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Autore: Tomi Dark angel    22/07/2014    3 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Concepire scelte, non sempre è importante. L’uomo è una creatura effimera, che si tinge di bianco e nero, grigio e pallido argento. Poi, tra una fazione e l’altra, vi sono i colori: sottili, invisibili come piccole strisce di preziosità, ma vivi. Ognuno può cercarli, ognuno può afferrarne un filamento e tirare a suo rischio e pericolo. Potrebbe uscire il nero corvino, o il marrone sporco, ma qualcosa di diverso ci sarà. È una scelta, la possibilità di cambiare qualcosa.
Adesso, John Watson stringe tra le dita possenti di soldato tutti i filamenti possibili, tutte le scelte probabili. Ognuna di esse è una vita, un passato e un probabile futuro. E ognuna di esse, è legata alle persone che adesso lo fissano fedeli, ferme anche tra le fiamme divampanti e il puzzo di morte a stento ricoperto dal profumo d’acqua pulita.
Si fidano di lui. Si fidano delle sue scelte. Un filo, un solo filo. Una sola decisione.
-John.-
Qualcuno lo tocca, appoggiando mani leggere come ali di farfalla sui suoi avambracci fradici. Il corpo di Sherlock preme contro il suo, caldo e confortante, forte, vivo. Sopporterà con lui qualsiasi peso, qualsiasi scelta. È lì apposta. E John non ha bisogno di altre motivazioni per sentirsi forte.
Per Sherlock. Per il mondo intero.
-Combatteremo.- decide infine, e al suo più piccolo cenno, dalle navi si levano grida, incitamenti, scintillii d’armi luminose di rinascita. La gente si affida a lui, si schiera dalla sua parte. Per qualche motivo, ognuno di loro comprende, sa che il capo giusto da seguire è piccolo e gentile, con grandi occhi caritatevoli e mani grandi capaci di ferire e curare.
John si volta verso Moriarty, ancora fermo ai piedi della montagna distrutta, e urla. È un grido di battaglia, un grido di sfida, un incitamento alla rivolta che verrà. Nella sua piccolezza quasi insignificante di giovane umano, improvvisamente John Watson pare ingigantirsi, crescere, sbocciare in grandezza temibile, sovrastante. Moriarty si volta, incrocia furente lo sguardo di John.
Nero senz’anima e blu cobalto d’oceano inarrestabile.
Bestia assassina e uomo difensore, vivo di coscienza.
Rabbia omicida e bruciante fermezza.
Improvvisamente, tra le urla rinnovate dell’esercito che insorge e rinasce dalle ceneri, un’altra creatura si rivela: Sherlock Holmes avanza lentamente, raggiunge l’estrema prua della nave e si libera fluido del cappotto. Lo lascia cadere ai suoi piedi, esponendo al mondo il torso nudo, scolpito d’umana pelle e scaglie di oscuro diamante. Si accovaccia, artigliando bestiale la punta della nave ai suoi piedi, tra le ginocchia divaricate. Poi, senza preavviso, inspira a fondo e ruggisce al cielo.
Il suono è così forte, così terribile, che il mondo intero pare piegarsi. L’acqua vibra di potenza; in lontananza, ogni pianta si piega fin quasi a spezzarsi; il cielo trema intimorito, scuotendo finanche il sole calante non più alto sulle loro teste.
È un ruggito che scuote l’anima, che interrompe il corso del tempo e della vita stessi. Un verso bestiale, di gola, che nessuna creatura terrena riuscirebbe ad esternare.
Gli umani ammutoliscono e cadono in ginocchio, i draghi si voltano verso Sherlock e lo raggiungono in volo, imponenti come montagne, ma minuscoli al cospetto delle sue ali d’oscuro arcobaleno che improvvisamente si spalancano, inghiottendo cielo e terra, mare e sole.
Solo John trema appena, ma non di paura. Certo, non avrebbe mai creduto che Sherlock potesse esternare un suono simile, ma mai come in quel momento, ai suoi occhi, il suo drago appare nobile, vivo, possente. È l’ultima difesa, l’ultima sfida per la salvezza del mondo: stavolta, a scendere in campo non saranno i semplici draghi, ma gli dèi stessi.
Moriarty comprende allora la sfida, reagisce con tutta la rabbia che ha in corpo. Semplicemente, si sfila la giacca e ruggisce a sua volta, possente, inarrestabile, ma in qualche modo, non terribile come Sherlock.
C’è qualcosa di diverso in quel ruggito, qualcosa che lo distingue nettamente dall’altro, come cielo e terra, fuoco e acqua.
Uno spostamento d’aria. Un nuovo ruggito dall’alto, sulle loro teste. Poi, uno stormo di draghi compare dal nulla, sfondando le nuvole, oscurando il cielo. Bestie meravigliose, munite d’ali gigantesche e squame lucenti di zaffiri, rubini, diamanti. Colori luminosi che si riflettono su zanne snudate e artigli tesi nell’estremo attacco ai danni dell’umanità e della sua stessa salvezza.
Un esercito. Agli ordini di Jim Moriarty.
Sherlock lo guarda senza timore, giudicandone l’immensa grandezza, la pericolosità, la massiccia presenza di elementi abbastanza stupidi da desiderare la fine di ogni cosa.
Se Moriarty vince, il mondo muore.
Se Moriarty vince, le terre dei draghi cadranno insieme a quelle degli uomini.
Sherlock osserva, studia. Ogni anfratto del suo Mind Palace si risveglia, classificando in un millesimo di secondo ogni elemento, ogni abilità, ogni possibile debolezza. Sa allora che Mycroft e suo padre faranno lo stesso, sa che la possibilità di vincere esiste davvero.
-John.- chiama allora, raddrizzandosi. Non si volta a guardarlo, non azzarda occhiate che gli impedirebbero di allontanarsi da lui, lasciandolo indifeso e incustodito alla mercé di zanne e artigli inarrestabili. Si fida di John, si fida del suo cuore come del suo giudizio. Può farcela contro quelle creature alate, ma non contro Moriarty.
-Segui il tuo istinto.- dice alla fine, mentre un vento atroce sprigionato dalle ali delle bestie li travolge, scompigliando loro i capelli.
Sherlock resta immobile, statuario e bellissimo come è sempre stato. Incrocia allora gli occhi degli altri draghi suoi fedeli, riuniti in cerchio sulle loro teste. Sa che combatteranno fino alla fine, sa che forse non ne usciranno vivi. Due schieramenti, due diversi volti di una stessa scacchiera.
Noah. Così giovane, così adulto. Il più saggio di tutti loro, il più grande nella generosità del suo cuore sconfinato.
Irene. Felina, tentatrice. Sherlock la conosce da anni, e da anni si sottrae alle sue avances. Tuttavia, sa di potersi fidare di lei, sa che combatterà perché il futuro è ciò che le interessa.
Edarion e Mycroft. Ciò che resta della sua famiglia, ciò che l’ha spinto a recuperare quel brandello di razionalità ancora vacillante.
Anthea. Guardiana, fedele al suo unico padrone. Non gli volterà mai le spalle, non saprà mai tradirlo.
Tanti piccoli brandelli di vita, tanti piccoli pezzetti d’un unico grande specchio brillante che lo rappresenta, che lo compone. Sherlock sa chi è, e alla fine si accetta. Combatterà al loro fianco, vincerà quella guerra. Per loro, per John.
Andiamo”, mormora Nevora, affiancandolo evanescente come spirito guardiano. Gli stringe la mano, intreccia le dita con quelle del figlio così simili alle sue. Mani grandi d’uomo sbocciato e mani piccole di donna già cresciuta. “Riporta la pace, figlio mio. Proteggi il mondo, proteggi il futuro”.
È un istante, un respiro prima del balzo. Sherlock scatta, balza oltre la prua della nave con leggerezza di piuma abbandonata al vento. Spalanca le ali, le sbatte un’unica volta e s’innalza fiero verso il cielo, verso il creato.
I due eserciti si schierano, draghi solitari contro meticcia armata di bestie e uomini. Fianco a fianco, per la prima e ultima volta.
John solleva un pugno, stringe forte il calcio della pistola e con freddezza di soldato unisce indice e medio, indicando prima a destra e poi a sinistra. È un segnale, un ordine silenzioso ma abbastanza chiaro da spingere gli altri a reagire.
Greg, Molly e Mike balzano sulle navi. Le persone si sparpagliano, armate di uncini, cappi e catene. Balzano da una nave all’altra con agilità di pantere, veloci e precisi, rispondendo a un unico gelido comandante che lentamente carica la sua arma, pronto a sparare. Non fallirà, non ha mai fallito. Conosce il suo obbiettivo.
Irene spalanca le fauci ed erutta una possente fiammata di inferno dorato e scarlatto, direzionandola verso il nemico più vicino. Lui contraccambia e a sua volta, il drago marroncino esplode un turbine di fuoco che massiccio si schianta contro l’attacco di Irene. Il boato che si produce è così forte da scatenare violente raffiche di vento che spingono in acqua alcuni uomini e costringono alcuni draghi ad arretrare.
Ma Irene non è stupida. Folle sì. Sprovveduta, per niente.
Improvvisamente, dalla sua stessa, gigantesca fiammata emerge una figura. Il drago a due teste attraversa il fuoco amico senza sbattere le ali e come un proiettile si lascia cadere verso il nemico.
I due draghi si schiantano con la potenza di una valanga, emettendo ruggiti così forti da infrangere la barriera sicura del suono. Le pietre della montagna già devastata si coprono di crepe, piegate dalla potenza innata di quelle splendide bestie che feroci come non mai precipitano verso il suolo in un turbinio di ali, zanne e artigli.
Noah, così piccolo e delicato, diventa improvvisamente la peggiore macchina di morte che qualsiasi drago abbia mai visto. La rabbia esplode, la volontà di vendetta gli pervade gli occhi di una furia omicida inarrestabile.
Erutta una fiammata dritta sul muso dell’altro drago e, senza dargli il tempo di reagire, lo azzanna al collo. Il fuoco non smette di fuoriuscire dalla gola di Noah e, da quella vicinanza, fonde lentamente le squame del drago che sempre più debolmente si dimena. Noah lo artiglia ai fianchi e chiude le ali lungo il corpo, freddo e calcolatore quasi quanto Sherlock.
Entrambi cadono, si schiantano contro la montagna e procedono giù, verso il mare di lava ancora bollente sotto la gelida superficie raffreddata dalle raffiche di vento.
Noah sbatte le ali una volta, con la testa ancora libera spezza il collo del nemico e lascia cadere il corpo in basso, verso lo stesso inferno da lui scatenato ai danni degli uomini.
Risale in veloci spirali verso il cielo nello stesso istante in cui i due eserciti si schiantano con la potenza di una supernova esplosa.
Da tempi immemori, l’uomo si avvale di storie lontane che narrano di epiche battaglie e bestie mostruose abbastanza possenti da far tremare la terra ai loro piedi semplicemente sbattendo le ali. Storie, immaginazione. Ma nessun umano racconto equivarrebbe alla potenza scatenata lì, in quel momento.
Il cielo non esiste più.
Al suo posto, regna l’apocalisse. Il tetto del mondo intero si tinge di fiamme scarlatte, guizzanti, assassine. Dall’alto, piovono sangue e arti strappati, fatti a pezzi, consumati dalle fiamme. Squame lucenti si spaccano, cadono nel vuoto come pioggia preziosa, tagliente.
I ruggiti furiosi dei draghi sfondano qualsiasi barriera sonora, scuotendo il nucleo terrestre dalle fondamenta. È una guerra tra déi, uno scontro tra spietatissimi titani.
Cinque draghi e un’armata d’umani contro il più grande esercito che il mondo abbia mai visto. Non si sarebbe mai detto, ma quei pochi elementi insignificanti, sembrano avere la meglio.
Mycroft e suo padre combattono con velocità e precisione. Sgusciano tra i nemici, giganteschi ma inafferrabili come coperti d’olio. Non si lasciano toccare e all’ultimo momento schizzano di lato, si capovolgono a mezz’aria, spariscono nel nulla come spiriti intoccabili. Velocissimi, assassini.
D’improvviso, Mycroft appare alle spalle di un drago e gli azzanna la base del collo, bloccandogli qualsiasi movimento.
Punto sensibile.
Edarion compare dal nulla, ruota a mezz’aria e con un unico, implacabile colpo di coda, trancia in due il nemico.
È un attimo, il tempo di un breve respiro. Poi, un altro corpo cade al suolo, un’altra vittima ricopre il suolo intriso di sangue.
Anthea dimostra d’avere ali taglienti come rasoi, ampie e micidiali. Le usa come lame di spade, più veloci di qualsiasi cobra, più letali di qualsiasi altra arma. Ruota su se stessa, s’infila tra due draghi nemici e di scatto apre e chiude le ali. Una volta, una sola. Poi sparisce, lasciandosi alle spalle due identici corpi tranciati in due che inermi cadono verso il suolo.
Dal basso, gli uomini combattono come mai hanno fatto in vita loro. Uniti, come una macchina ben oliata. Lanciano arpioni, corde, catene, mirando alle fragili ali dei draghi più vicini. Li artigliano, poi tutti insieme strattonano, distraendo la bestia. In quel momento, veloci come saette, Irene e Noah compaiono dal nulla e spingono il drago al suolo, squarciandogli le ali. Se la bestia cade, gli umani lo finiscono mirando agli occhi o alla gola, dove le squame si fanno appena più rade.
È una carneficina, lo scontro frontale di due diverse forze della natura. Ognuno combatte, ognuno lotta con le unghie e con i denti, pronto a donare la vita per quell’ultimo sprazzo di speranza.
Il sangue piove incessante dal cielo, bagnando la terra e l’acqua di inguaribile malattia. Argento e cremisi, drago e uomo. Grida e ruggiti, ali e braccia.
Alcuni cadono, altri ancora si accasciano a terra tramortiti, implorando pietà al dolore che li assale. Il cielo si rivolta da cima a fondo, il pianeta intero trema come indemoniato e finanche gli elementi più inarrestabili si piegano all’implacabilità di bestie gigantesche che violente si scontrano frontalmente, squarciando e mordendo, bruciando e graffiando.
È lì, tra fiamme e grida disperate, che due identici soggetti si squadrano immobili, insensibili all’inferno scatenatosi tutto intorno.
Occhi puri di cristallo in occhi neri d’anima dannata.
Mani possenti di diamante contro artigli forti d’acciaio.
Nero arcobaleno contro grigio tempesta.
Sherlock Holmes non si muove. Adesso è immobile a pochi passi da Moriarty, col vento che gli scompiglia i capelli e il sangue che piove dall’alto, insozzandolo di rosso e argento. Guarda in viso la sua fine, osserva il traguardo del suo ultimo viaggio. È abbastanza intelligente da conoscere l’esito di quella battaglia: nessun vincitore, due morti.
“Sei sicuro, figlio mio?”, mormora Nevora, affiancandolo.
Sherlock distoglie appena lo sguardo per affilarlo sulla folla circostante. Vede John combattere schiena a schiena con Greg. Veloce, preciso come sicario addestrato, spara proiettili piccoli ma micidiali con sicurezza incalzante, da vero capitano. Non sbaglia mai il colpo, non fallisce nemmeno una volta.
Difficile sorprendersi.
Non ha fallito neanche con lui, dopotutto. Sherlock lo sente, lo sa. Lui rispecchia soltanto l’ennesimo miracolo di quel piccolo, insopportabile umano che con pazienza infinita l’ha riplasmato a nuova vita, donandogli quel sorriso che non ha mai creduto di avere, quel respiro che non ha mai assaporato profondamente e con gratitudine. Grazie a John, Sherlock ha scoperto il valore della vita.
Sì, lui combatte per questo. Non per il mondo, non per la sua famiglia o per il suo popolo. Questi sono soltanto fattori secondari. Ma lui andrà avanti per lui, per John. Quell’uomo merita tutta la pace che un mondo privo di guerre avrebbe da offrire.
Sherlock sceglie, sorride. Poi, scatta ferino, velocissimo come freccia scagliata dall’arco. Affonda un piede artigliato in una pozza di sangue argentato, sollevandone in aria un ventaglio di schizzi lucenti, preziosi come polvere di diamante.
Un respiro, la calma prima della tempesta.
Moriarty sorride, sbilanciando appena il peso del suo corpo all’indietro, quasi accennando un elegante passo di danza. Antepone un braccio, scudiscia la coda d’eccitazione malata.
Il mondo trattiene il respiro, per un attimo interrompe la sua corsa frenetica, sanguinante, violenta. I ruggiti sembrano placarsi, i morenti smettono di gemere, il sangue attende qualche istante in più per fuoriuscire da una ferita.
Poi, lo schianto arriva. Corpo contro corpo, anima pulita contro anima nera d’inferno.
Le ali si spalancano simultaneamente, talmente grandi da spazzare via draghi e umani nei dintorni. Il vento si sprigiona, profumato di vaniglia, spezie e zolfo mortifero. È abbastanza violento da scatenare uno tsunami inverso, che rovescia le barche rimaste in acqua e si schianta contro un drago abbastanza incauto da volare a bassa quota.
La terra trema, vacilla intimidita mentre Sherlock sbatte le ali una sola volta e spinge Moriarty in alto, verso il cielo, lontano da John. È lì che entrambi si trasformano.
Dapprima sottili corpi umani, longilinei, lisci di pelle vellutata e visi morbidi. Poi, d’improvviso, le scaglie sbocciano come rose preziose, ricoprendo di corazza ogni più piccolo millimetro di carne. Le ossa cominciano a spostarsi scricchiolando, le ali s’ingrandiscono, punte acuminate crescono come filamenti d’incubo. I colli si allungano, le teste si rimodellano in crani bestiali, giganteschi, che di umano non hanno più niente.
D’improvviso, i due corpi sembrano esplodere in un processo di crescita accelerata. S’ingigantiscono a dismisura, si rimodellano in forme massicce, più grandi di qualsiasi bestia abbia mai calcato l’universo. Le ali si spalancano, abbracciando il mondo intero, ricoprendo il cielo di ombre sinistre, vibranti di riflessi e in continuo movimento.
Quante umane leggende narrano di enormi bestie spaventose, abbastanza grandi da poter inghiottire un’intera città in un sol colpo; quanti principi hanno combattuto e vinto contro tali ferocissimi animali; e infine, quante creature alate si sono viste trafiggere da minuscole spade forgiate da semplici uomini abbastanza coraggiosi da provarci. Leggende, storie, fantasia. Di quest’ultima, l’uomo ne possiede tanta. Eppure, nemmeno i sognatori più sfrenati potrebbero mai immaginare una scena del genere.
Quelli non possono essere draghi. Assomigliano a tutto, fuorché a semplicissimi rettili sputa fuoco. Nessuna leggenda potrebbe descriverli, nessuna umana fantasia potrebbe semplicemente immaginarli.
Le bestie che adesso abbracciano il cielo, facendolo sembrare piccolo e puramente insignificante, sono più vicine a déi feroci, inarrestabili, giudiziosi. Al loro confronto, qualsiasi drago, qualsiasi uomo, qualsiasi guerra o catastrofe naturale parrebbe minuscola come fiammella di candela al cospetto del più grande incendio mai visto. 
La battaglia sottostante si interrompe e ognuno solleva gli occhi al cielo, lì dove gli déi, quelli veri, scendono finalmente in campo per fronteggiarsi, re dei rispettivi schieramenti. L’acqua si spiana silenziosa e quasi timida, la terra smette di tremare. Il mondo intero percepisce il cambiamento, il peso di due esseri implacabili, esterni agli schemi di Madre Natura stessa.
John solleva lo sguardo, incrocia stralunato la figura infinitamente gigantesca della bestia più grande e più bella che l’universo abbia mai visto: corpo squamato di nero arcobaleno, massiccio, muscoloso e longilineo. Ali gigantesche, le cui membrane non riflettono più la luce, ma anzi, la producono. Appaiono come squarci di cielo intrise di polvere di stelle e aurora boreale, più stupefacenti della vera volta celeste. Il collo lungo, sul cui dorso corre una fila acuminata di punte argentate, luccicanti come diamanti preziosi, culmina con corna ad anelli, ondulate, che sbocciano sulla sommità di un capo dal muso affusolato, con la mandibola possente contornata da due identiche file di punte sottili d’argento che percorrono la base delle corna stesse, scivolando intorno alla forma del cranio per poi morire in un’unica fila indiana sulla sommità della fronte, rimpicciolendosi al centro degli occhi, dove dimora incastonata una sola scaglia sporgente, di diamante, di forma romboidale.
Poi, ci sono gli occhi. Lucenti, affilati, intrisi di pallidi riflessi di cristallo. Non vi è più traccia di umanità in quelle pupille verticali, sottili, animali. Quegli occhi fissano il mondo dall’alto, giudicandolo secondo giustizia implacabile, senza possibilità di appello. Quel dio non perdona. Quel dio percuote le stelle con la sola forza dello sguardo, piega al suo volere il sole e può abbracciare la luna con la lunga coda squamata per strattonare e tirarla giù dal cielo. Nessuna legge naturale potrebbe fermarlo, nessuna forza sovrastante è ancora nata per vincere il suo giudizio.
Quella è una Furia Buia, una di quelle vere, grandi quanto dieci metropoli e possenti oltre ogni immaginazione. L’ultima Furia Buia, principe decaduto finalmente risalito al trono che l’ha sempre atteso. Sherlock Holmes.
Moriarty lo fronteggia, così simile a lui, gigantesco a sua volta, con corna ricurve d’ariete e punte acuminate che ricoprono la sommità del muso e la parte bassa della mandibola. Ha occhi neri, talmente bui da nascondere la pupilla verticale in un vortice di soffocante oscurità.
Così come Sherlock appare giudice di ineguagliabile giustizia, così Moriarty si contrappone a lui come figlio di caos e crimini efferati. Due facce della stessa medaglia, due diversi volti di un mondo in procinto di soffocare. Guerra e pace, luce e oscurità.
Sherlock s’impenna, affondando in acqua una zampa grossa quanto Londra stessa. Schiaccia residui di navi, affonda nella misera sabbia che collassa sotto un peso esorbitante, oltre ogni immaginazione.
Entrambi i draghi respirano a fondo, lentamente, inalando aria fresca per poi rigettarla fuori in soffi bollenti che bruciano l’aria, soffocandola, annerendola di fumo nero e argentato.
Dal basso, nessuno osa parlare. I draghi atterrano lentamente, rivolgendo occhiate intimorite ai grandi re del loro tempo. Nessuno fiata, nessuno vuole attirare l’attenzione. Semplicemente, i draghi sopravvissuti si rannicchiano e gli umani, quasi inconsapevolmente, si nascondono nelle ombre gigantesche di quelli che sono stati i loro stessi nemici.
D’improvviso però, la scacchiera si ribalta e i due re muovono simultaneamente la loro mossa.
Balzano entrambi, spalancando le ali immense, talmente grandi da stendersi a vista d’occhio come distese sconfinate d’oceano scuro. Le sbattono un’unica volta, spazzando via draghi e persone, terra e acqua. Il mare si rovescia in una possente onda inversa che fa arretrare la marea e la sabbia sottostante. La montagna viene spazzata via dal vento, ogni più piccolo incendio si spegne all’istante mentre due corpi giganteschi s’innalzano verso il cielo, confermando l’inizio di una nuova fase della battaglia.
Draghi e uomini si risvegliano. Ricominciano a combattere feroci, rinnovati dalla presenza dei rispettivi comandanti.
Greg balza sulla zampa di Mycroft e si lascia trasportare verso il cielo, in alto, dove lotta il drago più vicino. All’ultimo istante salta nel vuoto, atterra sul muso del nemico e gli spara in un occhio rosso cremisi.
La bestia ruggisce, si contorce e scaraventa Greg nel vuoto. L’umano grida, per poco lascia cadere la pistola, ma non toccherà mai il suolo: uno spostamento d’aria, una sagoma massiccia che lucente sfreccia sulla sua traiettoria. Lestrade atterra di schianto sul capo di Mycroft, stordito, sanguinante di graffi, ma vivo.
Allo stesso modo, Molly e Noah combattono in sincronia, eleganti come un sol corpo. La ragazza rimbalza agile tra le due teste del drago, sparando a raffica sui nemici, tramortendoli e poi lasciando che gli uomini sottostanti finiscano il lavoro.
Uomo e bestia, cielo e terra. Due diverse razze si avvicinano, due razze combattono fianco a fianco come meccanismo ben oliato.
Sherlock e Moriarty salgono verso il cielo, innalzandosi come comete inarrestabili, possenti di muscoli e arti contratti nello sforzo. Squarciano l’aria, disperdono le nuvole e, una volta abbastanza in alto, Sherlock accelera. Sforza al massimo le ali, i muscoli, ogni tendine del corpo. In un solo istante, semplicemente sparisce. Il cielo pare svuotarsi solo per metà mentre Moriarty raggiunge la pedana di diamante dei defunti e vi atterra sopra, facendo stridere gli artigli sulla superficie liscia.
Inarca il collo, gli occhi ridotti a fessure per sfondare la cappa di nubi che abbraccia l’ambiente. Ha i muscoli contratti, immobili mentre chiude le ali dietro la schiena, cauto in ogni movimento.
Intanto, più in alto, Sherlock si accovaccia, sbattendo le ali il meno possibile per non disperdere le nubi che lo proteggono.
Non può attaccarlo di sorpresa, non senza rischiare una contromossa particolarmente violenta. Moriarty lascerà scoperti alcuni punti deboli, nella speranza che il nemico colpisca lì, dove però sarà facile intercettarlo. Allo stesso tempo però, Sherlock non può neanche attaccare le parti maggiormente protette. In qualsiasi caso, non riuscirà ad abbatterlo al primo colpo.
Deve rischiare. Per John, per il mondo.
D’improvviso, Sherlock chiude le ali lungo il corpo e si lascia cadere in basso, più veloce della luce e del suono, più grosso di qualsiasi montagna.
Moriarty solleva la testa appena in tempo, un istante prima che lo schianto arrivi.
Col fragore di dieci supernove esplose, i due draghi si scontrano, facendo tremare l’universo intero. La pedana di diamante cede, e le due bestie precipitano in basso, ruggendo così forte da risuonare i loro versi nelle gabbie toraciche di ogni singolo essere vivente. Menano unghiate, morsi, colpi di coda intrisi di una violenza senza precedenti. Appaiono velocissimi, precisi e terribili. I loro corpi si tendono nello sforzo, le ali si spalancano all’ultimo minuto, sbattendo e spazzando via draghi e uomini per la seconda volta.
Risalgono in larghe spirali, intrecciandosi e sciogliendosi come in una danza arcana di fiamme e squame lucenti. Gli artigli guizzano, affondano, s’intridono di sangue argentato, copioso, intenso.
D’improvviso, Moriarty attacca di nuovo. Si catapulta su Sherlock, artigliandogli i fianchi e spingendolo in basso, verso l’oceano. Spalanca le fauci poderose ed erutta una fiammata d’inferno sulla sua gola, contro le scaglie, spingendolo a ruggire di dolore. Sherlock sbatte le ali furioso, indebolito, spossato. Chiude gli occhi, perdendo improvvisamente la presa mentre il suo Mind Palace collassa e le forze gli vengono meno.
Non ha fatto abbastanza. Non ha vinto, non ha indebolito decentemente il suo avversario.
Poco a poco, il vento li abbraccia, il sangue cola e le squame di Sherlock si spaccano ferite all’altezza della gola ormai ustionata a morte, consumata dalle fiamme. Moriarty molla la presa mentre il corpo di Sherlock si rimpicciolisce, nudo e fragile, ricoperto di ferite, dolore, abbandono. Si schianta contro il muro d’acqua che violento, appare solido come il cemento più duro.
Le ossa si spezzano, le ali schioccano dolorosamente… la colonna vertebrale va in frantumi.
Crack.
È un suono acuto, che riverbera nei cuori e negli animi dei presenti. Ognuno si volta, ognuno guarda la piccola figura nera che affonda in una pozza sempre più larga di sangue argentato.
È silenzio, è pace. La battaglia si ferma di nuovo, momentaneamente, al cospetto della sconfitta definitiva di un dio giusto, pulito, spezzato. I re non esistono più: l’ultimo è appena caduto di schianto, distrutto insieme al suo stesso trono.
Silenzio. Pace.
Poi, un grido lacerante, senza tempo, intriso di un dolore talmente lancinante da far rabbrividire chiunque nel raggio di chilometri: -SHERLOCK!!!-
 
Angolo dell’autrice:
Coff coff… va bene, sono in ritardo. Di nuovo. Cavolo. Ma non è colpa mia!
Moriarty: sì che lo è!
Zitto, tu! Mi hai riempito la stanza di strumenti di tortura! E Sherlock ha invitato tutti i senzatetto qui! È uno stramaledetto casino, dannazione!
Moriarty: be’? Gli strumenti di tortura mi servono.
Anche un ottimo psicologo, ma io non ti riempio la stanza di strizzacervelli. Comunque… passiamo ai ringraziamenti!
Kimi o Aishiteiru: Jim ringrazia per i tuoi apprezzamenti. Dice che ti invierà un pacco bomba formato regalo per dimostrarti la sua gratitudine. Ma valli a fare certi apprezzamenti… ce l’ho con te, Jim! Sparisci, Happy Feet! Comunque, spero che il capitolo ti sia piaciuto! Ti ringrazio di cuore per il commento, come al solito, e ti saluto! A prestissimo!
Sonia_0911: "abbandonate di ricordi che le ricordano come parte d’una nave integra e perfettamente funzionante." In questo passaggio mi riferisco alle parti ormai distrutte delle navi. Separate, esse ricorderanno soltanto di quando appartenevano a un’unica struttura perfettamente funzionante; ossia, a una nave integra. Spero di averti aiutata, e mi scuso per averti messo in difficoltà con il mio modo di scrivere. In ogni caso, mi fa piacere che il resto della storia ti sia piaciuto. Spero che risulti così anche stavolta! A presto, e grazie!
Wibbly Wobbly Timey Wimey: mi sto riprendendo in fretta, tranquilla. E la nuova storia è in fase di stesura! Sono sepolta da nozioni egizie, vocabolari di lingua, bestiari e roba varia, ma posso farcela! Comunque, grazie mille! Spero che questo capitolo ti piaccia! A presto!

Tomi Dark Angel

 
  
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