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Autore: Yanothing    14/07/2014    1 recensioni
Tutto questo è nella mia testa, è solo un sogno, nulla è reale, è tutto troppo effimero. La terra crolla sotto i miei piedi, devo tornare a casa, le menzogne di una vita e quel volto, quegli occhi azzurri, di quell'azzurro glaciale. Musica, birra, sigarette, la vita scivola via troppo velocemente, devo correre.
Qual'è la verità? Cosa sono? Chi sono?
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrienne Nesser Armstrong, Billie J. Armstrong, Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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 Passarono i giorni, i mesi, gli anni, passarono le litigate sempre più frequenti con la madre, passarono le apatie e le voglie incondizionate degli adolescenti, passarono le notti insonni e le birre scolate, le sigarette consumate e gli amori non ricambiati.
Quella volta aveva esagerato, la rabbia lo sormontava, quella volta le urla nella piccola casa impolverata avevano fatto da colonna sonora ad una mattinata fresca e dal cielo sereno. Le voci dei due si sovrastavano a vicenda, riempendo l'aria di lamentele e accuse che, anche se nessuno dei due voleva ammetterlo, ferivano e restavano impresse nella pelle come cicatrici che si sarebbero portati dietro a vita.
“E' tutta colpa tua! Se siamo dove siamo ora, se siamo ciò che siamo ora, la colpa è solo tua! Ora capisco perché mio padre ti ha abbandonata!”
Lo sguardo della madre si fece cupo e intriso di una tristezza accumulata in decine di anni, aveva preferito raccontare una menzogna al figlio, aveva preferito proteggerlo dalla dura realtà che la portò a scappare una notte di 22 anni fa.
Jimmy, indifferente degli occhi lucidi della madre le diede le spalle e uscì di casa sbattendo la porta, non curante dei sentimenti della madre, non curante del dolore che quelle parole avevano causato. Uscì in strada e si avviò verso il vecchio edificio abbandonato dove lo aspettavano i suoi amici.
Amici. A quella parola un angolo delle labbra si piegò all'insù in un risolino malinconico. Amici. Quali amici? Quelli che il giorno prima lo veneravano e il giorno dopo si facevano la ragazza di cui era innamorato? Gli amici che lo pugnalavano alle spalle? Tutto d'un tratto si pentì della sua scelta, ma era troppo tardi, Tunny l'aveva visto arrivare e agitava la mano, pronto a raccontargli una delle sue stronzate, ma Jimmy non aveva alcuna intenzione di sentire ancora parole, gli passò accanto e gli fece un mezzo sorriso seguito da un cenno della mano, proseguendo poi per la sua strada, facendo intuire a Tunny che non era la giornata adatta per dargli noia. Jimmy cacciò fuori dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di Malboro che aveva comprato durante il tragitto per arrivare all'edificio, si portò una sigaretta alla bocca e si buttò su una logora poltrona che chissà chi aveva portato in quel posto altrettanto logoro, accese la sigaretta e chiuse gli occhi cercando di dimenticare dove fosse, cercando di dimenticare chi fosse, cercando di dimenticare tutto. Ad un certo punto avvertì una presenza al suo fianco, aprì gli occhi e una sagoma scura e ancora sfocata gli si presentò davanti.
“Hey amico, questa è la mia poltrona.”
Lui poco interessato richiuse gli occhi e fece l'ennesimo tiro dalla sua sigaretta. Il tipo del quale non ricordava il nome era il bulletto della situazione, sempre in mezzo ai piedi, sempre pronto a rompere le scatole, sempre pronto a rovinare le già guaste giornate.
“Mi hai sentito? Devi alzarti.”
'Si alzati. Dai moccioso è la sua poltrona quella.'
Gli fecero eco i ragazzini leccaculo che gli andavano dietro più per cercare di stare alla larga dai guai, visto che quel tipo stesso era un guaio ambulante, che per stima di quest ultimo. Jimmy ormai al limite della sopportazione si alzò e, con grande stupore di tutti coloro che si aspettavano una delle solite risse che vedevano Jimmy protagonista, si alzò, buttò la sigaretta ai piedi di Troy, ecco qual'era il nome, la spense con la punta del piede e se ne andò seguendo il sentiero che portava al supermarket della Stuart Avenue.
La giornata si era ingrigita e nemmeno i colori dei graffiti sul muro del posteggio adiacente al supermarket avevano la stessa vivacità dei soliti giorni, si sedette sull'orlo del marciapiede e prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e i suoi pensieri cominciarono a vagare.

La vidi poggiata al davanzale, mentre portava alle labbra quella bottiglia di birra ghiacciata, mi scappò un sorriso, mai nessuna era stata così bella, le sue gambe e i suoi fianchi, tutto ciò mi mandava in estasi, più delle pasticche che mi ero ingoiato. Ad interrompere quel mio sogno di libidine e passione arrivò una voce fin troppo conoscente, dall'altro capo della stanza vidi mia madre intenta a scolarsi l'ennesima birra, la raggiunsi, cercando di tirarla su, ma come tutte le volte che era ubriaca cominciò a urlarmi contro che non facevo più parte della sua vita. Me ne infischiai, la lasciai lì, poteva anche inciampare nella pozza del suo stesso vomito, ero stanco, stanco di quella vita, stanco di quella donna, stanco di tutto, perfino di me stesso. Tornai con lo sguardo rivolto alla splendida ragazza dai lunghi capelli biondi, mi incamminai verso di lei e l'adrenalina fece il resto.
Quella notte non potrei mai dimenticarla.

Scosse la testa e riportò i pensieri al presente, proprio in quel momento la vide, mano nella mano con Will, uno dei suoi più cari amici, anche se i due non si parlavano da settimane ormai. Lei si girò a guardarlo con aria di sufficienza e Jimmy abbassò lo sguardo, fissando le nocche tatuate e l'asfalto rovente. I due entrarono al supermarket, di sicuro per sparire nel bagno sul retro.
Jimmy prese l'ennesima sigaretta della giornata e la accese, cominciandola a fumare nervosamente, quasi in preda al panico, non capiva cosa gli stesse succedendo, cos'era quella strana sensazione che gli divorava le viscere? Forse gelosia? O forse invidia. O un mix di rabbia e amore che da sempre avevano fatto da cornice alla sua vita, due sentimenti che lo accompagnavano fedeli come il diavolo e l'angelo sulle spalle di un personaggio dei cartoni animati.
Sentiva qualcosa strisciargli tra le viscere, qualcosa che lo spingeva a sospirare per rabbia e per dolore, qualcosa che si addentrava sempre più dentro di se, che percorreva le sagome dei suoi organi fino a raggiungere la carotide, quasi come per soffocarlo, per bloccarglisi in gola e liberarlo dal dolore della vita, ma non fu così. In quel momento Will e Jane (?) uscirono dal supermarket e Jimmy, scosso da quel qualcosa che gli si muoveva tra le viscere, si scaraventò contro l'amico e tutto successe in una frazione di secondo. Gli amici dei due si schierarono alcuni da una parte altri dall'altra e cercarono di dividerli, la sabbia volava dando fastidio ad altre anime poco interessate che restavano dei semplici spettatori, le braccia di Jimmy si allungavano verso Will, non riusciva ad arrendersi, voleva prenderlo, voleva prenderlo e fargli del male, proprio come lui gli aveva fatto portandosi a letto la ragazza di cui sapeva essere innamorato.
Ad un certo punto tra i due si mise Jane, guardò Will che continuava ad imprecare contro Jimmy e gli urlò di smetterla, con tutta la forza che aveva in corpo, con tutta la voce che riuscì a raccogliere nei polmoni. Per un istante, per un singolo istante tutto tacque, in quel singolo istante Jimmy cedette e indietreggiò per liberarsi dalle mani che gli impedivano di raggiungere Will, guardò la ragazza e quella rabbia risalì.
“Jimmy..”
“Lascia stare.. Non mi interessa.” scosse la testa e si allontanò, ma nemmeno qualche passo e si girò a guardare nuovamente tutti.
“Non mi vedrete più.” tornò sui suoi passi, dirigendosi verso casa sua. Non lo avrebbero più visto, questo era certo, sarebbe partito la notte stessa, non poteva più sopportare quel posto, quella vita, quelle persone, quella rabbia, quelle strade impolverate, quei lampioni fulminati, quelle case cadenti, quelle urla ricorrenti.
Arrivò a casa, sua madre appena lo vide entrare scattò in piedi, lui non la degnò di uno sguardo e con le mani che gli tremavano corse in camera sua. Una volta tirato fuori un vecchio borsone, risalente ad un viaggio che aveva fatto all'età di 8 anni, cominciò a svuotare i cassetti, trasferendo il contenuto nella sacca, il più velocemente possibile. Prese qualche banconota dall'armadio, il resto lo lasciò a sua madre, consapevole del fatto che non avrebbe tirato avanti senza i suoi risparmi, si mise il borsone in spalle e si avviò verso la porta sul retro, uscì sul vialetto di sabbia dove aveva lasciato la sua macchina, quel vecchio ferro arrugginito, chissà dove lo avrebbe portato, buttò sul sedile posteriore il borsone e salì in macchina mentre sua madre si affrettava ad aggrapparsi alla portiera.
“Che stai facendo!? Non puoi andartene!” Jimmy, in preda all'ennesimo attacco d'ira scese dalla macchina e le si avvicinò minacciosamente.
“Che sto facendo? Me ne vado! Vuoi impedirmelo? Sai meglio di me che non puoi!”
“Tu me lo ricordi così tanto..” la donna sospirò, erano giorni se non mesi che aspettava che accadesse, si passò una mano sul viso stanco ed indietreggiò.
“Addio.”

  
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