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Autore: fakeasmileandcarryon    10/07/2014    2 recensioni
Lei ha perso se stessa.
Lui aveva riposto la sua anima in lei.
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«Io non mi ci riconosco in tutto questo, io non so cosa sono diventata in quest’ultimo anno. [...] Mi sono risvegliata e non ricordavo più come fossi finita lì. Perciò non venitemi a dire che sto bene, che passerà, che ho perso solo un anno di un’intera vita. Non voglio sentire niente. Io sto male.»
[...]
Chi sono? Che fine ha fatto la Amberlee Walker che ero un anno fa?
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 1
I woke up with amnesia



Gennaio, un anno prima.
POV Amberlee
«Ecco questa è la mia camera, anche se ancora per poco spero, io e Jared contiamo di andare a convivere dopo la laurea.. In ogni caso laggiù c’è la stanza dei nostri genitori, lì le scale che portano in mansarda..»
Mia sorella Christine continua ad illustrarmi ogni angolo della casa, indicando ogni porta, muro e finestra.
Anche se, in realtà, questa casa la ricordo benissimo. Purtroppo, alcuni degli ultimi ricordi che ho sono proprio il trasloco in questa villetta, l’odio che avevo provato nei confronti dei miei genitori per avermi trascinato via dalla mia vita a Perth e costretto a frequentare l’ultimo anno di superiori in un college cristiano qui a Sydney.
Perciò ricordo benissimo che, proprio dietro le mie spalle, si trova la mia stanza, il mio unico rifugio in quella gabbia, il mio piccolo mondo.
Girandomi resto un attimo interdetta nel non ritrovare il cartello di divieto di transito che avevo appeso sulla porta, in segno di sfida, appena ero arrivata. Probabilmente, in quell’anno, col tempo, l’avevo trovato un po’ ridicolo.
Lentamente inizio a muovere dei passi verso la camera, istintivamente, mentre Christine continua indisturbata a raccontare i diversi dettagli sul problema che, a quanto pare, avevamo avuto due mesi fa con le tubature nel bagno degli ospiti.
Allungo una mano tremolante verso la maniglia. Chissà se rimettere piede su quella moquette significherà essere assalita da ricordi.
Indugio un attimo sul pomello, in lontananza mi arriva la voce di Christine che, senza accorgersi di nulla, è passata ad elencare i nomi dei venti giardinieri che mamma ha licenziato in quest’anno. Provo ad ascoltarla per un attimo, senza capire come sia arrivata a parlare del giardino.
Finalmente prendo coraggio ed apro la porta.
Resto impietrita nel vedere l’interno. Questa non può essere la mia camera.
Non c’è colore, il bianco e il nero prevalgono, qua e in là giusto qualche sfumatura di grigio. Dove ricordavo esserci il letto con la trapunta a chiazze colorate che tanto amavo ora ce n’è uno rivestito da un noioso copriletto a righe. La scrivania è svuotata dalle mille cianfrusaglie per far spazio a due pile di libri scolastici accanto al portatile. Nessun cd in vista, nessun romanzo. La luce d'estate australiana che entrava dalla finestra è una nota di colore che sembra essere fuori posto.
Superato lo shock iniziale, entro nella camera e mi guardo meglio intorno, nel tentativo di capire dove di stiano nascondendo le mie vere cose.
Noto con disgusto, su una mensola sopra il letto, una foto di famiglia, dove sorridiamo vicino all’albero di Natale, ed accanto una foto di me e Christine da bimbe che giocavamo felici su una spiaggia a Perth. Dove erano finite le mie foto? Tutte le foto dei vecchi amici con cui avevo riempito quasi un’intera parete, come a volerli avere ancora accanto, dove erano? Al loro posto ora c’era uno stemma universitario. Ma soprattutto, dove erano le foto di quell’anno buio appena passato? Possibile che, nell’arco di un anno, io non abbia fatto nemmeno una foto da poi attaccare ad un’altra parete? Io che starei sempre con la macchina fotografica in mano?
Sento Christine in corridoio interrompere il suo monologo ed un attimo dopo appare sulla porta con aria preoccupata.
«Oh, volevo prepararti in qualche modo a.. – fa una pausa ed indica la stanza alzando le braccia con fare teatrale – ..questo» conclude.
La vedo analizzare la mia espressione terrorizzata. Fa qualche passo verso di me, si avvicina e posa le sue mani sulle mie spalle.
«Questo è stato un anno ricco di cambiamenti per te e sei partita a rivoluzionare il tutto proprio dalla tua camera. So che negli ultimi giorni di cui hai ricordi questa camera era caotica e dispersiva, – continua –  ma il tuo mondo è cambiato, hai rimesso in ordine le tue priorità: ti sei riavvicinata alla famiglia, dopo il trasloco ti ci è voluto un po’ ma hai compreso di nuovo il significato dell’essere uniti e volersi bene» Trattengo una smorfia a queste parole e la lascio continuare.  «Ti sei diplomata con ottimi voti, hai fatto carte false per essere ammessa all’università e ti hanno accettata. Hai deciso di studiare medicina, vuoi  diventare dottore proprio come nostro padre. In un solo anno sei riuscita a diventare il piccolo orgoglio della famiglia. Proprio non ti ricordi nulla?»
Stringe la presa e resta a guardarmi, ora con aria compassionevole.
Mi allontano da lei e le do le spalle. Non voglio la compassione di nessuno.
Resto a pensare alle parole di Christine, al breve riassunto di quell’anno. Ora si spiega lo stemma della Melbourne University appeso alla parete e il “bel” quadretto familiare di Natale, in cui sembro quasi felice. Sono diventata veramente questo? Mi sono omologata, aggiunta alla catena di montaggio della famiglia Walker?
Dietro di me sento mia sorella attendere, mi giro a guardarla e lei mi sorride paziente, comprensiva.
Dove era finita la Christine che odiavo e con la quale non riuscivo a stare nella stessa stanza per più di due decimi di secondo?
Cavolo, le cose sono veramente cambiate?
Prendo coraggio e faccio un bel respiro prima di parlare.
«Ho il vuoto, totale. Non ricordo più nulla dell’anno passato. Ricordo il trasferimento, le litigate con mamma, le porte che sbattevano e io che mi rintanavo qui ad ascoltare musica mentre riguardavo le foto degli amici di Perth. Mi ricordo la sera prima del primo giorno di scuola, l’ansia per i nuovi compagni, il piano di fuga che avevo escogitato prima di dormire, sapendo che poi non l’avrei messo in atto. Ma se provo a pensare al giorno seguente, ho solo ricordi confusi della colazione, della mia maglia preferita che avevo messo come porta fortuna, per poi ricordarmi di quell’oscena divisa che dovevo indossare. E poi diventa tutto nero.»
Mi fermo per riprendere fiato e mi siedo per affrontare meglio l’ultima parte del racconto, prima che le vertigini mi assalgano. Christine mi affianca sul letto, carezzandomi la schiena con una mano.
«L’ultimo ricordo in assoluto, il più recente, prima del risveglio in ospedale, è quello di due settimane fa, qualche giorno dopo il diploma. Ho quest’immagine di me, mentre guido, la pioggia che batte sul parabrezza e le lacrime che scendono a dirotto. Ero distrutta, ma non riesco a ricordare per quale motivo. Ricordo di aver perso il controllo mentre cercavo di calmarmi. Ricordo di aver provato a riprendere il volante. Io volevo fare qualcosa ma ero impotente, la macchina stava già finendo fuori strada. Poi di nuovo il vuoto. Ma a ripensarci riaffiora quel dolore, il dolore di quella sera. Ora lo trovo insensato, non ne conosco più la causa»
Mi porto una mano al petto e mi accorgo di tremare.
«He-hey..  E’ tutto apposto ora, siamo qui, stai bene. E’ un nuovo inizio, puoi riprendere in mano la tua vita»
Sento la mano di Christine intensificare le carezze sulla mia schiena.
Scatto in piedi, ancora scossa dal fiume di parole che sono uscite dalla mia bocca un secondo fa. Ma ora fremo di rabbia.
«Quale vita? Quale? Io non mi ci riconosco in tutto questo, io non so cosa sono diventata in quest’ultimo anno. Non so come ho affrontato il college, se ho fatto amicizie e con chi. Non so quando ho deciso di diventare un dottore e tanto meno come. – non riesco a contenere le urla – Mi sono risvegliata e non ricordavo più come fossi finita lì. Perciò non venitemi a dire che sto bene, che passerà, che ho perso solo un anno di un’intera vita. Non voglio sentire niente. Io sto male.»
Christine era sconvolta quanto me.
«Calmati – i suoi occhi mi implorano, terrorizzati – è una forma di amnesia retrograda, i dottori dicono che..»
«Lo so quello che dicono i dottori. Dicono che è solo transitoria, che posso recuperare tutto, ma non ci credo. Come è possibile? Io vedo solo nero.» urlo senza lasciarla finire.
Cerco di calmarmi. «La mia testa è solo nero» sussurro infine, concludendo lo sfogo.
Sento il bisogno di stare sola, di uscire da quella camera che sento non appartenermi.
La porta del bagno è la prima via di fuga che vedo. Me la sbatto alle spalle e resto appoggiata ad essa per un po’.
Christine oltre la parete dice che mi lascia sola e poi la sento uscire dalla stanza. Nella mia testa la ringrazio per questo e, per quanto io posso ricordare, sono sicura sia la prima volta che le sono grata per qualcosa.
Quasi spaventata mi avvicino allo specchio e guardo la mia immagine riflessa per un po’.
Osservo i capelli castani scendere ad onde fin sotto le spalle, il collo delicato, le labbra carnose e il naso perfetto se non per quella piccola inclinazione a causa della botta da bimba. I miei occhi color cioccolato sembrano di vetro, vuoti. Poi noto un particolare nuovo, sulla fronte ora è comparsa una minuscola cicatrice, poco sopra il sopracciglio destro, segno dell’incidente.
Almeno allo specchio questo è l’unico particolare che ho impiegato un attimo a riconoscere.
Fuori da questo bagno, invece, ho una vita intera di decisioni a me estranee da decifrare.
Provo di nuovo a sforzare il mio cervello. Ma niente. Faccio un ultimo tentativo massaggiandomi le tempie. Nei film americani, quando arrivano a grandi conclusioni e fanno scoperte colossali, hanno sempre le mani sulle tempie. Ma niente di nuovo.
Nella mia testa si susseguono tutti i ricordi da bimba viziata, poi quelli da adolescente ribelle, che prende coscienza di quello che veramente è e di quello che vuole essere. Mi tornano in mente la scuola a Perth, i miei compagni di classe, i professori che odiavo e che odiavano me, la mia migliore amica, il mio primo fidanzatino all’asilo e l’ultimo poco prima di andarmene, la mia famiglia disgustosamente ricca e con la reputazione da mantenere che cercava in ogni modo di non farmi vedere quel cattivo ragazzo, facendomelo piacere sempre di più. Poi, di nuovo, ripenso al trasloco, all’odio crescente per i miei, ai primi giorni a Sydney a fine agosto, ai giri nel quartiere pieno di figli di papà, la ricerca disperata di gente simpatica, l’ansia per il college il primo giorno dell’anno scolastico. Ma non riesco a ricordare di averci mai messo piede in quella dannata scuola. Per un intero anno nella mia testa c’è solo buio, fino ad arrivare a quel secondo prima l’incidente.
Come torno con la mente a quell’attimo, sento di nuovo un peso sul petto.
Mi costringo a pensare ad altro per non sentirmi male.
Per quanto mi scocci ammetterlo, ho un’unica soluzione: la mia famiglia. Nonostante l’ultimo sentimento che ricordo di aver provato per loro sia l’odio, a quanto pare le cose in quest’anno buio sono cambiate. E, in ogni caso, sono le uniche persone che so per certo di conoscere in questa città. Che lo voglia o meno, sono le uniche persone che ricordo di conoscere in grado di rispondere alle mie domande.
Chi sono? Che fine ha fatto la Amberlee Walker che ero un anno fa?
 



 

Lalala
Salve a tutti.
Eccomi qua con l'inizio della mia prima storia.
Le altre due che avevo pubblicato erano tutte OS e devo dire che
sono un po' emozionata a pubblicare questo capitolo.
Dal prossimo ci saranno anche i ragazzi, questo è incentrato esclusivamente
sulla protagonista femminile della storia.
Non vedo l'ora di leggere cosa ne pensate, spero
ci sia qualche anima pia disposta a recensire e darmi qualche parere.
Premetto che prima di scrivere mi sono fatta una piccola cultura
sull'Australia, innamorandomene, per attenermi il più possibile
alla vita lì e, anche se mi scombussola un po' pensare all'estate
in gennaio, farò del mio meglio per rendere il tutto più verosimile possibile.
Ora la smetto di parlare e lascio parlare voi.
-
Arianna.

P.S.: ultimissima cosa, per chi se lo chiedesse
ho cambiato nick, ero AriCullen, autrice
di "Kiss me", su Luke Hemmings, e di
"How I met your mother", su Conor Maynard.
  
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