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Autore: Dealer    13/07/2014    0 recensioni
Di solito, quando i bambini venivano portati li, si mettevano a piangere e scalciare. Nessuno voleva viverci. Io, invece, avevo ormai quindici anni e mi ci stavo dirigendo di mia spontanea volontà.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo II
 
Gretchel

Quasi tutte le pareti erano di legno scuro e ciò appesantiva parecchio l’ambiente. Il parquet scricchiolava ad ogni mio passo.
«Non sono ancora venuti i rasieatori…» Borbottò la signora tra se.
Alzai gli occhi e notai delle lanterne decorate appese al soffitto, tra le quali soltanto tre erano accese. In quei corridoi erano assenti le finestre e sentivo mancare l’aria.
La donna prese il grande mazzo di chiavi e scelse quella con il nastrino verde. Mi stupii. Mia madre non mi chiudeva mai a chiave nella mia stanza. Lei entrò e io la seguii.
Davanti a me, il caos: indumenti sparsi intorno al letto a due piazze e pile su pile di libri rilegati. Sembrava non fossero neppure stati toccati e che il loro ruolo consistesse unicamente nel occupare spazio. C’era una grande finestra coperta da una pesante tenda in velluto rosso che la donna si affrettò ad aprire.
«Raryel, svegliati!» Sbraitò.
La ragazza mugolò apparendo poco dopo da un ammasso di coperte.
«Mamma… è presto…» Si lamentò.
Probabilmente era della mia stessa età. Aveva i capelli castani, molto più chiari dei miei, e gli zigomi molto larghi.
«Questa qui, d’ora in poi, ti farà da servetta!»
Mentre lo diceva mi afferrò saldamente la spalla. Raryel mi guardò più attentamente e mi accorsi del suo leggero strabismo. Non la sfigurava, anzi, era anche grazioso.
«E Tabhita?» Chiese un po’ dispiaciuta.
«Oddio, Raryel… le resterà si e no qualche mese di vita!»
La risposta fu acida e intristì la ragazza.
«Tu dormirai qui.»
E la donna aprì una piccola porticina presente dentro la stanza. C’era una minuscola finestrella nel soffitto. Era incrostata di escrementi di uccello. Sospirai sapendo che l’avrei dovuto lavare. Il soffitto era molto basso, se avessi saltato avrei sbattuto la testa. Non che saltassi, di solito. Per terra c’era un unico materasso privo di coperte e guanciale. Quel posto era piuttosto monacale.
Rimasi un po’ sconcertata. Sapevo che le cortigiane vivevano nel lusso. Ero venuta nella Fabbrica con questa convinzione, ma in quel momento mi chiesi cosa ne sarebbe stato di me.
 
Ero nelle cucine e seguivo le istruzioni di una vecchia serva con uno sguardo un po’ assente. Mi dava ogni tanto colpetti con il mestolo per assicurarsi che la stessi ascoltando. La scena sarebbe potuta sembrare comica, se non fosse stato per la grossa ustione che aveva sul volto. Le mal formava la forma delle labbra inclinandogliele verso il basso. Successivamente pretese che stessi a pelare patate tutto il giorno. Dovevo preparare il pranzo alla mia nuova padroncina ma quella donna sembrava un po’ tarda per capirlo. Alla fine decisi di cucinare quel che dovevo e filarmela prima che potesse colpirmi di nuovo.
Dopo la faticosa salita con in mano il vassoio, in cui rischiai di inciampare più volte, tornai in camera di Raryel.
«Perché prima non mi hai chiesto cosa volevo?» Mi rimproverò.
«Non volevo farla aspettare troppo. D’ora in poi lo farò …»
Lei diede una breve occhiata al piatto e alzò le spalle.
«Non importa, mi va bene.»
E incominciò a mangiare. Mi domandai se fosse la persona giusta a cui chiedere cosa avrei fatto da li in poi. Forse era meglio di no, non bisognava importunare le persone più ricche di te.
«Hai qualcosa da dire?»
Aveva appoggiato la sua forchetta e mi fissava interrogativa.
«Ehm..no, ecco… non so bene cosa fare adesso…»
«Lascia perdere quello che ti dice mia madre. Fa quello che ti dico io!»
«Bene… questo non mi metterà nei guai…» Dissi ironicamente, tappandomi subito dopo la bocca con le mani. Il mio difetto: parlavo poco ma quando lo facevo dicevo sempre la cosa sbagliata.
Lei mi sorrise d’intesa permettendomi di vedere il lieve spazio tra gli incisivi.
«Sai che mi sto per sposare? Avrai molto da fare.»
Da li a poco non avrebbe fatto altro che ripeterlo.
 
Avevo faticato parecchio, quel giorno. Non sarei più potuta uscire dalla Fabbrica, se non sotto richiesta dai superiori. Non avrei più potuto né vedere mia madre, né fare passeggiate solitarie lungo il fiume. Non avrei più chiacchierato con le ragazze al mercato. D’ora in poi mi avrebbero vista in modo diverso e di sicuro si sarebbero vergognate di rivolgermi la parola. Forse non avrei avuto neppure il permesso di parlargli. L’unico contatto con la mia vecchia vita sarebbe stata mia madre che, alla fine di ogni mese, sarebbe sicuramente venuta a prendere un po’ dei miei guadagni. Mi rattristai al pensiero di rivederla solo per quello, ma in fondo era il motivo per cui avevo deciso di venire.
Entrai nell’angusta stanzetta e mi tolsi la cavigliera della dea e la misi sotto al cuscino che ero riuscita a ricavare. Era dedicata alla mia dea preferita, Destodia, la dea della buona sorte. Era l’unica che, come aveva sempre fatto, mi avrebbe dato il coraggio per andare avanti. L’unico sollievo di quella giornata furono le coperte soffici che Raryel mi aveva gentilmente prestato.
Mi addormentai con il loro profumo di rose, sperando di ricordare di svegliarmi presto.

 
 
   
 
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