori e che comunque non era escluso che se le cose si fossero messe male e ci fossero state troppe perdite altri soldati avrebbero potuto essere mandati al fronte per reintegrare le truppe, in casi estremi anche i più giovani ed inesperti.
   Io continuavo ad impegnarmi nelle mie attività quotidiane con tutta me stessa ed a pregare, ed intanto si entrò nel pieno dell’autunno. Alla fine di ottobre si seppe della decisione delle nostre truppe di assaltare Quingdao, il che, trattandosi di una città di mare, avrebbe coinvolto sia la marina che la fanteria: Keiko, più in pena che mai per il suo danna, iniziava davvero a rassegnarsi al peggio, e la sua apatia, anche se mi rattristava in parte mi aiutava, in quanto aumentava il mio carico di lavoro, il che avrebbe contribuito a non far trapelare troppo il mio tormento segreto. La mia unica consulente restava mia sorella, anche se a volte il comportamento di Kiyoko, che era più premurosa del solito nei miei confronti, lasciava intendere che lei sospettasse qualcosa, ma che taceva per non mettermi in imbarazzo.  Anche Koji era lì, a partecipare a quell’attacco su due fronti, magari in una trincea, sotto i bombardamenti, col rischio di morire da un momento all’altro? Chissà cosa stava provando, lui che era sempre stato così sensibile, che quando eravamo al villaggio aveva sempre trattato con tanto rispetto una bambinetta com’ero io allora e non avrebbe fatto male nemmeno ad una mosca! Una volta, anni prima di quando lui mi aveva salvata, lo avevo notato quando aveva difeso un cagnolino, crudelmente maltrattato da un gruppo di ragazzi, per poi tornare a casa vittorioso dopo aver salvato la bestiola ma pesto, dato che due di loro erano più grossi di lui. Koji era fatto così, ed allora mai avrei potuto anche lontanamente immaginare che un giorno sarebbe andato in battaglia, ad uccidere degli uomini, nemmeno per amore della sua patria: cosa stava provando ora? E chissà se ogni tanto pensava a me così come io non potevo smettere di sognarlo tutte le notti, in trepida attesa del suo ritorno… Perché anche se di giorno riuscivo a togliermelo dalla mente a volte per ore lui tornava da me la notte, nelle mie preghiere, nei miei ricordi e nelle mie speranze. Sognavo il giorno in cui si sarebbe ripresentato all’okiya, mostrandomi la medaglia che aveva guadagnato sul campo, diventando un eroe; sognavo il suo colloquio con la okasan alla quale si proponeva come mio danna; sognavo che mi riscattava, tornavamo insieme al villaggio e mi portava a conoscere meglio la sua famiglia che mi accoglieva con la sua stessa dolcezza; sognavo molto altro, anche solo di poter stare ancora fra le sue braccia. Dopo quell’unica volta in camera mia il mio amato non aveva più superato certi limiti con me, per prudenza e per rispetto per la mia posizione: non si era pentito, certo, ma aveva ammesso che eravamo stati incoscienti e subito io non avevo potuto non dargli ragione, ma in compenso al terribile ricordo di Hasegawa-san si era sostituito il suo, dopo la sua partenza più intenso e vivo che mai. Ma oltre a quei sogni che mi rasserenavano c’erano poi sogni di ben altro genere, sogni sulla guerra, le battaglie, le stragi… Ogni volta, al mio risveglio, piacevole o brutto che fosse, sentivo un nodo alla gola, al pensiero che avrei voluto almeno leggere una sua lettera, anche solo per sapere se stava bene, se era vivo!
   Finché una notte fu peggiore delle altre. Mi ero ritirata in camera più stanca che mai, dopo una giornata intensa, in cui oltre alle esercitazioni delle maiko avevo presenziato ad una festicciola. Una serata particolarmente pesante, dato che erano intervenuti solo politici, tutti esaltati dalle prospettive che il successo che stavano avendo i nostri primi interventi militari avrebbe offerto al Giappone ma soprattutto a loro. Non pensavano minimamente al prezzo di sangue che comunque era stato pagato: considerando solo l’affondamento della torpediniera S-90 erano periti più di 200 uomini ed anche il danna di Keiko risultava disperso, e poi sicuramente c’erano le perdite nel fronte di terra…
   “Un prezzo minimo, non è possibile che una guerra non comporti qualche perdita anche dalla parte dei vincitori, ma soprattutto per questi ultimi è un prezzo ben accettabile, perché è compensato dalla gloria, anche per le famiglie dei caduti” aveva commentato uno di loro, quando timidamente gli avevo posto la questione “Ma tu sei solo una ragazzina, non puoi capire queste cose” aveva aggiunto con un tono falsamente bonario, ma la sua risatina sotto i baffi tradiva quanto si sentisse superiore, per via della sua posizione sociale e del fatto che io fossi una donna.
   Ovviamente avevo annuito umilmente in senso di assenso, ma ero particolarmente nauseata, e la fine della festicciola era stata più che mai un sollievo. Fu una di quelle volte in cui mi era stato particolarmente utile il consiglio di Kikyo-san e delle altre geishe anziane, che mi invitavano a vedere quel genere di clienti sgraditi semplicemente come fasci di banconote, e niente di più.
Appena Miyuki mi ebbe aiutata a sciogliere l’obi la congedai e mi abbandonai sul futon ancora semivestita, senza nemmeno infilarmi dentro, e crollai dalla stanchezza. Come sempre rividi Koji, bello e radioso com’era quell’alba al villaggio, quando mi ero ripresa dalla mia malattia dopo il suo salvataggio, ed io lo avevo visto correre lungo il sentiero vicino casa mia e l’avevo fermato per ringraziarlo. Mi tendeva la mano, io la presi, e lui mi condusse al piccolo tempio, dove tutto era pronto per il nostro matrimonio. C’erano le nostre famiglie, c’era persino Aiko, anche se la vedevo ancora come il giorno in cui era partita per sempre dalla nostra casa, una splendida bambina di 9 anni. Ma non mi sembrò strano, ero troppo presa dalla mia felicità di vedere il mio desiderio di sempre che si stava realizzando: tutto era perfetto, il triste passato era alle spalle… Il celebrante ci invitò a pronunciare i voti nuziali ed iniziò Koji, mentre io, dopo aver chiuso gli occhi, raccoglievo le forze perché anche la mia voce uscisse chiara, senza bloccarsi a causa della troppa emozione, ed aspettavo solo di ricevere anch’io la fatidica domanda. Ce la facevo, solo quelle poche parole e poi lui sarebbe stato finalmente mio marito, per sempre! Invece fu la voce di Koji a bloccarsi di colpo, a strozzarsi… Subito riaprii gli occhi, anche per via delle urla che sentii alle mie spalle, dai posti degli invitati, ed allora fu l’orrore: Koji stava in piedi a stento, si teneva il petto, dove una ferita da arma da fuoco si allargava a vista d’occhio; la divisa, prima nuova e pulita, era a brandelli, impiastricciata di terriccio frammisto a sangue. Quando tentò di risollevare il viso verso di me e di sussurrare il mio nome un vistoso rivolo di sangue gli scese da un angolo della bocca e subito dopo mi crollò fra le braccia, mentre il tempio, e tutto là intorno man mano si trasformava in un enorme campo di battaglia, con morti ovunque: ero sola lì in mezzo, impossibilitata a correre a causa del peso del corpo ormai senza vita di Koji; tentavo di urlare, ma la voce non mi usciva…


 Note: 
 Torpediniera S-90: Il 17 agosto 1914, la torpediniera S-90 salpò da Tsingtao e, con un singolo siluro, riuscì ad affondare l'incrociatore giapponese Takachiho, dal dislocamento di 3.000 tonnellate. Nell'affondamento perirono 271 uomini di equipaggio. Tuttavia, l'S-90 non fu in grado di superare il blocco navale, e venne autoaffondato dall'equipaggio in acque cinesi, a causa dell'esaurimento del carburante.
 
Obi:  è una fusciacca o cintura tipica giapponese indossata principalmente con i kimono  sia da uomini che da donne.
Questa cintura nacque nel periodo Kamakura (1185-1333) grazie all'abbandono da parte della donna degli hakama (pantaloni larghi indossati sotto il kimono) e dunque all'allungamento del kosode (kimono a maniche corte) che rimanendo aperto nella parte anteriore aveva bisogno di una cintura che lo tenesse fermo. L'obi si evolse durante il periodo Edo, in quanto la nuova corrente artistica d'abbigliamento imponeva su alcuni modelli di kimono delle maniche molte lunghe e larghe che cambiavano le proporzioni all'abito; in questo modo l'Obi crebbe sempre di più fino ad impedire i movimenti alle donne che con il passare del tempo lo fecero scivolare nella parte posteriore dell'abito, dove si standardizzò nel XX secolo.

 
  
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