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Autore: Misukichan    12/07/2014    2 recensioni
Jennifer, ragazzina di quasi sedici anni, vuole staccare dalla sua vita in California. Non sopporta i burrascosi rapporti con i coetanei, ha solo bisogno di un estate diversa. I suoi le permettono un viaggio a Miami, per dimostrare la sua autonomia e maturità. Presto, però, si accorge che qualcuno di non desiderato si trova proprio a Miami, e comincia a stravolgerle i piani.
«Non sai nemmeno dove siamo, non è buffo?» parla con la bocca piena.
«No, non è buffo per niente. Ti hanno mai insegnato a non parlare con la bocca piena?»
«Sì, mamma.»
«Ok, va bene, hai vinto, cosa devo fare per sapere...?»
«Ti porto a casa io» vengo interrotta bruscamente.
«Sei proprio u-un...»
Ride e mangia il panino. «Ne vuoi un po'?» Ho fame, ma non accetterei un panino da lui neanche sotto tortura. (capitolo 5).
«stai scherzando, vero?» dice lei seria.
«no, quando mi sono alzata mi sono ritrovata nel letto di casa sua. Era piuttosto seccato di aver scoperto che quella che ha recuperato ero io» dico con nonchalance, «magari si aspettava qualche affascinante donzella» sorrido tra me.
«ma, non è niente di grave, giusto?»
«no, solo qualche botta» (capitolo 9).
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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3. Un brutto incidente




La mattina dopo, sto leggendo l'ultimo messaggio che Kandy, la ragazza dell'aereo, mi ha inviato. Ci siamo incontrate ieri sera nella hall dell'hotel e abbiamo passato una serata in compagnia a bordo piscina.

Mi creo un piano ben strutturato per la giornata: la colazione sta al primo posto, poi un uscita in spiaggia e per ultimo un giro per Miami beach e le sue principali attrattive, se magari mi avanza tempo, andrò a fare un tour in pullman, completo di ombrellini per il sole.

A colazione ho tempo di ringraziare Harry della sua generosità di ieri, e saluto anche gli altri amici, declinando tutte gli inviti per quel giorno.

Presa la borsetta, il telo da mare, il cappellino e gli occhiali mi avvio per il lungo mare: un bel giro per la costa è proprio ciò che mi ci vuole.

L'aria è straordinariamente fresca, sta mattina.

I lidi della spiaggia sono diversamente quasi vuoti, decido di godermi al massimo la passeggiata. Mi osservo intorno, in lontananza, nella parte al limite d'estremità del golfo pieno di lidi scorgo un bellissimo ramo di scogli che si spinge in un punto più lontano dalla spiaggia.

Decido di andarci, sono curiosa poiché non sono mai salita su degli scogli, voglio osservare i colori della spiaggia da lontano e il panorama che i colori degli ombrelloni formano.

La strada è parecchio lunga, arrivo perfino in un punto completamente isolato, sono sola, poi ritorna la spiaggia piena di lidi e poi di nuovo sola; finalmente ci arrivo. Gli scogli sono più lontani di quanto avevo calcolato prima della partenza, ma adesso non voglio arrendermi così facilmente.

Comincio a saltellare su quella moltitudine di sassi caldi conficcati nella pietra, quelle spesse rocce color grigio misto al verde delle alghe.

Quando dopo un pochino di tempo mi giro indietro, mi accorgo di essere andata davvero molto al largo; Gli ombrelloni si vedono piccoli come lo spessore di un dito, il leggero venticello mi accarezza i capelli castani, sciolti, lunghi.

Osservo l'effetto che la luce crea a contatto con il mare, al largo: un trilione di brillantini splendono sulla superficie, sembra un mare di cristallo. Voglio toccare l'acqua con un dito, all'estremità degli scogli mi sporgo un attimo, mi sembra quasi di volare. E' una sensazione bellissima, di libertà, adrenalina, pericolo.

Il sangue pulsa e il cuore batte, sono immersa nelle sensazioni di piacere che mi invadono dalla testa ai piedi. Il grosso cappello che fino ad adesso mi ha coperta e protetta dal sole vola via.

Prima che mi scappi via, mi sporgo più del dovuto dallo scoglio su cui mi sono appostata per godermi lo spettacolo naturale, afferro il cappello e... perdo l'equilibrio.

Lancio un urlo e precipito in acqua, picchiando una gamba e un braccio contro alla parete dello scoglio.

Non penso a niente, vedo solo una forte luce e una stretta allo stomaco mi fa piegare dal dolore.

Sono in preda all'ansia, con gli occhi chiusi, stretti, mi sento cadere in acqua ed è come se tante lame fredde mi attraversassero il corpo. L'acqua è profonda, non tocco, affondo e poi riemergo in superficie.

Vado in confusione, apro leggermente gli occhi e l'ultima cosa che vedo, sfocatamente, è un ragazzo con i capelli scuri e gli occhi brillanti che sta per cadere dagli scogli, anche lui come me.

Vorrei aiutarlo, ma non riesco nemmeno ad aiutare me stessa...

-

«Ma che diavolo.. è assurdo! Ci mancava solo questo!» E' una voce forte, un po' infantile, da ragazzo a svegliarmi. La mia bocca è pastosa e gli occhi bruciano, come dopo la fine di una maratona al sole, il mio corpo fatica a muoversi, è tutto raggrinzito.

Apro gli occhi. Cos'è questa sensazione di gelo, di freddo?

Alzo la testa, ho una gamba fasciata e nell'altra vedo un grande ematoma nero. Un ragazzo che non conosco sta per mettermi sopra del ghiaccio, io urlo dal dolore.

Ho mal di testa, mi fanno male entrambe le gambe e, quando mi osservo bene, scopro di avere anche un braccio pieno di sangue e tagli.

«Cosa succede?» chiedo in preda all'ansia. Non riesco a ricordare gli eventi delle ultime dodici ore.

«Sei caduta dallo scoglio, cosa vuoi che sia successo?» la voce è parecchio seccata e stranamente familiare.

«Chi sei?»

«ah ah ah, divertente» mi guarda storto, non capisco.

Lo guardo meglio, metto a fuoco... e quasi desidero cadere ancora dallo scoglio piuttosto che credere a quello che i miei occhi stanno vedendo.

Non ci credo, non ci voglio credere. Ho appena connesso il cervello agli impulsi che i miei occhi hanno ricevuto. Avrei preferito sul serio morire cadendo dagli scogli, qualche ora fa.

«Ma dove sono? E tu che ci fai qui?» cerco di non pensare troppo alla situazione, di non vederla così tragica. Spero con tutto il mio cuore di non essere in California, di nuovo.

«Vorrei farmi la stessa domanda, cosa ci faccio qui? E per rispondere alla tua prima, ti trovi nella mia stanza. Dopo essermi buttato nell'acqua per recuperarti ti ho portato all'ospedale, devo dire che è stato uno shock vedere che sei tu, ma di sicuro non potevo lasciarti affogare. Così ti ho portato e me ne sono andato, ma la sera i medici mi hanno chiamato e mi hanno detto di portarti a casa, così ora sei qui, e io in questo momento potrei essere in giro a divertirmi con gli amici, ma no. Devo fare la mamma. » la voce di Jack è parecchio irritata, direi quasi, furiosa.

«Intendevo, cosa ci fai a Miami?» mi guarda storto.

«Sì da il caso che abbia deciso di passare le vacanze qui» risponde come se paresse ovvio.

«Ora mi chiedo, che ci fai qui tu invece?» mi chiede sarcastico.

«Sono qui per lo stesso tuo motivo»

«Ah fantastico allora. La prossima volta potresti essere un po' meno masochista ed evitare di lanciarti da uno scoglio se nemmeno sei capace di nuotare, che ne dici?»

Mi metto a sedere e lo guardo torva, i suoi toni mi hanno stancata.

«Senti tu, guarda che non sei obbligato a tenermi qua rinchiusa in questa stanza, ora che sto bene posso benissimo andarmene.»

«Grazie Santi, per aver ascoltato le mie preghiere!» mi risponde e si alza dalla sedia.

La stanza è al buio, fuori si vedono le stelle e i grattacieli alti. La camera da letto è molto grande e un po' disordinata, deve essere sicuramente di Jack.

Io sono sdraiata su un letto matrimoniale, è sicuramente il suo perché il cuscino ha il suo profumo.

«La vuoi smettere di spogliare la mia stanza con gli occhi? Non è un Hotel. Non dovresti nemmeno essere qua.»

«Scusa eh, ma ti vuoi calmare un attimo? Capisco che ti sto rovinando una serata, però potresti essere anche un po' più gentile! Va be, non mi interessa. Adesso chiamo Kandy così mi viene a prendere e non avrò più niente a che fare con te per il resto della giornata. Volevo dire vacanza. Anzi, vita!»

«Ti porto a casa io.»

«Toglitelo dalla testa, dov'è il mio cellulare?»

«Ti porto a casa io, non posso lasciare una bambina quindicenne in giro con sconosciuti.»

«Sconosciuti? E' una mia amica, sei più sconosciuto tu di lei. Non sono una bambina.»

Si avvicina al comodino e prende il mio affarino digitale, poi me lo butta sul letto e io lo prendo.

Sul display sono segnate 34 chiamate perse, oddio.

«Non avranno mica avvisato i miei genitori dell'incidente, vero?»

«Sei minorenne, non pretendere di risolvere i tuoi problemi da sola.»

«Ah, tu invece sei grande? Guarda che hai due anni in più di me!»

«Tre anni in più di te, in settimana ne compio diciotto, e sarò maggiorenne, altrimenti non mi avrebbero scassato per riportarti a casa. Sarebbe stata una fortuna, in effetti.»

«Io quest'anno ne compio sedici!» rispondo alterata. Chissà i miei genitori come saranno preoccupati, vorranno riportarmi a casa.

«Va bene, comunque non hanno avvertito i tuoi genitori.» mi risponde.

«Ti diverti a farmi preoccupare?» prendo il primo cuscino che trovo e glielo scaglio in faccia. Questo lo prende al volo e lo posa sulla sedia.

«Basta chiacchiere.» si gira per andarsene e trattiene una risata.

Sono rossa dalla rabbia. Che lunatico!

Una discussione da bambini di 6 anni.

Io, intanto, cerco il numero di Kandy tra i miei contatti.

Ma che diavolo. Perchè a me? Lo scopo della mia vacanza...

Kandy risponde: «Jenny! Ma dove diavolo sei finita? Avevi detto saresti passata stamattina sul tardi» la sua voce è veramente preoccupata; In sottofondo si sente la voce di Luke.

«Hey Kandy, è successo un casino, ti spiego tutto quando saremo in Hotel, ora ho da chiederti un favore enorme.»

«Dimmi tutto, vuoi che ti venga a prendere da qualche parte?»

«Esattamente.»

«Ok, dimmi dove sei»

«Sono.... non lo so dove sono! Aspetta...» rispondo mentre scendo dal letto, ho indosso ancora i vestiti della sera prima, asciutti però.

«Come? Non sai dove sei?» il suo tono di voce si è alzato di qualche ottava.

«No, sono sotto una specie di sequestro da parte di un cretino.»

«Che stai dicendo?»

«Ti spiego tutto più tardi.»

Intanto Jack è rientrato nella stanza con un mega panino farcito ripieno di... qualche cosa.

«Non sai nemmeno dove siamo, non è buffo?» parla con la bocca piena.

«No, non è buffo per niente. Ti hanno mai insegnato a non parlare con la bocca piena?»

«Sì, mamma.»

«Ok, va bene, hai vinto, cosa devo fare per sapere...»

«Ti porto a casa io» vengo interrotta bruscamente.

«Sei proprio u-un...»

Ride e mangia il panino. «Ne vuoi un po'?» Ho fame, ma non accetterei un panino da lui neanche sotto tortura, se significa dargliela vinta.

«Kandy, non mi vuole dire dove sono, temo che dovrò farmi portare a casa da lui.» riprendo a parlare al telefono.

«Ma sai almeno chi è?»

«S..sì, più o meno, è uno che conosco da parecchio tempo.»

«Va bene, sappi che se non sei in Hotel tra mezz'ora chiamo la polizia.»

«No... Kandy, non c'è... »

« invece, siamo a Miami, ricordalo, e tu hai quindici anni.»

«Va bene, mezz'ora!» attacco, la mia amica è iperprotettiva a differenza dell'idiota che ho davanti.



«Jack riportami a casa subito, abbiamo mezz'ora!»

«Altrimenti che succede se non rispetto i tempi?» mi guarda con aria di sfida che mi mette in agitazione e mi stimola i nervi.

Ora sta davvero esagerando.

«Che cosa succede... Primo, Kandy chiama la polizia, secondo, la polizia non farà neanche in tempo a trovarti perché ti avrò già spaccato la testa e ti troveranno morto in un bosco! Ecco che succede!»

«Ok, vedo che non ho molte alternative.» sorride.

«No, infatti.»

«Andiamo allora, sempre che tu riesca a reggerti in piedi.»

Lo seguo attraverso qualche stanza, vedo che prende le chiavi della macchina e poi scendiamo le scale, che presumo portino al garage.

«Perché sei così?»

«Che vuoi dire?» risponde senza guardarmi, continuando a scendere.

«Odioso? Antipatico? Sarcastico? Lunatico! Potrei andare avanti tutto il giorno.»

«A sì? Vai avanti allora.»

«Lasciamo stare, facciamo così: non parliamoci per tutto il viaggio così magari almeno i miei nervi li riesco a proteggere, sono già ferita abbastanza.»

«Per me va bene.» risponde, finendo i resti del suo panino e facendo l'indifferente.

«Perfetto.» dico.

Il garage si apre, mettendo in mostra tutta la bellezza della sua auto sportiva rossa, rimango a bocca aperta.

«Ma sei così ricco?»

«Mica non dovevi parlarmi?» sorride sarcastico, con aria di vittoria.

Il suo sorriso è perfetto, lo ammetto.

Non è un brutto ragazzo, anzi. Peccato che il suo carattere lo freghi.

Non rispondo, trattengo un sorriso.

Salgo sul posto anteriore, di fianco al suo.

Partiamo e appoggio la testa sul finestrino, chiudo gli occhi.



«Jennifer!» una voce in lontananza mi chiama.

Apro gli occhi. Devo aver sonnecchiato per tutto il viaggio.

Vedo che la macchina è parcheggiata nel parcheggio del mio Hotel.

«Kandy!»

«Esci dalla macchina, cosa ci fai lì dentro?»

«Dov'è Jack?»

«Chi?»

«Jack, il ragazzo che mi ha portato qui.»

«E dov'è?» si guarda intorno, poi continua a guardare all'interno della macchina.

«Quello che mi sto chiedendo... Come sarebbe? Mi ha lasciata qui?» rispondo, odiandolo come non mai.

«Mi sa.» mi guarda, poi cerca di aprire la portiera, non riuscendoci.

Poi continua: «be dai, almeno ha chiuso a chiave le portiere, dai esci.»

Apro la portiera dall'interno e come avevo previsto si apre.

Esco, mi gira un po' la testa, certamente il ragazzo sarà andato a manetta.

«Allora, Kandy, che si fa? Lasciamo qua l'auto?»

«E dove la vuoi portare?»

«Ma, come faceva a sapere che questo è il mio hotel?»

«Non gliel'hai detto tu?»

«No, non mi sembra di aver mai menzionato neanche il fatto che stavo in un hotel, per lui potevo benissimo stare a casa di alcuni miei parenti.»

«La storia mi puzza, Jenny».


  
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