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Autore: Iaiasdream    17/07/2014    4 recensioni
Seguito di: A QUEL PUNTO... MI SAREI FERMATO
Rea, ormai venticinquenne, dirige il liceo Dolce Amoris, conducendo una vita lontanissima dal suo passato, infatti ha qualcosa che gliel'ha letteralmente cambiata... ma... come si soleva immaginare, qualcuno risorgerà dagli abissi in un giorno molto importante... cosa succederà?
Genere: Erotico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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7° capitolo: QUANDO MENO TE L’ASPETTI
 



<< E tu che cazzo ci fai qui?! >>, è questa la frase che avrei dovuto dire da quando ho incrociato quei suoi occhi freddi e severi; e invece mi sono stata zitta e continuo a farlo, guardandola come un ebete.
Ci mancava soltanto lei. Che diavolo è venuta a fare? Sono anni che non ci vediamo, l’ultima volta che è venuta a trovarmi, l’ho anche cancellata dalla mente. Adesso è di nuovo qui, e farò bene a ricordarmi che cosa disse e fece quell’ultima volta, se non voglio ritrovarmi a dover litigare per stronzate.
E io che mi sono sempre lamentata della vecchiaccia gangster! La donna che si trova davanti a me supera ogni crudele mafioso.
Quando mi fidanzai con Armin, dopo un po’ prendemmo la decisione di andare a convivere insieme, dato che aspettavo Etienne; purtroppo, quando feci questi conti, mancava la cosa più importante: l’oste (come si suol dire: fare i conti senza l’oste), e cioè la suocera.
Vedendo Armin e suo fratello, avevo sempre immaginato che la loro mamma doveva essere una donna estroversa e fuori dal comune, e invece… è peggio della signorina Rottermeier! Fredda, autoritaria, perfettina, la solita scassa palle.
Naturalmente quando venne a sapere che aspettavo un figlio, successe quello che doveva succedere il duemiladodici (forse i maya avevano ragione, solo che avevano sbagliato qualche calcolo di tempo e di luogo). Arrivò quasi a disconoscere suo figlio, per non parlare di quando seppe che dovevamo convivere. Altro che Freezer!
Nessuno l’ha mai messa al suo posto con qualche ben educata “mandata a quel paese”. Armin l’ha sempre lasciata fare, e lei alla fine si arrese. Venne solo una volta a trovarci, il giorno della nascita di mio figlio. Quando entrò lei nella stanza di ospedale, le mura si ghiacciarono “ecco arriva Jack Frost!” bisbigliai. Cavolo! Come si fa ad avere lo stesso colore d’occhi del figlio, ma sguardi diversi. Guardare negli occhi Armin ti fa gelare il cuore di piacere, invece guardare lei, è come osservare la montagna di Iceberg dal ponte del Titanic. E lì mi sono sempre chiesta: non è che per caso è stata proprio una sua antenata a farlo affondare?... come al solito penso sempre a cose idiote!
Comunque, stavo dicendo, che quando venne in ospedale a trovare il bambino (non dico a trovare me, perché sarebbe stata una cosa impossibile), nessuna parola uscì dal suo congelatore, guardò storto Etienne e se ne andò. Da quel giorno non si fece più vedere.
Ma, adesso… che cazzarola è venuta a fare?
<< Signora Charlotte >> dico scettica << che cosa la porta qui? È da molto che non ci vediamo >>
<< Devo parlarti, potrei entrare per qualche secondo? >> chiede con quella sua voce metal, ghiacciandomi all’istante, e indicandomi la porta del mio ufficio.
Non rispondo, accenno un sorriso forzato, apro la porta e la faccio accomodare. Prima di entrare pure io, qualcosa in fondo al corridoio attrae la mia attenzione. Alzo la testa di scatto incrociando gli occhi di Alain, che se ne sta indisturbatamente appoggiato ad un armadietto e mi fissa malizioso. Lo fulmino con gli occhi e poi entro nell’ufficio chiudendomi la porta alle spalle.
Tiro un profondo respiro, preparandomi alla lotta.
<< Allora… cosa voleva dirmi? >> chiedo con fare indifferente, raggiungendo la poltrona dietro la mia scrivania. Prima di rispondermi, lei guarda tutte le mie mosse, poi si siede davanti a me, appoggiando le mani sul piano e accendendo il ghiaccio dei suoi occhi pronta per congelarmi.
<< Sai bene cosa voglio! >> esclama infastidita. La guardo non comprendendo. << Non fare l’ingenua Rea! >>
<< Non sto affatto facendo l’ingenua. Sono quasi quattro anni che non la vedo, e sinceramente non saprei il motivo della sua venuta, visto che in tanto tempo non si è fatta assolutamente vedere! >>
<< Lo sai benissimo perché non l’ho fatto! Questa situazione che hai gettato sulle spalle di mio figlio non l’ho mai accettata! >>
<< Io non ho gettato un bel niente! >> esclamo iniziando a spazientirmi << Suo figlio e io abbiamo preso una decisione, e insieme! >>
<< Sì, ma non mi avete interpellata! >> ribatte tutto d’un fiato. Rimango di bocca aperta. “questa donna fa pentire a un assassino di essersi pentito!”
<< Io non ho da dare spiegazioni a nessuno e penso tantomeno Armin. Non siamo più bambini, abbiamo venticinque anni…! >>
<< Sì, ma Armin ha una madre che ci tiene! >> mi interrompe alzando la voce.
Questa frase, mi ha scioccata. Come diavolo si è potuta permettere di dire una cosa del genere? Senza rendermene conto, sbatto un pugno sulla scrivania, facendola sussultare, mi alzo di scatto dalla sedia e le rivolgo uno sguardo fulminante.
<< Che cosa sta cercando di insinuare?! >> urlo con voce stridula.
Prima che la vipera possa rispondere, bussano alla porta. Allento i tendini sciogliendo i pugni. Guardo la porta << Avanti! >> esclamo con voce tremante di rabbia. La porta si apre, e ad entrare è Alain. Non so perché, per la prima volta in un anno, la sua entrata non mi è affatto di disturbo, anzi, mi sento sollevata di vederlo. Mi sorride.
<< Cosa c’è Alain? >> chiedo non curandomi della stronza.
<< Mi manda il professor Faraize >> risponde con quella sua eterna malizia sul volto. Annuisco, poi mi volto verso la regina delle nevi e con un solo sguardo severo, le faccio intendere che deve togliersi dalle palle.
Lei non se lo fa dire, si alza e senza salutare se ne va. L’accompagno, e quando finalmente ha sorpassato l’uscio, sbatto la porta bruscamente sospirando rumorosamente.
<< Maledetta Jack Frost del cazzo! >>
<< Uhu! Come siamo irritanti quest’oggi… >> esclama Alain divertito << che ne dici di riscaldare un po’ l’ambiente? >> sussurra avvicinandosi e solleticandomi l’orecchio con la sua voce sensuale.
<< Smettila Alain, non è il momento adatto per sopportare anche le tue perversioni! >> dico allontanandomi da lui e raggiungendo la mia poltrona, dove vi sprofondo reggendomi la testa, stanca e irritata allo stesso tempo.
<< Che cosa hanno fatto alla mia bambolina, per farla arrabbiare in questa maniera? >> chiede dopo un po’ lui avvicinandosi. Alzo lo sguardo, e me lo trovo in ginocchio di fronte a me che mi osserva con quei suoi due immensi oceani.
<< … Per quale motivo ti ha mandato il professor Faraize? Che altro hai combinato? >>
<< Niente >> risponde lui al seguito di una smorfia << Non mi ha mandato Faraize… >>
Lo guardo scettica << e allora? >> chiedo.
<< E allora, ti ho sentito urlare come una schizzata e mi sono preoccupato >>
<< Hai saltato la prima ora? >>
<< Ha importanza? >>
<< Alain… >>
<< Sssh! >> mi interrompe lui poggiandomi l’indice della sua mano sulle labbra. Trasalisco a quel tocco. Non si era mai spinto fin qui, nel senso di contatto fisico.
Mi guarda, per la prima volta, serio, senza alcun spiraglio di malizia, sento il suo dito passare dolcemente da una parte all’altra delle labbra, lui le guarda, e lo fa con desiderio; poi, pian piano scorre la sua mano sulla guancia accarezzando con il pollice lo zigomo, come per raccogliere qualcosa.
<< Hai tutti gli occhi lucidi. Detesto vederti così >> sussurra scendendo la mano sul lato del collo << perché accetti tutto questo da queste fottute persone? >>
<< Alain, questi non sono affari che ti riguardano >> rispondo gentilmente allontanandogli la mano dal mio collo. Lui mi afferra la mano  e porta le dita alla sua bocca, baciandomi lievemente i polpastrelli.
<< Perché non lasci quell’imbecille di Armin? Se ci teneva per davvero a te avrebbe mandato a fanculo sua madre >>
Quella frase, inconsciamente, mi riporta a quattro anni fa. Alain ha detto se ci tiene veramente. Questo significa che quel giorno Castiel non si mise contro il padre perché non ci teneva davvero al mio amore? Ma se fosse stato così? Allora perché adesso è tornato con la pretesa di riavermi? Ritorno al presente guardando Alain e sorridendo rispondo: << Non posso lasciare Armin… abbiamo un bambino >>
Alain lascia la mia mano che cade di peso sulla mia coscia. Mi guarda prima smarrito, poi si riprende con uno dei suoi sorrisi beffardi e alzandosi sia allontana verso la porta dicendo: << Beh, potresti sempre dire che una notte, hai passato una notte di fuoco con me e ti ho messa incinta >>
La vena alla tempia inizia a pulsare di nuovo, prendo la prima cosa che mi capita a tiro e gliela lancio addosso << Come puoi dire queste cose così spudoratamente! >>
Lui afferra abilmente l’oggetto, che mi sono accorta, essere una penna e continua a sorridermi. << Non piangere più >> mormora gentile << certa gente non merita di vedere questo lato di te >>. Detto questo esce dall’ufficio, lasciandomi con il cuore pieno di non so cosa. Non è rabbia, non è irritazione. Queste sue ultime parole, mi hanno consolata. Per la prima volta in questi pochi giorni mi sento consolata da uno che non è affatto Armin.
 
 
Tutto quello scombussolarmi il cervello, mi ha fatto aumentare la stanchezza e il sonno. Ora mi ritrovo con la testa appoggiata sulla scrivania, sotterrata da fogli sparsi. Ho gli occhi chiusi e cerco di liberare la mente da ogni pensiero per addormentarmi, anche se so benissimo che non si fa. “Me ne frego! Sono la preside, e la preside fa tutto ciò che voglio!” non so perché ma questo pensiero mi fa preoccupare.
Non riuscendo più ad addormentarmi, mi alzo di scatto guardandomi in torno sbuffando. Decido di uscire a prendermi una boccata di aria fresca.
Il corridoio è vuoto, ma dei mormorii riecheggiano comunque. Esco fuori in giardino  e mi stiracchio sbadigliando.
<< Battiamo la fiacca, eh? >> sento ad un tratto quella famigliare voce alle mie spalle. Mi giro di scatto. Castiel?
<< Che ci fai qui? >> chiedo allibita.
<< Questa domanda dovrei fartela io! Come mai non sei a lavoro? >>
<< E a te che importa? >> ribatto irritata.
<< Mi importa e come! Quando un mio subordinato non rispetta le regole lavorative… >>
<< Subordinato? >> lo interrompo scettica << che stai dicendo? >>
Lui sorride, e lo fa con malizia, si avvicina lentamente bloccandosi a due centimetri di distanza da me.
<< Ma come? Non ricordi chi è il preside delegato? >>
Sgrano gli occhi incredula << T-tu hai… >>
<< Sì, ho ripreso il mio lavoro. Tua zia me la concesso senza opposizione >>
“Brutta figlia di…”
<< Allora? >> esclama dirigendosi verso l’entrata << Non torni al tuo lavoro? >>
Stringo i pugni “Se non esplodo adesso…” lo seguo, lasciando un po’ di distanza. Quando entriamo nell’ufficio, lui, senza perdere tempo si va a sedere sulla mia poltrona, sospirando rumorosamente. Io chiudo la porta alle spalle, e non capisco perché l’ho fatto. Mi avvicino alla scrivania e lo guardo furiosa mentre si atteggia a padrone.
<< Alzati, quella è la mia poltrona >>
<< Era… >>
<< Castiel non ti ci mettere anche tu per completare questa giornata >>
Mi fissa senza cambiare espressione. Non so più come ribattere, allora sospiro abbassando la testa e mormorando esausta << Va bene, vorrà dire che cambierò ufficio! >>. Detto questo mi giro incamminandomi verso la porta, ma ad un tratto mi sento afferrare violentemente un braccio, vedo la stanza girami intorno, e un forte dolore alla schiena, socchiudo gli occhi, accorgendomi di essere stesa sulla scrivania e sopra di me Castiel, che mi fissa malizioso con quegli occhi senza saturazione.
<< Che… che stai facendo? >> balbetto con un sibilo.
Lui mi ha bloccato i polsi, reggendomi forte. << Perché vuoi cambiare ufficio? >> chiede con voce sensuale, allargandomi le cosce con il suo ginocchio e intrufolandolo al centro, appoggiandolo sul piano e spingendolo verso la parte nascosta.
A proposito, ho la gonna, una di quelle con le pieghe tutte a fiorellini, questo significa che gli sto facilitando il lavoro.
Sussulto, iniziando a sentire qualcosa dentro di me che non deve assolutamente prendere vita.
<< Castiel, non scherzare… >>
<< Chi ti ha detto che sto scherzando? >> chiede, toccando la mia parte femminea con la rotula del ginocchio. Ho un sussulto, e sento di iniziare a perdermi nei suoi occhi.
<< Questo ufficio è tanto grande che in due ci possiamo anche stare. E poi… abbiamo tanto lavoro da fare >> continua avvicinandosi al mio viso diffondendo il suo respiro sul mio collo.
In quel preciso istante, inizio a pregare e sperare che da quella porta non entri nessuno, o meglio bussi qualcuno, almeno per aiutarmi a liberarmi da questa… perversione.
   
 
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