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Autore: Misukichan    20/07/2014    5 recensioni
Jennifer, ragazzina di quasi sedici anni, vuole staccare dalla sua vita in California. Non sopporta i burrascosi rapporti con i coetanei, ha solo bisogno di un estate diversa. I suoi le permettono un viaggio a Miami, per dimostrare la sua autonomia e maturità. Presto, però, si accorge che qualcuno di non desiderato si trova proprio a Miami, e comincia a stravolgerle i piani.
«Non sai nemmeno dove siamo, non è buffo?» parla con la bocca piena.
«No, non è buffo per niente. Ti hanno mai insegnato a non parlare con la bocca piena?»
«Sì, mamma.»
«Ok, va bene, hai vinto, cosa devo fare per sapere...?»
«Ti porto a casa io» vengo interrotta bruscamente.
«Sei proprio u-un...»
Ride e mangia il panino. «Ne vuoi un po'?» Ho fame, ma non accetterei un panino da lui neanche sotto tortura. (capitolo 5).
«stai scherzando, vero?» dice lei seria.
«no, quando mi sono alzata mi sono ritrovata nel letto di casa sua. Era piuttosto seccato di aver scoperto che quella che ha recuperato ero io» dico con nonchalance, «magari si aspettava qualche affascinante donzella» sorrido tra me.
«ma, non è niente di grave, giusto?»
«no, solo qualche botta» (capitolo 9).
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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7. Who are you?

 




Sono girata su un fianco, il braccio sotto il morbido cuscino fresco che ho appena rivoltato per non sentire caldo, la televisione è accesa ma io non ascolto nulla di quello che stanno dicendo due ragazzi, personaggi di una soap opera probabilmente.

Improvvisamente mi sento anche io parte di una grandissima commedia, dovrebbero intitolarla una cosa come "la regina delle sfigate", suona bene per me.

Socchiudo gli occhi e tiro un sospiro...

Cosa fare?

Lasciar correre?

Dimenticare?

Ma si può dimenticare il primo bacio?

Ho sempre sognato il primo bacio come un qualcosa di speciale, qualcosa di unico e indimenticabile.

Nel mio sogno baciavo il ragazzo di cui ero innamorata, non il bel ragazzo di turno che dimostrava di volermi. Probabilmente per altri fini.

Ho rovinato tutto, ne sono consapevole.

Afferro il telefono e chiamo Laura. Finalmente riesco a sfogarmi come si deve.

Le racconto tutto, mi soffermo su ogni dettaglio; La gita, i cambiamenti di umore di Jack, il tradimento di Sam e tutti i miei stati d'animo. Lei sembra capirmi, anzi, ne sono certa.

E' probabilmente l'unica che riesce a capirmi davvero.

Dopo una manciata di insulti da parte della mia migliore amica diretti a Sam, la saluto riconoscente; lei è la migliore, lo è sempre stata.

Una mezz'ora dopo sto meglio, mi sono sfogata e, dopo aver letto il messaggio di scuse di Sam, rido freddamente ed elimino immediatamente il messaggio. Poi, dopo un impeto di rabbia, getto il telefono sulla mensola, spento.

Al diavolo, i miei genitori mi chiameranno al telefono della stanza, se lo vorranno fare.

So di non essermi ripresa del tutto; indosso i primi vestiti che trovo sulla sedia ed esco dalla stanza a prendere un po' d'aria, senza nemmeno mettermi un po' di trucco.

Ultimamente il trucco è l'ultima cosa a cui penso.

Chiamo un taxi e vado in centro.

Un po' di sano shopping mi può far bene.

Controllo di aver dietro la mia carta di credito, poi, soddisfatta, entro nella via dello shopping più amata della zona.

Decine e decine di vetrine piene zeppe di vestiti, d'alta moda e non; ogni più misero dettaglio attira la mia attenzione, mi costringo a saltare qualche negozio, per lasciare un po' di soldi per quelli che devono ancora venire, ma alla fine ci rinuncio e li perlustro tutti, anche solo per pochi minuti, anche solo per dare un'occhiatina veloce.

Alla fine della mattinata esco con 7 sacchetti pieni di capi: la commessa dopo aver visto la mia Master Card è diventata un' altra persona, si è premurata di mostrarmi tutti i vestiti più belli, più vistosi, e decisamente del mio genere che potessero esserci in quel negozio, che di sicuro non dimenticherò tanto facilmente. Alla fine ho preso quasi tutto, malgrado i miei buoni propositi.

Ho lasciato quei teneri pantaloni verde acqua al loro posto, anche se mi piangeva il cuore, mi sono proprio sentita un insensibile davanti a loro, che mi guardavano con quell'aria sconsolata. Dovevo pur rifiutare qualcosa! Non posso fare la figura della spendacciona.

E poi magari li ritorno a prendere tra qualche giorno, se mi avanzano i soldi.



 

**


 

Sono seduta al tavolo del Mc Donald's e strabuzzo gli occhi; davanti a me c'è il mio nemico più stronzo: lo scontrino delle mie straordinarie spese che mi attende, immobile.

Ouch. Ho speso duecento dollari, solo nell'ultimo negozio in cui sono stata, però.

Sono un diavolo.

Mentre sono in fila alla cassa, mi vengono in mente le parole di Jack e rifletto.

Ma ci devo credere, che ha provato una cosa simile sulla sua pelle?

Lui. Jack, il ragazzo senza sentimenti a cui importa solo di football e di ragazze. Siamo sicuri che sia lo stesso Jack?

Improvvisamente mi prende una voglia strana; ripenso a quelle parole che mi hanno confusa.

Ho voglia di conoscerlo, più a fondo. Voglio capire il motivo di tutti quei cambiamenti d'umore.

Jack è sempre stato la persona che conoscevo bene per quello che dimostrava agli estranei, quella alla quale a scuola non dovevo mai rivolgere la parola per non sentirmi rispondere una marea di insulti o roba del genere.

Ora, invece sembra diverso. Ogni tanto sembra che una parte di lui voglia riemergere in superficie, per poi tornare seppellita nella parte di lui con il chiavistello. Quella che il Jack superficiale non vuole far uscire, quella tanto nascosta, per paura di essere conosciuta.

Comincio a sentirmi vagamente in colpa, senza un motivo.

Forse per aver avuto dei pregiudizi, per aver pensato che per lui non ci fosse speranza.

Ed ecco che di nuovo quella voglia strana mi assale, ho voglia di scoprire cosa si cela in quella parte di lui che sta cercando di tornare a galla e farsi conoscere.

Scuoto la testa davanti a simili pensieri. Sono proprio un'idiota, tutti questi anni non sono bastati a farmi capire che certe cose le devo proprio evitare, tipo farmi gli affari delle persone come Jack.

Mi accorgo che è il mio turno, la signorina al bancone mi agita la mano un po' spazientita e io ritorno improvvisamente alla realtà.

Ritorno seduta al tavolo di prima, poi mi concentro sul vassoio che mi ritrovo davanti.

La fame mi è passata quasi del tutto mentre sbocconcello qualcosa dal mio menù.

Prendo il panino con il grosso hamburger e dopo averlo infagottato con dei tovaglioli me lo metto in borsa, per quanto riguarda la coca: me la trangugio nello stomaco velocemente fin quasi a sentirmi male.

Prendo a correre per la via che in quel momento mi sembra la più trafficata della zona. Sorpasso qualche striscia pedonale, la fontana in mezzo alla piazzola e in lontananza vedo il mio Hotel.

Mi precipito dentro come se abbia paura che tutta la determinazione che possiedo mi potrebbe da un momento all'altro svanire.

Con mio stupore vedo che il ragazzo della reception è stato sostituito, al suo posto c'è una ragazza che sembra simpatica quanto il gatto della mia vicina di casa, che soffia anche alla mia ombra.

Mi avvicino cauta al bancone.

«Ha bisogno di qualcosa?»

«Sto cercando un ragazzo di nome Jack Pearson. Ho perso la sua via e il numero civico, mi potrebbe gentilmente aiutare?»

«Il suo nome, prego?»

Rimango indecisa se spingermi alla pazzia o no, alla fine le do il mio nome e un'altra signorina - probabilmente l'assistente - comincia a scrivere velocemente sulla tastiera del computer.

 

**


 

Una voce familiare risponde dopo aver bussato alla porta. Sono davanti a una miriade di villette a schiera, vagamente familiari. Ora ricordo perfettamente la zona.

Il verde qui non manca, visto che sono lontana dal centro della città.

«Sì?»

Mi blocco. Improvvisamente non so cosa dire. Tutta la mia spontaneità si è esaurita non appena ho sentito la sua voce. Ma che diamine mi è passato per la testa?

Mi giro per andarmene proprio nel momento in cui la porta si spalanca.

Un Jack nudo fuorché un asciugamano in vita mi si presenta davanti alla porta. E' piuttosto imbarazzato dalla mia presenza, probabilmente si aspettava chiunque al di fuori di me, ma l'imbarazzo non è l'unica emozione che traspare sul suo volto. Sembra infinitamente stanco, due occhiaie profonde gli solcano gli occhi, gonfi e rossi.

Un labbro gli trema per qualche secondo mentre strabuzzo gli occhi.

Mi mostro confusa, faccio finta di aver sbagliato casa, ma suona ridicolo perché è piuttosto strano che abbia proprio suonato alla sua. Non appena lui si gira per chiudere la porta lo blocco.

«Jack...»

Lui si gira, mi guarda. Sembra indeciso. Alla fine con un solo gesto mi indica l'interno di casa sua, invitandomi ad entrare. Senza una parola, con lo sguardo di uno appena tornato dal Vietnam.

Non sono più molto sicura di quello che sto facendo, ma perlomeno preferisco entrare che rimanere chiusa fuori dopo quel viaggio in taxi, tutto fuorché corto.

Nonostante non sia la prima volta che metto piede a casa sua, non mi sembra di riconoscere l'ambiente in cui mi trovo.

Dopo avermi chiesto di aspettarlo, evidentemente teso dalla situazione, si allontana sparendo da una porta.

Io mi guardo intorno, è tutto pulito e perfettamente in ordine.

Jack si starà chiedendo cosa diavolo sono venuta a fare di nuovo in casa sua, deve essere una spiacevole sorpresa per lui.

Nonostante questo, ora sono qui. E intendo avere delle risposte.

Voglio sapere a cosa sono dovuti tutti questi cambiamenti d'umore che mi spiazzano. Voglio sapere perché quel giorno si è preoccupato di portarmi a casa per poi trattarmi da spazzatura qualche giorno dopo alla grotta. Voglio sapere come diavolo facesse a sapere che stavo in hotel, il giorno dell'incidente.

E sono terribilmente curiosa di conoscere la sua storia.

Sto fissando le mie scarpe sul pavimento, sono seduta su un divano dalla fodera rossa, quando Jack ritorna nella stanza.

Mi alzo improvvisamente.

Indossa una maglietta a maniche corte e dei Jeans. I suoi capelli sono umidi, e anche gli occhi.

«Non volevo disturbarti mentre stavi facendo la doccia» è l'unica cosa che riesco a dire per rompere il silenzio.

Jack sembra non voler parlare. Rimane zitto, in piedi vicino ad un tavolo, sguardo basso.

Improvvisamente comincia a scrutarmi come se volesse leggermi nel pensiero, cosa che mi incute una certa ansia e imbarazzo.

Sostengo il suo sguardo per qualche minuto, sono rossa e imbarazzata, quando finalmente si decide a parlare.

«Bene... che ti porta qui da me? Sentivi troppo la mia mancanza?» sorride beffardo lui, senza nient' altro da aggiungere.

Ennesimo cambiamento di umore, che mi irrita.

«No, davvero, sei una cosa impossibile» dico con un velo di abbattimento. «Pensavo ci fosse speranza per te».

Mi guarda cercando di capire quello che intendo, come se fossi la persona più stupida di questo mondo.

«Che succede?» sono realmente sorpresa «che fine ha fatto il Jack che non ci pensa due volte a ribattere con cattiverie?»

Non sembra intenzionato a rispondere, così lo sprono mandando fuori qualche lieve insulto che sembra toccarlo. Riesco nel mio intento, ma mentre si alza per - probabilmente per spedirmi fuori da casa sua a calci nel sedere - crolla. Senza un motivo, si ritrova in terra, sudato. Solo adesso comincio davvero a preoccuparmi.

Lo chiamo forte, vedendolo seduto per terra.

Come risposta lui si nasconde il viso tra le mani, e rimane così per qualche minuto.

Non so cosa fare, sembra una situazione decisamente assurda. Sembra che i ruoli si siano invertiti. Sento qualche singhiozzo contenuto che esce a tradimento dalla sua bocca. Non capisco se stia male fisicamente o sia solo un crollo emotivo.

Tutta la tensione che ho contenuto fino a questo momento si sprigiona. Improvvisamente mi alzo e mi inginocchio accanto a lui. Gli prendo la faccia tra le mani e me la porto vicino al cuore.

Non sembra infastidito da quella presa. Si lascia stringere.

In questi casi la mia sensibilità supera ogni conflitto; lui lo sente e sembra riconoscente nei miei confronti. Forse anche perché non ho cominciato ad assillarlo di domande e non mi sono scandalizzata. Faccio la cosa che ritengo più giusta: aspetto che si sfoghi.

Lo aiuto ad alzarsi e lo faccio sedere sul suo letto, la fronte scotta.

«Dove tieni un termometro?»

Mi indica un mobile nero di fianco alla credenza. Apro tutti i cassetti e dopo aver trovato il termometro glielo passo.

Tiene ancora gli occhi chiusi, sembra volersi allontanare, chiudere in se stesso.

«Jack, se hai voglia di parlare con qualcuno....» lascio a metà la frase, sorpresa anche io dalle mie parole. Che cosa volevo dire? Che io per lui ci sono? Se lo merita proprio, direi. Penso con una punta di amarezza e di ironia.

La verità è che nemmeno io sono brava con le parole, in queste situazioni, ma mi sforzo.

«So di non essere la persona che vorresti qui a consolarti in questo momento...» faccio per continuare ma la sua voce mi interrompe.

«Selena mi ha mollato.»

Rimango zitta, sorpresa e spiazzata dalla notizia e dal suo modo di reagire.

«Ah» mi sento una stupida idiota.

Rifletto su cosa dire «in effetti non me lo sarei aspettata da lei. Voglio dire, è lei che ci ha perso. T-tu ci hai guadagnato.» Il suo sguardo è impassibile ora, non lascia trasparire alcuna emozione. Le mie parole devono suonare false, così lascio perdere.

«La ami?»

«No.»

«Allora perché ci stai così male?»

«Era l'unico appiglio che avevo, l'unica certezza. L'unica persona che cercava di capirmi, anche se un po' goffamente nei suoi modi, ma almeno lo faceva.»

«Wow»

«Che c'è?» ora è seccato.

«Non ti ho mai visto così combattuto per una ragazza. Mi correggo, non ti ho mai visto combattuto.»

Si toglie il termometro e lo guarda, poi geme.

Glielo prendo di mano e leggo 39 celsius. Non mi sono nemmeno accorta di quanto la febbre sia salita in questi pochi minuti.

«Stai davvero così male per lei da avere la febbre?»

«Non è solo questo.» Sospira e si gira verso di me, sguardo febbricitante e gote pallide.

«Hai voglia di parlarne... con me?»

«Non so. Hai tempo?»

«Sono già qui tanto»

Mi fissa.

«Va bene, ma solo dopo che mi hai preso un bicchiere di birra dal mio frigorifero, in cucina a sinistra» sogghigna debolmente.

«Hai la febbre. Niente birra.»

Mi fissa ancora. Torvo. Chissà a cosa pensa.

Vado in cucina che scopro essere ben pulita e in ordine - come il soggiorno d'altronde - e gli prendo un bicchiere d'acqua.

Quando ritorno si è già addormentato.

Il suo viso è pallido e scottante.

E' tutto sudato.

Però sembra felice adesso che dorme.

Sono venuta qui per capirci qualcosa. Anzi, non so perché sono venuta qui.

Un attacco di spudorata spontaneità mi ha assalito, poi mi sono lasciata trasportare. Non accadrà più.

Ora però sono qui, e capisco ancora meno di quello che capivo quando sono venuta.

Perché Jack sta male se non era davvero innamorato?

Mi guardo intorno, in cerca di qualcosa per farlo stare meglio.

Mi risolvo ad andare in cucina e prendere un po' di ghiaccio che trovo nel freezer, glielo avvolgo in un asciugamano e glielo appoggio in fronte.

Prendo anche il bicchiere di acqua che appoggio sul tavolino di fianco a lui.

Dopodiché mi siedo, sospiro e aspetto un qualche tipo di cambiamento.

Dopo una ventina di minuti sento che si agita, probabilmente sta per svegliarsi.

«Jack»

Si spaventa.

«Sono io, non me ne sono ancora andata» sussurro, senza spaventarlo.

«Grazie» si rilassa sul divano e prende l'asciugamano con il ghiaccio; la presenza di qualcuno sembra lo faccia stare meglio.

 

**


 

Chiacchieriamo.

Per la prima volta chiacchieriamo senza litigi, contese, vecchi ricordi, argomenti fastidiosi.

Chiacchieriamo come se fossimo vecchi amici, probabilmente a causa della sua febbre che gli inebetisce quel poco cervello che si ritrova e gli arti.

Chiacchieriamo della vacanza, del mare, degli amici, di Luke e Kandy. Chiaccheriamo sulla sua vita, i suoi genitori assenti, le sue “avventure” più comiche.

Ahimè si sofferma anche su Sam.

«Provi qualcosa per lui?»

«No»

«E allora perché hai pianto tanto quando ti ha lasciata?»

E' come prima, solo il contrario, noto.

«Perché ho pianto? Perché era la prima volta, cavolo. Non mi aspettavo che lui si comportasse così, mi sono presa male. Credevo che almeno per una volta potessi anche io essere felice. E poi... era il mio primo bacio» ammetto imbarazzata. Probabilmente questa notizia gli darà motivi in più per prendermi in giro.

Lui sta in silenzio, mi guarda pensieroso. Non dà segno di volermi deridere.

«Mi dispiace» dice infine.

«Anche a me, ma è passata. Un esperienza in più» dico amareggiata. «Come ti senti?» gli dico toccandogli la fronte.

Scotta ancora molto.

«ah.. lascia perdere. Sarà per stanotte, ho lasciato l'aria condizionata andare a manetta» tira un sospiro. L'aria felice che gli era apparsa sul viso mentre dormiva non c'è più. Al suo posto ora c'è una sfumatura di dolore.

«Hai voglia di parlare?»

Capisce che voglio farlo sfogare. Sa benissimo anche che io lo ascolterò. Ascolterò ogni sua parola, senza criticare. Senza commentare negativamente. La mia qualità migliore è quella di ascoltatrice. Io non parlo di me, io ascolto e basta.

Così dopo un inizio teso, si lascia andare. Sfoga tutto quello che ha dentro.

E io scopro una nuova parte di Jack.




Ciao a tutti! Ci tengo a ringraziare particolarmente giota123, _tribute__ & giuliisemmi per le recensioni. Davvero, per me è importante sapere cosa ne pensate della storia, che sia un impressione positiva o negativa. E' tanto tempo che lavoro e riscrivo questi primi capitoli che avevo cominciato un bel po' di tempo fa, ma non so se continuarla o no. Se so che ci sono anche quelle poche persone che la seguono e a cui interessa veramente allora non la interromperò, perchè ci tengo e ci sto mettendo tanta passione. Anche una o due righe bastano, da una o due persone. Vorrei sentire qualche opinione in più, tutto qui! Un bacio

  
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