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Autore: 1rebeccam    21/07/2014    13 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 42
 

 
Il capitano Gates guarda dritto davanti a sé, la guida di Beckett è tranquilla, anche se tiene le mani serrate al volante come se temesse di perderlo. La verità è che ogni muscolo del suo corpo è rigido, la mascella serrata e gli occhi saltellano di continuo dallo specchietto retrovisore alla strada da seguire, come se si aspettasse di vedere sbucare alle sue spalle gli occhi di ghiaccio di Scott Dunn per trafiggerla.
La sua paura è tangibile. Non si tratta solo di una questione di vita o di morte, non si tratta di trovare un assassino e salvare la vita ad un uomo, si tratta di sentimenti messi in gioco, di stratagemmi per mettere a nudo la parte più profonda dell’anima, quella parte che forse, nemmeno lei era consapevole di avere.
Anche lei è un poliziotto, anche lei ha una famiglia che ama e per la quale darebbe la vita.
Ripensa alla discussione avuta con Castle quella notte, una discussione esilarante avrebbe detto, se solo quell’uomo,  imbarazzato per certi versi, ma così serio quando le aveva espresso le sue scuse, non fosse stato in pericolo di vita, sotto pressione e preoccupato per la donna che ama. Se in quei mesi aveva avuto il dubbio che quei due gliela stessero facendo sotto il naso, magari divertendosi un po’, in quel momento aveva avuto la certezza assoluta che il loro era un grande amore, cresciuto piano, sotto gli occhi di tutti e diventato forte ancora prima di cominciare realmente.
Sente una stretta al petto improvvisa che la costringe a deglutire, portando poi lo sguardo su Beckett.
-Non stiamo lasciando nulla di intentato. Questa mattina il Sindaco ha chiamato il Capo della Polizia per assicurarsi che tutte le forze disponibili della città fossero impegnate in questo caso.-
-Lo so benissimo signore!-
Risponde lei sicura e la Gates annuisce.
-Bene, perché ci sono pattuglie dislocate in ogni parte della città con il compito di controllare ogni minima segnalazione arrivata ai centralini dei diversi distretti.-
Kate la guarda corrucciando la fronte e il capitano sospira.
-Dopo il video di stanotte e la mobilitazione dei media, il Capo ha pensato bene di mandare in onda le foto di Scott Dunn in originale e con i travestimenti usati. I centralini sembrano impazziti, arrivano segnalazioni di gente che dice di aver visto uno degli uomini delle foto ovunque in città e, nonostante alcune sembrino davvero improponibili, le stiamo controllando tutte, una per una.-
Sospira ancora quando Kate scuote il capo.
-Alla fine Dunn non è un fantasma! Deve pur essere da qualche parte e lasciare una traccia. Abraham lo ha messo in difficoltà, questo potrebbe essere un punto a nostro vantaggio.-
Kate annuisce, anche se poco convinta. Si ferma al semaforo rosso e posa lo sguardo sulla Gates.
-Dunn non uscirà allo scoperto. Il suo piano è preciso. Forse Abraham lo ha messo in difficoltà, ma il fatto che è arrivato prima di noi, rimette tutto in equilibrio, almeno per lui.-
-Può essere, però il suo nascondiglio ha i minuti contati.-
-Lo sa anche lei che ci stanno lavorando da ore. Non c’è nessuna traccia veritiera sull’indirizzo IP da cui è partito il video, sennò Tori lo avrebbe già trovato.-
Il semaforo dà loro il via libera, Kate ingrana la marcia e la Gates annuisce.
-Tori è in gamba. Questa notte, dopo che Dunn ha caricato il video, ha messo un programma di guardia alla rete.-
Kate corruccia la fronte e il capitano sorride.
-Una specie di cavallo di Troia pronto a captare la traccia di partenza e scartare quelle fasulle, nel caso Dunn avesse usato lo  stesso server per accedere ancora ad internet…-
Solleva un sopracciglio, sorridendo.
-…e lo ha fatto stamattina con il video su Jessica Benton! Tori mi ha chiamata quando eravamo ancora in ospedale, sono riusciti ad agganciare il punto di partenza, certo sta saltellando come il primo video da una parte all’altra del globo terrestre, però stavolta la traccia d’inizio è rimasta.-
Si volta a guardarla seria.
-Lo troveremo Beckett e lui questo non se lo aspetta!-
Kate deglutisce, continua a stringere le mani sul volante. Lo troveremo significa solo che ci vuole altro tempo, tempo che Castle non ha. Sospira e svolta alla sua destra.
Al centro dell’isolato si staglia l’edificio del 12th distretto. Sono passate più di dodici ore da quando Dunn ha postato il suo capitolo in rete e la stampa è sempre più curiosa e avida di notizie.
-Eccoli là… avvoltoi!-
Sibila tra i denti la Gates, affrettandosi  a scendere dall’auto e a correre verso l’entrata, seguita da Beckett e dalle domande dei giornalisti, tenuti a bada da agenti di guardia, dall’altra parte della strada.
Uscendo dall’ascensore, Kate ha l’impressione di tornare indietro di un giorno, quando insieme a Castle si era ritrovata investita dal via vai frenetico della squadra omicidi, subito dopo aver saputo la tremenda verità.
Sembra esserci un caos calmo, quel caos provocato da documenti sparsi sulle scrivanie, telefoni che squillano, lavagne che vengono riempite e ricontrollate minuziosamente, detective dal viso stanco e provato dalle lunghe ore di lavoro ininterrotto. Calmo perché tutto è invece organizzato e nulla è lasciato al caso.
Il campanello dell’ascensore la riscuote da quella vista e, quando anche Ryan ed Esposito le raggiungono, si rifugiano nell’ufficio del capitano per un attimo di silenzio.
-La via in cui abitava Pratt è molto tranquilla.-
Esordisce Esposito, storcendo le labbra, mentre la Gates e Kate lo guardano confuse.
-Nel senso che tutti si fanno gli affari propri. Potrebbero ammazzare qualcuno in mezzo alla strada e nessuno interverrebbe.-
-Quindi non avete scoperto niente?-
Ryan solleva le spalle.
-Qualcosina abbiamo scoperto, ci è costato 50$, ma… un tipo ha visto uno sconosciuto parcheggiare una familiare rossa davanti alla casa di Pratt, che è sparita dopo qualche minuto. Sempre il tipo, non ha visto, o non ha voluto vedere, altro.-
Esposito mostra un foglio al capitano.
-Abbiamo una segnalazione su una Volkswagen Golf Station Vagon rossa, rubata in mattinata sulla 27th strada.-
-Non è per niente esibizionista! Per non dare nell’occhio ha rubato un’auto rossa…-
Kate scuote la testa e si dirige verso la finestra. Le veneziane sono abbassate ma riesce a vedere, attraverso le fessure, i giornalisti che aspettano come animali voraci e la vita che continua a scorrere tranquilla per il resto della città.
Appoggia la mano sulla veneziana e per un attimo non si rende conto degli sguardi muti su di lei.
Veglio su di te…
Chiude gli occhi e si porta la mano al centro del petto.
Nella loro ultima notte insieme, Castle sentiva la tensione di quello che li circondava, era preoccupato per lei e l’aveva amata in maniera disperata e tenera allo stesso tempo, stringendola così forte da farla sentire protetta… lei invece non era riuscita a proteggerlo.
-Beckett!-
La mano di Victoria Gates le sfiora la spalla e quando lei si gira di scatto, si trova davanti ad un impercettibile sorriso.
-E’ tutto a posto capitano.-
Risponde dirigendosi alla porta.
Uscendo si sofferma a guardare la lavagna con gli ingrandimenti dei manoscritti.
-Continuiamo a sbagliare…-
Sussurra tanto piano che i colleghi si guardano corrucciando la fronte, aspettando che si spieghi, ma lei continua a seguire il filo illogico dei suoi pensieri ed in assoluto silenzio, si siede sulla sua scrivania, con gli occhi fissi sulla lavagna.
 
-Parlami di lui…-
Lo aveva chiesto in un sussurro, senza guardarla negli occhi e Martha aveva corrucciato la fronte, senza riuscire a capire di chi doveva parlargli, ancora confusa e frastornata dalla tosse che lo aveva colto all’improvviso e dal dolore che lo aveva costretto a sollevarsi e a piegarsi su se stesso, seduto sul letto, quando era entrata pochi secondi prima.
-Parlami di lui… almeno adesso, dimmi qualcosa di lui…-
Aveva ripetuto la sua richiesta alzando lo sguardo su di lei, il viso sudato e i segni del dolore che ancora sentiva nelle viscere, mentre il respiro cominciava a tornare normale.
In quell’attimo Martha aveva capito.
I suoi occhi non mostravano solo dolore fisico, imploravano una risposta che aspettava da quando era venuto al mondo.
Spalancò la bocca come sorpresa.
Lo aveva cullato sul suo petto, dopo che lui l’aveva pregata di non chiamare nessuno perché il dolore si stava attenuando. Non voleva il medico in quel momento, voleva solo che lei lo abbracciasse e lo facesse sentire al sicuro, come quando era bambino.
Si era allontanata quando lo aveva visto più calmo, dirigendosi lentamente alla finestra, guardando il pezzo di azzurro che stava osservando lui quando era entrata senza bussare, per non disturbarlo nel caso si fosse assopito di nuovo, invece lo aveva sorpreso con lo sguardo rivolto  sul cielo che mutava di minuto in minuto. Le nuvole si muovevano lente macchiando, con disegni bianchi simili a pecorelle di forma strana, quell’azzurro che aveva preso finalmente piede contro il grigio cupo e deprimente.
Aveva visto le sue labbra incresparsi in un impercettibile sorriso e quando si era accorto di lei sulla porta, senza che gli chiedesse nulla, le aveva detto che quel pezzo di cielo gli ricordava le  giornate trascorse al parco con Alexis bambina, stesi sull’erba a fare a gara per trovare la nuvola dalla forma più strana o più buffa e puntualmente vinceva lei, non perché lui non avesse fantasia, ma solo perché, invece di guardare in alto, si perdeva nella sua risata cristallina e in quegli occhioni sgranati e curiosi che si muovevano da una nuvola all’altra. Aveva appoggiato la testa sul cuscino sorridendo, sollevando la mano per quanto aveva potuto, chiedendole di avvicinarsi.
Anche le labbra di Martha si erano schiuse in un tenero sorriso.
Aveva detto a Kate che essere genitori mette in secondo piano qualsiasi altro tipo di sentimento, ogni cosa prende un’importanza diversa quando la rapporti alla vita di tuo figlio. Lei aveva cambiato la sua vita per Richard, aveva rinunciato a tante opportunità, prendendone al volo altrettante, ma non si era mai pentita di niente, perché quel figlio arrivato all’improvviso, le aveva dato modo di combattere con una forza ed un coraggio che nemmeno lei sapeva di avere. Aveva vinto tante battaglie supportata dalla presenza del suo bambino. Quello stesso bambino diventato genitore troppo presto, proprio come lei e che come lei, aveva messo sua figlia davanti a tutto e tutti.
I momenti difficili, come quello che stavano vivendo in quel preciso istante, portano inevitabilmente a ripercorrere il passato, a fare i conti con le azioni compiute e, guardandolo immerso nel suo dolcissimo ricordo, si era persa anche lei in ricordi lontani, pensando a quella notte in cui aveva amato, con passione, con tutta se stessa e che le aveva lasciato, non solo Richard, ma anche il pensiero, guardandolo crescere giorno dopo giorno, di come sarebbe stato se quell’uomo non fosse sparito portandosi via il suo cuore.
Era tornata alla realtà quando il sorriso del suo Richard si era trasformato in una smorfia di dolore.
Quando si era ripreso, ansimando, senza guardarla negli occhi e senza preavviso, le aveva chiesto di parlargli di lui, come se avesse intuito i pensieri in cui si era persa per un attimo.
Rimase ferma di spalle, consapevole di avere il suo sguardo addosso, senza riuscire a capacitarsi di come, in tutti quegli anni, avesse potuto credere davvero che gli avesse mentito.
 
Deglutisce, sentendo le lacrime farsi prepotenti, imponendosi di rimandarle indietro.
-Davvero non mi hai mai creduto Richard?!-
Chiede in un sussurro e quando non riceve risposta, si volta a guardarlo. Lui solleva le spalle, guardando il copriletto azzurro che gli copre le gambe.
-E’ difficile non sapere chi è il padre di tuo figlio… avrai avuto sicuramente i tuoi motivi per non parlarne mai mamma e non voglio né giudicare, né recriminare, ma adesso sembra così stupido, non credi?-
Sussurra anche lui, appoggiando di peso la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi respirando a fondo, per scacciare quel residuo di dolore che non lo ha ancora lasciato.
Martha prende il panno lasciato andare dentro una ciotola di ghiaccio ormai quasi disciolto, lo strizza per bene e glielo passa sul viso. Il refrigerio che prova gli strappa un sospiro e riapre gli occhi, osservandola con attenzione, mentre continua a passargli il panno anche sul collo.
-Eppure io non lo so chi è tuo padre, Richard.-
Scuote la testa lasciando il panno nella ciotola. Gli mette entrambe le mani sulla sua e lo guarda finalmente negli occhi.
-Recitavo nella mia prima, vera, scrittura. Niente di speciale, ma avevo intascato il mio primo stipendio e mi sentivo al settimo cielo. Realizzata finalmente, dopo tanto studio, tanta gavetta e tante delusioni. Avevo comprato un abitino rosso, senza maniche, con scarpe e borsa annesse… logicamente!-
Esclama dondolando una mano avanti e indietro, strappandogli un sorriso.
-Quella sera indossai il mio bel vestito e uscì per raggiungere i colleghi a cena, ma quando arrivai a metà strada, il caldo torrido di metà luglio si trasformò in uno scroscio di acqua inimmaginabile. Imprecai contro ignoti!-
Storce le labbra contrariata e poi sorride continuando il suo racconto.
-Misi la borsetta sulla testa… hai presente quelle pochette microscopiche?-
Scoppiano a ridere insieme e lei solleva le spalle.
-Volevo salvare il mio abitino con quella! Cominciai a correre, ma dopo un paio di passi ero già fradicia dalla testa a i piedi. Imprecai ancora e andai a sbattere contro qualcosa. Anzi… contro qualcuno.-
Sospira stringendogli la mano.
-Sentii due mani forti prendermi per le braccia, impedendomi di finire a terra e dare il colpo di grazia alla mia eleganza. Quando alzai lo sguardo mi trovai davanti ad un sorriso sghembo, un sopracciglio alzato ed un’espressione mista tra stupore e malizia.-
Rick si sistema meglio sul letto, aumentando la sua attenzione.
-Non so per quanto siamo stati in mezzo alla strada a fissarci, con la pioggia come unico ostacolo tra noi. Mi prese per mano improvvisamente e corremmo sotto i portici poco lontano da lì, per ripararci. Restammo in silenzio ad aspettare che spiovesse, spiandoci con lo sguardo di soppiatto, fingendo invece di guardare la pioggia.-
Gli mette una mano sul viso e sorride.
-Richard, tu sai cosa significa guardare qualcuno negli occhi e sentirti finalmente nel posto giusto per la prima volta nella vita.-
Lui annuisce e Martha sospira.
-Lo so, tu ci hai messo anni per fare un passo avanti, io…-
Sventola ancora la mano sbuffando.
-…io non so cosa sia successo, so solo che ci ritrovammo insieme, nella sua stanza d’albergo, ad amarci.-
Annuisce quando Rick corruccia la fronte.
-Non mi era mai successo, non avevo mai provato nulla del genere e in quel momento Richard, io l’ho amato. Ci siamo amati davvero. In certi momenti non puoi mentire. Puoi fingere, ma non mentire. Ci siamo guardati negli occhi tutto il tempo e i suoi occhi non mentivano. Anche lui mi ha amato e non mi sono sentita mai più al sicuro con nessun altro uomo, come quella sera.-
Gli occhi le si riempiono di lacrime quando nota il sorriso dolcissimo che si disegna sulle labbra di suo figlio, ma le ricaccia indietro ancora una volta.
-Il mattino dopo trovai sul cuscino una rosa rossa ed un biglietto: Perdonami Martha, posso solo lasciarti il mio cuore. Alexander.-
-Alexander?!-
Balbetta Rick sollevando le sopracciglia e Martha scuote la testa sorridendo.
-Mi sembrava giusto che avessi qualcosa di suo… sempre che fosse il suo vero nome. Magari era falso anche quello. Forse aveva moglie e figli da qualche parte, o forse…-
Solleva le spalle.
-…era un agente segreto!-
Esclama avvicinandosi al viso di Rick come una cospiratrice, facendolo ridere, ma lei si rabbuia di colpo.
-Mi spiace che tu non mi abbia mai creduto Richard. Io non ho mai saputo più nulla di lui…-
Rick scuote la testa e sospira.
-No mamma, scusami. Non avrei dovuto, non so nemmeno perché ho pensato a lui improvvisamente.-
-Perché avresti bisogno del suo sostegno. Giustamente!-
Esclama stringendo le labbra, come a rimproverarsi di quella mancanza e quando lui cerca di ribattere, lei scuote ancora la testa.
-Sono rimasta in quella stanza a piangere come una stupida, arrabbiata con me stessa perché soffrivo per uno sconosciuto…-
Lo guarda seria, dritto negli occhi.
-…uno sconosciuto che ho amato davvero. E’ strano lo so, può sembrare surreale, ma io l’ho amato. Ed è vero che mi ha lasciato il suo cuore. Sei arrivato tu!-
Gli dice accarezzandolo, con un sorriso dolcissimo che gli toglie il respiro per un attimo.
-Mi conosci Richard. Io non mi sono mai pentita di nulla nella mia vita. Ho affrontato le mie scelte, giuste o sbagliate, accettandone le conseguenze e prendendomene la responsabilità…-
China lo sguardo un momento stringendo le labbra, per tornare a guardarlo subito dopo.
-Però mi porto dentro un unico rimpianto.-
Lo accarezza ancora annuendo quasi a se stessa.
-Rimpiango che lui non abbia mai potuto godere di te.-
Rick corruccia la fronte e lei sorride, lasciando andare quelle lacrime che ha trattenuto per troppo tempo.
-I tuoi sorrisi sdentati, i tuoi occhioni curiosi e vispi, le tue manine sempre in movimento pronte ad acchiappare qualunque cosa…-
Gli accarezza il capelli notando che anche i suoi occhi si sono riempiti di lacrime.
-…i tuoi passi incerti, le tue cadute sul sederino tra risate e pianti. Rimpiango che non abbia conosciuto la gioia delle tue marachelle, la tristezza dei tuoi silenzi, la dolcezza dei tuoi abbracci. Si è perso l’onore di essere tuo padre!-
-Mamma…-
Tenta di dire Rick, ma lei gli mette un dito sulle labbra e appoggia la guancia alla sua.
-Richard, sappi che Martha Rodgers ha le spalle forti. Ha sopportato tanto nella sua vita e può sopportare ancora di più… tranne perdere suo figlio!-
Rick deglutisce, cercando qualcosa di sensato da dire, senza riuscirci. Un’ombra lo porta a spostare lo sguardo verso la porta e la sua espressione fa girare anche Martha. Si ritrovano insieme davanti agli occhi lucidi di Alexis e Jim Beckett.
-Scusate… la porta era aperta e…-
Alexis si torce le mani per il nervosismo, cercando di scusarsi.
-…e non abbiamo potuto non sentire!-
Madre e figlio sorridono e Jim si schiarisce la voce un paio di volte, passandosi la mano dietro la nuca, imbarazzato.
-Scusate soprattutto me, dovevo aspettare in corridoio.-
Martha solleva la mano con fare teatrale.
-Oh andiamo Jim, sono sicura che anche tu avrai un segreto piccante nascosto nel tuo passato e prima o poi me lo racconterai!-
Jim solleva le sopracciglia, arrossendo visibilmente, Alexis guarda la nonna accigliandosi e Rick scuote la testa sospirando.
-Se un giorno le racconterai davvero un tuo segreto piccante, io desidererei non saperlo Jim.-
Alexis guarda Jim Beckett e gli sorride sollevando le spalle, come a dire che quella è la sua famiglia e deve prenderli così come sono e lui le mette un braccio sulle spalle, annuendo.
Martha stringe la mano di suo figlio senza guardarlo. Rick invece la guarda. Fissa il suo profilo per qualche secondo, poi guarda Alexis, il sorriso sulle sue labbra e l’angoscia nei suoi occhi e Jim Beckett che la stringe a sé con dolcezza.
Tutto quello che ha sempre desiderato è dentro quella stanza. Manca solo l’incastro più importante che lo ha reso completo per la prima volta dopo quarant’anni, la donna in cui crede ciecamente. Non ha alcun dubbio sul fatto che Kate gli porterà la tossina, l’unico vero dubbio che lo tormenta è il tempo, il malessere che sente addosso… non poterle stare vicino…
 

Il Professore sorrideva...
Poche volte lo aveva visto sorridere veramente e, in quel momento, il suo sorriso lo aveva rincuorato.
Teneva il braccio in bilico sulle fiamme scoppiettanti del camino, la mano stretta in un pugno stropicciava un pezzo di carta, ma sorrideva.
Lo guardò sereno, si tolse gli occhiali, tendendo la mano verso di lui. Aprì il pugno e annuì. Il foglio stropicciato si districò leggermente e piccoli simboli e numeri si fecero largo davanti ai suoi occhi.
Sentì il cuore libero e sorrise anche lui…
Il torpore che lo aveva avvolto alla visione del Professore che gli sorrideva, sparì d’improvviso. Cercò di aprire gli occhi, ma il martellare della testa glielo impedì. Si sentiva dondolare e non riusciva a capire dove fosse o casa stesse succedendo.
‘Abraham, amico mio…’
Un lampo attraversò la sua memoria e ricordò improvvisamente la lettera nella sua sacca, le parole benevole del Professore e il diavolo che lo aveva trovato, ma invece di ucciderlo, lo aveva colpito e chiuso nel portabagagli di un’auto, per portarlo chissà dove.
Il suo fragile corpo non aveva sopportato oltre e quando l’auto si era mossa lui aveva chiuso semplicemente gli occhi per non sentire più nulla e, nella nebbia della sua mente, aveva sognato il Professore, sereno e sorridente.
Non aveva distrutto la formula, anzi, gliel’aveva messa praticamente tra le mani, con il sorriso sulle labbra.
Il Professore non lo aveva tradito. Voleva fare la cosa giusta e lui non se ne era reso conto… e adesso era troppo tardi.
Abraham Pratt era un povero storpio e non avrebbe mai potuto contrastare la forza fisica di Dunn.
L’auto procedeva a velocità sostenuta. Aprì gli occhi di colpo per uno scossone che lo fece gemere. Un dolore prepotente s’irradiò dal collo lungo la colonna vertebrale, fino a scendere verso il basso provocandogli bruciore alle gambe, come una scossa elettrica.
Non sentiva clacson, né i rumori normali che riempiono il centro della città e le ruote provocavano uno strano stridio, mentre giravano frenetiche sull’asfalto ricoperto di fango e nevischio ormai disciolto.
Non capiva perché non lo avesse ancora ucciso. Non si rendeva conto di quanto tempo fosse passato da quando avevano lasciato la sua vecchia casa, ma le sue ossa parlavano e la loro lingua lo mise al corrente che era in quella posizione scomoda da troppo tempo e gli scossoni presi ad ogni fosso, che Dunn sembrava non curarsi di scansare, gli toglievano il respiro.
Il Professore sorrideva…
Sospirò cercando di reprimere un urlo all’ennesimo scossone dell’auto, cercò di muovere le braccia in avanti e di allungare di poco le gambe, ma ossa e muscoli non ne volevano sapere. Era bloccato.
La macchina si fermò, il silenzio venne interrotto dallo sportello che veniva aperto e poi richiuso con un tonfo e dai passi pesanti che si avvicinavano sempre più.
Il cofano si aprì e Dunn sorrise.
Quando riaprì gli occhi era passato altro tempo. Doveva esserselo caricato sulle spalle e portato all’interno di una casa e in quel lasso di tempo lui era svenuto di nuovo.
Si guardò intorno confuso, seduto su una sedia con le mani legate dietro la schiena e gli occhi malevoli di Dunn addosso.
La sua figura si stagliava davanti ad una finestra dai vetri rotti come un’ombra in negativo, stampata su un cielo che al mattino non si era preso la briga di colorarsi dell’alba e in quel momento, stava diventando bruno senza scomodarsi a passare per i colori del tramonto.
Era già pomeriggio inoltrato.
-Dove avrebbe nascosto la formula il mio amico Lester?-
Ecco perché lo aveva portato via di fretta e senza ucciderlo!
-I morti non parlano. Dovrebbe bastarti…-
Gli rispose a fatica, balbettando per il dolore e per il freddo che entrava da quella finestra senza vetri e la risata del suo aguzzino gli trapanò i timpani. Lo sovrastò con la sua ombra, mettendosi dritto davanti a lui.
-Il mio romanzo deve essere perfetto, deve essere reale e tu e il tuo amico stavate per rovinare tutto… Nikki è intelligente, se esiste davvero quel foglio lei lo troverà… io devo sapere!-
Fu l’ultima esclamazione che sentì, prima che gli ficcasse il coltello nella spalla all’improvviso, facendolo urlare per il dolore.
Continuò a parlargli, a picchiarlo, ma il dolore era più forte della sua follia e le sue orecchie non riuscirono più a seguire il senso di quello che diceva.
-Nella… nella cassa… forte…-
Quando gli passò la lama del coltello sulla gola e penetrò la carne con la punta, lasciando che un piccolo rivolo di sangue colasse giù fino al giubbotto, la sua voce uscì spontanea dalle labbra, stremato, pronto a lasciarsi morire.
Le corde che gli stringevano i polsi dietro la schiena si allentarono di colpo, le mani di Dunn lo afferrarono ancora una volta come un fantoccio di pezza.
Sentì altro dolore quando lo scaraventò sul pavimento.
-Potevi fare l’eroe Abraham… pensa. Per una volta l’omino storpio e dalla vita inutile, poteva fare la parte del salvatore.-
Gli strinse le mani al collo per l’ennesima volta e sorrise.
-Per fortuna ho messo il plastico dalle fondamenta. Non è rimasto nulla Abraham… nulla!-
Si chinò su di lui, alitandogli sul viso.
-Puff… la formula è letteralmente andata in fumo!-
Sentì la stretta al collo sempre più forte, fino a che i suoi polmoni bruciarono per qualche secondo.
Niente più  dolore… finalmente!



Angolo di Rebecca:

Un altro momento "intimo" stavolta tra madre e figlio *-*
Rick non può fare a meno di pensare a suo padre, dopo la gaffe di Edith, il cervello ha elaborato che era ora di sapere, ma Martha non lo sa davvero chi è :p
Kate continua a pensare alle parole di Castle... "continuaiamo a sbgliare" ha detto prima di mettersi a riflettere...
...e poi Abraham che finalmente non sente più dolore!

 
  
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