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Autore: parolecomemarchi    14/07/2014    1 recensioni
Sono storie che dicono chiaro e tondo chi siamo, come ci siamo trovati e perchè, scoprono il nostro essere fino ad illuminarne ogni ombra.
siamo io e te insieme.
sono ricordi che ci guidano al presente, sono i racconti di noi due.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Raccolta di One Shot

Racconti di noi due



 


I was nacked and she was beautiful

 
-Travis! Quante volte devo dirti di non messaggiare quando siamo tutti a tavola?- Abby lo sgrida prima di inforchettare un pezzo di carne e portarselo alla bocca frettolosamente, irritata dall’atteggiamento di nostro figlio ormai quindicenne, lui cerca con uno sguardo il mio appoggio, ma non posso far altro che negarglielo.
-Tutti? Ma’ siamo solo noi tre!- e così dicendo poggia con un tonfo il cellulare sul tavolo apparecchiato, così forte che Abby smette di mangiare e posa con estrema lentezza ed apparente calma la posata sul piatto e con un tovagliolo bianco panna si pulisce la bocca candida, io le afferro un ginocchio con la mano destra e comincio ad accarezzarlo lentamente cercando di calmarla, la gravidanza la spossa terribilmente e il suo umore non è dei migliori.
-Travis Bieber non parlarmi così!- e il suo tono è talmente freddo ed innervosito che blocca anche la mia mano, è davvero furiosa anche se dopotutto Trav non ha fatto granché, ma lui lo sa come provocare sua madre e anche se sa di giocare col fuoco continua, bruciacchiandosi un po’ troppo frequentemente.
-Non sto facendo nulla ma’, ho solo detto che siamo solo noi tre a tavola, che non siamo tutti visto che manca quella peste che tieni nella pancia- e non so davvero come, ma con un sorriso affabile riesce a far calmare sua madre, tanto che gli sorride e ricomincia a mangiare.
Io lo guardo basito e lui alza le spalle con un ghigno soddisfatto, è la mia copia sputata per quanto riguarda l’atteggiamento, per il resto è tutto sua madre, occhi azzurrissimi e capelli scuri.
Finiamo il pranzo in tutta tranquillità, mentre sparecchio il tavolo con Trav, sento la risatina di Abby dal divano, e automaticamente sorrido a quella dolcezza che mi trasmette ogni volta che mi guarda, che mi parla o anche solo che mi sta a fianco in silenzio, è la mia metà in tutto e per tutto e non so davvero come farei senza di lei.
 
Quando poggio con rumore i piatti nel lavello sento la sua risatina crescere di intensità e poi spegnersi, guardo Travis stranito, come a domandargli cosa le possa esser successo e lui fa spallucce indicandomi con un dito la sua direzione, segno che stava andando da lei.
Io annuii e finì di posizionare le stoviglie al loro posto, ripiegando la tovaglia e riponendola nel cassetto, Abby l’avrebbe sicuramente lasciata libera sul bancone, temporeggiando sul metterla al posto, lei la regina del disordine insieme a Trav.
Sorridendo per quel pensiero mi diressi da loro e li trovai seduti sul mio divano bianco in pelle a civettare, lanciandomi sguardi carichi di divertimento tra una frase sussurrata e l’altra, le loro risatine segrete mi stavano dando sui nervi, odiavo esser tenuto all’oscuro.
-Allora, che avete da ridere voi due?- e così dicendo li affiancai, sedendomi al mio solito posto, accanto al bracciolo sinistro.
Abby diceva che avrei dovuto scollarmi da lì e cambiare abitudine di seduta, che per quanto sostavo in quella posizione la stoffa aveva preso la forma del mio sedere ed ogni volta che me lo rinfacciava rideva a crepapelle come se ogni volta fosse la prima e io non me la prendevo, non più.
Cosa c’era di sbagliato nell’amare la mia posizione? Niente, erano solo invidiosi di me perché io un posto preferito ce l’avevo e loro no.
Respinti i pensieri bambineschi e presi a fissarli ed ero intenzionato a farlo fino a quando non avrebbero vuotato il sacco, persi quasi da subito la battaglia con Abby, sapeva essere più testarda persino di me.
Mi concentrai su Travis allora, che quasi da subito cedette prorompendo con una fragorosa risata –Non capitava da tempo ormai, ma mamma mi parlava della vostra sobria e divertente conoscenza- e così dicendo riprese a sbeffeggiarmi con la sua alleata.
-Ma da che parte stai tu!- le dissi fintamente infervorato, più offeso che altro, ma non così tanto visto che per noi quello era un gioco che andava avanti da tempo.
-Io, da quella di nessuno- si difese lasciandomi un bacio a fior di labbra e mollandomi con ancora voglia del suo profumo.
Giocava con me con la stessa furbizia di un bambino nel gioco del nascondino, mentre io volevo assaporare all’infinito il sapore dolce delle sue delicate labbra di rosa, chiuderle nelle mie e non lasciarle più andare.
Lei ricambiava con malizia i miei sguardi e quasi potevo sentire la sua voce strascicata mentre mi sussurrava immersa  nel piacere ‘ vienimi a prendere’ per poi scappare via da me, il suo corpo che sfuggiva al mio.
La fissai fino a quando Travis non mi interruppe bruscamente –Se non ve ne fosse accorti c’è un minorenne tra di voi, per giunta vostro figlio e sono schifato, decisamente. Prendetevi una stanza!- e così si alzò rabbrividendo per scherno e andandosi a sedere di gran carriera sulla poltrona rossa della mamma.
Noi ridemmo complici evitando di scambiarci altre effusioni in sua presenza, anche se starle lontano mi richiedeva davvero molta fatica.
-Cosa ti stava raccontando?- gli chiesi abbracciandola in modo che il suo dolce viso fosse a contatto con il mio petto, e la sua schiena con il mio addome ancora piatto, ma non muscoloso come un tempo.
-Solo il modo in cui ti sei avvicinato la prima volta- e lo disse con un tale divertimento della voce al ricordo che mi diede ancora fastidio, si quel giorno ero stato proprio un idiota.
-Se permetti però racconterei la mia versione dei fatti, lo dicesti anche tu figliolo, le donne ci mettono troppo zucchero quando si parla di sentimenti e vale anche per i fatti imbarazzanti, quelli soprattutto.- e dicendo l’ultima frase la guardai ammiccando, accarezzandole poi il pancione gonfio, avevamo entrambi sui trent’anni ora.
Io trentacinque e lei trentadue, ma nulla ci aveva impedito di ritentare con il secondo figlio, dopo Travis era stato difficile metterla incinta di nuovo, ma ecco che la nostra piccolina attende di venire alla luce.
Con un sorriso e già rosso d’imbarazzo mi rivolsi a Travis –Preparati figlio, e non provare a sbeffeggiarmi come tua madre quando saprai dell’accaduto e prova anche solo a spifferarlo ad uno dei tuoi amici e sarete entrambi nella mia lista nera- lo incenerì giocosamente con lo sguardo e presi ad accarezzare, come fosse un anti-stress, il pancione di Abby.
-Hai una lista nera? Figo- proruppe lui dopo qualche secondo di silenzio, ridemmo tutti  e tre in coro e dopo mi preparai a raccontare l’imbarazzante e cruda realtà dei fatti, mi vergognavo ancora ma era pur sempre mio figlio no? Un po’ di compassione per il suo vecchio doveva pur avercela, ma ne dubitavo fortemente.
Già accaldato e rosso in guance ripescai senza troppa difficoltà quel giorno nella mia mente, le parole vennero da sole.
 
 
Scalcio sassolini da un’ora ormai, seduto sulla panchina fuori dalla palestra del campus e mi sento uno schifo, tanto quanto la merda di piccione che mi sosta davanti, a ricordarmi perennemente di ogni mio fottutto errore compiuto in mattinata.
La squadra contava su di me dall’inizio degli allenamenti, a metà del primo mese scolastico e mi ero allenato tanto che ormai la palla si era adattata alle mie palme, ero sicuro di poter essere la stella della L.A.C.C anche quell’anno, ma la sfortuna sembrava perseguitarmi da quando Jessica Holmen era entrata nella mia incasinata vita.
Mi passai la mano nei capelli biondi e corti, il gel era rimasto in grande dose nei capelli e mi ingarbugliava le ciocche madide di sudore, ero uscito dagli spogliatoi così velocemente che Trent e i suoi non avevano neanche avuto il tempo per chiamare il mio nome.
Una partita persa, la prima partita di campionato buttata nel cesso e per affossarmi ancor più nelle mie colpe non potevo far altro che pensare che la colpa era stata quasi ed unicamente mia, dal lancio di inizio fino all’ultimo facile canestro della squadra avversaria.
Il problema ero io, non le mie doti di giocatore, perché ero uno dei più dotati lì in mezzo, la colpa era tutta della mia concentrazione, malamente rubata da lei.
Vista e rivista, spiata e seguita in tutti i corridoi e le aule del piano D dei corsi avanzati, la ragazza dai lunghi capelli scuri e occhi verdi che avevo ammirato il primo giorno al campus, seduta sull’erba mentre mangiava frutta.
Non mi ero mai avvicinato, mai le avevo rivolto la parola, figuriamoci flirtare con le, non ci riuscivo e mi sentivo una vera checca, bloccato nel mio magone infinito di insicurezze.
Fatto di ma, forse e se senza via d’uscita per il mio povero e legato cuore che ormai ero sicuro fosse solo per lei, la mia situazione mi riportava tanto alla mente Berry Lawrence il nerd della mia vecchia scuola, innamorato perso di mia sorella minore Jasmine e mai dichiarato verso di lei, non che io l’avrei mai permesso, chiaro.
Davvero stavo cominciando il processo di ‘nerdificazione’? No, mi rifiutavo di diventare un balbettante studente del college, lo avrei impedito ad ogni costo, cominciando col presentarmi a quella magnifica ragazza che, sapevo chiamarsi Abby Clever, classi 3 e 14 dei corsi avanzati di matematica e francese e senza che lo sapessi condividevamo anche un corso, chissà perché ora l’ora di Francese con la Turner era diventata la mia preferita.
Facevo in modo di sedermi sempre dietro di lei, in modo che potessi fissarla senza destare attenzioni e richiami dal gufo, era importante mantenermi nell’ombra per questa faccenda e non risultare troppo innamorato davanti agli altri, anche se con Chaz non c’era stato verso, lo aveva capito ma non sapeva chi fosse, tanto meglio.
Sentivo che l’amore e l’attrazione verso di lei era molto più forte di quello provato per Jessica, spazzata lontano dalla mia mente da Abby e questo era un altro motivo per adorarla ancor più, non lo sapeva ma mi stava districando da ogni problema e infossandomi con tutte le scarpe in altri.
Il primo di quella serie di problemi era il campionato semestrale della L.A.C.C squadra di basket di cui ero anche capitano e li avevo delusi solo perché a vedere la partita c’era anche lei, affiancata dalle sue compagne di stanza, la n° 23, potevo abbandonare la scuola e darmi allo spionaggio.
Mi alzai non appena vidi il ciuffo scombinato di Chaz che veniva con gli occhi sgranati verso di me e in quel momento sarei voluto sparire –Cosa ti è preso bro’? cazzo, nemmeno un mezzo canestro, un’azione giusta, un passaggio preciso, è stata la peggiore delle tue partite e penso anche dell’intero college, non vorrei essere in te quando usciranno da lì- parlò a razzo, toccandomi più volte la spalla con piccole spinte che subì fissandolo in silenzio, con cipiglio nervoso.
-So di aver fatto schifo bro’ ma non serve che tu me lo ripeta, in campo con te c’ero anche io- dissi grattandomi la mascella irritato, presi a camminare nervosamente verso i dormitori femminili, mentre la via era percorsa da lle ragazze che tornavano in stanza dalla palestra, i fischi mi perseguitavano anche lì.
-Non vorrei essere in te nemmeno quando Ryan e Dean ti affronteranno, lo sai il fatto della popolarità ecc.. hai mandato tutto a puttane. disse mentre salivamo le scale, io chiuso nel mio ostinato silenzio.
-Ma questo ora non mi interessa, ciò che voglio sapere è perché- disse raggiungendomi quasi di corsa, avevo mantenuto un passo felpato lungo tutto il corridoio e ora stentava a starmi dietro.
Gettai il borsone sul letto e sentì la porta chiudersi con un tonfo seguito da un breve ‘click’ del chiavistello.
-Non c’è un perché Chaz, semplicemente è successo- mentì piuttosto male, ero stanco e non importava che ci credesse o no, la ragione di quel disastro doveva restare chiusa a chiave dentro di me.
Lui se ne stette in silenzio osservandomi mentre mi preparavo ad una doccia, entrai in bagno e ne uscì solo quando mi sentì meglio, quando misi piede fuori lui ancora mi fissava e cominciava seriamente ad irritarmi.
-Smettila- mi distesi sul letto supino fissando le molle del letto a castello, ero uno che durante la notte si muoveva molto, era bastata una notte a stabilire l’incompatibilità tra me ed il letto di sopra, dove dormiva il nuovo ‘gufo’ della situazione.
-No, so per certo che c’entra quella ragazza- e appena le parole lasciarono la sua bocca mi irrigidì, non importava fosse pomeriggio, anche se tardo, mi girai di schiena a lui e chiusi gli occhi, addormentandomi.
 
L’indomani mattina mi svegliai presto, dato che avevo dormito tutta la serata e neanche cenato, mi sentivo riposato ma affamato, decisamente.
Per fortuna il mio sonno istantaneo mi aveva evitato una lunga e logorante conversazione sul disastro di ieri con i miei compagni di stanza, mi avrebbero fatto una testa grande quanto un cocomero a forza di parlare sull’utilità di essere il top della scuola, l’orgoglio, il fiore all’occhiello o chiamatelo come volete.
Mi vestì e controllai l’ora solo quando la porta della stanza era ormai aperta e dava sul corridoio silenzioso e deserto, contavo di essere l’unico sveglio alle 6:08 del mattino, almeno in quell’ala.
Per tutta la mattinata, dopo aver fatto colazione abbondantemente al bar del piano di sotto fortunatamente aperto, seguì con strana attenzione le lezioni, non ritardando a nessun corso tanto che i professori ebbero quasi un capogiro a vedermi il primo seduto al proprio banco, in classe con Kelly e i secchioni al seguito.
Tutti mi chiesero cosa mi fosse successo e a tutti riposi con un’alzata di spalle e un sorriso d’affronto, tanto per far vedere che il popolare e da compagnia sconsigliata Justin Bieber era sempre lo stesso, solo che la giornata si era distorta in un incubo.
Cercavo di non pensare a lei, ma la mia mente mi riportava comunque ai suoi occhi smeraldati e al modo in cui si allisciava le lunghe e mosse ciocche scure, e di conseguenza come potevo non pensare a tutto il casino che a causa sua avevo combinato?
La squadra mi era venuta a cercare nella pausa delle 10:20, in cortile, mentre  sedevo a terra nell’erba e lei al mio fianco come tutti i giorni, sembrava che ci fossimo messi d’accordo io ed Abby, ma non le avevo neanche mai parlato.
Trent si era fatto avanti per primo –Cosa diamine ti è preso Bieber!?- sputò le parole con un ghigno cattivo stampato in faccia e a lui riservai lo stesso trattamento che avevo rifilato a tutti, persino a Chaz che al contrario della squadra mi aveva lasciato andare con un’aria sconfitta.
-Senti, ora non mi frega più, ma sta ben attento a farci vincere le prossimo partite o ti costerà l’espulsione e una piccola punizione da parte nostra- e con lui, come se li avesse programmati prima della conversazione, tutti risero sguaiatamente e sentì lo sguardo di Abby su di me, guardava impotente e curiosa.
-Punizione?- ripetei quella acre parola confuso, cosa volevano fare questi pivelli a me?
Ora sentivo che era il momento giusto per il mio lato presuntuoso di farsi avanti e avrebbe fatto meglio a spuntare fuori subito.
Mi misi in piedi, fronteggiandoli, le braccia piegate al petto e sguardo d’affronto con l’immancabile sorriso abbinato e aspettai le loro stupide spiegazioni, non arrivarono.
-Attento oggi- e con uno spintone si allontanarono come un gregge ignorante di pecore, capeggiate dal pecorone più coglione che ci potesse essere, li odiavo eppure erano i miei compagni di squadra.
Andandomene non la guardai come invece avrei voluto, mi dissi che era soltanto colpa sua se ora dovevo guardarmi le spalle da Trent e i suoi, ma non riuscivo ad essere arrabbiato con lei, neanche e provare risentimento, nulla.
Sbuffai sconsolato e frequentai con lo stesso smorto atteggiamento della mattinata anche i corsi pomeridiani e alle tre in punto fui in palestra, per primo.
Ci allenammo duramente, il coach era arrabbiato, furioso e quasi intrattenibile sia con me che con gli altri sebbene in più ridotte proporzioni e aveva ragione, ero il capitano e mi dovevo assumere la maggior parte delle responsabilità, non che ne fossi lieto però.
A fine allentamento, dopo una bella strigliata mi diressi in spogliatoio con gli altri, sostando in fondo alla fila, come se fossi l’ultimo arrivato in squadra, la nullità e non il capitano incontrastato da due anni.
Misi da parte Abby e parlai chiaro a tutti –Sentite coglioni, fino a quando il coach non mi sbatterà a pedate fuori dalla squadra ne sono ancora il capitano e non potete permettervi di ignorarmi così durante una partita, anche se di allenamento- dissi incazzato e duro ripensando alle precedenti due ore, dove mi ero sbracciato inutilmente affinché mi includessero nel gioco, ma tutto era stato vano.
-Non dopo che ci hai infossati la prima partita del campionato Bieber- e chi poteva aver parlato così sfacciatamente se non Trent.
A quel punto raggiunsi il limite, mi scagliai contro di lui e lo sbattei al muro, intimando agli altri di starsene in disparte, che quello era un nostro affare e con voce tagliente gli sussurrai di rimettersi in coda con gli altri, perché in squadra non era nessuno.
Quando tutti capirono che ero rimasto sempre lo stesso in accondiscendente capitano mi sentì meglio, rispettato e finalmente accettato e perdonato, diamine capita a tutti di sbagliare e quel periodo non ero di certo al meglio.
Mi feci la doccia spensierato, per ultimo, come piaceva a me.
Essere solo e aver spazio e silenzio, lo spogliatoio vuoto e tutto per me, per abbandonarmi ai miei pensieri e non al chiasso dei ragazzi che alle volte sapevano essere davvero insopportabili.
Chaz dopo quel discorso si era complimentato, dicendomi che avevo fatto bene a sbatterlo alla parete così, ad avergli intimato di starsene zitto e al suo posto e quello mi aveva decisamente risollevato, ma era stato solo un momento, la salita per una lunga e spaventosa discesa che iniziai quando non trovai sulla mia panca il borsone.
Mi impanicai e non poco, uscì coprendomi col cestino dell’immondizia dello spogliatoio e osservai l’intera squadra che si prendeva gioco di me nel corridoio allegato agli spogliatoi, mai mandai così tante maledizioni tutte insieme.
Provai a farli ragionare addirittura provai qualche forma di preghiera non esplicita, ma Trent era proprio deciso a fare lo stronzo, decisi che gli avrei ricambiato il favore non appena fossi uscito vestito e con tutta la mia dignità addosso da quegli maledetti spogliatoi.
Se ne andarono quando la beffa  non provocò più risa fra loro e io rimasi solo, Chaz, Ryan e Dean erano tutti a lezione e io completamente solo e nudo come un verme.
Cercai a lungo qualcosa per coprirmi e con cui correre alla velocità della luce nei dormitori prima che le collaboratrici del college chiudessero la palestra a quel punto sarei stato fritto, come spiegare alle cheerleader e al prof Mastral  la mia poco vestita presenza?
Trovai il mio telefono, botta di culo assurda, sotto una panca lo schermo leggermente ammaccato e la batteria scarica, un’altra serie di imprecazioni mi investirono, poteva essere così facile? Ma certo che no.
A quel punto pregai che uno dei ragazzi venisse a cercarmi, ma ricordai che quella sera uscivano di nascosto dal campus per andare in un night e io come uno stupido mi ero rifiutato, altra serie di imprecazioni piuttosto vistose e decisamente irripetibili.
Quasi stavo per addormentarmi steso come un barbone su una panchina, quando sentì dei passi avvicinarsi leggeri e timidi lungo il corridoio annesso.
Balzai in piedi e afferrai di nuovo il cestino per coprirmi almeno le parti basse, quando misi piede fuori dalla porta degli spogliatoi mi pentì amaramente e come poter sfuggire all’occasione di altre imprecazioni?
Abby era di fronte a me, una mano sulla bocca per trattenere le risate e gli occhi colmi fino all’ultima sfumatura verde dell’iride di divertimento, in quel momento quasi disprezzai anche lei, ma quando osservai a fondo i suoi occhi, il suo viso ed il suo corpo mi bloccai nella mia ostentata insicurezza, tutto ciò che sapevo di flirt svanito magicamente ed io nella merda fino al collo.
Ero rosso, quanto più le mie guance lo permettevano ed estremamente umiliato, ma la sua presenza mi impedì di tornare dentro.
‘ è il momento’ pensai e capì di essere nella situazione perfetta per iniziare una conversazione, di certo gli argomenti non sarebbero mancati.
Ingoiai come una pillola amara l’indecisione e la paura e parlai, la mia voce sembrò fin troppo stridula e veloce, ma lei capì lo stesso –Ehm, ciao. Sono Justin Bieber e sono nudo negli spogliatori della palestra, solo e .. nudo- e in risposta le sue labbra emisero una graziosa risatina, subito si coprì la bocca con una mano e allungò l’altra a palmo aperto verso di me, in segno di scuse.
-Scusami, è solo che.. tutto ciò è davvero divertente- e prese a ridere più liberamente quando sorrisi e risi anche io con lei, il colore rosso che non abbandonava le mie gote, maledizione a Trent e ai suoi scherzi pessimi.
-Lo trova così divertente, signorina..?- e mi bloccai alla fine, sfumando la frase col tono della voce come fosse una domanda, finsi di non sapere e lei ci cascò.
-Abby Clever- e mi strinse una mano, io ressi il cestino con la sinistra e le porsi la destra, ancora maledizione!
-Perché sei nudo e solo nello spogliatoio di una palestra vuota?- mi chiese lei indiscreta, diretta e vera non curandosi di potermi mettere a disagio, strano ma quel lato di lei me la fece piacere ancora di più, fremetti al solo sentire della sua voce, fresca e un po’ acuta, ma dolce.
-Potrei domandarti lo stesso- le risposi e subito dopo mi diedi dell’idiota –Non che tu sia nuda, cioè sei vestita e bella- poi continuai a parlare visto che nella fossa ormai ci ero entrato completamente –Non che senza vestiti non saresti bella, ma ecco.. non che io ti immagini nuda, ma questo non significa che non farei pensieri su di te, anche se non implica che tu sia una poco di buono e.. aiutami- sussurrai quell’ultima parola che ormai ogni fibra del mio essere premeva per schiaffeggiarmi, continuavo a blaterare senza alcuna logica mentre lei se la rideva.
‘Bravo al cretino! La fai ridere Justin e non sta ridendo con te, ma di te’ e continuai a maledirmi ancora e ancora, fino a finire la fantasia per le imprecazioni e allora semplicemente mi zittì soffermandomi su di lei e sulla sua genuina risata, anche in quel tumulto di imbarazzo mi faceva sentire bene.
-Ok Justin, calmati- disse ancora ridacchiando, ma quando disse il mio nome mi fermai e tutto il resto con me.
Come un CD rotto restai fermo sulla frequenza della sua melodiosa voce che ripeteva il mio nome di battesimo e mai era stato tanto apprezzato da me come in quel momento, volevo che lo ripetesse di nuovo più vicina, attaccata al mio corpo e in tanti piccoli sussurri, accompagnati da gemiti.
A quei pensieri arrossì ancora di più, un caso disperato, ecco cos’ero.
-Ho capito e grazie, credo. Era un complimento?- chiese confusa ma sicura di se stessa, sapeva come giocare le sue carte e il sorriso che mi ingarbugliava le farfalle nello stomaco era una di quelle, le migliori.
-Ora però credo che dovresti uscire da qui, la bidella mi ha acconsensitito di entrare per riprendere un quaderno dal nostro spogliatoio, ma mi ha detto di sbrigarmi e so che non vorresti rimanere chiuso qui- mi disse facendo ciondolare le chiavi davanti al mio naso  e poi dirigendosi nella stanza di fronte ed aprendo la porta con una delle chiavi presenti nel pesante e tintinnante mazzo.
 Io rimasi impalato al mio posto, nascosto dallo stipite della porta in vetro opaco bianco con lei rifiniture rosse e blu, i colori della scuola, erano estremamente rappresentativi qui, fissati direi.
Quando ne uscì teneva stretto contro il petto un quadernone ad anelli dello stesso colore dei suoi occhi e quello non fece che evidenziarli, rendendola cento volte più magnifica, da rimanere imbambolato cosa che mi riusciva molto bene, meglio del giocare a basket senz’altro.
Mi venne incontro sorridendo e facendo risuonare i suoi passi inseguiti dal perpetuo tintinnare delle chiavi che le pendevano dalla tasca anteriore dei jeans che le fasciavano le gambe, e che gambe!
Distolsi lo sguardo quando mi accorsi che si stava spogliando, ma solo della sua camicia a quadretti rossi e blu, stile boscaiolo, mi surriscaldai all’istante e quando vidi la morbida pelle nuda delle clavicole e in parte del petto gonfio, sentì distintamente l’amico ai piani bassi risvegliarsi.
 
-Non ci credo! Papà hai avuto un’erezione solo perché si era tolta la camicia! E non era neanche nuda sotto! E davvero le hai detto ‘–Non che tu sia nuda, cioè sei vestita e bella, non che senza vestiti non saresti bella’ che finocchio!- Travis stava ridendo più o meno dalla parte di racconto in cui i miei vestiti svaniscono e io giro nudo come un verme nell’ala spogliatoi, per non parlare dei guaiti che risuonavano per casa quando sua madre fece la sua comparsa nel racconto, come allora le mie guance andavano a fuoco. Ma bastò un’occhiata e lui ritornò zitto, ridacchiando sommessamente, così ripresi.
 
-Metti questa intorno alla vita, poi scappa nel tuo dormitorio- mi disse porgendomela e continuando a ridere.
Subito chiusi la porta in vetro opaco e mi legai ben stretta la sua camicetta in vita, cercando di coprirmi il più possibile, anche se avrei preferito un cappotto rispetto a quel pezzo di stoffa cucito a sembrare una camicia perché non lo era, quelle da uomo potevano definirsi tali, che la indossavi e avanzava un bel pezzo per coprirti.
‘Perché diamine devono essere così minute?!’ e tanto per battere il record mi trovai impegnato a maledire anche il produttore di quei minuscoli pezzi di stoffa, la fortuna ha deciso di voltarmi le spalle e sputacchiarmi a dosso per beffa.
Uscì se possibile ancora più imbarazzato e con un istantaneo e insicuro bacio sulla guancia di lei partì di corsa verso i dormitori.
Mi fermai per molti minuti sotto un salice piangente, anche in quella situazione d’emergenza mi lasciai del tempo per ammirare la sua figura piccola ed esile che si dirigeva a passo felpato nella sua stanza, solo quando l’edificio la inghiottì ripartì per la mia corsa.
Tutto era buio, dovevano essere le dieci ormai e fortunatamente nessuno circolava nella zona, solo un’ombra mi spiava dagli alloggi femminili, la luce soffusa di una lapada a delineare le morbide linee che componevano la sua figura e sorrisi, felice in quell’assurda situazione.
La immaginai a ridere, buttando la testa all’indietro e a coprirsi la bocca di scatto come se stesse facendo qualcosa di male, il suono della sua risata ad invadere la stanza e a migliorare tutto.
Potevo immaginare la visuale da lassù, un Justin Bieber in appropriatamente  nudo, coperto da uno straccetto, che correva verso gli alloggi con un malato sorriso in faccia.

 
*Jazzy99 space*
Eccovi la seconda OS dedicati ai racconti di Abby e Justin!
ringrazio infinitamente mamma che mi ha aiutato ad impostare la modalità estremamente imbarazzante del loro incontro!!
spero che piaccia!
recensite?
-sara
 

 
   
 
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